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Riciclo e moda nel segno dell'upcycling










Conai e Vogue Talents indicono un concorso rivolto ai creativi che vogliono cogliere le possibilità offerte dai materiali riciclati nello sviluppo di capi di abbigliamento e accessori.

Conai, in collaborazione con Vogue Talents, ha lanciato Upcycling Challenge, iniziativa dedicata ai ...

The Upcycling Challenge, il progetto che sostiene i creativi sostenibili

 

“The Upcycling Challenge” è il progetto dedicato ai creativi che con la loro visione riescono a cogliere le infinite possibilità dei materiali riciclati e a trasformarli in abiti e accessori innovativi e di stile

“The Upcycling Challenge” è il progetto dedicato ai...

A scuola di transizione ecologica

Un corso di otto settimane promosso da Ecomondo e Università di Bologna per accelerare l’innovazione nell’economia circolare.













Ecomondo, attraverso Italian Exhibition Group (IEG), e Università di Bologna, in collaborazione con Rete Ambiente, hanno dato vita alla Scuola di Alta Formazione per la Transizione Ecologica (Safte), percorso formativo rivolto a imprese, enti e associazioni con l'obiettivo di accompagnare il paese nell’innovazione legata al tema dell’economia circolare.

Il corso avrà la durata di otto settimane, dal 15 ottobre fino al 10 dicembre 2021, suddiviso in 4 unità tematiche da 2 settimane ciascuna per un totale di 128 ore di attività formativa in modalità e-learning, con l'obiettivo di integrare saperi diversi e sviluppare nuovi strumenti per guidare le strategie aziendali verso uno sviluppo innovativo e sostenibile nelle principali industrie.
A completamento del percorso, durante la prossima edizione di Ecomondo e Key Energy (Fiera di Rimini, 26-29 ottobre 2021) sono previste attività in presenza per offrire momenti di integrazione culturale e operativa tra fiera e università.

La Scuola di Alta Formazione per la Transizione Ecologica è inserita in un progetto avviato l'anno scorso dall’ateneo bolognese per dare risposta alle numerose richieste di formazione continua raccolte dalle aziende. “Negli ultimi anni - afferma il Rettore Francesco Ubertini - l’economia circolare e la transizione ecologica sono state al centro di numerosi progetti nazionali ed internazionali, in stretta collaborazione con le imprese. Anche riguardo all’offerta didattica, questi temi caratterizzano sempre più i nostri corsi, con un approccio che coniuga interdisciplinarità ed innovazione. Per questo ci fa molto piacere attivare questa Scuola di Alta Formazione, in collaborazione con IEG ed altri soggetti istituzionali ed imprenditoriali, con i quali abbiamo una consolidata interazione, in particolare grazie all’esperienza di Ecomondo”.


Per informazioni e iscrizioni: Safte

fonte: www.polimerica.it
 


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AMBIENTE & VELENI “Tra i rifiuti differenziati la plastica è solo il 7,8%. E appena il 5% tra quelli avviati a riciclo”: lo studio dell’Ispra sulle falle della filiera

"Il risultato fa capire quanto sia importante migliorare tutti i passaggi della filiera - spiega Andrea Lanz, responsabile dell’area tematica Contabilità Rifiuti dell’Istituto, a ilfattoquotidiano.it - dalla progettazione di imballaggi con meno plastica alla raccolta, fino al riciclo e al riuso che oggi vedono ancora troppi ostacoli". Sulla base delle analisi merceologiche effettuate sul rifiuto urbano indifferenziato in ingresso agli impianti di trattamento, si stima mediamente la presenza di circa il 15% di plastica




