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Al via il registro delle autorizzazioni end of waste

 











Operativo da questa mattina Recer il registro telematico delle autorizzazioni end of waste. Obiettivo: ordinare e omogeneizzare i permessi per le

End of waste, si accende il dibattito












Si riaccende il dibattito parlamentare sull'end of waste caso per caso. A far discutere le misure contenute nel decreto semplificazioni. Dubbi delle imprese sul sistema dei controlli ex-post, mentre Ispra boccia il parere preventivo e obbligatorio per il rilascio delle autorizzazioni.




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Decreto semplificazioni? Per l’economia circolare solo un maquillage, mentre si agevola l’incenerimento













Si chiama decreto semplificazioni ma relativamente all’economia circolare contraddice il suo obiettivo e scontenta gli attori principali. Secondo chi se ne intende non tocca temi strategici, prevede modifiche che potrebbero addirittura complicare le procedure, e semplifica solo l’incenerimento (peraltro contro le linee guida della Commissione che esclude appunto l’incenerimento dai Pnrr).

Il decreto legge 31 maggio 2021, n. 77, approvato dal governo e affidato alla Camera per conversione (commissioni riunite Affari Costituzionali e Ambiente, dl 3146) dedica specificamente all’economia circolare due articoli: il 34 (Cessazione della qualifica di rifiuto) e il 35 (Misure di semplificazione per la promozione dell’economia circolare).
End of waste

Difficile orientarsi nel groviglio di taglia e incolla tipico della legislazione nazionale. Secondo la relazione illustrativa che accompagna il provvedimento del governo, l’articolo 34 “è volto a razionalizzare e semplificare la procedura in materia di end of waste (EoW) prevista dall’articolo 184 ter del Codice dell’ambiente, prevedendo in particolare che il rilascio dell’autorizzazione avvenga previo parere obbligatorio e vincolante dell’Ispra o dell’agenzia regionale di protezione ambientale territorialmente competente: in tal modo – afferma la relazione – la valutazione viene anticipata alla procedura all’esito della quale l’autorizzazione viene rilasciata da parte dell’autorità competente”. Insomma il controllo e il parere di Ispra o Arpa regionali arriva prima e diventa “obbligatorio e vincolante”.

Semplificazione solo apparente

“Oggi per emanare un provvedimento EoW occorrono almeno 5 anni, ma ogni anno vengono immessi nel mercato decine di nuovi prodotti che richiedono nuove tecnologie per poter procedere al loro riciclaggio. Semplificare è quindi fondamentale e per noi significa allineare i tempi della burocrazia a quelli dell’evoluzione tecnologica. Se ciò non avviene, la nostra sfida per la transizione ecologica è persa in partenza”, riflette Stefano Leoni della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “Introdurre un parere obbligatorio e vincolante da parte dell’ISPRA e delle Agenzie regionali per l’ambiente addirittura appesantisce un percorso già irto di ostacoli e crea diversi dubbi ordinamentali. Rimane infatti in capo ad un organismo tecnico (ISPRA e agenzie) una funzione da amministrativa attiva come ad esempio la verifica della sussistenza di un mercato per determinati tipi di materiali. Oltre al fatto che Ispra o le Agenzie non sono in grado di valutarlo, così come il fatto che quel prodotto sia correttamente venduto e utilizzato all’estero Bisogna ricordare che la promozione dello sviluppo dei mercati è una funzione prettamente politica e quindi di amministrazione attiva”. In altri termini la disposizione presentata dal Governo, aggiunge ancora Leoni, “travalica le competenze tecniche di quegli istituti per entrare nelle competenze di un’amministrazione attiva, che è quell’amministrazione che ha il potere di rilascio dell’autorizzazione, ossia un’amministrazione che ha anche funzioni politiche, come Comuni e Regioni. Il suo conferimento a organismi tecnici apre la porta a futuri contenziosi forieri di ulteriori problemi e lungaggini. L’antitesi della semplificazione”.

In conseguenza dell’articolo 34, ragiona poi Leoni, “il potere discrezionale dell’ente amministrativo attivo, delle Regioni, non esiste più: sono infatti costrette a ratificare quello che dicono Ispra e Arpa regionale e farlo proprio”. Inoltre “visto che col parere vincolante questi istituti avranno una capacità decisionale determinante, non so quanto saranno disposti ad assumersi responsabilità”.

