Visualizzazione post con etichetta #Utilitalia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Utilitalia. Mostra tutti i post
Investire nell’economia circolare per ridurre i prezzi delle materie prime
Linee guida per la tracciabilità dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata
Il Consiglio Direttivo dell’UNI ha approvato l’avvio dei lavori di elaborazione di un nuovo progetto di prassi di riferimento (UNI/PdR) sul tema del recupero dei materiali provenienti...
La filiera degli abiti usati, arrivano le Linee guida per le aziende dei rifiuti
Il documento messo a punto da Utilitalia. Il pacchetto di direttive europee sull’economia circolare ha stabilito che ogni Stato membro dovrà istituire la raccolta differenziata dei rifiuti tessili entro il primo gennaio del 2025, l’Italia ha anticipato questa scadenza al primo gennaio del prossimo anno. Questo significa che bisognerà accelerare lo sviluppo dei servizi di raccolta

Una filiera dei rifiuti tessili più trasparente e sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale, grazie ad alcune indicazioni per le aziende di igiene urbana. Questo l’obiettivo delle ‘Linee guida per l’affidamento del servizio di gestione degli indumenti usati’, messe a punto da Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua, ambiente e energia).
“Il 5 gennaio scorso la Commissione Europea ha pubblicato la Roadmap per la definizione della strategia europea per i prodotti tessili, mentre il pacchetto di direttive europee sull’economia circolare – osserva il vicepresidente di Utilitalia Filippo Brandolini – ha già da tempo stabilito che ogni Stato membro dovrà istituire la raccolta differenziata dei rifiuti tessili entro il primo gennaio del 2025, e l’Italia ha anticipato questa scadenza al primo gennaio del prossimo anno. Ciò comporterà lo sviluppo dei servizi di raccolta e quindi un incremento degli indumenti usati raccolti in modo differenziato e una crescente necessità da parte del sistema di assorbire nuovi flussi, e di conseguenza una maggiore capacità organizzativa non solo delle imprese della raccolta, ma di tutta la filiera”.
Le aziende di igiene urbana, nelle loro funzioni di stazioni appaltanti, possono svolgere un importante ruolo di promozione della trasparenza, della sostenibilità sociale e ambientale e di prevenzione dell’illegalità.
Il documento offre indicazioni che possono aiutare a selezionare operatori onesti, efficienti e trasparenti, e ad ampliare il livello della concorrenza, spostandola dal mero piano economico a quello della capacità tecnica, della qualità del servizio, della responsabilità sociale, della tutela ambientale e della solidarietà. Poi con le Linee guida si punta ad assicurare appropriati strumenti di rendicontazione e informazione, e a promuovere una più ampia tracciabilità dei rifiuti raccolti.
Il documento fornisce degli strumenti per organizzare il servizio di gestione assicurando la massima tracciabilità, trasparenza e legalità possibile, preservando al contempo le finalità solidali della filiera, che è quello che il cittadino si aspetta quando conferisce i propri indumenti usati nei contenitori stradali.
Le Linee guida – rileva ancora Brandolini – “non vogliono e non possono sostituirsi al ruolo decisionale delle stazioni appaltanti, né possono per loro natura essere prescrittive. Hanno piuttosto l’obiettivo di porre l’attenzione sull’importanza di alcuni aspetti e indicare le peculiarità delle opzioni alternative proposte per l’affidamento del servizio”.
La pubblicazione delle Linee guida sono – dice il vicepresidente di Utilitalia – “il primo passo di un percorso” sui rifiuti tessili, “trattandosi di un settore soggetto a profondi cambiamenti normativi e di mercato, su cui è bene acquisire maggiori consapevolezza e conoscenze. I rifiuti tessili giocheranno sempre più un ruolo non marginale nell’economia circolare. Innanzitutto perché, grazie alla preparazione al riutilizzo, si consente di prolungare la vita di molti indumenti e quindi ridurre i volumi dei rifiuti da smaltire. Inoltre, gli sviluppi tecnologici futuri potranno consentire di riciclare ciò che non può essere riutilizzato, recuperando le fibre tessili, per esempio, attraverso il riciclo chimico”.
E’ per questo che – conclude Brandolini – “occorreranno ulteriori passaggi normativi, come un regolamento per l’End of Waste dei rifiuti tessili, e altresì si auspica la costituzione di sistemi di responsabilità estesa al fine di responsabilizzare i produttori riguardo alla durata e alla riciclabilità dei prodotti tessili che immettono sul mercato, oltre che più in generale alla loro sostenibilità”.
fonte: www.rinnovabili.it

Una filiera dei rifiuti tessili più trasparente e sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale, grazie ad alcune indicazioni per le aziende di igiene urbana. Questo l’obiettivo delle ‘Linee guida per l’affidamento del servizio di gestione degli indumenti usati’, messe a punto da Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua, ambiente e energia).
“Il 5 gennaio scorso la Commissione Europea ha pubblicato la Roadmap per la definizione della strategia europea per i prodotti tessili, mentre il pacchetto di direttive europee sull’economia circolare – osserva il vicepresidente di Utilitalia Filippo Brandolini – ha già da tempo stabilito che ogni Stato membro dovrà istituire la raccolta differenziata dei rifiuti tessili entro il primo gennaio del 2025, e l’Italia ha anticipato questa scadenza al primo gennaio del prossimo anno. Ciò comporterà lo sviluppo dei servizi di raccolta e quindi un incremento degli indumenti usati raccolti in modo differenziato e una crescente necessità da parte del sistema di assorbire nuovi flussi, e di conseguenza una maggiore capacità organizzativa non solo delle imprese della raccolta, ma di tutta la filiera”.