Produzione, raccolta differenziata e riciclo. In ogni passaggio della filiera di gestione dei rifiuti di plastica qualcosa si perde e, ad oggi, tende ancora a concentrarsi nel rifiuto indifferenziato. Le ragioni sono diverse e gli effetti delle falle del sistema sono descritti in un’analisi effettuata da Ispra e illustrata da Andrea Lanz, responsabile dell’area tematica Contabilità Rifiuti dell’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale nel corso del convegno ‘La filiera della plastica nella gestione dei rifiuti urbani: confronto tra best practices a livello internazionale’ svoltosi nell’ambito di Ecomondo. I dati sono quelli dell’ultimo rapporto dell’Istituto sui rifiuti urbani, ma il focus è proprio sulla filiera dei rifiuti in plastica. “Il risultato fa capire quanto sia importante migliorare tutti i passaggi della filiera – spiega Lanz a ilfattoquotidiano.it – dalla progettazione di imballaggi con meno plastica alla raccolta, fino al riciclo e al riuso che oggi vedono ancora troppi ostacoli, di diversa natura, proprio per la plastica”.


  

Nei rifiuti urbani prodotti, 4 milioni di tonnellate di plastica – I rifiuti si possono dividere in rifiuti urbani e rifiuti speciali e la plastica si trova in entrambi. La produzione nazionale dei primi supera i 30,2 milioni di tonnellate e nel 2018 (ultimo anno analizzato) è aumentata del 2%, riallineandosi al valore del 2016, mentre aveva subito un forte calo tra il 2011 e il 2012. Al Nord siamo a 14,3 milioni di tonnellate, al Centro a 6,6 milioni e al Sud 9,2 milioni. La produzione nazionale di rifiuti speciali si attesta a intorno ai 143,5 milioni di tonnellate (+3,3%). Lo studio si è concentrato però su quelli urbani, anche perché i rifiuti in plastica prodotti da questo circuito (sia da imballaggio sia da altra plastica, come gli ingombranti) rappresentano circa il 70% del totale. “Le plastiche – ha commentato Lanz – arrivano soprattutto da lì”. Se immaginiamo come una torta il totale dei rifiuti urbani prodotti in Italia, in base ai da dati sulla composizione merceologica dei rifiuti urbani indifferenziati e sulla raccolta differenziata, alla frazione organica (con i rifiuti biodegradabili da cucine e mese e il verde della manutenzione di giardini e parchi) andrebbe una fetta del 35,5%, carta e cartone costituiscono il 22,6%, mentre i materiali plastici rappresentano una quota del 12,9% (ossia 3,9 milioni di tonnellate). Il resto è composto da vetro, pannolini e materiali assorbenti, tessili, RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), legno, metalli e altro ancora. Quella percentuale è il nostro primo dato: rappresenta quanta plastica c’è nella produzione di rifiuti urbani.


Nella raccolta differenziata finisce solo un terzo – Il primo passaggio è quello della raccolta differenziata. La percentuale di raccolta differenziata sulla produzione nazionale di rifiuto urbano nel 2018 è del 58,1% (ossia 17,5 milioni di tonnellate) con una crescita di 2,6 punti rispetto al 2017. Al Nord si sale al 67,7%, al Centro è al 54,1% e al Sud 46,1%. Solo che i numeri della plastica sono diversi. Perché quando si passa dalla torta dei rifiuti urbani prodotti a quella dei rifiuti differenziati, quelli plastici rappresentano solo il 7,8 per cento del totale. Nel 2018 la frazione plastica della raccolta differenziata è stata pari a poco più di 1,3 milioni di tonnellate. È il 7,4% in più rispetto al 2017, ma circa un terzo della produzione totale. C’è da sottolineare che il 94% di questi rifiuti plastici raccolti in modo differenziato è costituito da imballaggi. “La raccolta differenziata è prevalentemente presente nella filiera degli imballaggi – ha spiegato Lanz – perché lì è presente un sistema EPR (di responsabilità estesa del produttore, ndr) e di corrispettivo ai Comuni per i maggiori oneri di raccolta differenziata”.