MiTe, passo indietro sui controlli

Parte del citato articolo 184 ter (articolo relativo all’end of waste) viene poi cancellata dal decreto semplificazioni: sono le norme che regolavano lo scambio di pareri, a valle dei controlli a campione, tra Ministero e ISPRA o Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente responsabili dei controlli stessi. Il ministero, questo stabiliva il 184 ter prima dello stralcio, in particolare “adotta proprie conclusioni, motivando l’eventuale mancato recepimento degli esiti dell’istruttoria […], e le trasmette all’autorità competente. L’autorità competente avvia un procedimento finalizzato all’adeguamento degli impianti, da parte del soggetto interessato”. Un sistema “macchinoso”, secondo Leoni.

Col decreto semplificazioni, spiega Maria Letizia Nepi, Segretario generale Fise Unicircular, che unisce le imprese del recupero dei rifiuti, “viene stralciato il palleggio tra Ministero e ISPRA o Agenzia regionale ai fini del controllo. Ci si ferma semplicemente alla fase del controllo a campione, quella svolta ex post rispetto all’autorizzazione per verificare la conformità sulla modalità di gestione dell’impianto e su tutte le condizioni autorizzative e normative”. Conformità valutata seguendo le linee guida dell’ISPRA. Per la aziende questo stralcio è “un passo avanti verso la semplificazione e la certezza del titolo autorizzativo fatto con la salvaguardia del controllo e della trasparenza nell’ottica di una semplificazione e velocizzazione”. Quelle norme infatti, prosegue Nepi, “rappresentano una trafila farraginosa. Una trafila che abbiamo sempre criticato e che metteva in discussione da una parte le competenze dell’autorità autorizzatrice; dall’altra la certezza del diritto acquisito da un’azienda di vedersi riconosciuto un titolo autorizzativo senza che questo potesse essere messo in discussione”. Parliamo però, precisa, di una trafila che ad oggi è “totalmente accademica, irrealistica e inapplicabile”. Quindi una “minaccia” finora solo sulla carta.

L’economia circolare: ceneri vulcaniche, rifiuti pirotecnici, incenerimento

Oltre a modifiche di carattere formale (almeno apparentemente) e di adeguamento della terminologia utilizzata (come per i rifiuti urbani), tra le novità che riguardano i rifiuti pirotecnici, quelli sanitari e le ceneri vulcaniche, alcuni passaggi dell’articolo 35 (Misure di semplificazione per la promozione dell’economia circolare) sono interessanti. Anche se va premesso quanto afferma ancora Leoni: “Se si parla di semplificazioni ci si aspettano delle semplificazioni, se si parla di economia circolare ci si spetta che si affronti l’economia circolare. Purtroppo tutto questo nel decreto non c’è. Mi aspettavo qualcosa sulla simbiosi industriale, una spinta sulla ricerca, il riciclo chimico della plastica che nel Pnrr è appena accennato. Invece non c’è nulla”. Sembra, sorride, “che il problema dello sviluppo dell’economia circolare in Italia siano i rifiuti da prodotti pirotecnici o le ceneri vulcaniche”.
CSS, tana libera tutti

Eccoci finalmente a delle semplificazioni tangibili, anche se non sono certo quelle che avremmo preferito. E non sono quelle che avrebbe voluto la Commissione europea, che all’inizio dell’anno ha pubblicato gli orientamenti tecnici per la preparazione dei Pnrr in cui esclude esplicitamente l’incenerimento o comunque l’incremento dell’incenerimento dei rifiuti, in quanto contrario all’obiettivo ambientale dell’economia circolare.

I commi 2 e 3 dell’articolo 35 del decreto semplificazioni e governance del Pnrr, infatti, “recano disposizioni inerenti alla sostituzione di combustibili tradizionali con CSS-combustibile (combustibile solido prodotto da rifiuti che non sia più qualificabile come rifiuto) che rispetti le condizioni di utilizzo del medesimo e i limiti di emissione”, riferisce il servizio studi di Camera e Senato. Potranno sostituire combustibili tradizionali con CSS tutti gli impianti o installazioni che siano o no autorizzati alle “operazioni di recupero dei rifiuti mediante la loro utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (operazioni R1)”. E questa sostituzione non costituisce “variante o modifica sostanziale” all’impianto, a condizione che non comporti un aumento della capacità produttiva autorizzata né un superamento dei limiti di emissioni.

Questo cambiamento richiederà la sola comunicazione dell’intervento di modifica all’autorità competente (per gli impianti autorizzati) o il solo aggiornamento del titolo autorizzatorio (per gli impianti non autorizzati R1). Province e le città metropolitane dovranno verificare la sussistenza dei requisiti di legge, e dopo queste verifiche le operazioni potranno partire.

Comma 2 e 3, se non ci rassicurano sull’idea che di economia circolare e transizione ecologica hanno governo e MiTe, quantomeno mostrano che se la volontà di semplificare c’è, i risultati arrivano.

