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RifiutiSpeciali: richiesta di legge sul commercio della plastica






Senza un regolamento che disciplini la restituzione dei contenitori e di tutta la plastica adoperata in agricoltura (tubazioni e raccorderia, cassette per piantine e per il prodotto, teli di pacciamatura neri e trasparenti, archetti, ecc. ) la situazione è

Pnrr, ripartenza e bonus 110%: attenzione ai rifiuti speciali




Presentati da Ispra i dati nazionali riferiti al 2019 per produzione e gestione dei rifiuti delle attività produttive.

Con 10,5 milioni di tonnellate in più prodotte nel 2019, in linea con la crescita del PIL, la produzione di rifiuti speciali in Italia sfiora la cifra di 154 milioni di tonnellate. Il 45,5% è costituito dai rifiuti provenienti dal settore delle costruzioni e demolizioni (oltre 70 milioni di tonnellate).



Molto bene il riciclo: si recupera materia dal 69 % dei rifiuti avviati a gestione, solo il 7,3% è smaltito in discarica. Il recupero è molto efficiente soprattutto su quelli da demolizione e costruzione, per i quali l’Italia con un 78,1% si attesta sopra l’obiettivo europeo di recupero (70% entro il 2020). Meno bene per i veicoli fuori uso: siamo al di sotto di quanto richiesto dall’Europa in termini di recupero totale del veicolo (84,2% a fronte di un target UE del 95%). La sfida per la nostra industria è diminuire la quantità di rifiuti speciali attraverso l’ottimizzazione dei cicli produttivi e la ecoprogettazione, applicando tecniche in grado di rendere i prodotti maggiormente riciclabili o facilmente smontabili.

A gestire e produrre la maggior parte dei rifiuti speciali in Italia sono le regioni del Nord dove il tessuto industriale è più sviluppato: 88,6 milioni di tonnellate (57,6% del dato complessivo nazionale) sono prodotti in quest’area del Paese e oltre la metà degli impianti di gestione operativi si trova al Nord. Soprattutto in Lombardia, dove sono localizzate 2.180 infrastrutture, il 20,1% del totale nazionale.

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2021/06/PPT-ISPRA-Rifiuti-speciali.pdf


Quest’anno il Rapporto Rifiuti Speciali dell’Ispra giunge alla sua 20° edizione e si conferma lo strumento principe a livello nazionale attraverso il quale avere un quadro di informazioni oggettivo, puntuale e sempre aggiornato sulla produzione e gestione dei rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi. Il Rapporto, predisposto dal Centro Nazionale dei rifiuti e dell’economia circolare di Ispra, in collaborazione con il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, esamina oltre 60 indicatori elaborati a livello nazionale, di macroarea geografica e regionale, nonché per attività economica e per tipologia di rifiuto.

I dati 2019 consentono di avere una fotografia completa della situazione pre-pandemia e di poter utilizzare queste cifre nella programmazione da mettere in campo in vista della ripartenza che attende il Paese grazie al Pnrr.



“Il Pnrr rappresenta un’ulteriore occasione per migliorare la nostra capacità di recupero dei materiali cercando di incrementare le prestazioni anche energetiche in campo edilizio – sottolinea il Direttore generale dell’Ispra Alessandro Bratti – Occorre potenziare e migliorare l’impiantistica per raggiungere gli obiettivi europei e per proporci sempre di più come leader a livello europeo nell’economia circolare”.

Online tutti i dati: https://www.catasto-rifiuti.isprambiente.it

fonte: www.snpambiente.it

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Tari e nuovi rifiuti urbani: corsa al decreto “sostegni”









La circolare del Ministero della Transizione Ecologica non ferma lo scontro sulla nuova classificazione dei rifiuti urbani. Sulle agevolazioni Tari plaudono le imprese, i comuni lanciano l'allarme ma per tutti è corsa agli emendamenti alla legge di conversione del decreto “sostegni”



 



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Vetroresina, da rifiuto a nuova risorsa

Lo smaltimento della vetroresina è un problema in tutto il mondo, ma negli ultimi anni in Italia c’è chi ha avviato delle iniziative per poter aprire degli spiragli al percorso del loro riciclo










Estremamente versatile, elastica e allo stesso tempo resistente. È la vetroresina che sin dagli anni ’50 ha preso piede nella costruzione di tutti quegli oggetti che avrebbero subito forti stimoli da agenti atmosferici ed è stata una soluzione per tantissimi settori: dall’automobilistico al nautico, dall’edile all’aerospaziale, dal dall’eolico all’agricolo, dal settore sportivo a quello chimico. Guardando il rovescio della medaglia, però, questi materiali sono rifiuti speciali, difficilmente smaltibili che vanno a costituire un onere per i cittadini e per le aziende che li producono e hanno un costo notevole per l’ambiente. Basti pensare che la quasi totalità degli scarti di lavorazione e dei rifiuti in vetroresina, nelle discariche italiane, viene smaltita a costi compresi tra 200 e 300 euro/t.

Da una ricerca Markets and Markets, fra scarti di produzione e prodotti a fine vita, si stima un accumulo mondiale di rifiuti in vetroresina di circa 2,4 milioni di tonnellate all’anno; di queste almeno 1 milione è prodotto in Europa e 100mila in Italia. Sempre in Italia, si stima la presenza di circa 30mila tonnellate di compositi accumulati negli anni, solo nelle discariche. E se per tanti anni questi laminati sono stati smaltiti soltanto come rifiuti speciali, da qualche tempo si è iniziato a pensare al loro riciclo. Da una collaborazione con l’Area Science Park di Trieste, nel 2010, nasce Gees Recycling, la prima azienda in Italia ad occuparsi di riciclo di plastiche fibrorinforzate.

«È un sistema di riciclo in due fasi: da un lato il trattamento meccanico, quindi tutta la gestione del rifiuto per trasformare sfridi industriali o prodotti a fine vita in materie prime secondarie; dall’altro, queste particelle vengono poi riagglomerate per creare nuovi materiali costruttivi. Noi operiamo sia nel riciclo e sia nella progettazione dei sistemi di economia circolare, ma cerchiamo anche di dare un supporto al produttore, al nostro interlocutore in termini di progettazione del nuovo prodotto, affinché la gestione del fine vita sia competitiva sotto tutti i punti di vista. Quanto alla riciclabilità del prodotto, noi abbiamo partecipato all’Interreg Italia-Slovenia Retracking, finalizzato al tracciamento del rifiuto attraverso una infrastruttura cloud. Noi recuperiamo queste informazioni nel momento in cui lavoriamo il materiale e quindi siamo poi in grado attraverso un counter elettronico posizionato nel pannello di restituire queste informazioni all’utente» spiega Franco Mioni, AD Gees Recycling Srl.