Nel riciclo la plastica ancora più marginale – Infine c’è la terza torta: quella del riciclo. Negli ultimi anni, intanto, si è registrato un allargamento della forbice tra la percentuale di raccolta differenziata e tassi di riciclaggio. “La ripartizione del quantitativo avviato a riciclaggio per frazione merceologica mostra che il 40,7% è costituito dalla frazione organica – spiega Ispra – e il 25,8% da carta e cartone. Il vetro rappresenta il 16,3% del totale riciclato, il legno il 6,8% e la plastica il 5%”. Morale: tra la prima e la terza torta, l’incidenza della plastica va progressivamente calando, dal 12,9% al 7,8% (quasi tutto imballaggio) e infine viene avviato al riciclo solo il 5%. Parliamo di neppure 650mila tonnellate di rifiuti plastici. Eravamo partiti da 3,9 milioni. “Questo anche perché – spiega Lanz – anche se gli imballaggi vengono raccolti in maniera rilevante, non tutti hanno i requisiti per essere avviati alle varie forme di riciclo”. Di conseguenza, ad oggi, la frazione plastica tende ancora a concentrarsi nel rifiuto indifferenziato e una consistente quota non trova un corretto circuito di valorizzazione.


Il 15% dell’indifferenziato è plastica – Tale quota è stata stimata da Ispra sulla base delle analisi merceologiche effettuate sul rifiuto urbano indifferenziato in ingresso agli impianti di trattamento meccanico biologico, di discarica e di incenerimento, che hanno evidenziato mediamente la presenza di circa il 15% di plastica. Rispetto al totale di rifiuti plastici prodotti, solo il 40% viene avviato ad operazioni di riciclaggio (il 31% di rifiuto di imballaggio e un altro 9% di altri rifiuti in plastica). Tanto che la percentuale di riciclaggio dei soli rifiuti di imballaggio supera gli obiettivi finora previsti, ma non quelli del 50% fissati al 2025 dalla direttiva 2018/852/Ue, recepita nell’ordinamento nazionale. Tra ciò che non arriva al riciclo c’è anche la plastica esportata all’estero, prima in Cina, ora in altri Paesi del Sud-Est Asiatico, ma anche d’Europa. Sono diverse le criticità riconosciute a livello globale: dai bassi livelli di riutilizzo e di riciclaggio di plastiche a fine vita, soprattutto in confronto ad altri flussi di materiali (come carta, vetro o metalli), alle percentuali di smaltimento in discarica e negli inceneritori, ancora troppo elevate, fino alla scarsa domanda sul mercato di plastiche riciclate. “L’attuale sistema di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio individua la Responsabilità estesa del produrre (Epr) – ha spiegato Lanz – attraverso lo strumento economico del contributo ambientale, quale sostegno dei costi di raccolta e trattamento. E il recepimento delle direttive del pacchetto Economia circolare, prevedendo la possibilità di estendere il principio di Epr ad ulteriori flussi di rifiuti, rappresenta un’opportunità per creare un circuito di valorizzazione anche per le plastiche non da imballaggio”.

fonte: www.ilfattoquotidiano.it


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Ecco il Manifesto per lo sviluppo dell’eolico offshore in Italia

Togni (ANEV): “Rappresenta una svolta epocale per il settore eolico. Finalmente si prende atto del potenziale dell’energia del vento nei mari italiani”



Lo sviluppo dell’eolico offshore in Italia è uno dei tasselli fondamentali del PNIEC, il Piano contenente gli obiettivi nazionali 2030 su clima ed energia. Il documento governativo ha previsto infatti per quella data la realizzazione di almeno di 900 MW eolici nelle acque mediterranee. “Almeno” perché, tra nuove tecnologie e target UE di decarbonizzazione rivisti al rialzo, tutte le rinnovabili dovranno impegnarsi di più. Per garantire che anche i futuri aerogeneratori in mare partecipino alla transizione energetica mantenendo alta la sostenibilità complessiva, nasce il Manifesto sviluppo dell’eolico offshore in Italia. Lanciato nel corso di Key Energy – Ecomondo 2020, il manifesto riporta le firme e l’impegno di ANEV (l’associazione nazionale dei produttori eolici), Legambiente, Greenpeace e Kyoto Club.