Le aziende di igiene urbana, nelle loro funzioni di stazioni appaltanti, possono svolgere un importante ruolo di promozione della trasparenza, della sostenibilità sociale e ambientale e di prevenzione dell’illegalità.
Il documento offre indicazioni che possono aiutare a selezionare operatori onesti, efficienti e trasparenti, e ad ampliare il livello della concorrenza, spostandola dal mero piano economico a quello della capacità tecnica, della qualità del servizio, della responsabilità sociale, della tutela ambientale e della solidarietà. Poi con le Linee guida si punta ad assicurare appropriati strumenti di rendicontazione e informazione, e a promuovere una più ampia tracciabilità dei rifiuti raccolti.
Il documento fornisce degli strumenti per organizzare il servizio di gestione assicurando la massima tracciabilità, trasparenza e legalità possibile, preservando al contempo le finalità solidali della filiera, che è quello che il cittadino si aspetta quando conferisce i propri indumenti usati nei contenitori stradali.
Le Linee guida – rileva ancora Brandolini – “non vogliono e non possono sostituirsi al ruolo decisionale delle stazioni appaltanti, né possono per loro natura essere prescrittive. Hanno piuttosto l’obiettivo di porre l’attenzione sull’importanza di alcuni aspetti e indicare le peculiarità delle opzioni alternative proposte per l’affidamento del servizio”.
La pubblicazione delle Linee guida sono – dice il vicepresidente di Utilitalia – “il primo passo di un percorso” sui rifiuti tessili, “trattandosi di un settore soggetto a profondi cambiamenti normativi e di mercato, su cui è bene acquisire maggiori consapevolezza e conoscenze. I rifiuti tessili giocheranno sempre più un ruolo non marginale nell’economia circolare. Innanzitutto perché, grazie alla preparazione al riutilizzo, si consente di prolungare la vita di molti indumenti e quindi ridurre i volumi dei rifiuti da smaltire. Inoltre, gli sviluppi tecnologici futuri potranno consentire di riciclare ciò che non può essere riutilizzato, recuperando le fibre tessili, per esempio, attraverso il riciclo chimico”.
E’ per questo che – conclude Brandolini – “occorreranno ulteriori passaggi normativi, come un regolamento per l’End of Waste dei rifiuti tessili, e altresì si auspica la costituzione di sistemi di responsabilità estesa al fine di responsabilizzare i produttori riguardo alla durata e alla riciclabilità dei prodotti tessili che immettono sul mercato, oltre che più in generale alla loro sostenibilità”.
fonte: www.rinnovabili.it
#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897. Grazie!
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
Fanghi di depurazione, una spallata all’emergenza grazie al Recovery fund?
Utilitalia: "Le nostre associate hanno proposto progetti dal valore complessivo di quasi 2 miliardi di euro, 700 milioni dei quali incentrati sullo sviluppo della bioeconomia"

Recovery fund ed economia circolare possono andare d’accordo. La dimostrazione è quanto emerso all’assemblea annuale del Cluster SPRING dove Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) ha spiegato il significativo valore degli investimenti in programma – si parla di due miliardi di euro – in particolare per la gestione dei rifiuti organici urbani (che in Italia ammontano a 7,1 milioni le tonnellate tra umido, verde e altre matrici organiche provenienti dalla raccolta differenziata) – e i fanghi di depurazione.
“Già oggi il mondo delle utilities è uno dei protagonisti della bioeconomia urbana – ha spiegato Colarullo – ora la sfida è quella di replicare in tutto il Paese le esperienze virtuose e di inquadrare gli investimenti necessari al suo sviluppo nel solco del Recovery fund”. Per Colarullo “l’utilizzo del Recovery fund contribuirà ad accelerare la transizione verso l’economia circolare e, in questo contesto, le nostre associate hanno proposto progetti dal valore complessivo di quasi 2 miliardi di euro, 700 milioni dei quali incentrati sullo sviluppo della bioeconomia”.
E il settore preponderante, come detto, è quello della gestione dei rifiuti organici urbani e i fanghi di depurazione, alla luce del forte impatto che possono avere sull’ambiente e sulla salute. Ricordiamo che nel 2018 in Italia la produzione annua di fanghi da depurazione si è avvicinata a 3 milioni di tonnellate, un numero destinato a crescere se saranno realizzati e messi in esercizio i depuratori nelle zone che ne sono carenti, per ottemperare agli obblighi derivanti dalla direttiva 91/271/CE in materia di trattamento delle acque reflue. Nello stesso anno i fanghi smaltiti sono stati il 56,3% e solo il 43,7% sono stati recuperati.
“Il nuovo pacchetto di direttive economia circolare – ha spiegato Colarullo – porterà ad un aumento della quantità di rifiuti organici da trattare, e al contempo a un incremento della produzione dei fanghi di depurazione, rispetto ai quali l’approccio attuale alla loro gestione non è in grado di sfruttare il loro potenziale per estrarre materiali come il fosforo e il potassio”.
Al contempo “il biometano prodotto dai rifiuti organici e dai fanghi di depurazione rappresenta una fonte energetica rinnovabile, nazionale, sostenibile, la cui valorizzazione consente di promuovere un’economia circolare su scala locale, ecosostenibile e a basse emissioni: la produzione di biometano ha prospettive molto interessanti per il nostro Paese, che dispone di un sistema infrastrutturale capillarmente diffuso sul territorio e del più grande mercato europeo di veicoli a metano”.