Quello che non c’è

Sarà pure il nome (decreto semplificazioni) che dà luogo ad aspettative facili da deludere, ma sull’economia circolare, ci dicono gli interessati, si poteva fare di più.

“Per le attività di recupero, riciclaggio e preparazione al riutilizzo esiste una procedura semplificata voluta dall’Unione europea. Mi chiedo perché non adottarla anche per l’end of waste”, si chiede Stefano Leoni, additando una delle possibili semplificazioni da mettere in campo.

“Di economia circolare nel decreto non c’è n’è molta”, ribadisce Nepi: “Il settore ha altre esigenze, ha bisogno dell’effettiva velocizzazione delle procedure e della certezza dei tempi”. Si tratta “certamente di una materia complessa – ammette – però ci sono tantissime cose che si possono fare. Come ad esempio chiarire cosa significa ‘variante sostanziale’ rispetto ad una autorizzazione: da nessuna parte è spiegato cosa significhi. E una volta chiarito si deve rendere più veloce tutto quello che variante sostanziale non è”.

fonte: economiacircolare.com


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End of waste carta, D'Aprile: “Provvedimento importante per filiera strategica”

 









Focus promosso da Unirima sul decreto end of waste per i rifiuti in carta e cartone. Laura D'Aprile: “Provvedimento fondamentale per una filiera strategica dell'economia circolare”



Ricicla.tv


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Carta e cartone: pubblicato il decreto end of waste

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto con i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto per gli scarti in matrice cellulosica










fonte: Ricicla.tv


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La filiera degli abiti usati, arrivano le Linee guida per le aziende dei rifiuti

Il documento messo a punto da Utilitalia. Il pacchetto di direttive europee sull’economia circolare ha stabilito che ogni Stato membro dovrà istituire la raccolta differenziata dei rifiuti tessili entro il primo gennaio del 2025, l’Italia ha anticipato questa scadenza al primo gennaio del prossimo anno. Questo significa che bisognerà accelerare lo sviluppo dei servizi di raccolta



Una filiera dei rifiuti tessili più trasparente e sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale, grazie ad alcune indicazioni per le aziende di igiene urbana. Questo l’obiettivo delle ‘Linee guida per l’affidamento del servizio di gestione degli indumenti usati’, messe a punto da Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua, ambiente e energia).

“Il 5 gennaio scorso la Commissione Europea ha pubblicato la Roadmap per la definizione della strategia europea per i prodotti tessili, mentre il pacchetto di direttive europee sull’economia circolare – osserva il vicepresidente di Utilitalia Filippo Brandolini – ha già da tempo stabilito che ogni Stato membro dovrà istituire la raccolta differenziata dei rifiuti tessili entro il primo gennaio del 2025, e l’Italia ha anticipato questa scadenza al primo gennaio del prossimo anno. Ciò comporterà lo sviluppo dei servizi di raccolta e quindi un incremento degli indumenti usati raccolti in modo differenziato e una crescente necessità da parte del sistema di assorbire nuovi flussi, e di conseguenza una maggiore capacità organizzativa non solo delle imprese della raccolta, ma di tutta la filiera”.

Le aziende di igiene urbana, nelle loro funzioni di stazioni appaltanti, possono svolgere un importante ruolo di promozione della trasparenza, della sostenibilità sociale e ambientale e di prevenzione dell’illegalità.

Il documento offre indicazioni che possono aiutare a selezionare operatori onesti, efficienti e trasparenti, e ad ampliare il livello della concorrenza, spostandola dal mero piano economico a quello della capacità tecnica, della qualità del servizio, della responsabilità sociale, della tutela ambientale e della solidarietà. Poi con le Linee guida si punta ad assicurare appropriati strumenti di rendicontazione e informazione, e a promuovere una più ampia tracciabilità dei rifiuti raccolti.

Il documento fornisce degli strumenti per organizzare il servizio di gestione assicurando la massima tracciabilità, trasparenza e legalità possibile, preservando al contempo le finalità solidali della filiera, che è quello che il cittadino si aspetta quando conferisce i propri indumenti usati nei contenitori stradali.


Le Linee guida – rileva ancora Brandolini – “non vogliono e non possono sostituirsi al ruolo decisionale delle stazioni appaltanti, né possono per loro natura essere prescrittive. Hanno piuttosto l’obiettivo di porre l’attenzione sull’importanza di alcuni aspetti e indicare le peculiarità delle opzioni alternative proposte per l’affidamento del servizio”.