Le quattro realtà hanno messo nero su bianco la decisione di avviare azioni comuni di sostegno all’eolico marino attraverso le loro differenti attività, impegnandosi a supportare uno sviluppo tecnologico rispettoso dell’ambiente e del paesaggio. Ma chiedono anche che sia garantita la massima trasparenza e informazione intorno ai progetti.

“Le attenzioni progettuali – si legge nel Manifesto – dovranno includere la minimizzazione delle modifiche dell’habitat bentonico in fase di cantiere e di esercizio, il ripristino degli ambienti alterati nel corso dei lavori di costruzione e la restituzione alla destinazione originaria delle aree di cantiere, nonché la possibilità di individuare all’interno dei parchi aree di ripopolamento di flora e fauna“. Un focus particolare dovrà essere riservato secondo i firmatari alla presenza degli “habitat prioritari” riportati nell’allegato I della Direttiva Habitat (Dir. n. 92/43/CEE), come ad esempio le praterie di Posidonia Oceanica; stesso discorso per le aree corridoio per l’avifauna migratoria interessate da flussi costanti nei periodi primaverili e autunnali, le Aree Marine Protette ed quelle archeologiche.

“È un segnale importante quello dato dalle principali associazioni ambientaliste che insieme all’ANEV firmano un Manifesto che rappresenta una svolta epocale per il settore eolico” ha dichiarato Simone Togni, Presidente dell’ANEV “Finalmente si prende atto del potenziale dell’energia del vento nei mari italiani. Il settore eolico offshore italiano è pronto a portare in Italia i benefici connessi con la propria attività, seguendo come di consueto i protocolli e le regole di tutela e salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio e offrendo in più, a fronte del potenziale di 900 MW installati, energia pulita pari a 2,38 TWh all’anno e 1.200 nuovi posti di lavoro”.

fonte: www.rinnovabili.it


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Ecomondo e Key Energy 2020: le novità di quest’anno

Poche settimane al via di Ecomondo e Key Energy 2020, edizioni attese da diverse novità sul fronte dell'innovazione e della sicurezza.



Mancano ormai poche settimane al ritorno di Ecomondo e Key Energy. Quelle 2020 saranno edizioni che vedranno alternarsi la presenza in loco con la partecipazione all’evento tramite piattaforme digitali. Diverse le novità in programma, come annunciato da Italian Exhibition Group (IEG). Tra i punti fermi l’attenzione internazionale verso l’economia circolare e le energie rinnovabili.

L’appuntamento è come ogni anno presso la Fiera di Rimini. Ecomondo e Key Energy 2020 si svolgeranno dal 3 al 6 novembre. Importante la risposta alle nuove esigenze poste dall’emergenza Coronavirus, come confermato da Lorenzo Cagnoni, presidente IEG:

Abbiamo reagito al massimo delle nostre energie, come sappiamo fare. Ed eccoci qui, grazie alla fiducia degli espositori e delle aziende che hanno voluto confermare la loro partecipazione. Ecomondo e Key Energy mostreranno quanto il sistema fieristico sia essenziale per il business e le aziende. Lo abbiamo sperimentato recentemente sul campo a VOICE, l’evento per l’oreficeria e la gioielleria che si è svolto nel quartiere fieristico di Vicenza con la convinta soddisfazione di tutti gli operatori.

Ecomondo 2020 e Key Energy punteranno in maniera chiara sull’innovazione, ha sottolineato l’amministratore delegato di IEG Corrado Peraboni. Anche in termini di sicurezza:

Una parola che abbiamo imparato a declinare in questi mesi è innovazione. Noi abbiamo introdotto una forte dose di innovazione per organizzare queste manifestazioni. Abbiamo lavorato su differenti protocolli di sicurezza, dal montaggio degli stand al catering, per rendere sicura l’esperienza anche prima di entrare in fiera.

