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Lo strano caso dei rifiuti da costruzione e demolizione

Una corretta gestione dei rifiuti da costruzione e demolizione può portare importanti benefici di sostenibilità e considerevoli vantaggi per il settore edile. Mettendo in rassegna potenzialità e nodi da sciogliere il focus di Antonio Pergolizzi consegna una riflessione sull'economia circolare nel mondo dei cantieri


Al vertice della piramide rovesciata dei rifiuti troneggia la prevenzione, per dire che il miglior rifiuto è quello non prodotto. Un principio che è un destino tutto da scrivere. Che passa dal cambio dei modelli di produzione, prima ancora che di consumo, da un design capace di incentivare il remanufactirung e il riuso e da processi davvero circolari e aperti, quindi capaci di usare solo materiali facilmente smontabili e ricollocabili sul mercato. La circolarità è fatta di testa, cuore e azione.

Aggregati che annaspano, trafficanti che ringraziano

Poi ci sono i rifiuti che non è stato possibile evitare di produrre e che non possono essere riparati e riusati tal quale, come una giacca passata di moda o senza bottoni. Per esempio i rifiuti da costruzione e demolizione (C&D), di cui ogni anno ne produciamo circa 60 milioni di tonnellate, la fetta più grossa tra quelli prodotti, più o meno il 43% (Ispra 2019). Si tratta di rifiuti facilmente recuperabili vista la loro stessa natura sostanzialmente omogenea, e poco pericolosi per l’ambiente: trattandosi di inerti sono per definizione quelli con i minori problemi di contaminazione (se si esclude, ovviamente, la presenza di amianto e affini).

Eppure annaspano ancora tra i gironi dei dannati, logorati da procedure di recupero costose e pedanti e orfani di mercati davvero competitivi, almeno rispetto ai materiali vergini. Così questi ultimi continuano ad alimentare il ciclo dell’edilizia nel classico modello dell’economia lineare, inghiottendo e pezzi di territori, mentre gli aggregati riciclati tipici dell’economia circolare arrancano e i trafficanti di rifiuti ringraziano.

Seppure le stime ufficiali si crogiolano su un 74% di riciclo, in realtà questa percentuale indica solo che questi rifiuti sono passati da un qualche impianto, non certo che sono stati impiegati nei cantieri. Di quel 74%, solo un 15 verrà effettivamente utilizzato. Alcuni operatori, sentiti per scrivere queste righe, ritengono che questa percentuale particolarmente alta di pseudo riciclo sia dovuta, semplicemente, al fatto che i produttori certificano come effettivamente trattati materiali semplicemente stoccati in qualche magazzino, così da non dover esibire alcuna pezza giustificativa per operazioni di smaltimento: un modo semplice per risparmiare sul conferimento.

Al netto di ciò, in questo iato (tra percentuali di riciclo ufficiale stimato ed effettivo impiego nei cantieri), profondo quanto un abisso, si misura una delle tante contraddizioni nel ciclo dei rifiuti: come accade con le raccolte differenziate, la scommessa si vince se, e solo se, gli scarti raccolti in maniera separata finiscono poi per diventare davvero valore. Altrimenti lo sforzo fatto a monte rischia di azzerarsi a valle. E le frustrazioni sono nemici delle buone pratiche.

Rinchiusi nella gabbia normativa

La gabbia normativa nella quale sono rinchiusi i rifiuti C&D non è facilmente giustificabile. Si tratta di materiali che prima stavano in una parete o in muro di contenimento dando riparo e protezione. Non si capisce perché, appena tirati giù questi materiali prima innocui diventino immediatamente un nemico pubblico. In particolare, il calcestruzzo è completamente riciclabile ed è una fonte alternativa all’impiego di aggregati naturali. La corretta gestione dei rifiuti C&D e dei materiali riciclati – tra cui la corretta manipolazione dei rifiuti pericolosi – può comportare importanti benefici in termini di sostenibilità e qualità della vita, ma può anche offrire considerevoli vantaggi per l’industria delle costruzioni e del riciclaggio dell’Unione europea grazie all’aumento della domanda di materiali riciclati C&D che ne deriva (Protocollo UE per la gestione dei rifiuti da costruzione e demolizione, Commissione UE, settembre 2016: qui in Pdf). Già la Direttiva 98 del 2008 fissava al 2020 il target di riciclo di questa tipologia di rifiuti al 70% in peso rispetto a quelli prodotti nello stesso anno, target confermato anche dalla nuova Direttiva 851/2018. Come già detto, il problema sta nel loro impiego effettivo, ancora disincentivato nei fatti.