In questo quadro, “Utilitalia intende essere un motore di spinta per lo sviluppo di una bioeconomia circolare nel settore dei servizi pubblici, lavorando sul fronte del ciclo idrico al potenziamento degli impianti di depurazione, a una gestione integrata dei fanghi e alla definizione di una strategia nazionale per la loro gestione; sul fronte della gestione dei rifiuti, l’obiettivo sarà quello di stimolare e consolidare lo sviluppo delle infrastrutture per il trattamento della frazione organica, incentivandone la valorizzazione di materia e la produzione di biometano, anche semplificando e riducendo i tempi delle procedure autorizzative”.
fonte: www.greenreport.it

Recovery fund ed economia circolare possono andare d’accordo. La dimostrazione è quanto emerso all’assemblea annuale del Cluster SPRING dove Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) ha spiegato il significativo valore degli investimenti in programma – si parla di due miliardi di euro – in particolare per la gestione dei rifiuti organici urbani (che in Italia ammontano a 7,1 milioni le tonnellate tra umido, verde e altre matrici organiche provenienti dalla raccolta differenziata) – e i fanghi di depurazione.
“Già oggi il mondo delle utilities è uno dei protagonisti della bioeconomia urbana – ha spiegato Colarullo – ora la sfida è quella di replicare in tutto il Paese le esperienze virtuose e di inquadrare gli investimenti necessari al suo sviluppo nel solco del Recovery fund”. Per Colarullo “l’utilizzo del Recovery fund contribuirà ad accelerare la transizione verso l’economia circolare e, in questo contesto, le nostre associate hanno proposto progetti dal valore complessivo di quasi 2 miliardi di euro, 700 milioni dei quali incentrati sullo sviluppo della bioeconomia”.
E il settore preponderante, come detto, è quello della gestione dei rifiuti organici urbani e i fanghi di depurazione, alla luce del forte impatto che possono avere sull’ambiente e sulla salute. Ricordiamo che nel 2018 in Italia la produzione annua di fanghi da depurazione si è avvicinata a 3 milioni di tonnellate, un numero destinato a crescere se saranno realizzati e messi in esercizio i depuratori nelle zone che ne sono carenti, per ottemperare agli obblighi derivanti dalla direttiva 91/271/CE in materia di trattamento delle acque reflue. Nello stesso anno i fanghi smaltiti sono stati il 56,3% e solo il 43,7% sono stati recuperati.
“Il nuovo pacchetto di direttive economia circolare – ha spiegato Colarullo – porterà ad un aumento della quantità di rifiuti organici da trattare, e al contempo a un incremento della produzione dei fanghi di depurazione, rispetto ai quali l’approccio attuale alla loro gestione non è in grado di sfruttare il loro potenziale per estrarre materiali come il fosforo e il potassio”.
Al contempo “il biometano prodotto dai rifiuti organici e dai fanghi di depurazione rappresenta una fonte energetica rinnovabile, nazionale, sostenibile, la cui valorizzazione consente di promuovere un’economia circolare su scala locale, ecosostenibile e a basse emissioni: la produzione di biometano ha prospettive molto interessanti per il nostro Paese, che dispone di un sistema infrastrutturale capillarmente diffuso sul territorio e del più grande mercato europeo di veicoli a metano”.
In questo quadro, “Utilitalia intende essere un motore di spinta per lo sviluppo di una bioeconomia circolare nel settore dei servizi pubblici, lavorando sul fronte del ciclo idrico al potenziamento degli impianti di depurazione, a una gestione integrata dei fanghi e alla definizione di una strategia nazionale per la loro gestione; sul fronte della gestione dei rifiuti, l’obiettivo sarà quello di stimolare e consolidare lo sviluppo delle infrastrutture per il trattamento della frazione organica, incentivandone la valorizzazione di materia e la produzione di biometano, anche semplificando e riducendo i tempi delle procedure autorizzative”.
fonte: www.greenreport.it
#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897. Grazie!
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
Labels:
#Ambiente,
#Bioeconomia,
#Biometano,
#EconomiaCircolare,
#FanghiDepurazione,
#ImpiantiDepurazione,
#RecoveryFund,
#RifiutiOrganici,
#RifiutiUrbani,
#Utilitalia
Rifiuti, non si trasformi l’emergenza Covid-19 nell’ennesima zuffa sui termovalorizzatori
Brandolini (Utilitalia): «La crisi ha evidenziato le vulnerabilità del nostro attuale sistema impiantistico di gestione rifiuti e ha dimostrato la necessità che venga elaborata a livello centrale una strategia nazionale»
#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
La commissione parlamentare Ecomafie, presieduta da Stefano Vignaroli (M5S), ha audito ieri Filippo Brandolini – vicepresidente di Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche – per capire come sta proseguendo la gestione dei rifiuti collegata all’emergenza Covid-19.
Due le buone notizie: il servizio essenziale di raccolta dei rifiuti è proseguito senza interruzioni, con una riorganzizazione del lavoro per garantire la sicurezza degli operatori, e Brandolini ha dichiarato di non avere evidenze circa un aumento dei livelli di contagio tra i lavoratori delle aziende associate; inoltre i rifiuti attesi derivanti dall’uso di guanti e mascherine si prospettano in volumi tali – come già emerso in una precedente audizione Ispra – da non alterare gli equilibri del Paese in termini di smaltimento.
Un’osservazione che nasce dall’andamento delle diverse tipologie di rifiuti: in queste settimane si è osservata una decisa contrazione della produzione sia di rifiuti speciali di origine industriale, sia di rifiuti assimilati, mentre sono aumentati i rifiuti domestici e il rifiuto organico (pur a fronte di una carenza di rifiuto verde), così come anche i rifiuti sanitari a rischio infettivo. Scendendo nel dettaglio, Brandolini ha fornito alcuni dati aggregati raccolti da 44 aziende associate che forniscono il servizio di gestione rifiuti a un totale di circa 12 milioni di cittadini, principalmente nel centro-nord Italia: tra il 21 febbraio e il 9 maggio, si è osservata una diminuzione media della produzione totale di rifiuti di circa il 14%, delle quantità di rifiuti differenziati di quasi il 13% e di rifiuti indifferenziati del 14,5%. Il vicepresidente Utilitalia ha inoltre riferito che alcuni flussi di rifiuti (plasmix, scarti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani, combustibile solido secondario, fanghi di depurazione, fanghi di cartiera) solitamente gestiti in impianti esteri hanno subito un blocco a causa della chiusura delle frontiere: la situazione, secondo quanto riferito, è in via di normalizzazione.