IEG ha preso in carico tutti i costi dello sforzo organizzativo per i protocolli di sicurezza, perché i nostri espositori possano pensare solo a incontri di business e conoscenza. Ecomondo e Key Energy saranno manifestazioni ibride: in presenza e con un nostro canale digitale finalizzato al b2b.

Ecomondo 2020 tra Green Deal e obiettivi climatici

Si conferma stretto il rapporto tra Ecomondo e la Green Economy, mentre occhi puntati quest’anno sul Green Deal. Come sottolineato da Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile:

Il Green Deal si configura come chiave fondamentale per l’utilizzo dei 209 miliardi del Recovery Fund, un’occasione storica per il cambiamento del modello di sviluppo. Perciò l’edizione di quest’anno degli Stati Generali della green economy dovrà contribuire a cogliere questa opportunità.

Se pensiamo al nuovo target europeo di riduzione delle emissioni al 55%, potete immaginare il cambiamento nel sistema energetico. Poi la mobilità sostenibile, la qualità ecologica del sistema alimentare, i temi climatici, ma anche la qualità della vita. Le politiche di green economy hanno efficacia se riescono a insediarsi nelle città.

Inevitabile anche una profonda riflessione sul ruolo delle rinnovabili in relazione agli obiettivi climatici. A sottolinearlo Gianni Silvestrini, presidente del Comitato scientifico di Key Energy:

La scelta europea di alzare gli obiettivi climatici ci obbliga ad accelerare moltissimo su rinnovabili, efficienza e mobilità elettrica. È una grande opportunità per questa manifestazione, se pensiamo solo al potenziale di crescita del settore fotovoltaico, mercato destinato a decuplicare la potenza annua installata grazie al combinato disposto di riduzione dei prezzi e del nuovo traguardo proposto dalla Commissione. Elementi che fanno sperare solidamente nella crescita di settore e di una manifestazione che ha i suoi capisaldi nelle rinnovabili, l’efficienza energetica e la mobilità elettrica e la smart city.

Ha concluso Fabio Fava, presidente del Comitato scientifico di Ecomondo, riferendosi alla crescente centralità dell’economia circolare:

Questa edizione parte con una buona notizia, e cioè che l’economia circolare è al centro delle strategie dell’Europa e del nostro Paese. L’impatto del Covid19 sulle filiere e sull’innovazione delle stesse, come la digitalizzazione industriale, nei servizi e la rigenerazione ambientale, saranno fattori decisivi nell’implementazione di questo paradigma.

fonte: www.greenstyle.it


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Assorbenti e pannolini diventano sedie in plastica

















Presentata a Ecomondo 2019 FaterSmart, una tecnologia tutta italiana. I prodotti assorbenti potrebbero non finire in discarica e avere nuova vita; un gran risparmio per le discariche italiane che attualmente ricevono 1 milione di tonnellate di rifiuti all’anno.
Riciclare è dare una seconda vita: spesso però alcuni rifiuti finiscono negli inceneritori perché non destinati alla trasformazione. È il caso dei prodotti assorbenti monouso, un rifiuto che necessariamente finisce in discarica, con importanti ricadute negative per l’ambiente e per l’economia.
Dall'ultimo Rapporto dei rifiuti urbani dell’Ispra, emerge come la percentuale di rifiuti derivanti da prodotti assorbenti monouso per la persona (ovvero pannolini e assorbenti) sia circa il 3,5% – 4%  del totale generato in Italia, pari a circa 1 milione di tonnellate all’anno. 10 milioni sono i prodotti assorbenti per la persona che ogni giorno vengono gettati nelle pattumiere, 40 milioni in 4 giorni, 7 mila al minuto.
Per far fronte a questi numeri FaterSMART ha sviluppato una tecnologia in grado di trasformare gli assorbenti per la persona in oggetti di uso quotidiano, imballaggi e nuovi prodotti assorbenti.
Il brevetto tutto italiano di FaterSmart prevede che da una tonnellata di pannolini usati conferiti alla raccolta differenziata si possano ottenere 150 kg di cellulosa, 75 kg di plastica e 75 kg di polimero super assorbente. Queste materie prime seconde possono dar vita ad una infinità di prodotti. Ad esempio con 227 kg di pannolini usati riciclati è possibile produrre una sedia di plastica, grucce e mollette, cartoni per imballaggi industriali e nuovi prodotti assorbenti. 