Uguali ma diversi (nel trattamento normativo)

Per farla breve, questa tipologia di rifiuto – al pari di altre – è nella morsa di un quadro di regolazione eccessivamente farraginoso e di un pauroso caso di fallimento di mercato che lascia per terra gran parte dei rifiuti C&D prodotti ogni anno. Trattandosi di materiali pesanti e ingombranti, i costi di trasporto e di trattamento per renderli conforme alle norme tecniche di settore li rendono ancora oggi poco convenienti, soprattutto se rapportati al costo risibile del materiale vergine, altra piaga del nostro Paese (che avremo occasione di argomentare prossimamente). Il paradosso è che se i materiali vergini sono considerati buoni di per sé, al contrario gli aggregati riciclati devono sudare sette camice per dimostrare di avere lo stesso status di quelli. Seppure identici in termini di prestazioni tecniche. In questa fatica di dover dimostrare di essere quello che sono (ovviamente, salvo le furbate) ci sta tutto il disincentivo al loro impiego. Basti pensare che il loro impiego è disciplinato dall’Allegato C della Circolare 15/7/05 n. 5205, che prevede ben 5 categorie diverse di parametri prestazionali (corpo dei rilevati; sottofondi stradali; strati di fondazione; recuperi ambientali e riempimento di colmate strati accessori aventi funzioni antigelo, anticapillare, drenante, ecc.) una selva di limiti e valori di soglia da rispettare al milligrammo, il cui rispetto e soprattutto la cui verifica di conformità, sulla base di test di cessione, sono argomento da psichiatri.

Le proposte di Unacea

Per provare a fare il punto della situazione, recentemente l’associazione dei costruttori di macchine per l’edilizia Unacea, che rappresenta un comparto che dà lavoro a oltre 50.000 persone per un fatturato di circa 3,5 miliardi di euro l’anno, ha redatto un position paper per spiegare l’importanza del recupero degli inerti, facendo alcune proposte concrete.

Intanto il documento parte da una considerazione: l’uso di macchine di nuova generazione capaci di demolire in maniera selettiva e di recuperare materiali direttamente in cantiere, incide direttamente sul vertice della gerarchia dei rifiuti, ai sensi dell’art. 179 TUA, cioè sulla prevenzione. Queste macchine di nuova generazioni, innovative e pulite (in linea con le Best available technique imposte dal TUA), consentono di saltare ed efficientare alcuni passaggi e dunque sono un tema cruciale per la sostenibilità dei cantieri. Le demolizioni selettive e le caratterizzazioni preventive che si andranno a produrre, potrebbero evitare la giostra sfiancante di materiali che vengono prima raccolti e censiti, poi depositati per essere trasportati (anche a lunghe distanze con annessi impatti ambientali legati al trasporto) e trattati per poi rifare il percorso a ritroso, magari ritornando al cantiere presso il quale sono stati prodotti. Un nonsense, in tutti i sensi. Se è chiaro che dalle demolizioni, anche quelle selettive, si ricavano sempre e solo rifiuti, è pur vero che il loro recupero dovrebbe avvenire in modo da contenerne i costi, pena la loro messa fuori mercato.
Il paradosso dei macchinari per l’edilizia

La stessa Direttiva 851/2018 che riforma la Direttiva Quadro 98/2008 punta tutto sulla prevenzione, sul riuso e sul riciclo dei rifiuti C&D. Riscrivendo l’art. 12, l’UE nella parte relativa alla “preparazione per il riutilizzo e riciclaggio” chiede agli Stati membri di adottare e promuovere la demolizione selettiva onde consentire la rimozione e il trattamento sicuro delle sostanze pericolose e facilitare il riutilizzo e il riciclaggio di alta qualità tramite la rimozione selettiva dei materiali, nonché garantire l’istituzione di sistemi di cernita dei rifiuti da costruzione e demolizione almeno per legno, frazioni minerali (cemento, mattoni, piastrelle e ceramica, pietre), metalli, vetro, plastica e gesso”.

Senza contare sul fatto che l’uso nei cantieri di macchine di nuova generazione avrebbe impatti benefici anche in tema di emissione, eliminando l’uso di macchine poco performanti e particolarmente inquinanti. Più del 30% del parco mezzi in circolazione non è nemmeno immatricolato, quindi escluso da ogni regolamentazioni sulle fonti emissive. Con l’evidente paradosso che se nelle nostre città si regolamenta in maniera sempre più stringente (a ragione) la circolazione di auto inquinanti, per le macchine usate nei cantieri non vale nessuna regola. È anche per l’eccessivo ricorso nei cantieri di macchine abbondantemente datate che recentemente l’Italia è stata messa in mora dalla Commissione Ue in merito alla pessima qualità dell’aria che respiriamo, in particolare per le emissioni di particolato PM 2,5.

Hardware della circolarità

La lotta ai cambiamenti climatici e per la qualità dell’aria, così come quella per incentivare la riduzione a monte di rifiuti C&D e recuperarli in maniera ecoefficiente, passa dunque anche dall’impiego di macchine di nuova generazione, Stage IV o V, che sono il vero hardware dell’economia circolare. Macchine che negli ultimi venti anni hanno sono già riuscite ad abbattere le emissioni del 95%. Non ci sono dubbi, dunque, che la sostenibilità dei cantieri passi necessariamente dall’uso di tecnologie moderne e pulite, capaci di efficientare i processi e ridurre quelle inefficienze che finora hanno creato danni ambientali oltre che economici. È ora che anche i cantieri e le imprese di costruzione che li animano facciano la loro parte fino in fondo – possibilmente incentivati dalla leva pubblica (come spiega lo stesso position paper citato) –, nell’interesse di tutti.

fonte: economiacircolare.com

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Ridurre i rifiuti edili in Europa

I rifiuti da costruzione e demolizione hanno grosse potenzialità di riciclo, per questo l’economia circolare ci punta

















I rifiuti da costruzione e demolizione rappresentano uno dei maggiori flussi di rifiuti in tutta Europa, tanto da rappresentare un importante tassello dell’economia circolare, per questo, l’UE prevede alti tassi di riciclo di questa tipologia di rifiuti, che, però, non sono ancora stati raggiunti se non in pochi paesi membri.