Aperto nel 2020 a Bergamo, l’impianto pilota di Korec con una tecnologia diversa, per nuove opzioni nell’economia circolare.

«Quello che abbiamo messo a punto – aggiunge Laura Saviano, CEO e project manager Korec Srl – è un processo di tipo termochimico che riesce a riciclare la vetroresina, ovvero non solo a separare la componente fibra dalla parte organica di cui è composta la vetroresina, ma riusciamo anche a recuperare la resina di partenza contenuta nel rifiuto, quindi la parte organica, generando con il nostro processo un liquido organico che ha la particolarità di avere ancora la capacità di polimerizzare, quindi, miscela con resina vergine normalmente adoperata in commercio per produrre vetroresina, può essere riutilizzata per produrre nuovi oggetti in vetroresina, quindi essere reimmessa nello stesso ciclo produttivo di partenza».

fonte: www.riciclanews.it/


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Comunicato stampa - Umbria, il turismo dell'immondizia

 





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Ridurre i rifiuti edili in Europa

I rifiuti da costruzione e demolizione hanno grosse potenzialità di riciclo, per questo l’economia circolare ci punta

















I rifiuti da costruzione e demolizione rappresentano uno dei maggiori flussi di rifiuti in tutta Europa, tanto da rappresentare un importante tassello dell’economia circolare, per questo, l’UE prevede alti tassi di riciclo di questa tipologia di rifiuti, che, però, non sono ancora stati raggiunti se non in pochi paesi membri.

Le percentuali di rifiuti edili riciclati variano da paese a paese, dal 54% al 100%, ma i dati non costituiscono al momento una base solida in quanto sono raccolti ed elaborati in modo differente nei diversi paesi europei.

Il report recentemente prodotto dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, Construction and demolition Waste, mette in evidenza come non sia importante solo il quantitativo di rifiuti edili riciclati o riusati ma la “qualità del riciclaggio”, per lo più, ad oggi, questi materiali, una volta riciclati, perdono parte del loro valore, tanto che si parla di downcycling (recupero di basso grado). Al momento, infatti, il recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione si basa prevalentemente su operazioni di riempimento, ovvero si usano i rifiuti da macerie per riempire i buchi nei cantieri oppure il cemento o le pietre riciclate e frantumate (aggregati) per la realizzazione di fondi stradali.


Il tipo di riciclo è molto importante, se si vuole realmente perseguire gli obiettivi dell’economia circolare, bisogna evitare il riciclaggio di basso valore (o basso grado), che non garantisce alla materia di mantenere il suo flusso nel tempo e che dà vita a prodotti che sono scadenti e difficilmente assoggettabili a nuovi processi di riciclaggio.

La normativa europea nell’affrontare il tema dei rifiuti edili, pone alcuni principi, quali:
la prevenzione, l’obiettivo è e rimane quello di ridurre la mole di rifiuti prodotti
la riduzione, ancora meglio l’eliminazione, di tutte le sostanze tossiche presenti nei materiali da costruzione
l’alta percentuale di riciclaggio, non solo quantitativa ma anche qualitativa
l’abbattimento delle emissioni ad effetto serra prodotte dalla gestione dei rifiuti edili.

Guardando a queste priorità, ci rendiamo facilmente conto cheportare i rifiuti edili in discarica non costituisce la migliore soluzione, in quanto poco sostenibile, nonostante, ad oggi, sia ancora la scelta più comune, almeno nel nostro paese.

Qualcosa sta cambiando, il tema dell’economia circolare sta diventando sempre più “famigliare” anche nel mondo delle imprese edili che cominciano ad interessarsi alla demolizione selettiva, in modo da avere rifiuti omogenei più facili da riciclare.

Il momento è favorevole, infatti, la Direttiva 2018/851/UE modifica alcune definizioni e concetti contenuti nella precedente direttiva 2008/98/CE, anche con riferimento ai rifiuti da costruzione e demolizione. Questa stabilisce che gli Stati membri adottino misure intese a promuovere la demolizione selettiva al fine di consentire la rimozione e il trattamento sicuro delle sostanze pericolose e facilitare il riutilizzo e il riciclaggio di alta qualità tramite la rimozione selettiva dei materiali, nonché garantire l’istituzione di sistemi di cernita dei rifiuti da costruzione e demolizione almeno per legno frazioni minerali (cemento, mattoni, piastrelle e ceramica, pietre), metalli, vetro, plastica e gesso.

Occorrerà quindi attendere il recepimento di questa nuova direttiva nel nostro ordinamento (che era prevista per il 5 luglio 2020) per comprendere meglio come questi principi troveranno reale applicazione nel nostro Paese.

In attesa di una normativa nazionale, esistono diversi materiali , che non rappresentano obblighi giuridici, che forniscono un aiuto per eseguire al meglio l’attività di recupero degli inerti nei cantieri, come
il protocollo redatto, a livello europeo, nel 2012, nell’ambito della strategia per il settore delle costruzioni 2020, nonché della Comunicazione sulle opportunità per migliorare l’efficienza delle risorse nell’edilizia
il documento elaborato da ISPRA nel 2016 , denominato “Definire criteri e indirizzi condivisi per il recupero dei rifiuti inerti”
la recente Prassi di Riferimento UNI/PdR 75:2020, a cura dell’UNI, pubblicata nel febbraio del 2020 con il titolo “Decostruzione selettiva – Linea guida per la decostruzione selettiva e il recupero dei rifiuti in un’ottica di economia circolare”

Recuperare i rifiuti edili richiede di sostenere dei costi e la demolizione selettiva necessita l’utilizzo di macchine specializzate, tutto questo ha un costo che incide sui lavori da realizzare ma crea anche un beneficio economico in quanto si abbattono le spese legate allo smaltimento dei rifiuti in discarica, ed oltre a ciò, molti materiali potranno essere riusati, evitando l’acquisto di inerti naturali.