La scorsa settimana FaterSmart è stato ospite di Ecomondo, l’expo della Green Technology di Rimini: le novità sono statepresentate all’interno dello stand, insieme allo Smart-Bin -il cassonetto intelligente per la raccolta differenziata dei pannolini- e all'impianto che permette il riciclo dei prodotti assorbenti per la persona e il recupero di plastica, cellulosa e del polimero super assorbente di alta qualità. Il loro hashtag è #chiudiamoilcerchio, perché solo attraverso politiche di economia circolare, la collaborazione e la sinergia a livello nazionale è possibile segnare la svolta.
In Veneto, nella provincia trevigiana, è nato il primo impianto di riciclo su scala industriale, Contarina spa a Lovadina di Spresiano. Allo stato attuale la raccolta differenziata di tale frazione è già stata introdotta in circa 900 comuni italiani, 14 milioni di abitanti circa.
Un grande ostacolo è stato quello normativo. Sebbene l’impianto sia pronto da anni, si è dovuto attendere luglio 2019 per il cosiddetto decreto sull’end of waste dei prodotti assorbenti usati per la persona che ha consentito a questa innovativa tecnologia di valorizzare tale tipologia di rifiuti, in piena sintonia con i principi dell’economia circolare. Per chiudere il cerchio però è necessario che le autorità locali si attivino per consentire la realizzazione di nuovi impianti di riciclo dei pannolini in Italia.
Se esteso a tutta Italia il riciclo di questi rifiuti potrebbe consentire di risparmiare ogni anno il consumo di 10 ettari di suolo, ovvero lo spazio occupato da 14 campi da calcio. In termini di emissioni è come se si riducesse l’inquinamento prodotto ogni anno da 100 mila automobili.

fonte: https://www.nonsoloambiente.it

Ciclo dei rifiuti, end of waste ed economia circolare

Il Snpa ha partecipato in modo attivo e portando diversi contributi ai tanti eventi previsti ad Ecomondo, in questa pagina pubblichiamo le presentazioni del direttore generale di Ispra, Alessandro Bratti, su alcuni temi di particolare interesse per il Sistema.







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fonte: whttp://www.snpambiente.it

L’Italia non sa dove mettere (almeno) 2,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali l’anno


A causa della carenza impiantistica i costi di smaltimento sono cresciuti del 40% negli ultimi due anni, con aggravi da 1,3 miliardi di euro che finiranno per colpire i prezzi dei prodotti acquistati dalle famiglie e l’occupazione

