Le percentuali di rifiuti edili riciclati variano da paese a paese, dal 54% al 100%, ma i dati non costituiscono al momento una base solida in quanto sono raccolti ed elaborati in modo differente nei diversi paesi europei.

Il report recentemente prodotto dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, Construction and demolition Waste, mette in evidenza come non sia importante solo il quantitativo di rifiuti edili riciclati o riusati ma la “qualità del riciclaggio”, per lo più, ad oggi, questi materiali, una volta riciclati, perdono parte del loro valore, tanto che si parla di downcycling (recupero di basso grado). Al momento, infatti, il recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione si basa prevalentemente su operazioni di riempimento, ovvero si usano i rifiuti da macerie per riempire i buchi nei cantieri oppure il cemento o le pietre riciclate e frantumate (aggregati) per la realizzazione di fondi stradali.


Il tipo di riciclo è molto importante, se si vuole realmente perseguire gli obiettivi dell’economia circolare, bisogna evitare il riciclaggio di basso valore (o basso grado), che non garantisce alla materia di mantenere il suo flusso nel tempo e che dà vita a prodotti che sono scadenti e difficilmente assoggettabili a nuovi processi di riciclaggio.

La normativa europea nell’affrontare il tema dei rifiuti edili, pone alcuni principi, quali:
la prevenzione, l’obiettivo è e rimane quello di ridurre la mole di rifiuti prodotti
la riduzione, ancora meglio l’eliminazione, di tutte le sostanze tossiche presenti nei materiali da costruzione
l’alta percentuale di riciclaggio, non solo quantitativa ma anche qualitativa
l’abbattimento delle emissioni ad effetto serra prodotte dalla gestione dei rifiuti edili.

Guardando a queste priorità, ci rendiamo facilmente conto cheportare i rifiuti edili in discarica non costituisce la migliore soluzione, in quanto poco sostenibile, nonostante, ad oggi, sia ancora la scelta più comune, almeno nel nostro paese.

Qualcosa sta cambiando, il tema dell’economia circolare sta diventando sempre più “famigliare” anche nel mondo delle imprese edili che cominciano ad interessarsi alla demolizione selettiva, in modo da avere rifiuti omogenei più facili da riciclare.

Il momento è favorevole, infatti, la Direttiva 2018/851/UE modifica alcune definizioni e concetti contenuti nella precedente direttiva 2008/98/CE, anche con riferimento ai rifiuti da costruzione e demolizione. Questa stabilisce che gli Stati membri adottino misure intese a promuovere la demolizione selettiva al fine di consentire la rimozione e il trattamento sicuro delle sostanze pericolose e facilitare il riutilizzo e il riciclaggio di alta qualità tramite la rimozione selettiva dei materiali, nonché garantire l’istituzione di sistemi di cernita dei rifiuti da costruzione e demolizione almeno per legno frazioni minerali (cemento, mattoni, piastrelle e ceramica, pietre), metalli, vetro, plastica e gesso.

Occorrerà quindi attendere il recepimento di questa nuova direttiva nel nostro ordinamento (che era prevista per il 5 luglio 2020) per comprendere meglio come questi principi troveranno reale applicazione nel nostro Paese.

In attesa di una normativa nazionale, esistono diversi materiali , che non rappresentano obblighi giuridici, che forniscono un aiuto per eseguire al meglio l’attività di recupero degli inerti nei cantieri, come
il protocollo redatto, a livello europeo, nel 2012, nell’ambito della strategia per il settore delle costruzioni 2020, nonché della Comunicazione sulle opportunità per migliorare l’efficienza delle risorse nell’edilizia
il documento elaborato da ISPRA nel 2016 , denominato “Definire criteri e indirizzi condivisi per il recupero dei rifiuti inerti”
la recente Prassi di Riferimento UNI/PdR 75:2020, a cura dell’UNI, pubblicata nel febbraio del 2020 con il titolo “Decostruzione selettiva – Linea guida per la decostruzione selettiva e il recupero dei rifiuti in un’ottica di economia circolare”

Recuperare i rifiuti edili richiede di sostenere dei costi e la demolizione selettiva necessita l’utilizzo di macchine specializzate, tutto questo ha un costo che incide sui lavori da realizzare ma crea anche un beneficio economico in quanto si abbattono le spese legate allo smaltimento dei rifiuti in discarica, ed oltre a ciò, molti materiali potranno essere riusati, evitando l’acquisto di inerti naturali.