La pubblicazione delle Linee guida sono – dice il vicepresidente di Utilitalia – “il primo passo di un percorso” sui rifiuti tessili, “trattandosi di un settore soggetto a profondi cambiamenti normativi e di mercato, su cui è bene acquisire maggiori consapevolezza e conoscenze. I rifiuti tessili giocheranno sempre più un ruolo non marginale nell’economia circolare. Innanzitutto perché, grazie alla preparazione al riutilizzo, si consente di prolungare la vita di molti indumenti e quindi ridurre i volumi dei rifiuti da smaltire. Inoltre, gli sviluppi tecnologici futuri potranno consentire di riciclare ciò che non può essere riutilizzato, recuperando le fibre tessili, per esempio, attraverso il riciclo chimico”.

E’ per questo che – conclude Brandolini – “occorreranno ulteriori passaggi normativi, come un regolamento per l’End of Waste dei rifiuti tessili, e altresì si auspica la costituzione di sistemi di responsabilità estesa al fine di responsabilizzare i produttori riguardo alla durata e alla riciclabilità dei prodotti tessili che immettono sul mercato, oltre che più in generale alla loro sostenibilità”.

fonte: www.rinnovabili.it


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Riciclo pannolini, a più di un anno dal decreto l'azienda aspetta ancora l'autorizzazione industriale

L'azienda che ha creato la tecnologia made in Italy per ottenere materia prima seconda dai prodotti assorbenti, è in una situazione di stallo perché nonostante l’entrata in vigore del decreto end of waste non ha ancora ricevuto l'autorizzazione industriale





Ricordate il famoso decreto end of waste sui pannolini? Il provvedimento sul fine vita degli scarti derivanti dal riciclo dei prodotti assorbenti per la persona (PAP) era stato annunciato come un passaggio epocale per lo sviluppo dell’economia circolare italiana dal ministro Costa in persona, eppure il processo di produzione e commercializzazione, ad oggi, è ancora fermo. “Non solo non possiamo andare a piena capacità, ma non possiamo neppure mettere sul mercato le nostre materie prime seconde”, spiega in occasione dell’Ecoforum di Legambiente il general manager della FaterSmart, Giovanni Teodorani Fabbri, azienda che ha sviluppato una tecnologia “made in Italy” per trasformare pannoloni e pannolini usati in materiale per la produzione di imballaggi, mollette per il bucato, prodotti per l’edilizia e il settore automobilistico.

L’azienda, insieme alla Contarina Spa, ha realizzato in provincia di Treviso un impianto in grado di trattare i prodotti assorbenti sottraendoli alle discariche e agli inceneritori. Ma a distanza di più di un anno dall’entrata in vigore del decreto, la produzione industriale si trova in una situazione di stallo, nonostante FaterSmart abbia già siglato alcuni contratti per la fornitura delle materie prime seconde. Teodorani Fabbri spiega che l’impianto non ha ancora ottenuto l’autorizzazione industriale e continua a lavorare su scala sperimentale: “Il che vuol dire che non possiamo andare a piena capacità e quindi non possiamo ancora commercializzare le nostre materie prime seconde. Che poi è l’obiettivo del nostro investimento. Le due procedure, l’end of waste sul piano nazionale e l’autorizzazione industriale che invece confluisce a livello locale, sono legate. Senza autorizzazione il decreto non può essere pienamente esecutivo. Questo impedimento sta rallentando il nostro sviluppo”.

Il manager ripercorre le tappe: “É stato un anno di sviluppo della nostra tecnologia. Siamo entrati anche nella raccolta e adesso abbiamo tecnologie come i cassonetti intelligenti che non solo permettono il riciclo e il trattamento dei prodotti assorbenti per la persona usati, ma permettono anche di incentivarne la raccolta differenziata. Questi cassonetti sono stati già testati a Verona e ad Amsterdam. Stiamo installando un secondo impianto in India e presto ne faremo un altro ad Amsterdam. Dall’Olanda mandano questa tipologia di rifiuti presso il nostro impianto a Contarina. Abbiamo firmato contratti per la fornitura di materie prime seconde. La nostra tecnologia ha acquisito sempre maggiore visibilità sia in Italia che all’estero. Ricordo che è una tecnologia unica al mondo e, lo dico sempre con orgoglio, è completamente made in Italy. Questo conferma che il nostro paese è pioniere su un tema così importante come l’economia circolare”.

Infine un appello alla politica: “Oltre al potenziamento delle infrastrutture per la raccolta differenziata occorre sicuramente snellire e accelerare i procedimenti autorizzativi, sempre nel rispetto delle regole e degli standard di sicurezza. Ma occorre accelerare se vogliamo veramente essere seri nell’ambito dell’economia circolare. Gli investimenti richiedono troppa pazienza da parte dell’investitore”.

fonte: www.ecodallecitta.it

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End of waste, il ministro Costa ha firmato il regolamento per il riciclo di carta e cartone

«L’end of waste è un tassello indispensabile per la valorizzazione del potenziale dei rifiuti e può dare un forte contributo allo sviluppo delle potenzialità del settore di riciclo»




Un altro tassello nel puzzle dell’end of waste, ovvero la normativa per la cessazione della qualifica di rifiuto al termine di un processo di recupero, sta andando al suo posto dopo lunghissima attesa: il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha firmato il regolamento recante la disciplina per l’end of waste di carta e cartone, elaborato a seguito di numerosi incontri tecnici e consultazioni con Ispra e gli operatori del settore, nonché l’Iss per la valutazione degli impatti sull’ambiente e salute umana.