Il vantaggio non è solo economico ma anche ambientale. Gli impatti ambientali prodotti dal settore delle costruzione non si limitano alla gestione dei rifiuti da costruzione e demolizione ma riguardano anche le emissioni in atmosfera. La sfida climatica, nel settore edilizio, è collegata principalmente al consumo energetico e le soluzioni prospettate prevedono il passaggio alle energie rinnovabili e l’attuazione di misure di efficienza energetica.

La costruzione e la manutenzione degli edifici comporta il consumo di quasi la metà di tutti i materiali che entrano nell’economia globale e genera circa il 20% di tutte le emissioni di gas serra.

Il consumo energetico nel settore dell’edilizia è calcolato in tutte le sue fasi, dall’estrazione alla demolizione, escluso la fase di utilizzo. Per comprendere bene quale sia il consumo di energia bisogna fare riferimento alla performance del prodotto e non semplicemente considerare un consumo in base al peso del prodotto stesso. Le emissioni di CO2 prodotte dai materiali da costruzione costituiscono il 40-50% dell’impronta di carbonio totale di un edificio destinato ad uffici, principalmente a causa della produzione del cemento e dell’acciaio necessari per edificarlo.

Si stima che, entro il 2050, i materiali utilizzati in edilizia produrranno emissioni pari a 250 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 in uno scenario di riferimento in cui saranno realizzati secondo i processi produttivi odierni.

L’Agenzia europea per l’ambiente, in un recente briefing, è andata a vedere quali azioni specifiche verso un’economia più circolare nel settore dell’edilizia hanno più efficacia nella riduzione delle emissioni: diminuire l’uso di calcestruzzo, cemento e acciaio può ad esempio ridurre fino al 61% le emissioni di gas a effetto serra legate ai materiali da costruzione emesse durante il ciclo di vita di un edificio.

La valutazione dell’Agenzia europea presenta un nuovo approccio metodologico, sviluppato insieme ad un consorzio di esperti, che può aiutare ad identificare e dare priorità a quelle azioni di economia circolare che possono contribuire maggiormente a ridurre le emissioni in qualsiasi settore (nell’immagine a fianco i passaggi della metodologia).

Lo studio ha scoperto che ciascuna delle fasi del ciclo di vita di un edificio – dalla progettazione, alla produzione, all’utilizzo, alla demolizione e alla gestione dei rifiuti – offre ricche opportunità per una maggiore circolarità e riduzioni delle emissioni.

Fino a due terzi delle emissioni globali di gas a effetto serra sono correlate ai flussi di materiali e al modo in cui li procuriamo, consumiamo e smaltiamo. Questo rende il settore un’area importante per ulteriori riduzioni.

Rendere gli edifici più circolari nel corso del loro ciclo di vita significa progettarli e utilizzarli in modo più efficiente, facendoli durare più a lungo, nonché riutilizzare e riciclare i materiali da costruzione anziché acquistarne di nuovi.

La maggior parte delle azioni selezionate riguarda il calcestruzzo, il cemento e l’acciaio, che hanno un forte impatto in termini di emissioni di gas serra e sono utilizzati in grandi quantità nel settore edile europeo. Questi materiali possono essere ridotti se la loro domanda viene ridotta attraverso una progettazione e una produzione più intelligenti, nonché riutilizzandoli e riciclandoli al termine del ciclo di vita dell’edificio. Altre azioni che vanno dall’aumento del tasso di occupazione dell’edificio al miglioramento della manutenzione che prolunga la vita di un edificio offrono un buon potenziale per ridurre le emissioni.

Approfondisci:

Construction and demolition Waste
Cutting greenhouse gas emissions through circular economy actions in the buildings sector


fonte: https://www.snpambiente.it



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Sul conferimento di rifiuti nelle cementerie il WWF pretende immediata chiarezza!













Il WWF, in data 31 maggio 2020, a fronte del dilagare delle notizie che i cementieri Eugubini avrebbero presentato istanza in Regione per conferire i rifiuti nei loro impianti, ha formulato richiesta di informazioni ambientali ex art. 2 d.lgs. 195/2005 per conoscere la veridicità di tali notizie e il dettaglio autorizzativo ed esecutivo di tale conferimento.
Non va sottovalutata dalla Regione, autorità decidente né dal Comune di Gubbio la delicatezza e complessità di certe decisioni che riguardano direttamente l'ambiente e la tutela della salute di Tutti.
Occorre che gli Enti chiamati ad esprimersi in merito (Usl e Arpa compresi) facciamo immediata chiarezza e partecipino la popolazione tutta, stanca di vedersi calare dall'alto scelte fondamentali in materia ambientale in spregio alle convenzioni di Rio de Janeiro del 1992, di Aarhus del 1998, ratificate dal legislatore nazionale.
L'incenerimento, tanto meno per una regione di piccole  dimensioni come l' Umbria, non può essere la soluzione di smaltimento del rifiuto, non ne abbiamo bisogno. Dove sono finite le promesse politiche di puntare sul recupero e riciclo del rifiuto? 
Ma di non minore importanza, l'incenerimento dei rifiuti non chiude certo il cerchio dell'economia circolare: i milioni di metri cubi di ceneri prodotte devono essere comunque smaltite in discarica come rifiuto speciale. 
Il WWF, da anni accanto ai cittadini nella salvaguardia della pubblica salute e dell'economia umbra, costituita prevalentemente da agricoltura e turismo, attende con ansia un riscontro alla sua istanza e combatterà accanto alle associazioni e comitati locali, perché la peggiore forma di utilizzo delle cementerie non abbia esito.  

WWF Umbria


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I numeri del Rapporto Rifiuti Speciali di Ispra















Cresce la produzione dei rifiuti speciali in Italia: gli ultimi dati disponibili indicano che la produzione aumenta del 3,3% (circa 4,6 milioni di tonnellate) arrivando a superare 143 milioni di tonnellate. I rifiuti non pericolosi, che rappresentano il 93% del totale di quelli prodotti, crescono di oltre 4 milioni di tonnellate (+3,3%), mentre quelli pericolosi di 376 mila tonnellate (+3,9%).