I rifiuti speciali prodotti dall’Italia nel 2017 (l’ultimo aggiornamento reso disponibile dall’Ispra) sono 138,9 milioni di tonnellate: nonostante si tratti di un dato per il 43% frutto di stime, in quanto – per dirla con l’ex presidente dell’Ispra Bernardo de Bernardinis – a proposito di rifiuti speciali  la «certezza dell’informazione nel nostro Paese è un’utopia», l’ammontare è pari a oltre il quadruplo rispetto ai rifiuti urbani. Il problema è che mentre i rifiuti speciali continuano a crescere, gli impianti dove poterli gestire in sicurezza sono sempre meno, tanto da arrivare ormai a una crisi conclamata come spiega lo studio I rifiuti speciali e la competitività del sistema delle imprese presentato da Utilitalia – la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche – a Ecomondo.
Realizzato da Ref ricerche in collaborazione con la Fondazione Utilitatis, lo studio mostra che nel 2017 non ha saputo gestire 2,1 milioni di tonnellate dei rifiuti speciali che ha prodotto: la somma delle quantità di rifiuti esportate (circa 1,3 milioni di tonnellate, al netto dell’import) e di quelle stoccate e destinate a smaltimento (circa 700mila tonnellate).
Di fatto la produzione di rifiuti speciali continua a crescere – tra il 2016 e il 2017 del +1,6%, ovvero a velocità quasi doppia rispetto al Pil nazionale –, ma se gli impianti per poter gestire questo flusso i costi crescono. Nello studio si stima che negli ultimi due anni i rincari dei costi di smaltimento siano stati del +44% (suddivisi tra il +35% per i rifiuti non pericolosi e +100% per i pericolosi), con un aggravio pari a quasi 1,3 miliardi di euro..
Tra le cause che mettono in evidenza la fragilità del sistema di gestione, lo studio ne mette in evidenza alcune in particolare: il forte aumento della produzione di rifiuti speciali nel triennio 2016-2018; la chiusura del mercato cinese alle importazioni di rifiuti (plastica riciclabile, residui tessili e carta di qualità inferiore) nel gennaio del 2018; la sentenza del Consiglio di Stato del febbraio del 2018 che ha bloccato l’End of Waste, fermando l’intera filiera dell’economia circolare; lo stop ai fanghi di depurazione in agricoltura e anche l’incremento della raccolta differenziata, in particolare nel Mezzogiorno, che ha aumentato notevolmente la necessità di smaltimento degli scarti provenienti dal riciclo. A pagare per questi squilibri, senza una presa in carico da parte delle istituzioni è soprattutto la competitività dell’intero sistema delle imprese, con aggravi di costo che finiranno per ripercuotersi sui prezzi dei prodotti acquistati dalle famiglie e sull’occupazione, e in ultimo nella delocalizzazione delle attività maggiormente esposte.
«Occorre ripensare profondamente la gestione dei rifiuti del Paese – spiega Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia – superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali, realizzando gli impianti necessari, per assicurare uno sbocco allo smaltimento in prossimità, almeno ai rifiuti che non presentano necessità di impianti dedicati e specifici».
La sofferenza impiantistica, tradizionalmente riconosciuta per i rifiuti urbani, è ormai una causa di crisi anche per il mercato di quelli speciali: occorre una risposta pragmatica e non ideologica al problema, che va in primis riconosciuto con precisione nelle sue dimensioni. «L’acclamato Green new deal – argomenta Brandolini – non può non passare prima per una misurazione dei fabbisogni, che preluda alla chiusura del ciclo dei rifiuti e alla realizzazione degli impianti mancanti per il recupero e il trattamento, e che incentivi l’utilizzo delle materie prime seconde. Avere una piena coscienza sui fabbisogni del proprio territorio, può avere diversi aspetti positivi per le amministrazioni regionali: basti pensare alla possibilità di realizzare gli impianti necessari in grado di colmare il deficit, di sensibilizzare le comunità locali e di responsabilizzare gli attori economici al raggiungimento dei target ambientali; e ancora all’opportunità di calmierare i prezzi, di riuscire a governare situazioni di emergenza e di promuovere politiche di prevenzione della produzione dei rifiuti. Per tutti questi motivi ribadiamo la necessità di una strategia nazionale che disegni le strategie per i prossimi anni in un’ottica di economia circolare».
Anche perché l’avvio di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti – come sottolinea lo studio – non richiede uno sforzo economico allo Stato o agli enti territoriali, piuttosto “solo” il sostegno e la condivisione di una strategia d’azione in grado di ricostruire un rapporto fiduciario tra le istituzioni e le comunità dei territori chiamati a ospitare gli impianti, superando le sindromi Nimby che paradossalmente hanno come prima vittima lo sviluppo sostenibile.

fonte: www.greenreport.it

Rifiuti organici: Italia terza in Europa per trattamento

Utilitalia: “Il nostro Paese è all’avanguardia nella gestione del rifiuto organico, ma servono misure concrete a sostegno della filiera”


