In tutto si tratta di 7 articoli (che definiscono gli ambiti di applicazione, i criteri ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto, gli scopi specifici di utilizzabilità) e 3 allegati: l’allegato 1 reca i criteri generali ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto, con esplicito riferimento alla norma UNI EN 643; l’allegato 2 individua gli scopi specifici per cui sono utilizzabili la carta e cartone recuperati; l’allegato 3 riporta il modello della dichiarazione di conformità (DDC), redatta sotto forma di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, che reca l’anagrafica del produttore e le dichiarazioni del produttore sulle caratteristiche della carta e cartone recuperati.

Come aggiungono da Assocarta, dopo la pubblicazione ufficiale (prevista fra qualche settimana) ci saranno sei mesi per adeguare le autorizzazioni, ma sono subito in vigore nuovi parametri indicati dal ministero.

Ad oggi la carta complessivamente raccolta in Italia (dati 2018) si aggira intorno ai 5,3 milioni di tonnellate, cui si aggiunge quella proveniente da rese e da altre attività industriali per un totale di circa 6,65 milioni di tonnellate. Carta da macero che può essere riciclata come materia prima seconda ad opera dell’industria cartaria, nonché in industrie che utilizzano come riferimento la norma UNI EN 643: il regolamento ministeriale stabilisce dunque modalità e criteri in applicazione per i materiali derivanti dal trattamento di carta e cartone che, cessando di essere rifiuti, possono essere re-impiegati nelle filiere industriali.

«L’end of waste è un tassello indispensabile per la valorizzazione del potenziale dei rifiuti e può dare un forte contributo allo sviluppo delle potenzialità del settore di riciclo», commenta il ministro Costa. Ma sotto questo profilo resta molto ancora da fare.

Come ricorda l’Ispra nel suo Rapporto di sostenibilità 2020, è l’Ue che ha iniziato a riformare la disciplina sui rifiuti in ottica end of waste nel 2005, e nel 2008 ha stabilito per la prima volta che taluni rifiuti cessano di essere tali se vengono recuperati e soddisfano alcuni criteri specifici, diversi a seconda del tipo di rifiuto: tali criteri dovevano essere stabiliti da regolamenti europei o, in assenza di essi, da norme degli Stati membri, applicabili caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto. A distanza di oltre 10 anni, il percorso di definizione dei criteri che consentono la cessazione della qualifica di rifiuto è però ancora in corso, e in Italia «la strada appare ancora lunga».

Un esempio su tutti: negli ultimi due anni sono solo tre le norme Eow individuate dal ministero dell’Ambiente (prima di carta e cartone sono stati protagonisti i rifiuti da prodotti assorbenti per la persona e la gomma vulcanizzata granulare). I decreti ancora chiusi in un cassetto, in attesa di essere ultimati, sono invece ancora 14: il decreto per il riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione, quello del pastello di piombo, dei rifiuti di gesso, dei rifiuti inerti da spazzamento strade, del pulper, quello relativo a bioremediation e soil washing per il recupero dei terreni sottoposti a bonifica, per gli oli alimentari esausti, per il vetro sanitario, per i fanghi da forsu e per la produzione di olii, per la vetroresina, per le plastiche miste con recupero meccanico, per le plastiche miste con recupero chimico, per le ceneri da altoforno e per i residui da acciaieria.

fonte: www.greenreport.it


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Economia Circolare: Ecco il piano Mise per il Recovery Fund



Sono ben 5,2 i miliardi di euro proposti per il Piano d’azione per l’economia circolare nel documento MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) per il Recovery Fund italiano da 209 miliardi. Il documento – letto in anteprima da Materia Rinnovabile - al momento rimane solo una delle proposte che Palazzo Chigi dovrà valutare entro metà ottobre, in attesa del progetto ufficiale da inviare alla UE. Ma c’è da scommettere che difficilmente sarà escluso dal piano finale per usare i fondi di Next Generation EU.