«Rispetto alla gestione dei rifiuti collegata all’emergenza Covid-19, prendo atto di come oggi negli impianti di trattamento dei rifiuti i rischi di contagio siano ridotti: il virus non può modificare la scelta della destinazione finale dei rifiuti, visto il suo relativamente breve tempo di permanenza sulle superfici. Abbiamo inoltre appreso dal presidente di Utilitalia che, anche sul fronte delle tipologie di rifiuto destinate spesso a impianti esteri, la situazione si sta di nuovo normalizzando. Auspico dunque che presto si possa tornare a operare senza bisogno di deroghe agli stoccaggi, e senza richieste immotivate di impianti particolari», commenta Vignaroli. E a chiarire di quali “impianti” si sta parlando arriva una nota firmata dagli esponenti M5S della commissione Ecomafie.
«Nelle scorse audizioni è già emerso come l’emergenza Covid non giustifichi la costruzione di nuovi inceneritori, in quanto – si legge nella nota – i quantitativi di rifiuti urbani prodotti sono considerevolmente diminuiti di ben mezzo milione di tonnellate in un paio di mesi, e quindi l’ennesimo appello di chi vorrebbe nuovi inceneritori si rivela ancora una volta infondato. Dall’audizione di oggi abbiamo appreso, inoltre, che i cicli che portano ad incenerimento incrementano il traffico di rifiuti verso l’estero. Il 45% di questi è costituito dai Css, prodotti proprio allo scopo di bruciare rifiuti; altri ancora sono rappresentati dalle ceneri degli stessi inceneritori».
Non sembra preoccupare il fatto che per chiudere il ciclo di gestione dei rifiuti italiani occorra spedirne una quota rilevante all’estero, anche a causa della mancanza di impianti di recupero energetico (il Css che produciamo lo spediamo all’estero) e di smaltimento per i rifiuti speciali. E si arriva dunque alla cattiva notizia messa in evidenza da Utilitalia, sottolineata dalla stessa Federazione in una nota.
«La crisi – spiega Brandolini – ha evidenziato le vulnerabilità del nostro attuale sistema impiantistico di gestione rifiuti e ha dimostrato la necessità che venga elaborata a livello centrale una strategia nazionale, che definisca in una prospettiva di sistema Paese i fabbisogni regionali sulla base di criteri omogenei e di strategie gestionali affidabili». Per inciso, questo secondo la proposta avanzata a fine 2019 da Utilitalia significa anche che se il nord Italia resta autosufficiente in termini di termovalorizzazione, nuovi impianti sono necessari al centro e al sud.
Ma la dialettica inceneritori sì, inceneritori no resta controproducente e porta all’immobilismo. Occorre guardare agli obiettivi Ue: per i rifiuti urbani puntano per il 2035 al 65% di riciclo e al 10% di discarica, con dunque un 25% di rifiuti che dovrà essere avviato a valorizzazione energetica. Gli ultimi dati Ispra disponibili mostrano come tutto questo in Italia sia ancora lontano: nel 2018 in Italia il 49% dei rifiuti urbani è stato avviato a recupero di materia, il 18% a termovalorizzazione e il 22% in discarica. C’è chi pensa di colmare il gap senza ricorrere alla termovalorizzazione, come invece accade nel nord Europa e come suggeriscono le imprese di settore? La scelta dovrebbe spettare in ogni caso allo Stato, quel che occorre è appunto una strategia nazionale che – con pragmatismo e onestà intellettuale – sappia individuare e colmare lungo l’intero ciclo di gestione (dunque recupero di materia, di energia, smaltimento finale) i deficit impiantistici presenti lungo lo Stivale. Anche perché nel mentre i nostri rifiuti continuano a macinare 1,2 miliardi di km l’anno – pari a 175mila volte l’intera rete autostradale italiana, senza contare l’export – prima di trovare un impianto dove poter essere gestiti in sicurezza. E a guadagnarci in questo contesto, come messo nero su bianco dalla Direzione investigativa antimafia, è solo l’illegalità.
Se riuscissimo invece ad abbandonare la cultura del sospetto e i pregiudizi contro gli impianti utili all’economia circolare, la gestione rifiuti potrebbe trasformarsi in una formidabile leva di sviluppo sostenibile.
«Il settore – spiega nel merito Brandolini – può fornire un contributo importante alla ripresa economica dopo la pandemia nell’effettuare quegli investimenti funzionali al raggiungimento degli obiettivi dati dal pacchetto dell’economia circolare. La realizzazione degli impianti e l’infrastrutturazione delle filiere necessarie al pieno raggiungimento degli obiettivi del 2035 farebbero fronte al fabbisogno di trattamento della frazione organica per 3,2 milioni di tonnellate e di 2,5 milioni per il recupero energetico, per consentire l’autosufficienza con investimenti stimati in 6,6 miliardi di euro. Questi investimenti, oltre a contribuire alle ripresa economica e a ridurre la dipendenza dall’estero, sono indispensabili per la transizione all’economia circolare e forniscono un contributo per il rispetto degli impegni internazionali per la riduzione delle emissioni climalteranti».