Il vantaggio non è solo economico ma anche ambientale. Gli impatti ambientali prodotti dal settore delle costruzione non si limitano alla gestione dei rifiuti da costruzione e demolizione ma riguardano anche le emissioni in atmosfera. La sfida climatica, nel settore edilizio, è collegata principalmente al consumo energetico e le soluzioni prospettate prevedono il passaggio alle energie rinnovabili e l’attuazione di misure di efficienza energetica.

La costruzione e la manutenzione degli edifici comporta il consumo di quasi la metà di tutti i materiali che entrano nell’economia globale e genera circa il 20% di tutte le emissioni di gas serra.

Il consumo energetico nel settore dell’edilizia è calcolato in tutte le sue fasi, dall’estrazione alla demolizione, escluso la fase di utilizzo. Per comprendere bene quale sia il consumo di energia bisogna fare riferimento alla performance del prodotto e non semplicemente considerare un consumo in base al peso del prodotto stesso. Le emissioni di CO2 prodotte dai materiali da costruzione costituiscono il 40-50% dell’impronta di carbonio totale di un edificio destinato ad uffici, principalmente a causa della produzione del cemento e dell’acciaio necessari per edificarlo.

Si stima che, entro il 2050, i materiali utilizzati in edilizia produrranno emissioni pari a 250 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 in uno scenario di riferimento in cui saranno realizzati secondo i processi produttivi odierni.

L’Agenzia europea per l’ambiente, in un recente briefing, è andata a vedere quali azioni specifiche verso un’economia più circolare nel settore dell’edilizia hanno più efficacia nella riduzione delle emissioni: diminuire l’uso di calcestruzzo, cemento e acciaio può ad esempio ridurre fino al 61% le emissioni di gas a effetto serra legate ai materiali da costruzione emesse durante il ciclo di vita di un edificio.

La valutazione dell’Agenzia europea presenta un nuovo approccio metodologico, sviluppato insieme ad un consorzio di esperti, che può aiutare ad identificare e dare priorità a quelle azioni di economia circolare che possono contribuire maggiormente a ridurre le emissioni in qualsiasi settore (nell’immagine a fianco i passaggi della metodologia).

Lo studio ha scoperto che ciascuna delle fasi del ciclo di vita di un edificio – dalla progettazione, alla produzione, all’utilizzo, alla demolizione e alla gestione dei rifiuti – offre ricche opportunità per una maggiore circolarità e riduzioni delle emissioni.

Fino a due terzi delle emissioni globali di gas a effetto serra sono correlate ai flussi di materiali e al modo in cui li procuriamo, consumiamo e smaltiamo. Questo rende il settore un’area importante per ulteriori riduzioni.

Rendere gli edifici più circolari nel corso del loro ciclo di vita significa progettarli e utilizzarli in modo più efficiente, facendoli durare più a lungo, nonché riutilizzare e riciclare i materiali da costruzione anziché acquistarne di nuovi.

La maggior parte delle azioni selezionate riguarda il calcestruzzo, il cemento e l’acciaio, che hanno un forte impatto in termini di emissioni di gas serra e sono utilizzati in grandi quantità nel settore edile europeo. Questi materiali possono essere ridotti se la loro domanda viene ridotta attraverso una progettazione e una produzione più intelligenti, nonché riutilizzandoli e riciclandoli al termine del ciclo di vita dell’edificio. Altre azioni che vanno dall’aumento del tasso di occupazione dell’edificio al miglioramento della manutenzione che prolunga la vita di un edificio offrono un buon potenziale per ridurre le emissioni.

Approfondisci:

Construction and demolition Waste
Cutting greenhouse gas emissions through circular economy actions in the buildings sector


fonte: https://www.snpambiente.it



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Indagine Beach Litter: 654 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia

Sulle spiagge italiane troppa plastica, guanti e mascherine usa e getta, cicche di sigarette e rifiuti edili




Il bilancio dell’indagine Beach Litter 2020, condotta dai Circoli di Legambiente, realizzata grazie al contributo di E.ON e Novamont e raccontata da Goletta Verde, è tutt’altro che incoraggiante: «Rifiuti a ogni passo: 654 quelli rinvenuti, in media, ogni cento metri percorsi lungo le spiagge monitorate da Legambiente. Dagli intramontabili mozziconi di sigaretta a contenitori per bevande e alimenti e stoviglie in plastica usa e getta, dal materiale da costruzione ai “nuovi arrivati” come guanti e mascherine, i cumuli di spazzatura trovati sono frutto d’incuria, maleducazione, mancata depurazione e cattiva gestione dei rifiuti sulla terraferma che, attraverso corsi d’acqua e scarichi, arrivano in mare e sui litorali».

Iniziata nel 2014 sulle spiagge del Mediterraneo, l’indagine Beach Litter di Legambiente rappresenta una delle più grandi esperienze di citizen science a livello internazionale. Il protocollo utilizzato è sviluppato nell’ambito dell’iniziativa Marine Litter Watch dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, cui diverse associazioni comunicano i dati raccolti, con l’obiettivo di creare uno dei più ampi database sui rifiuti spiaggiati costruiti dai volontari a livello europeo.