Quando si tratta di gestire i rifiuti organici, l’Italia non ha bisogno di lezioni da terze parti. Il Belpaese, infatti, è terzo in Europa per quantità di frazione organica urbana trattata, subito dopo Germania e Regno Unito, e quinto per numero di impianti presenti sul territorio. Buoni piazzamenti dietro cui si trovano una cultura sempre più attenta al problema e specifiche politiche incentivanti, che hanno aiutato il comparto nell’ultimo anno e mezzo.Tra un primo e un terzo posto, però, la differenza esiste e il gap va cercato in quei nodi strutturali ancora da sciogliere. A fare conti con le difficoltà, che tuttora assillano la gestione nazionale dei rifiuti organici, è oggi Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, in occasione di Ecomondo-Key Energy 2019.

L’Italia ha avviato prima di molti altri la raccolta differenziata dell’umido e del verde urbano, raggiungendo importanti tassi di intercettazione (si registra un valore medio di 107 kg procapite l’anno) ed elevati livelli qualitativi. Attualmente l’organico rappresenta la principale frazione merceologica dei rifiuti urbani sia dal lato produzione che da quello della raccolta (più del 40% del totale) e, soprattutto, la quota che cresce più velocemente. Peccato che le centrali di trattamento non stiano aumentando con la stessa velocità: gli impianti non sono ancora diffusi in maniera omogenea sul territorio nazionale, andando incontro in alcuni casi a vere e proprie carenze.
Ciò fa emergere diversi dubbi sulla capacità di tenere il passo con dettami verdi dell’Unione Europea. Il pacchetto di norme sull’Economia circolare – voluto da Bruxelles – impone di alzare progressivamente riciclo dei rifiuti urbani, per arrivare una quota del 65% sul totale raccolto entro il 2035 (leggi anche Ok al Pacchetto economia circolare: riciclo al 65% entro il 2035).
Gestire il comparto, anche in vista degli obiettivi UE, richiede un nuovo approccio sistemico, come spiega Alberto Ferro, responsabile Raccolte Differenziate e Riciclo di Utilitalia “Occorre ragionare in termini di filiera, una filiera composta da Comuni e aziende che, con la fondamentale collaborazione dei cittadini, raccolgono i rifiuti organici in modo differenziato, da impianti di trattamento che trasformano i rifiuti organici in fertilizzanti organici e biometano, fino al comparto agricolo e all’industria dei trasporti in cui questi prodotti vengono valorizzati”
Chi oggi è riuscito già a chiudere il cerchio, è anche stato in grado di ridare ai territori le risorse, contenute in questi scarti, sotto forma di energia rinnovabile e fertilizzanti organici. “Il biometano in particolare rappresenta un’opportunità di crescita in termini industriali e di sostenibilità dei servizi erogati dalle utility nazionali –  ha sottolineato il Vice Presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini […] può valorizzare le reti territoriali di distribuzione del gas e rappresentare un’occasione di rinnovamento delle flotte aziendali e del trasporto pubblico verso un ridotto impatto ambientale”.
L’approccio suggerito dalla Federazione permetterebbe di limitare i viaggi dei rifiuti tra le diverse aree del Paese, dando così la possibilità ad ogni territorio di chiudere il cerchio e ottenere i relativi vantaggi. Perché ciò succeda, tuttavia, è anche necessario eliminare l’incertezza normativa. È, ad esempio, il caso dell’End of Waste: il ritardo ha frenato in questi anni l’iter autorizzativo (e quindi la realizzazione) di impianti innovativi di trattamento dell’organico. “Alla luce dei ritardi dati da questa incertezza normativa e per sfruttare al massimo il potenziale dato dal biometano nella transizione all’economia circolare – ha concluso Brandolini – Utilitalia chiede che la scadenza al 31 dicembre 2022 per l’accesso agli incentivi sia adeguatamente posticipata”.

fonte: www.rinnovabili.it