Secondo Utilitalia tra le azioni da mettere in campo per la ripartenza del settore, fondamentali per la transizione all’economia circolare, c’è il «sostegno al mercato delle materie prime seconde, che storicamente va in crisi con il calo della crescita economica e la diminuzione del prezzo delle materie prime». È inoltre necessaria «una revisione sia del Codice appalti sia dei procedimenti autorizzativi, con particolare riguardo alla semplificazione e alla riduzione dei tempi nei procedimenti previsti dalle norme in materia ambientale ai fini di una rapida ripresa degli investimenti».
Va poi creato «un sistema di verifica per le Regioni che, a fronte della stima del fabbisogno impiantistico residuo necessario per raggiungere gli obiettivi delle direttive in tempi brevi, non provvedono alla realizzazione delle infrastrutture indispensabili, con la previsione di eventuali poteri sostitutivi». Anche l’attuale disciplina dell’End of waste va rivista «riducendo i tempi ed eliminando controlli ridondanti per le attività di riciclo che generano incertezza, aggravio di costi e disincentivo agli investimenti». Senza dimenticare l’importanza del ruolo di Arera nel proseguire «l’azione di Autorità di regolazione forte e indipendente, a tutela degli utenti e a garanzia degli operatori del settore, per l’attivazione degli investimenti necessari a traghettare l’Italia verso un’economia circolare e decarbonizzata e a migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi ambientali per cittadini e imprese».
fonte: www.greenreport.it
#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
Acqua, energia, rifiuti: da questi settori fino a 100mila nuovi green job
Utilitalia lancia la sua strategia per lo sviluppo sostenibile: un piano di investimenti da 50 miliardi nei prossimi 5 anni nei settori dei servizi per crescere in linea con il nuovo green deal
Investire nel settore dei servizi puntando sulla sostenibilità permetterebbe di creare in Italia fino 100mila nuovi posti di lavoro (green job) tra occupazione diretta ed indotto. Il come lo spiega Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, nel corso della sua Assemblea generale a Roma.
Acqua, energia e rifiuti sono i principali settori su cui si dovrà confrontare la crescita verde nazionale e sono allo stesso tempo quelli che oggi hanno più bisogno di una programmazione a lungo termine e piani di investimenti. In questo contesto Utilitalia ha presentato la sua strategia per allineare tali comparti a quel “patto verde” citato non solo a livello italiano ma anche comunitario. Una strategia che necessita, però, a monte di condizioni di trasparenza, stabilità e rigorosa applicazione delle norme.
“Dare concretezza al green new deal è tra le nostre priorità e ciò sarà possibile con un’azione congiunta con il Governo, cui non si chiedono fondi ma semplificazione normativa e azioni per supportare gestioni più efficienti dei servizi – ha spiegato il presidente di Utilitalia, Giovanni Valotti – Bisogna favorire lo snellimento delle procedure autorizzative, riconfigurare lo schema della gestione diretta dei comuni e i ritardi nello sviluppo di un approccio industriale ai servizi pubblici locali. Vanno inoltre evitate misure che creino inutile incertezza per quegli operatori che già investono e che attraggano nuovi finanziatori che credono nello sviluppo sostenibile, innescando un circolo virtuoso per la crescita del Paese e il superamento delle differenze territoriali”.
Rimuovere le principali criticità a questi comparti – tra cui l’adeguamento all’articolo 177 del Codice Appalti – potrebbe sbloccare fino a 50 miliardi di euro in investimenti, di cui 30 nel settore idrico, 8 in quello dei rifiuti e 12 in quello energetico. Su quest’ultimo fronte, la federazione sottolinea la necessità di norme atte a garantire lo sviluppo di tecnologie pulite per il riscaldamento urbano, il rilancio dei certificati bianchi e un miglior equilibrio tra le varie fonti rinnovabili, rilanciando il ruolo dell’idroelettrico. E ancora, l’incentivazione di sistemi di accumulo e dei necessari interventi infrastrutturali (come i punti di ricarica) per la mobilità sostenibile. “Gran parte degli investimenti già figura nei piani industriali delle nostre aziende – ha aggiunto Valotti – e sarebbe paradossale che si bloccassero a causa di ostacoli burocratici che paralizzano l’intero comparto infrastrutturale”.
fonte: www.rinnovabili.it
L’Italia non sa dove mettere (almeno) 2,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali l’anno
A causa della carenza impiantistica i costi di smaltimento sono cresciuti del 40% negli ultimi due anni, con aggravi da 1,3 miliardi di euro che finiranno per colpire i prezzi dei prodotti acquistati dalle famiglie e l’occupazione
I rifiuti speciali prodotti dall’Italia nel 2017 (l’ultimo aggiornamento reso disponibile dall’Ispra) sono 138,9 milioni di tonnellate: nonostante si tratti di un dato per il 43% frutto di stime, in quanto – per dirla con l’ex presidente dell’Ispra Bernardo de Bernardinis – a proposito di rifiuti speciali la «certezza dell’informazione nel nostro Paese è un’utopia», l’ammontare è pari a oltre il quadruplo rispetto ai rifiuti urbani. Il problema è che mentre i rifiuti speciali continuano a crescere, gli impianti dove poterli gestire in sicurezza sono sempre meno, tanto da arrivare ormai a una crisi conclamata come spiega lo studio I rifiuti speciali e la competitività del sistema delle imprese presentato da Utilitalia – la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche – a Ecomondo.
Realizzato da Ref ricerche in collaborazione con la Fondazione Utilitatis, lo studio mostra che nel 2017 non ha saputo gestire 2,1 milioni di tonnellate dei rifiuti speciali che ha prodotto: la somma delle quantità di rifiuti esportate (circa 1,3 milioni di tonnellate, al netto dell’import) e di quelle stoccate e destinate a smaltimento (circa 700mila tonnellate).