I volontari di Legambiente, protagonisti della prima attività associativa nazionale in presenza organizzata nel post-lockdown hanno monitorato 43 le spiagge – 1 in Basilicata; 2 in Calabria; 10 in Campania; 2 in Emilia-Romagna; 2 in Friuli Venezia Giulia; 3 nel Lazio; 1 in Liguria; 1 nelle Marche; 5 in Puglia; 8 in Sardegna; 4o in Sicilia; 3 in Veneto; 1 in Umbria (sul lago Trasimeno) – per un totale di 28.137 rifiuti censiti in un’area di 189.000 m2 e dicono che «Su circa la metà delle spiagge campionate, la percentuale di plastica eguaglia o supera il 90% del totale dei rifiuti, mentre in una spiaggia su tre sono stati rinvenuti guanti, mascherine e altri oggetti riconducibili all’emergenza sanitaria. Sebbene il numero di rifiuti rilevati sia in lieve calo rispetto allo scorso anno – complice il sostanziale stop di ogni attività durante il lockdown – il Covid-19 rischia di rendere meno efficaci i passi avanti fatti proprio nella riduzione della plastica e dell’usa e getta».

Legambiente spiega che «Complessivamente l’80% dei rifiuti rinvenuti sulle spiagge nel 2020 è in plastica, la quale si attesta al primo posto tra i materiali censiti, seguita da vetro/ceramica (10%), metallo (3%), carta/cartone (2%), gomma (2%), legno lavorato (1%). Il restante 2% è costituito da altri materiali. A farla da padrone per i polimeri artificiali sono per lo più frammenti di plastica e polistirolo con dimensioni comprese tra 2,5 e 50 cm, mozziconi di sigaretta, tappi e coperchi per bevande. Vetro e ceramica si ritrovano soprattutto in forma di frammenti e di materiale da costruzione come tegole, mattonelle, calcinacci».

Il Cigno Verde definisce «Allarmante la quantità elevata, e in alcuni casi incalcolabile, di materiale da costruzione rinvenuta sulle spiagge del Baraccone a Bari, del Caterpillar a Salerno e di Romagnolo a Palermo, diventate vere e proprie discariche abusive. Il metallo è rappresentato soprattutto da lattine, tappi e linguette, mentre carta e cartone si ritrovano in frammenti, ma in misura importante anche come pacchetti di sigarette».

La principale fonte di questi rifiuti è classificabile come indefinita, frammenti che non possono cioè essere associati a oggetti o riconosciuti (40%), seguita da fonti varie (20%), dagli imballaggi, non solo per alimenti e in vari materiali (15%), e dai rifiuti derivanti da abitudini dei fumatori, principalmente mozziconi di sigaretta, ma anche accendini, pacchetti di sigarette e loro imballaggi (15%). Chiudono la lista, i rifiuti legati al consumo di cibo, come stoviglie, tappi, cannucce (10%). Oltre la metà (il 67%) dei rifiuti registrati è costituita da sole dieci tipologie di oggetto.

Legambiente ha anche fatto la top ten dei rifiuti in spiaggia: tra le prime dieci tipologie di oggetti rinvenuti nel monitoraggio di Legambiente troviamo, in ordine di classifica, pezzi di plastica (14%); mozziconi di sigaretta (14%); pezzi di polistirolo (12%); tappi e coperchi (7%); materiale da costruzione (5%), tra cui calcinacci e mattonelle, tubi di silicone e materiale isolante; pezzi di vetro o ceramica non identificabili (4%); bottiglie e contenitori di bevande (3%); stoviglie usa e getta, tra cui bicchieri, cannucce, posate e piatti di plastica (3%); cotton fioc in plastica (3%); buste, sacchetti e manici (2%).

Da Beach Litter 2020 viene fuori che «Il 42% di tutti i rifiuti monitorati da Legambiente riguarda i prodotti usa e getta al centro della direttiva europea che vieta e limita gli oggetti in plastica monouso. Tra questi, le bottiglie e i contenitori di bevande (inclusi tappi e anelli), ritrovati in più di 3 mila pezzi da Legambiente; i mozziconi di sigaretta (onnipresenti sulle spiagge europee), rinvenuti con una media di uno a ogni passo; le reti e gli attrezzi da pesca e acquacoltura in plastica, per il 28% calze per la coltivazione dei mitili; i contenitori per alimenti e i bicchieri in plastica, che rappresentano rispettivamente il 49% e il 26% dei rifiuti derivanti da consumo di cibi da asporto censiti da Legambiente, ma per i quali attualmente è stato posto solo un obiettivo di riduzione nel consumo; i cotton fioc in plastica, anch’essi ritrovati con una media di uno per ogni passo sulla sabbia. Al centro di una recente battaglia di Legambiente che ha contribuito alla loro messa bando in Italia dal gennaio 2019 (in anticipo sul divieto di commercializzazione contenuto nella proposta della direttiva Ue), i bastoncini cotonati sono anche simbolo della cattiva abitudine di buttare i rifiuti nel wc e della mala depurazione per cui ciò che viene gettato negli scarichi di casa arriva a inquinare l’ambiente marino».