Decarbonizzazione, efficienza ed economia circolare

Il Piano è una delle proposte più articolate nella sezione inerente a decabonizzazione e ambiente. Nello specifico rilancia la definizione della Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, definendo un programma di monitoraggio, indici e indicatori nazionali. Non a caso il Ministero dell’Ambiente ha annunciato proprio ieri la nomina dell’ingegnere Laura D’Aprile a capo della Direzione Generale per l’Economia Circolare. D’Aprile si occuperà della promozione delle politiche per la transizione ecologica e l’economia circolare; della gestione integrata del ciclo dei rifiuti e dei programmi plastic free e rifiuti zero; della pianificazione, tracciabilità e vigilanza sul ciclo integrato dei rifiuti; di attuazione e implementazione del sistema dei criteri ambientali minimi (CAM) e acquisti pubblici verdi.
Le reazioni alla proposta sono positive. “Questo, se approvato, sarà un investimento che da oggi al 2026 permetterà all'Italia di virare verso un modello circolare”, commenta la senatrice Patty L’Abbate, autrice del libro “Una nuova economia ecologica”. “Aver recepito le direttive EC non basta, è necessario accompagnare la transizione con incentivi, linee guida, con l'ascolto degli stakeholder. Gli attori della ‘filiera inversa’ sono in grado di visualizzare i punti critici con il supporto di esperti, di green manager. Abbiamo bisogno dunque di formare figure professionali di ogni grado, ricercatori, tecnici e comunicatori green per raggiungere questi obbiettivi”.
Per controllare l’implementazione, il MISE propone poi di istituire un piano di monitoraggio, indici e indicatori nazionali per l’economia circolare e la redazione di un Rapporto annuale a scala nazionale su economia circolare ed efficienza delle materie prime e seconde, oltre che attivare un programma di comunicazione e promozione verso il pubblico e le imprese e rafforzare il ruolo della Italian Circular Economy Stakeholder Platform.

Formazione e ricerca

Un intero paragrafo è dedicato a rafforzare le competenze professionali, il trasferimento tecnologico e il supporto alle PMI. Nella lista ci sono numerose proposte occupazionali per le nuove professioni dell’economia circolare: sviluppo della figura professionale del Resource Manager con programmi di formazione, tirocini e certificazioni professionali , promozione Ricerca & Sviluppo ed il trasferimento tecnologico, anche attraverso l’attivazione di programmi di dottorato e post dottorato dedicati all'economia circolare e verde, sostenere la figura degli analisti per gli “Audit tecnologici” per l’efficienza dell’uso delle materie prime e seconde, con particolare riferimento alle PMI, promozione del re-design in ottica circolare per settori ad alto consumo di materie prime.
“Promuovere programmi di formazione, tirocini e certificazioni dedicati all'economia circolare e alla green economy è una fondamentale risorsa per accrescere le competenze delle figure professionali in azienda”, commenta Camilla Colucci di Circularity. “Per questo serve dare vita a nuovi percorsi di formazione in modo che le imprese abbiano sempre di più la capacità e le risorse interne per efficientare i loro processi produttivi in ottica di valorizzazione delle risorse”.
Interessante anche la proposta di un hub tecnologico nazionale e centri di competenza territoriali per l’economia circolare a supporto del sistema produttivo. Possibili candidati potrebbero essere incubatori già esistenti come il maxi-incubatore Progetto Manifattura di Rovereto o Cariplo Factory a Milano.

Certificazioni e strumenti finanziari

Nel terzo paragrafo si elencano una serie di misure per aree urbane e rurali, dalla digitalizzazione dei servizi di riciclo e riuso all’attuazione della normativa End of Waste, alla promozione del GPP tramite CAM, Rafforzare il ricorso agli strumenti di Certificazione Ambientale, Eco-label, ed altri strumenti per l’efficienza dell’uso delle risorse. Tutti settori che richiederanno nuove professionalità, che però in alcuni casi mancano ancora al mercato del lavoro.
Il documento conclude elencando gli strumenti finanziari per rafforzare l’industria e relative filiere nazionali (inclusi i servizi). Nella lista sono compresi i voucher per l’economia circolare in azienda, meccanismi premiali con nuovi strumenti finanziari, inventivi alle imprese per R&S, investimenti fissi in aree di aggregazione industriale, acquisizione di servizi da parte di personale specializzato, formazione/occupazione di personale altamente qualificato.

fonte: https://www.renewablematter.eu


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End of waste per i pfu: come cambia il mercato?

