Di fatto la produzione di rifiuti speciali continua a crescere – tra il 2016 e il 2017 del +1,6%, ovvero a velocità quasi doppia rispetto al Pil nazionale –, ma se gli impianti per poter gestire questo flusso i costi crescono. Nello studio si stima che negli ultimi due anni i rincari dei costi di smaltimento siano stati del +44% (suddivisi tra il +35% per i rifiuti non pericolosi e +100% per i pericolosi), con un aggravio pari a quasi 1,3 miliardi di euro..
Tra le cause che mettono in evidenza la fragilità del sistema di gestione, lo studio ne mette in evidenza alcune in particolare: il forte aumento della produzione di rifiuti speciali nel triennio 2016-2018; la chiusura del mercato cinese alle importazioni di rifiuti (plastica riciclabile, residui tessili e carta di qualità inferiore) nel gennaio del 2018; la sentenza del Consiglio di Stato del febbraio del 2018 che ha bloccato l’End of Waste, fermando l’intera filiera dell’economia circolare; lo stop ai fanghi di depurazione in agricoltura e anche l’incremento della raccolta differenziata, in particolare nel Mezzogiorno, che ha aumentato notevolmente la necessità di smaltimento degli scarti provenienti dal riciclo. A pagare per questi squilibri, senza una presa in carico da parte delle istituzioni è soprattutto la competitività dell’intero sistema delle imprese, con aggravi di costo che finiranno per ripercuotersi sui prezzi dei prodotti acquistati dalle famiglie e sull’occupazione, e in ultimo nella delocalizzazione delle attività maggiormente esposte.
«Occorre ripensare profondamente la gestione dei rifiuti del Paese – spiega Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia – superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali, realizzando gli impianti necessari, per assicurare uno sbocco allo smaltimento in prossimità, almeno ai rifiuti che non presentano necessità di impianti dedicati e specifici».
La sofferenza impiantistica, tradizionalmente riconosciuta per i rifiuti urbani, è ormai una causa di crisi anche per il mercato di quelli speciali: occorre una risposta pragmatica e non ideologica al problema, che va in primis riconosciuto con precisione nelle sue dimensioni. «L’acclamato Green new deal – argomenta Brandolini – non può non passare prima per una misurazione dei fabbisogni, che preluda alla chiusura del ciclo dei rifiuti e alla realizzazione degli impianti mancanti per il recupero e il trattamento, e che incentivi l’utilizzo delle materie prime seconde. Avere una piena coscienza sui fabbisogni del proprio territorio, può avere diversi aspetti positivi per le amministrazioni regionali: basti pensare alla possibilità di realizzare gli impianti necessari in grado di colmare il deficit, di sensibilizzare le comunità locali e di responsabilizzare gli attori economici al raggiungimento dei target ambientali; e ancora all’opportunità di calmierare i prezzi, di riuscire a governare situazioni di emergenza e di promuovere politiche di prevenzione della produzione dei rifiuti. Per tutti questi motivi ribadiamo la necessità di una strategia nazionale che disegni le strategie per i prossimi anni in un’ottica di economia circolare».
Anche perché l’avvio di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti – come sottolinea lo studio – non richiede uno sforzo economico allo Stato o agli enti territoriali, piuttosto “solo” il sostegno e la condivisione di una strategia d’azione in grado di ricostruire un rapporto fiduciario tra le istituzioni e le comunità dei territori chiamati a ospitare gli impianti, superando le sindromi Nimby che paradossalmente hanno come prima vittima lo sviluppo sostenibile.
fonte: www.greenreport.it
Rifiuti organici: Italia terza in Europa per trattamento
Utilitalia: “Il nostro Paese è all’avanguardia nella gestione del rifiuto organico, ma servono misure concrete a sostegno della filiera”
Quando si tratta di gestire i rifiuti organici, l’Italia non ha bisogno di lezioni da terze parti. Il Belpaese, infatti, è terzo in Europa per quantità di frazione organica urbana trattata, subito dopo Germania e Regno Unito, e quinto per numero di impianti presenti sul territorio. Buoni piazzamenti dietro cui si trovano una cultura sempre più attenta al problema e specifiche politiche incentivanti, che hanno aiutato il comparto nell’ultimo anno e mezzo.Tra un primo e un terzo posto, però, la differenza esiste e il gap va cercato in quei nodi strutturali ancora da sciogliere. A fare conti con le difficoltà, che tuttora assillano la gestione nazionale dei rifiuti organici, è oggi Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, in occasione di Ecomondo-Key Energy 2019.
L’Italia ha avviato prima di molti altri la raccolta differenziata dell’umido e del verde urbano, raggiungendo importanti tassi di intercettazione (si registra un valore medio di 107 kg procapite l’anno) ed elevati livelli qualitativi. Attualmente l’organico rappresenta la principale frazione merceologica dei rifiuti urbani sia dal lato produzione che da quello della raccolta (più del 40% del totale) e, soprattutto, la quota che cresce più velocemente. Peccato che le centrali di trattamento non stiano aumentando con la stessa velocità: gli impianti non sono ancora diffusi in maniera omogenea sul territorio nazionale, andando incontro in alcuni casi a vere e proprie carenze.
Ciò fa emergere diversi dubbi sulla capacità di tenere il passo con dettami verdi dell’Unione Europea. Il pacchetto di norme sull’Economia circolare – voluto da Bruxelles – impone di alzare progressivamente riciclo dei rifiuti urbani, per arrivare una quota del 65% sul totale raccolto entro il 2035 (leggi anche Ok al Pacchetto economia circolare: riciclo al 65% entro il 2035).
Gestire il comparto, anche in vista degli obiettivi UE, richiede un nuovo approccio sistemico, come spiega Alberto Ferro, responsabile Raccolte Differenziate e Riciclo di Utilitalia “Occorre ragionare in termini di filiera, una filiera composta da Comuni e aziende che, con la fondamentale collaborazione dei cittadini, raccolgono i rifiuti organici in modo differenziato, da impianti di trattamento che trasformano i rifiuti organici in fertilizzanti organici e biometano, fino al comparto agricolo e all’industria dei trasporti in cui questi prodotti vengono valorizzati”.