La direttiva Ue (Single Use Plastics), si concentra su 10 prodotti in plastica monouso e sulle reti e gli attrezzi da pesca e acquacoltura, in quanto tutti insieme rappresentano il 70% dei rifiuti maggiormente rilevati sulle spiagge europee. Il testo propone che il divieto di utilizzo (a partire dal 2021) dei prodotti per i quali esistono alternative (posate, piatti, bastoncini cotonati, cannucce, mescolatori per bevande e aste dei palloncini) venga esteso anche ai prodotti di plastica oxodegradabile e ai contenitori per cibo da asporto in polistirene espanso. Per i prodotti monouso per cui, invece, non ci sono alternative, gli Stati membri dovranno mettere a punto misure per ridurne significativamente l’utilizzo, mentre per altri sono stati definiti obiettivi di riciclo, raccolta e revisione della progettazione del prodotto.

Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, evidenzia che «Quasi la metà dei rifiuti monitorati riguarda proprio i prodotti al centro della direttiva europea sulla plastica monouso: anche alla luce di questi risultati l’Italia deve recepirla prima della scadenza del luglio 2021 –Dopo la messa al bando dei cotton fioc non biodegradabili e delle microplastiche nei cosmetici, cui abbiamo contribuito con le nostre instancabili denunce, diverse delibere comunali hanno anticipato il bando delle stoviglie usa e getta, mentre intere catene di supermercati ne hanno abolito la vendita: non possiamo vanificare gli sforzi fatti verso l’adeguamento alla direttiva, che vieterà alcuni prodotti monouso sul territorio nazionale e indicherà forti limitazioni e la responsabilità estesa dei produttori ad altri prodotti. Alla luce dell’ipotesi di varare una tassa europea sulla plastica per cofinanziare il Recovery Fund, ribadiamo la nostra richiesta di non prorogare ulteriormente, oltre l’1 gennaio 2021, l’avvio della plastic tax varata con la legge di bilancio a dicembre. Si deve poi arrivare, al più presto, all’approvazione della legge SalvaMare che consentirebbe ai pescatori di riportare a terra i rifiuti pescati accidentalmente: il disegno di legge, approvato a ottobre alla Camera, è completamente fermo al Senato, in Commissione ambiente, sottraendo tempo prezioso al recupero dei rifiuti affondati, il 70% di quelli che finiscono in mare, con danni alla biodiversità e all’economia della pesca. Servono passi avanti nella leadership normativa in contrasto al marine litter. Importante includere anche i bicchieri di plastica nel bando nazionale, che la direttiva europea prevede solo di limitare, e consentire l’uso di oggetti sostitutivi fatti con materiali biodegradabili e compostabili non derivanti dal petrolio, così da potenziare la filiera del compostaggio dei rifiuti organici in cui l’Italia è leader in Europa. Misure utili ad accompagnare la transizione».

Legambiente ricorda che «Per combattere l’emergenza globale dei rifiuti in mare, occorrono leggi e indirizzi dei Governi, la riconversione industriale verso l’economia circolare, ma anche l’impegno di cittadini e consumatori nel prevenire la produzione di rifiuti. Pertanto, l’associazione sollecita a non disperdere nell’ambiente oggetti inquinanti di quotidiano utilizzo e smaltirli correttamente. L’emergenza Covid-19, in particolare, sta alimentando il falso mito che dall’utilizzo di dispositivi usa e getta derivi una migliore prevenzione del contagio, nonostante non vi siano motivazioni scientifiche o epidemiologiche a supporto». Per questo il Cigno Verde invita a scegliere, ad esempio, mascherine lavabili e riutilizzabili per preservare risorse e ambiente in modo decisivo e chiede ai cittadini partecipare alla sfida social dell’estate, la #GolettaChallenge: a chi aderirà sarà chiesto di ripulire dai rifiuti un pezzetto di spiaggia e di condividere la foto sui social, sfidando tre o più amici a fare altrettanto e includendo nel post il tag di Legambiente e l’hashtag #GolettaChallenge»,

Di fronte alle illegalità sempre in agguato, Legambiente punta a non abbassare la guardia: «Come dimostra l’episodio di dispersione in mare di oltre 130 milioni di filtri provenienti dal depuratore di Capaccio-Paestum che nel 2018 hanno inquinato tutto il Mar Tirreno, con ritrovamenti persino in Francia e Spagna. Da subito l’associazione ha denunciato la vicenda, chiedendo venisse applicata la legge sugli ecoreati e intraprendendo un’azione di pulizia straordinaria delle spiagge: adesso, arriva la notizia dell’inizio del procedimento penale in cui Legambiente Campania è stata riconosciuta come persona offesa e che a ottobre vedrà sul banco degli imputati i dirigenti della multinazionale Veolia Water Technologies, funzionari del Comune di Capaccio e tecnici. Sono accusati di avere prodotto l’esondazione dei reflui dall’impianto, con conseguente dispersione in mare dei dischetti, tramite una condotta “abusiva negligente, imperita e imprudente, commissiva e omissiva”».

fonte: www.greenreport.it


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Rifiuti da costruzione e demolizione edifici, pubblicate le linee guida UNI



















Il documento definisce un macro-processo per la decostruzione selettiva per favorire il riuso e riciclo dei rifiuti derivanti dalla costruzione e demolizione degli edifici, in un'ottica di economia circolare.