È stato pubblicato nei giorni scorsi in gazzetta ufficiale il decreto end of waste sul polverino di gomma derivante dal trattamento degli pneumatici a fine vita. Si tratta del quarto decreto nazionale recante criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto dopo quelli su CSS, fresato d'asfalto e prodotti assorbenti per la persona. Un decreto che si applicherà alle circa 400mila tonnellate di cosiddetti pfu generate ogni anno a livello nazionale che al momento vanno per un 50% in applicazioni di riciclo e per un restante 50% a recupero energetico, soprattutto nei cementifici. Ma come cambierà questo scenario con l'entrata in vigore del decreto end of waste? Ne parliamo con il giurista ambientale David Roettgen, dello studio Ambientalex.





fonte: www.ricicla.tv



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COMITATO SALUTE AMBIENTE CALZOLARO TRESTINA ALTOTEVERE SUD: “I HAVE A DREAM”



Le famose parole, pronunciate da Martin Luter King, nel suo famoso discorso del 28 agosto 1963, sembrano calzare a pennello per le legittime aspettative della popolazione di Calzolaro.




Già… perché, oggi come allora, la prepotenza e l’arroganza di taluni personaggi, non soltanto appartenenti al mondo imprenditoriale, evidenziano in maniera eloquente, la turpe quanto reiterata, prevaricazione dei diritti e delle aspettative di una intera comunità, di poter vivere in un ambiente sano e salubre, nelle proprie abitazioni, insieme alle proprie famiglie.



Senza dilungarci sul racconto delle peripezie che la vicenda ha causato, vorremmo tuttavia sottolineare sia l’ansia vissuta intorno ad un problema reale che l’ostracismo perpetrato nel tempo dalle amministrazioni Comunale nonché Provinciale prima, Regionale oggi, insieme alle agenzie di controllo del territorio Usl e Arpa.



Certo tipo di attività imprenditoriali, ancorché necessarie alla lavorazione ed allo smaltimento dei rifiuti che tutti noi produciamo, così come previsto da testo unico della sanità e dalle normative europee, devono essere allocate lontano dai centri abitati, dalle scuole e dalle altre attività commerciali. 



Inoltre tutte le aziende per poter esercitare la lavorazione di rifiuti, c.d. fine-rifiuto ( end of waste ), devono avere delle attestazioni/certificazioni specifiche e, presumibilmente, essere iscritte all’Albo dei Gestori Ambientali, articolato in un Comitato nazionale con sede presso il Ministero dell’Ambiente.



Quindi “la domanda sorge spontanea”, parafrasando Lubrano, l’azienda che opera a Calzolaro è iscritta in questo Albo? E ancora, come mai la Camera di Commercio di Perugia, nonostante regolare accesso agli atti, ha negato l’esibizione di questo tipo di documentazione, mentre La Camera di Commercio di Arezzo, depositaria , da autorizzazione unica ambientale, di tali certificazioni, ha risposto per iscritto alla senatrice Emma Pavanelli che nulla vi è di tali certificazioni ? E per concludere, come mai nonostante l’atto di significazione diffida proposto, per il tramite del nostro avvocato Valeria Passeri in data 2 Luglio 2020, alla data odierna non trova alcun tipo di riscontro, nonostante la legge fissi in 30 giorni il tempo di risposta?



Nel sottolineare che con l’atto sopra citato viene chiesto alla Regione dell’Umbria l’annullamento della determinazione provinciale 4922 del 20/11/2015, stante la carenza delle caratteristiche tecniche e merceologiche ai fini dello svolgimento dell’attività ( end of waste ) , vorremmo anche stigmatizzare il comportamento delle Istituzioni ed in particolare le caratteristiche di terzietà, dell’ Agenzia Regionale per la protezione dell’ambiente, che, proprio in questi giorni è salita alla ribalta delle cronache per questioni legate a lauti contributi privati non vincolati, preventivati in bilancio.



Siamo cittadini Italiani ed abbiamo il diritto di pretendere che le nostre Istituzioni funzionino bene e operino correttamente, caratteristiche queste che, purtroppo, troppo spesso, vengono messe a dura prova dai numerosi fatti di cronaca.




NON CI FERMEREMO


Comitato Salute Ambiente Calzolaro Trestina Altotevere Sud 


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Pneumatici Fuori Uso: intervista a Roberto Bianco, presidente di Greentire

Presente e futuro della gestione degli Pneumatici Fuori Uso, i cosiddetti PFU, alla luce del nuovo decreto commentato da Roberto Bianco di Greentire.




Il nuovo decreto (DM 182/2019) che regola gli Pneumatici Fuori Uso (PFU) ha raccolto, complessivamente, pareri positivi dai consorzi che si occupano della gestione di questa tipologia di rifiuti. Tuttavia esistono ancora delle problematiche, non risolte, in questo settore. Proprio per approfondire le novità del DM 182/2019, e avere una panoramica completa del trattamento e gestione degli pneumatici fuori uso, abbiamo rivolto alcune domande a Roberto Bianco, presidente di Greentire, Società Consortile che si occupa di ritiro e gestione di PFU.