Chi oggi è riuscito già a chiudere il cerchio, è anche stato in grado di ridare ai territori le risorse, contenute in questi scarti, sotto forma di energia rinnovabile e fertilizzanti organici. “Il biometano in particolare rappresenta un’opportunità di crescita in termini industriali e di sostenibilità dei servizi erogati dalle utility nazionali – ha sottolineato il Vice Presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini […] può valorizzare le reti territoriali di distribuzione del gas e rappresentare un’occasione di rinnovamento delle flotte aziendali e del trasporto pubblico verso un ridotto impatto ambientale”.
L’approccio suggerito dalla Federazione permetterebbe di limitare i viaggi dei rifiuti tra le diverse aree del Paese, dando così la possibilità ad ogni territorio di chiudere il cerchio e ottenere i relativi vantaggi. Perché ciò succeda, tuttavia, è anche necessario eliminare l’incertezza normativa. È, ad esempio, il caso dell’End of Waste: il ritardo ha frenato in questi anni l’iter autorizzativo (e quindi la realizzazione) di impianti innovativi di trattamento dell’organico. “Alla luce dei ritardi dati da questa incertezza normativa e per sfruttare al massimo il potenziale dato dal biometano nella transizione all’economia circolare – ha concluso Brandolini – Utilitalia chiede che la scadenza al 31 dicembre 2022 per l’accesso agli incentivi sia adeguatamente posticipata”.
fonte: www.rinnovabili.it
Raccolta domiciliare degli oli esausti, il progetto pilota a Pordenone
Conoe e Utilitalia lanciano l’iniziativa finalizzata a testare differenti modalità di raccolta degli oli vegetali presso le famiglie e verificare quella più efficiente. Si inizia da Pordenone per continuare in altre sei provincie dell’Italia Centro Nord

Parte dalla provincia di Pordenone il nuovo esperimento dell’economia circolare italiana. Il territorio è stato scelto infatti per avviare un progetto pilota dedicato alla raccolta domiciliare degli oli vegetali esausti da destinare alla produzione di biodiesel. L’iniziativa, avviata dal Conoe – Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti – e promossa da Utilitalia – la Federazione delle imprese dei servizi idrici, energetici e ambientali – è in realtà solo il primo passo di una strategia più ampia.
Il piano prevede, infatti, la sperimentazione di differenti modalità di raccolta degli oli vegetali presso le famiglie al fine di individuare quella più efficiente. Per questo motivo, nei prossimi mesi saranno lanciati progetti simili in altre sei province del Centro-Nord, sperimentando quattro diverse tipologie di raccolta: contenitori riutilizzabili, contenitori usa e getta, raccolta presso condomini e stazioni ecologiche itineranti (servizio ecomobile).
A Pordenone e in tutto il bacino dei Comuni gestiti da GEA – Gestioni Ecologiche e Ambientali SpA – è previsto il potenziamento dei contenitori stradali esistenti (chiamati “Olivie”) da 200 litri, per portare il conferimento di tale rifiuto a 2 kg per abitante, a fronte degli attuali 0,58: un obiettivo importante che promuove la crescita dell’economia circolare e scongiura impatti dannosi sull’ambiente e sulla salute.
Basta infatti un chilo di olio vegetale esausto a inquinare una superficie d’acqua di 1.000 metri quadrati, perché impedisce l’ossigenazione compromettendo l’esistenza della flora e della fauna sottostanti; se invece smaltiti nella rete fognaria, come spesso avviene nell’utilizzo domestico, gli oli vegetali esausti pregiudicano il buon funzionamento della rete stessa intasando condutture e depuratori: la depurazione delle acque inquinate da questo rifiuto richiede costi quantificabili in 1,10 euro al chilogrammo.
“L’accordo siglato oggi a Pordenone è il primo passo per un impegno concreto di tutti i soggetti coinvolti nella filiera del recupero degli oli vegetali esausti, primo fra tutti il CONOE – ha dichiarato il Presidente del Consorzio, Tommaso Campanile – che sarà seguito da progetti specifici di recupero sistematico degli oli alimentari esausti in altre importanti città italiane. Gli oli vegetali esausti rappresentano una enorme risorsa se oggetto di pratiche di recupero corrette, consapevoli e costruttive. È un dovere prioritario procedere a costruire intorno a questa tematica una coscienza collettiva improntata ai principi della salvaguardia ambientale che inizia, in prima battuta, con la sottrazione di questo rifiuto a pericolose pratiche di dismissione incontrollata per arrivare ad una riconversione in biodiesel, con conseguenze positive in termini di emissioni di gas serra”.
“La Direttiva 2009/28/CE – ha spiegato il Vice Presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – ha fissato un obiettivo al 2020 pari al 10% di fonti rinnovabili nel settore dei trasporti. L’Italia ha messo in campo misure incentivanti per la produzione di biodiesel da oli vegetali, premiando in misura sensibilmente maggiore le produzioni a partire da rifiuti: il progetto pilota va esattamente in questa direzione. Le nostre aziende sono già pronte alla sfida e abbiamo esempi virtuosi che aspettano solo di essere replicati su scala nazionale. Come sistema siamo impegnati anche nel campo della produzione del biometano da rifiuti, a dimostrazione del ruolo fondamentale di questo settore nella transizione energetica”.
fonte: www.rinnovabili.it

Parte dalla provincia di Pordenone il nuovo esperimento dell’economia circolare italiana. Il territorio è stato scelto infatti per avviare un progetto pilota dedicato alla raccolta domiciliare degli oli vegetali esausti da destinare alla produzione di biodiesel. L’iniziativa, avviata dal Conoe – Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti – e promossa da Utilitalia – la Federazione delle imprese dei servizi idrici, energetici e ambientali – è in realtà solo il primo passo di una strategia più ampia.