Ispra ha presentato la diciannovesima edizione del Rapporto Rifiuti Speciali (qui l’edizione integrale), che ogni anno fornisce un quadro di informazioni oggettivo e puntuale sulla produzione e gestione dei rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi. Il lavoro, realizzato dall’Istituto in collaborazione con SNPA, esamina oltre 60 indicatori proposti a livello nazionale, di macroarea geografica e regionale.

Confermata l’incidenza del settore costruzioni e demolizioni sulla produzione complessiva: con oltre 60 milioni di tonnellate è quello che concorre maggiornamente (42,5% del totale prodotto), seguito dalle attività di trattamento dei rifiuti e di risanamento – ad esempio, le bonifiche – (oltre 38 milioni di tonnellate prodotte che contribuiscono al 26,5% del totale) e dall’insieme delle attività manifatturiere la cui produzione, 28,6 milioni di tonnellate, sfiora il 20%. Le altre attività economiche contribuiscono, complessivamente, alla produzione di rifiuti speciali con una percentuale dell’11% (15,8 milioni di tonnellate).


Il settore manifatturiero produce il 37,1% del totale dei rifiuti speciali pericolosi, corrispondente a oltre 3,7 milioni di tonnellate. Il 33,7% è attribuibile alle attività di trattamento rifiuti e di risanamento, pari a quasi 3,4 milioni di tonnellate; segue il settore dei servizi, del commercio e dei trasporti (19,8%) con quasi 2 milioni di tonnellate, di cui 1,4 milioni di tonnellate di veicoli fuori uso. La maggior parte dei rifiuti pericolosi prodotti dal settore manifatturiero deriva dal comparto metallurgico, da quello della fabbricazione di prodotti chimici e farmaceutici, della fabbricazione di coke e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio e della fabbricazione di prodotti in metalli.
Al nord Italia si producono quasi 84,9 milioni di tonnellate (59,2% del dato complessivo nazionale). La produzione del Centro si attesta a 25,1 milioni di tonnellate (17,5% del totale), mentre quella del Sud a 33,4 milioni di tonnellate (23,3%).
La Lombardia produce 32,3 milioni di tonnellate (38% del totale dei rifiuti speciali generati dal nord Italia), il Veneto 15,9 milioni di tonnellate (18,7% della produzione totale delle regioni settentrionali), l’Emilia-Romagna 14,5 milioni di tonnellate (17,1%) e il Piemonte 11,1 milioni di tonnellate (13,1%).

Tra le regioni del Centro, i maggiori valori di produzione si riscontrano per la Toscana con 9,8 milioni di tonnellate (38,9% della produzione dell’intera macroarea) e per il Lazio (9 milioni di tonnellate, 35,8%).
Al Sud, la Puglia con una produzione complessiva di rifiuti speciali pari a 8,9 milioni di tonnellate, copre il 26,5% del totale della macroarea geografica, seguita dalla Campania con 7,3 milioni di tonnellate (21,7%) e dalla Sicilia con 7,2 milioni di tonnellate (21,6%).
Gli impianti di gestione dei rifiuti speciali operativi nel 2018 sono 10.813 di cui 6.232 situati al Nord, 1.880 al Centro e 2.701 al Sud. In Lombardia sono localizzate 2.138 infrastrutture, il 19,8% circa del totale degli impianti presenti sul territorio nazionale. Gli impianti dedicati al recupero di materia sono 4.425 (41% del totale).


I rifiuti speciali gestiti in Italia nell’anno di riferimento, superano 152 milioni di tonnellate, di cui 143 (93,7% del totale gestito) non pericolosi e i restanti 9,6 milioni di tonnellate (6,3% del totale gestito) pericolosi.
Rispetto all’anno precedente si rileva un incremento del 3,7% dei rifiuti complessivamente gestiti; in particolare, le quantità avviate a operazioni di recupero aumentano di poco più del 4 %, e quelle avviate allo smaltimento del 4,5%. Il recupero di materia è predominante con il 67,7% (103,3 milioni di tonnellate). Le operazioni di smaltimento rappresentano circa il 19,3% (30,7 milioni di tonnellate). Le altre forme di gestione includono il coincenerimento (1,3%), l’incenerimento (0,8%) e gli stoccaggi (10,9%). Il Nord recupera più della metà del totale dei rifiuti complessivamente gestiti a livello nazionale (53%).
Il recupero di sostanze inorganiche è l’operazione più utilizzata, con oltre 58,6 milioni di tonnellate (38,4% del totale gestito). Tali rifiuti sono costituiti, perlopiù, da rifiuti derivanti da attività di costruzione e demolizione (49,1 milioni di tonnellate) e sono generalmente recuperati in rilevati e sottofondi stradali. Le operazioni di recupero dei metalli e dei composti metallici e di recupero di sostanze organiche rappresentano, rispettivamente, il 13,8% e il 7,4% del totale gestito.
Il recupero di materia è effettuato soprattutto in alcune regioni quali: Friuli Venezia Giulia dove si recupera il 78,5%, Trentino Alto Adige ( 77,8%), Campania ( 75,8%) e Lombardia nella quale si recupera il 74,5% del totale dei rifiuti gestiti nelle singole regioni. Circa 2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali sono stati coinceneriti in impianti industriali in sostituzione dei combustibili convenzionali, con un lieve incremento pari a 29 mila tonnellate rispetto al 2017 (+1,4%).
I settori produttivi che utilizzano le maggiori quantità di rifiuti in sostituzione di combustibili convenzionali sono il settore della produzione di energia elettrica, della fabbricazione di prodotti in legno, quello della raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti e il settore della produzione di cemento.
L’incenerimento dei rifiuti speciali con circa 1,2 milioni di tonnellate fa registrare una flessione di quasi 64 mila tonnellate (-5%). I rifiuti non pericolosi inceneriti sono quasi 772 mila tonnellate (64,5% del totale); la restante parte, pari a oltre 424 mila tonnellate (35,5% del totale), è costituita da rifiuti pericolosi.
Lo smaltimento in discarica interessa circa 11,9 milioni di tonnellate di rifiuti (il 7,8% del totale gestito), di cui circa 10,6 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi e 1,3 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi. Rispetto al 2017, si registra una leggera flessione, pari a 149 mila tonnellate (-1,2%).
Al Nord si smaltisce il 55,8% del totale dei rifiuti avviati in discarica, al Centro il 19,1% e al Sud il 25,1%. Circa 4,2 milioni di tonnellate sono allocate nelle discariche per rifiuti inerti (35% del totale smaltito), 6,6 milioni di tonnellate in quelle per rifiuti non pericolosi (55,9%), e circa 1,1 milioni di tonnellate nelle discariche per rifiuti pericolosi (9,1%).
La quantità totale di rifiuti speciali esportata nel 2018 è pari a circa 3,5 milioni di tonnellate (2,4% della produzione totale). I maggiori quantitativi sono destinati alla Germania (957 mila tonnellate) e sono prevalentemente rifiuti pericolosi (658 mila tonnellate) prodotti dalle attività di costruzione e demolizione (oltre 324 mila tonnellate) e da impianti di trattamento dei rifiuti (285 mila tonnellate).
I rifiuti importati sono pari a 7,3 milioni di tonnellate (5% dei rifiuti prodotti). L’88,4% (circa 7,2 milioni di tonnellate) è costituito da rifiuti non pericolosi ed il restante 1,6% (114 mila tonnellate) da rifiuti pericolosi. I quantitativi più rilevanti, pari a 2,1 milioni di tonnellate, provengono dalla Germania. Significative sono anche le quantità importate dalla Svizzera, oltre 1 milione di tonnellate, dalla Francia, 1 milione di tonnellate e dall’Austria, circa 828 mila tonnellate. La maggior parte dei rifiuti importati è costituita da rifiuti metallici destinati al recupero, principalmente in impianti produttivi localizzati in Friuli Venezia Giulia e in Lombardia.
fonte: https://www.snpambiente.it/