Dottor Bianco, ci può spiegare in modo sintetico come avviene in Italia la gestione e smaltimento dei PFU e qual è il ruolo di Greentire?


Nel 2011 una normativa ha affrontato la problematica con un decreto basato sulla responsabilità estesa dei produttori e importatori. Nel corso degli anni successivi, il decreto ha manifestato alcune criticità, cui si è tentato di ovviare con l’emissione di un nuovo atto nell’aprile del corrente anno. In termini pratici, l’utente che si reca da un gommista a cambiare gli pneumatici, acquistando quelli nuovi paga un contributo ambientale che permette il recupero di quelli che si lasceranno al gommista, in quanto a fine vita. Quel contributo ambientale perviene a chi ha incarico di gestire le operazioni di recupero: tipicamente società consortili come Greentire, ma la legge permette ad un produttore od un importatore, se desiderato, di provvedere autonomamente. Le specializzazioni sottese a tali attività, però, fanno sì che non siano molti i soggetti che decidono di gestire autonomamente gli PFU.

Greentire, tra le società di gestione, ha una mission che la caratterizza, ossia tentare di ottenere il maggior recupero di materia possibile dagli PFU, in luogo del recupero di energia.

Quali sono i numeri della raccolta e del riciclo dei PFU in Italia?

Non ci sono dati “ufficiali”, ma ragionevolmente si stimano circa 350.000 / 380.000 tonnellate di pneumatici che arrivano annualmente a fine vita. I numeri del riciclo variano significativamente tra gli operatori, anche perché fino ad oggi non esistono criteri vincolanti ed univoci per determinare ciò che è effettivamente recupero di materia e ciò che, invece, magari lo può essere formalmente, ma non nella ratio.

Fonte: Greentire Roberto Bianco Presidente Greentire


Ci sono a suo avviso dei margini di miglioramento per quanto riguarda il settore dei PFU?

Certamente. Il nuovo decreto ha migliorato, come dicevamo, alcune criticità, ma resta molto altro da fare. A titolo esemplificativo, oggi è permesso recuperare il 100% degli PFU come energia pur mantenendo un contributo ambientale simile od uguale a chi effettua il 50% , o più, di recupero di materia. Ciò non mi sembra giusto, essendo il recupero di materia molto più oneroso. Un ulteriore miglioramento sarà consentito dal decreto End of waste che conferirà la giusta “dignità” ai prodotti derivati. E, si spera, contribuirà anche a modificare l’approccio mentale a detti prodotti che, ancora oggi, vengono considerati nella accezione negativa di derivati da rifiuti. Un importante contributo, poi, potrebbe derivare anche da cam (criteri ambientali minimi) sempre più diffusi e relativi a sempre più prodotti.

Il nuovo decreto sui PFU va a toccare due aspetti molto importanti per i consumatori: la riduzione del contributo ambientale e maggiori controlli sugli acquisti degli pneumatici online. Che cosa ne pensa?


Ne penso tutto il bene possibile, quantomeno in linea di principio. Sarà importante, ora, una verifica nei fatti. Credo sia opportuno precisare che le vendite “on line” non sono certamente “il male” ma uno strumento; è l’utilizzo che, a volte, viene fatto dello strumento a creare problemi.

Per quanto riguarda invece le novità introdotte per chi si occupa di gestione e smaltimento di PFU, come Greentire, come valuta il nuovo decreto?

Credo che dalle mie risposte precedenti si possa desumere il punto di vista di Greentire. Apprezziamo alcune modifiche del nuovo decreto e ne attendiamo la verifica pratica. Siamo delusi che non si sia potuto “fare di più” su temi quali la premialità su risultati di recupero di materia. Sospendiamo il giudizio su altri temi che, dai dati in nostro possesso, non ci sembrano condivisibili, pronti a promuoverli ove i fatti dimostrassero che quanto sancito dal decreto dovesse essere aderente alla realtà ed alle necessità, percentuali di raccolta per macroaree in primis.

Un’ultima domanda, infine, sulla situazione economica: la crisi derivante dal coronavirus ha avuto e avrà in futuro ripercussioni sul settore dei PFU?

Una ripercussione l’ha già certamente avuta in quanto un recente emendamento ha, in sostanza, accorpato la raccolta degli anni 2020 e 2021, con tutte le conseguenze pratiche del caso. Per quel che riguarda Greentire, il periodo marzo / aprile non ha determinato significative flessioni della raccolta o, quantomeno, non certo delle dimensioni che molti settori hanno avuto. In ogni caso, conoscendo le necessità della nostra filiera, ci siamo impegnati per far sì di ridurre al minimo tale variazione.


fonte: www.greenstyle.it



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