Se ricicliamo e riutilizziamo, si sa, evitiamo di produrre materie prime. E ridurre la produzione di materie prime, significa anche risparmiare energia.

Secondo l'ultimo rapporto di sostenibilità del Conai, il riciclo di carta, alluminio, vetro, legno ecc. ha generato un risparmio di energia primaria di "oltre 20,91 terawattora in un anno, l’equivalente dell’energia necessaria a soddisfare i consumi medi di elettricità nelle case di oltre 5 milioni di famiglie italiane".

Perchè non operare una "raccolta differenziata" anche dei rifiuti prodotti nei cantieri edili?

Secondo EUROSTAT, i rifiuti inerti da costruzione e demolizione (C&D) costituiscono il flusso più rilevante dei rifiuti speciali prodotti in Europa. I dati relativi all’anno 2014, ci parlano di 868 milioni di tonnellate di rifiuti da C&D prodotti in Europa.

L’Italia si attesta all’ottavo posto della classifica dei rifiuti speciali prodotti, con circa 159 Mt, di cui 51 Mt (il 32%) relativi al settore delle costruzioni e demolizioni (incluse terre e rocce da scavo).

È innegabile che una raccolta selettiva dei rifiuti da demolizione e costruzione può generare innumerevoli vantaggi, sia in termini di riduzione di rifiuti, sia in termini di riciclo e riutilizzo dei materiali, nonchè di risparmio di energia.


Tuttavia la demolizione selettiva e il riutilizzo dei rifiuti da C&D non sono ancora normati a livello nazionale. In attesa dell'emanazione di un decreto End of Waste specifico per i rifiuti da C&D, si possono seguire le indicazioni della Prassi di Riferimento UNI/PdR 75:2020, pubblicata dall'UNI e che reca il titolo "Decostruzione selettiva – Linea guida per la decostruzione selettiva e il recupero dei rifiuti in un’ottica di economia circolare".

Il documento delinea un processo per la decostruzione selettiva e il recupero dei rifiuti che prende in considerazione sia gli edifici esistenti da ristrutturare o da demolire, sia quelli di nuova costruzione.


Per gli edifici esistenti è previsto un database dei materiali destinabili al riciclo e al riuso che deve essere realizzato nella fase di diagnosipreliminare delle tipologie e delle quantità di materiali che costituiscono o sono contenuti nell'edifico (audit predemolizione).


Per gli edifici di nuova costruzione, invece, è previsto un database da compilare con i materiali previsti da progetto.

La Prassi è scaricabile gratuitamente dal sito dell'UNI. Vedi i Riferimenti in basso.
Riferimenti

Prassi di Riferimento UNI/PdR 75:2020
dal sito dell'UNI



fonte: www.nextville.it

Nasce “Market inerti”, la vetrina dei materiali recuperati dai rifiuti


















“Market inerti”, è questo il nome del nuovo applicativo web, nato per favorire l’incontro fra domanda e offerta degli aggregati riciclati inerti, che è stato presentato il 6 novembre a Ecomondo, nel corso del convegno “Lo sviluppo del mercato degli aggregati riciclati” organizzato da ANEPLA e ANCE Lombardia con la collaborazione di Regione Lombardia e Arpa Lombardia.
Dedicata a questa particolare tipologia di “End of Waste” – i materiali recuperati dal riciclaggio dei rifiuti, in questo caso quelli da costruzione e demolizione –  l’applicazione, prevista da un protocollo tra ANCE Lombardia e Regione Lombardia, è stata sviluppata appoggiandosi all’applicativo O.R.SO. (Osservatorio Rifiuti Sovraregionale), utilizzato da quasi 20 anni in Lombardia e Veneto per la raccolta dei dati sulla produzione e gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti gestiti negli impianti di trattamento e condiviso attualmente con 16 regioni. Arpa Lombardia, che sulla tematica End of Waste sta partecipando a diversi tavoli di lavoro regionali e nazionali, ha fornito anche tutto il supporto specifico nella progettazione e sviluppo dell’applicativo.
Come funziona il market
Nel market (ad accesso pubblico), sarà possibile effettuare ricerche dei prodotti presenti e visualizzarne le relative specifiche, quantitativi e documentazione allegata, anche selezionando più lotti di prodotti o produttori diversi: quindi, per ciascuno, sarà possibile visualizzare i riferimenti commerciali e procedere personalmente a contattare il fornitore.
Tali dati sono inseriti in O.R.SO. (ad accesso riservato) direttamente dagli impianti autorizzati al recupero di rifiuti inerti e alla produzione degli aggregati. Alle informazioni che già attualmente inseriscono, queste aziende potranno aggiungere anche il dettaglio dei singoli lotti di prodotti, con i quantitativi e la relativa documentazione tecnica/ambientale prevista dalla normativa, e i propri riferimenti commerciali per essere contattate.
Quando sarà disponibile
Dopo una prima fase di sperimentazione, che coinvolgerà un numero limitato di soggetti in collaborazione con ANPAR (Associazione Nazionale Produttori Aggregati Riciclati), “Market inerti” verrà definitivamente messo on-line all’inizio dell’anno prossimo.
Le finalità
L’applicativo è stato realizzato per fornire un contributo all’economia circolare e, in particolare, alla promozione del mercato dei materiali recuperati dai rifiuti e del loro impiego da parte delle Pubbliche Amministrazioni e dei soggetti economici, così come prevede la normativa comunitaria e nazionale.
Scarica il programma del convegno: Lo sviluppo del mercato degli aggregati riciclati
fonte: http://www.snpambiente.it