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Presentazione Rapporto Rifiuti Speciali – Edizione 2020

26/05/2020 dalle 15:00 alle 17:30 - Diretta streaming ISPRATV














Giunto alla sua XIX edizione, il Rapporto è frutto di una complessa attività di raccolta, analisi ed elaborazione di dati da parte del Centro Nazionale dei Rifiuti e dell’Economia Circolare dell’ISPRA, con il contributo delle Agenzie regionali e provinciali per la Protezione dell’Ambiente, in attuazione di uno specifico compito istituzionale previsto dall’art.189 del d.lgs. n. 152/2006. Il Rapporto Rifiuti Speciali – Edizione 2020 fornisce i dati, all’anno 2018, sulla produzione e gestione dei rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi, a livello nazionale e regionale, e per la gestione anche a livello provinciale; e sull’import/export.
fonte: https://www.snpambiente.it/



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Cessazione qualifica di rifiuto: le linee guida del Sistema nazionale per la protezione ambientale

Le novità normative introdotte sulla cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste) prevedono un sistema di controlli ex post sugli impianti autorizzati “caso per caso” dalle Regioni o dalle Province, attribuendone la competenza al Sistema Nazionale per la protezione dell’ambiente, che avrà un importante ruolo di garanzia




Di recente è stata modificata la normativa in materia di cessazione della qualifica di rifiuto (c.d. “end of waste”), introducendo ulteriori disposizioni all’art. 184-ter del DLgs 152/2006 (Codice dell’ambiente), tra cui quella che istituisce un sistema di controlli ex post sugli impianti autorizzati, cd autorizzazioni “caso per caso”, ovvero in mancanza di riferimenti normativi europei e nazionali, attribuendone la competenza al Sistema Nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA).

A questo proposito abbiamo rivolto alcune domane a Valeria Frittelloni, coordinatrice del gruppo di lavoro (di seguito GdL) sulle "Linee guida per l'applicazione della disciplina end of waste di cui all'art 184 ter comma ter del decreto legislativo n. 152/2006".

Laurea in ingegneria per l’ambiente ed il territorio, lavora presso l’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale dove oggi ricopre il ruolo di Responsabile del Centro nazionale dei rifiuti e dell’economia circolare. Ha un'esperienza pluriennale nel settore dei rifiuti con specifiche competenze in materia di impianti e tecnologie relative al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti e nella predisposizione della normativa tecnica di settore. Partecipa a diversi Comitati tecnici per l’adeguamento al progresso tecnico scientifico di direttive europee presso la Commissione europea, tra cui la direttiva discariche e la direttiva veicoli fuori uso. Ricopre il ruolo di consulente tecnico della Commissione Bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati delle XVII e XVIII legislatura.

Quali sono le novità normative nel campo dell'end of waste?

La legge 128/2019 ha l’indubbio merito di aver sbloccato il rilascio delle autorizzazioni agli impianti di recupero di rifiuti; il precedente intervento normativo di modifica dell’art. 184 ter (avvenuto con la legge 14 giugno 2019, n. 44 di conversione in legge del Dl 32/2019, cd. "Sblocca cantieri") aveva infatti subordinato il rilascio delle autorizzazioni al rispetto dei criteri indicati nei decreti ministeriali relativi al recupero dei rifiuti in procedura semplificata (DM 5/2/98, DM 161/2002 e DM 269/2005).

La nuova norma consente adesso alle Autorità competenti di individuare, caso per caso, criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto nel rispetto delle quattro condizioni individuate anche dalla norma comunitaria. Da questo punto di vista la norma anticipa il recepimento del pacchetto rifiuti allineando la norma italiana a quella europea e ai principi dell’economia circolare.

D’altro canto la norma istituisce un sistema di controlli ex post sugli impianti autorizzati “caso per caso” attribuendone la competenza al Sistema Nazionale per la protezione dell’ambiente (di seguito SNPA). Tale nuova competenza, da una parte riconosce al sistema un importante ruolo di garanzia della corretta applicazione della norma, dall’altra rappresenta un impegno e una sfida per il SNPA, sia per il numero di controlli da effettuare e per risorse da impiegare su tutto il territorio nazionale, che per la complessità tecnica dei controlli stessi.

Al fine di assicurare l’armonizzazione, l’efficacia e l’omogeneità dei controlli sul territorio nazionale previsti dalla norma, è stata elaborata la Linea guida del Sistema.

Qual'è stata l'esperienza all'interno del gruppo di lavoro, da lei coordinato, che ha predisposto le linee guida per la realizzazione dei controlli ex post sugli impianti autorizzati caso per caso?