Il piano prevede, infatti, la sperimentazione di differenti modalità di raccolta degli oli vegetali presso le famiglie al fine di individuare quella più efficiente. Per questo motivo, nei prossimi mesi saranno lanciati progetti simili in altre sei province del Centro-Nord, sperimentando quattro diverse tipologie di raccolta: contenitori riutilizzabili, contenitori usa e getta, raccolta presso condomini e stazioni ecologiche itineranti (servizio ecomobile).
A Pordenone e in tutto il bacino dei Comuni gestiti da GEA – Gestioni Ecologiche e Ambientali SpA – è previsto il potenziamento dei contenitori stradali esistenti (chiamati “Olivie”) da 200 litri, per portare il conferimento di tale rifiuto a 2 kg per abitante, a fronte degli attuali 0,58: un obiettivo importante che promuove la crescita dell’economia circolare e scongiura impatti dannosi sull’ambiente e sulla salute.
Basta infatti un chilo di olio vegetale esausto a inquinare una superficie d’acqua di 1.000 metri quadrati, perché impedisce l’ossigenazione compromettendo l’esistenza della flora e della fauna sottostanti; se invece smaltiti nella rete fognaria, come spesso avviene nell’utilizzo domestico, gli oli vegetali esausti pregiudicano il buon funzionamento della rete stessa intasando condutture e depuratori: la depurazione delle acque inquinate da questo rifiuto richiede costi quantificabili in 1,10 euro al chilogrammo.
“L’accordo siglato oggi a Pordenone è il primo passo per un impegno concreto di tutti i soggetti coinvolti nella filiera del recupero degli oli vegetali esausti, primo fra tutti il CONOE – ha dichiarato il Presidente del Consorzio, Tommaso Campanile – che sarà seguito da progetti specifici di recupero sistematico degli oli alimentari esausti in altre importanti città italiane. Gli oli vegetali esausti rappresentano una enorme risorsa se oggetto di pratiche di recupero corrette, consapevoli e costruttive. È un dovere prioritario procedere a costruire intorno a questa tematica una coscienza collettiva improntata ai principi della salvaguardia ambientale che inizia, in prima battuta, con la sottrazione di questo rifiuto a pericolose pratiche di dismissione incontrollata per arrivare ad una riconversione in biodiesel, con conseguenze positive in termini di emissioni di gas serra”.
“La Direttiva 2009/28/CE – ha spiegato il Vice Presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – ha fissato un obiettivo al 2020 pari al 10% di fonti rinnovabili nel settore dei trasporti. L’Italia ha messo in campo misure incentivanti per la produzione di biodiesel da oli vegetali, premiando in misura sensibilmente maggiore le produzioni a partire da rifiuti: il progetto pilota va esattamente in questa direzione. Le nostre aziende sono già pronte alla sfida e abbiamo esempi virtuosi che aspettano solo di essere replicati su scala nazionale. Come sistema siamo impegnati anche nel campo della produzione del biometano da rifiuti, a dimostrazione del ruolo fondamentale di questo settore nella transizione energetica”.
fonte: www.rinnovabili.it
Ecomondo: Il futuro di vestiti usati e riutilizzo: come governare la transizione
Mercoledì 7 Novembre 2018 - 14:00 - Sala Abete Hall Ovest
Il settore dell'usato e del riutilizzo si appresta a vivere trasformazioni radicali che cambieranno per sempre il volto del mercato. Esperti, stakeholder e player del settore spiegheranno il processo di cambiamento fornendo aggiornamenti sulle ultime novità normative e operative.
Programma
Programma
14.00 Introduzione e benvenuto
Pietro Luppi, Occhio del Riciclone
L'usato tra presente e futuro, questioni e scenari
L'usato tra presente e futuro, questioni e scenari
Josep Maria Tost y Borras, Direttore Agenzia Rifiuti della Catalogna e Vicepresidente ACR+
Riorganizzare le raccolte indumenti in vista degli obiettivi 2025
Riorganizzare le raccolte indumenti in vista degli obiettivi 2025
Claudia Strasserra, Bureau Veritas
Evoluzioni dello strumento ESET per la tracciabilità delle filiere dell’usato
Evoluzioni dello strumento ESET per la tracciabilità delle filiere dell’usato
Aretha Dotta, Contarina
Un modello integrato per massimizzare il riutilizzo
Un modello integrato per massimizzare il riutilizzo
On. Stefano Vignaroli
Una nuova legge per l’usato e il riutilizzo
Una nuova legge per l’usato e il riutilizzo
Alessandro Strada, Humana People to People Italia
Vestiti usati, mercato mondiale e punti di equilibrio
Vestiti usati, mercato mondiale e punti di equilibrio
Mirko Regazzi, Utilitalia
Linee Guida per le gare di raccolta e recupero abiti usati
Linee Guida per le gare di raccolta e recupero abiti usati
Andrea Fluttero, Fise-Unicircular
Verso una democrazia dei consorzi di filiera
Verso una democrazia dei consorzi di filiera
Alessandro Stillo, Rete ONU
Informalità ed emersione, da soggetti vulnerabili a soggetti protagonisti
17.30 Ulla Carina Bolin, Humana People to People Italia
Discussione e chiusura
Informalità ed emersione, da soggetti vulnerabili a soggetti protagonisti
17.30 Ulla Carina Bolin, Humana People to People Italia
Discussione e chiusura
fonte: Ecomondo
Iscriviti a:
Post (Atom)