Nell’ambito del programma triennale di attività era già costituito un gruppo di lavoro (di seguito GdL) per lavorare sulla tematica dell’end of waste proprio in considerazione delle criticità rilevate sul territorio in merito all’applicazione del Dl sblocca cantieri. L’entrata in vigore della L. 128 ha visto dunque il SNPA pronto ad affrontare il compito di redigere le Linee Guida (di seguito LG) che sono state realizzate in tempi davvero molto brevi, in considerazione della complessità tecnica della materia. Non posso che ringraziare tutti i colleghi che fanno parte del gruppo di lavoro che rendendosi disponibili praticamente senza sosta hanno consentito la predisposizione del documento nell’arco due mesi di lavoro.

Devo dire che nonostante la necessità di dover rispettare le scadenze imposte dal Legislatore il gruppo di lavoro ha potuto affrontare le criticità dei diversi aspetti applicativi della disciplina grazie alla competenza e all’esperienza dei colleghi coinvolti. La capacità di risposta dimostrata dal gruppo di lavoro ha, infatti, indotto il Consiglio SNPA a mantenere il GdL operativo a supporto delle attività di controllo dei colleghi sul territorio, nonché per proporre eventuali revisioni della LG alla luce dell’esperienza del primo anno di applicazione della norma.

Non posso, dunque, che ritenere l’esperienza di coordinamento molto positiva e stimolante.

Quali i capisaldi delle linee guida?

La linea guida si propone di fornire gli elementi utili alla realizzazione di un sistema comune di pianificazione ed esecuzione delle ispezioni nell’ambito dei processi di recupero o riciclaggio dei rifiuti da cui si producono materiali che hanno cessato di essere rifiuti.

Restituendo una prospettiva unitaria e trasparente del complesso tema della cessazione della qualifica di rifiuto, la linea guida si propone di dotare il SNPA di un approccio condiviso ed omogeneo sia in fase istruttoria, nel supporto alle Autorità competenti nel rilascio delle autorizzazioni, che in fase di controllo.

Il GdL ha ritenuto opportuno porre attenzione anche all'attività di istruttoria tecnica in fase di rilascio dell’autorizzazione per garantire un comportamento omogeneo delle Agenzie chiamate a supporto delle autorità competenti.

L’approccio innovativo utilizzato prende in considerazione le varie fasi del processo di recupero sia per l’attività istruttoria che per quella di controllo partendo dagli elementi di valutazione dei rifiuti in entrata all’impianto, del processo di recupero/riciclaggio ed infine dei prodotti in uscita.

Le linee guida sono improntate ad un principio di trasparenza che ritroviamo sia nella descrizione dettagliata delle procedure da seguire nell’attività di controllo anche laddove la norma non esplicitava alcuni elementi procedurali, sia nella metodologia per la scelta del campione degli impianti da sottoporre al controllo.

Secondo lei, le autorizzazioni rilasciate "caso per caso" dalle Regioni potrebbero portare a situazioni di difformità a livello nazionale? Il SNPA, proprio per la sua caratteristica di Sistema nazionale a rete, può svolgere un ruolo tendente a far sì che si garantisca una omogeneità di comportamenti? In che modo?

Certamente, la garanzia dell’omogeneità dell’applicazione della norma, per tutto quanto sopra evidenziato, risponde pienamente alla finalità della linea guida. Peraltro la ratio della norma, affidando al SNPA la competenza dei controlli sul territorio, è proprio quella di garantire attraverso il controllo ex post che le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto siano applicate in modo uniforme sull’intero territorio nazionale.

fonte: http://www.arpat.toscana.it

In Italia mancano gli impianti per gestire i rifiuti: i costi di smaltimento sono già saliti del 40%

Ref ricerche: «Vincoli di carattere amministrativo e di consenso tendono a ostacolare gli investimenti necessari per adeguare la capacità produttiva. In questo quadro, le istituzioni sono spesso mancate nel loro ruolo di “governo” dei fenomeni»





















In Italia vengono prodotti ogni anno circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e, benché siano spesso lontane dal pubblico dibattito, 138 milioni di tonnellate di rifiuti speciali: se per la prima categoria anche l’Istituto superiore per la protezione ambientale (Ispra) ha voluto sottolineare che «vi sono regioni in cui il quadro impiantistico è molto carente o del tutto inadeguato», la seconda vive ormai in un regime d’emergenza costante. Come documenta Ref ricerche nel rapporto Gestione dei rifiuti: per le imprese costi in aumento, pubblicato oggi per offrire una stima dell’aumento dei costi di gestione dei rifiuti per l’industria, si stima che «l’incremento medio dei costi possa avere superato negli ultimi due anni il 40% e che tale incremento corrisponda, per la sola industria manifatturiera, ad un aggravio di costi di 1,3 miliardi di euro all’anno».
Come mai? Negli ultimi due anni le imprese hanno registrato crescenti difficoltà nella gestione dei rifiuti, e per Ref ricerche «la causa va ricercata nella saturazione della capacità disponibile negli impianti», che a sua volta si ripercuote sulla collettività in termini di competitività del tessuto economico, costi per le imprese e anche per le famiglie. Il “Borsino dei rifiuti” segnala ad esempio un costo di smaltimento pari in media a 160 euro a tonnellata – valore praticamente raddoppiato rispetto a pochi anni fa – con punte di 240 euro a tonnellata, con ampie differenze a seconda delle frazioni di rifiuti considerate: se per i non pericolosi si registra ad esempio un incremento del 35%, per i pericolosi si arriva al +100% negli ultimi due anni.
Le motivazioni alla radice di quest’impennata nei costi di gestione dei rifiuti sono molteplici, e talvolta controintuitive. Si guardi ad esempio all’andamento della raccolta differenziata, ormai in crescita costante anche in aree del Paese – come il Mezzogiorno – che scontano ancora ritardi storici: «L’aumento dei tassi di raccolta differenziata e dei rifiuti avviati a riciclo ha determinato un incremento dei sovvalli destinati a smaltimento e a recupero energetico», ricordano da Ref ricerche dettagliando il caso della plastica: i volumi raccolti sono aumentati del 35% dal 2013 al 2017, e i conseguenti scarti destinabili a recupero energetico sono aumentati di 180mila tonnellate. Ecco perché si parla di “ciclo integrato dei rifiuti” con la necessità dei rispettivi impianti ad ogni step della gerarchia europea, nonostante sia ancora credenza diffusa che una volta raccolti in modo differenziato in qualche modo i rifiuti “spariscano” insieme al bisogno di impianti per trattarli.
Oltre all’aumento delle raccolte differenziate, Ref ricerche individua molteplici tendenze alla radice della crisi in corso: il forte aumento della produzione di rifiuti speciali nel triennio 2014-2017, sostenuta da una ripresa del comparto manifatturiero; la chiusura del mercato cinese alle importazioni di rifiuti a partire dal gennaio del 2018, sottolineando che «gli incendi e le pratiche illegali sono una conseguenza della situazione che si è venuta a creare», come testimoniato anche dalla Direzione investigativa antimafia; la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio 2018 ha bloccato la autorizzazioni “caso per caso” rilasciate dalle Regioni per i processi di recupero End of Waste, dato che «le problematiche autorizzative permangono» anche a seguito dell’intervento normativo nel decreto Crisi aziendali; lo stop allo spandimento in agricoltura dei fanghi di depurazione, a seguito di una sentenza del Tar Lombardia del 2018 che «ha gettato tutta l’industria nello stallo, fino al ripristino dei limiti alla concentrazione di inquinanti previsto dal “decreto Genova”, che ha in parte giovato»; l’opposizione delle regioni alla libera circolazione dei rifiuti urbani tal quale destinati a recupero energetico, così come auspicata dall’art. 35 dello “Sblocca Italia” (2014) per assicurare l’autosufficienza nazionale, ha «implicitamente avallato la prassi di trattare i rifiuti urbani al solo scopo di “trasformarli” in speciali, di libera circolazione».
Tutte queste cause vedono un’unica soluzione che possa assecondare i criteri di sostenibilità e prossimità: la realizzazione di nuovi impianti per gestire i rifiuti – compresi gli scarti dell’economia circolare – sul territorio, che richiama alla necessità di una presa di coscienza da parte di istituzioni e politica. Da una parte «occorre ripensare profondamente la gestione dei rifiuti del Paese, superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali e costruendo gli impianti necessari alla loro gestione», come spiegano da Ref ricerche osservando che «lo stesso dibattito in seno alla DG Ambiente della Commissione Ue sta valutando l’introduzione, a partire dal 2024, di target di riciclo/recupero anche per i rifiuti speciali, come riportato dall’art. 11, comma 6 della Direttiva 851/2018». Contemporaneamente  occorre superare quei «vincoli di carattere amministrativo e di consenso» che «tendono a ostacolare gli investimenti necessari per adeguare la capacità produttiva. In questo quadro – sottolineano da Ref ricerche – le istituzioni sono spesso mancate nel loro ruolo di “governo” dei fenomeni, sviando le questioni che le vedono investite direttamente di un ruolo di pianificazione, come per il caso dei rifiuti urbani, e demandando al mercato soluzioni che il mercato stesso non era in grado di trovare».
fonte: www.greenreport.it

L’Italia non sa dove mettere (almeno) 2,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali l’anno


A causa della carenza impiantistica i costi di smaltimento sono cresciuti del 40% negli ultimi due anni, con aggravi da 1,3 miliardi di euro che finiranno per colpire i prezzi dei prodotti acquistati dalle famiglie e l’occupazione

















I rifiuti speciali prodotti dall’Italia nel 2017 (l’ultimo aggiornamento reso disponibile dall’Ispra) sono 138,9 milioni di tonnellate: nonostante si tratti di un dato per il 43% frutto di stime, in quanto – per dirla con l’ex presidente dell’Ispra Bernardo de Bernardinis – a proposito di rifiuti speciali  la «certezza dell’informazione nel nostro Paese è un’utopia», l’ammontare è pari a oltre il quadruplo rispetto ai rifiuti urbani. Il problema è che mentre i rifiuti speciali continuano a crescere, gli impianti dove poterli gestire in sicurezza sono sempre meno, tanto da arrivare ormai a una crisi conclamata come spiega lo studio I rifiuti speciali e la competitività del sistema delle imprese presentato da Utilitalia – la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche – a Ecomondo.
Realizzato da Ref ricerche in collaborazione con la Fondazione Utilitatis, lo studio mostra che nel 2017 non ha saputo gestire 2,1 milioni di tonnellate dei rifiuti speciali che ha prodotto: la somma delle quantità di rifiuti esportate (circa 1,3 milioni di tonnellate, al netto dell’import) e di quelle stoccate e destinate a smaltimento (circa 700mila tonnellate).
Di fatto la produzione di rifiuti speciali continua a crescere – tra il 2016 e il 2017 del +1,6%, ovvero a velocità quasi doppia rispetto al Pil nazionale –, ma se gli impianti per poter gestire questo flusso i costi crescono. Nello studio si stima che negli ultimi due anni i rincari dei costi di smaltimento siano stati del +44% (suddivisi tra il +35% per i rifiuti non pericolosi e +100% per i pericolosi), con un aggravio pari a quasi 1,3 miliardi di euro..
Tra le cause che mettono in evidenza la fragilità del sistema di gestione, lo studio ne mette in evidenza alcune in particolare: il forte aumento della produzione di rifiuti speciali nel triennio 2016-2018; la chiusura del mercato cinese alle importazioni di rifiuti (plastica riciclabile, residui tessili e carta di qualità inferiore) nel gennaio del 2018; la sentenza del Consiglio di Stato del febbraio del 2018 che ha bloccato l’End of Waste, fermando l’intera filiera dell’economia circolare; lo stop ai fanghi di depurazione in agricoltura e anche l’incremento della raccolta differenziata, in particolare nel Mezzogiorno, che ha aumentato notevolmente la necessità di smaltimento degli scarti provenienti dal riciclo. A pagare per questi squilibri, senza una presa in carico da parte delle istituzioni è soprattutto la competitività dell’intero sistema delle imprese, con aggravi di costo che finiranno per ripercuotersi sui prezzi dei prodotti acquistati dalle famiglie e sull’occupazione, e in ultimo nella delocalizzazione delle attività maggiormente esposte.
«Occorre ripensare profondamente la gestione dei rifiuti del Paese – spiega Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia – superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali, realizzando gli impianti necessari, per assicurare uno sbocco allo smaltimento in prossimità, almeno ai rifiuti che non presentano necessità di impianti dedicati e specifici».
La sofferenza impiantistica, tradizionalmente riconosciuta per i rifiuti urbani, è ormai una causa di crisi anche per il mercato di quelli speciali: occorre una risposta pragmatica e non ideologica al problema, che va in primis riconosciuto con precisione nelle sue dimensioni. «L’acclamato Green new deal – argomenta Brandolini – non può non passare prima per una misurazione dei fabbisogni, che preluda alla chiusura del ciclo dei rifiuti e alla realizzazione degli impianti mancanti per il recupero e il trattamento, e che incentivi l’utilizzo delle materie prime seconde. Avere una piena coscienza sui fabbisogni del proprio territorio, può avere diversi aspetti positivi per le amministrazioni regionali: basti pensare alla possibilità di realizzare gli impianti necessari in grado di colmare il deficit, di sensibilizzare le comunità locali e di responsabilizzare gli attori economici al raggiungimento dei target ambientali; e ancora all’opportunità di calmierare i prezzi, di riuscire a governare situazioni di emergenza e di promuovere politiche di prevenzione della produzione dei rifiuti. Per tutti questi motivi ribadiamo la necessità di una strategia nazionale che disegni le strategie per i prossimi anni in un’ottica di economia circolare».
Anche perché l’avvio di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti – come sottolinea lo studio – non richiede uno sforzo economico allo Stato o agli enti territoriali, piuttosto “solo” il sostegno e la condivisione di una strategia d’azione in grado di ricostruire un rapporto fiduciario tra le istituzioni e le comunità dei territori chiamati a ospitare gli impianti, superando le sindromi Nimby che paradossalmente hanno come prima vittima lo sviluppo sostenibile.

fonte: www.greenreport.it

Rifiuti speciali, l’Italia importa il doppio rispetto a quelli che esporta

Nel nostro paese, divenuto leader del settore, i rifiuti avviati a riciclo hanno segnato nel 2017 un balzo in avanti sfiorando i 140 milioni di tonnellate














Buone notizie per il nostro Paese. Ancora in aumento la produzione nazionale dei rifiuti speciali che, nel 2017, sfiora i 140 milioni di tonnellate (quasi il 3 per cento in più rispetto al 2016). Cresce solo la produzione di quelli non pericolosi (+3,1 per cento), mentre rimangono stabili quelli pericolosi (+0,6 per cento, corrispondente a 60 mila t). I rifiuti complessivamente gestiti aumentano del 4 per cento e l’Italia si conferma leader nel riciclo segnando un +7,7 per cento delle quantità avviate a recupero di materia ed una diminuzione dell’8,4 per cento di quelle destinate allo smaltimento. 
A svelare i dati è la XVIII edizione del Rapporto Rifiuti Speciali 2019, il report annuale dell’ISPRA/SNPA che fornisce un quadro di informazioni oggettivo e puntuale sulla produzione e gestione dei rifiuti speciali pericolosi e non.
Nel 2017 i rifiuti importati (oltre 6 mln di t) sono stati il doppio di quelli esportati (3 mln di t). La quantità maggiore arriva dalla Germania (quasi 2 mln di t, dei quali il 96 per cento rifiuti metallici), seguita da Svizzera (con oltre 1 mln di t), Francia (824 mila t) e Austria (733 mila t). I rifiuti di metallo importati sono destinati al riciclaggio, principalmente in acciaierie localizzate in Friuli Venezia Giulia e in Lombardia. 

Il 68 per cento dei rifiuti esportati (poco più di 2 mln di t) appartengono alla categoria dei non pericolosi e il restante 32 per cento (circa 1 mln di t) a quella dei pericolosi.
Il maggior contributo alla produzione complessiva arriva dal settore delle costruzioni e demolizioni, che con oltre 57 mln di t, concorre al 41 per cento del totale prodotto. Le attività di trattamento dei rifiuti e di risanamento ambientale rappresentano il 25,7 per cento del totale (quasi 36 mln di t), l’insieme delle attività manifatturiere il 21,5 per cento (quasi 30 mln di t).
A livello di macroarea geografica è il Nord che produce più rifiuti speciali, quasi 81 mln di t (pari, in termini percentuali, al 58,3 per cento del dato complessivo nazionale), seguito dal Sud con quasi 33 mln di t (23,7 per cento) e dal Centro con circa 25 mln di t (18 per cento del totale nazionale). La Lombardia produce il 22,2 per cento del totale dei rifiuti speciali generati (30,8 mln di t) seguita dal Veneto e dall’Emilia-Romagna con circa il 10 per cento della produzione nazionale (rispettivamente pari a 15,1 mln di t e 13,7 mln di t).
Gli impianti di gestione dei rifiuti speciali operativi sono 11.209 di cui 6.415 situati al Nord, 2.165 al Centro e 2.629 al Sud. In Lombardia sono localizzate 2.176 infrastrutture, il 20 per cento circa del totale degli impianti presenti sul territorio nazionale. Gli impianti dedicati al recupero di materia sono 4.597 (41 per cento del totale). 
Circa 20,2 mln di tonnellate di rifiuti speciali sono utilizzati, in luogo delle materie prime, all’interno del ciclo produttivo in 1.307 impianti industriali. Tali stabilimenti riciclano il 20 per cento del totale dei rifiuti recuperati a livello nazionale. 
Il recupero di rifiuti inorganici riguarda oltre 54 mln di t (quasi il 37 per cento del totale gestito). Derivano, prevalentemente, dalle attività di costruzione e demolizione (44,8 mln di t) e sono generalmente utilizzati come rilevati e sottofondi stradali. Le operazioni di recupero di metalli e di rifiuti organici rappresentano, rispettivamente, il 13,6 per cento e l’8,4 per cento del totale gestito. 
Circa 2 mln di t di rifiuti speciali sono coinceneriti in impianti industriali in sostituzione dei combustibili convenzionali, mentre l’incenerimento interessa più di 1 mln di t. Sono smaltiti in discarica 12 mln di t di rifiuti (l’8,2 per cento del totale gestito) di cui circa 10,9 mln di t di rifiuti non pericolosi e 1,2 mln di t di rifiuti pericolosi.

fonte: www.lastampa.it