Manca la normativa, e il riciclo dei rifiuti inerti non c’è: finiscono (se va bene) in discarica

In ballo c’è il destino di 57 milioni di tonnellate di scarti prodotti in Italia ogni anno: almeno 15 milioni di tonnellate potrebbero sostituire il calcestruzzo prodotto con materie vergini





















I rifiuti inerti da costruzione e demolizione (C&D) regolarmente censiti – ovvero senza (poter) tenere conto degli enormi quantitativi illegalmente dispersi nel territorio – rappresentano il 41% di tutti i rifiuti speciali prodotti ogni anno nel nostro Paese: 57 milioni di tonnellate di rifiuti che potrebbero essere in larga parte riciclate, ma che invece affollano le discariche. Come potrebbe essere altrimenti, se manca anche la normativa End of waste in grado di indicare quando questi rifiuti possono tornare ad essere un prodotto e spesi sul mercato? Una situazione paradossale, per sbloccare la quale alcune associazioni di categoria (Cna, Confartigianato imprese, Federbeton con Atecap, Fise Unicircular, Anpar,  Legacoop produzione e servizi, e il supporto del Centro materia rinnovabile) si sono rivolte direttamente al ministro dell’Ambiente.
Negli ultimi 6 anni dal ministero sono infatti arrivati sono 2 decreti End of waste, e 16 sono ancora in lavorazione; tra questi anche quello per i rifiuti inerti, inchiodato alla seconda tra le 8 fasi di avanzamento previste. Dopo oltre due anni di intenso confronto con il ministero e l’Ispra, però, la bozza messa a punto «non contiene alcun elemento di innovazione, in quanto riproduce gli stessi limiti operativi e concettuali di 20 anni fa», spiega amareggiato il presidente Anpar Paolo Barberi. L’obiettivo delle associazioni è invece quello di arrivare alla redazione di un nuovo testo di regolamento End of waste per i rifiuti inerti che preveda analisi e verifiche assolutamente rigorose, ma costruite a misura degli scopi specifici ai quali “la sostanza o l’oggetto è destinato” (si veda art.6, par. 1, Direttiva 2008/98). Conciliando criteri ambientali, nel rispetto delle norme in materia, e criteri tecnico industriali, che derivano dalle norme tecniche armonizzate europee e dall’esperienza operativa delle imprese.
La posta in gioco è molto alta: stabilire regole chiare attraverso le quali poter valorizzare pienamente questi materiali nelle costruzioni è quindi un passo importante per l’economia di un settore che negli ultimi anni ha perso più di 500.000 posti di lavoro, e può trovare una importante leva di ripresa proprio nell’economia circolare come dichiarano ormai da anni da Legambiente all’Ance.
«Il settore del calcestruzzo può dare un prezioso contributo a tutto ciò, grazie all’impiego di aggregati da riciclo in sostituzione di quelli naturali – argomenta il del presidente dell’Atecap Andrea Bolondi – Abbiamo stimato che su una produzione attuale di circa 27 milioni di metri cubi di calcestruzzo si potrebbe ottenere un risparmio di aggregati naturali di 15 milioni di tonnellate, cioè un mancato conferimento in discarica di scarti delle costruzioni pari a circa il 10% del totale di rifiuti speciali generati in Italia. Sono potenzialità enormi che non vanno perse, ma per farlo serve emanare al più presto un decreto end of waste sui rifiuti inerti».
Non solo: «L’impiego nella produzione di calcestruzzi non è che un esempio dei molteplici usi degli aggregati che si possono ottenere dal riciclo dei 57 milioni di tonnellate di rifiuti inerti (tracciati) generati ogni anno nel nostro Paese – continua Barberi – In questo momento le aziende di tutta la filiera si trovano in una situazione paradossale, tra l’incudine e il martello: da una parte prigioniere di norme statali per il riciclo vecchissime e ormai superate che il ministero non adegua al progresso tecnologico e ai nuovi usi tecnici e commerciali; dall’altra, impossibilitate a richiedere che questo adeguamento possa essere autorizzato dalle regioni con provvedimenti per i singoli impianti, a causa delle norme inserite nello Sblocca cantieri che hanno tolto questa competenza alle Regioni per demandarla allo Stato». Non a caso 56 associazioni e imprese si sono rivolte congiuntamente al Governo la scorsa settimana per cambiare rapidamente rotta, e ridare concretamente fiato all’economia circolare. I soli applausi all’economia verde da soli non bastano più.
fonte: www.greenreport.it

Rifiuti edilizi: filtri per l’acqua dal riciclo dei pannelli di fibra

Il progetto FibreCarb trasformerà i Medium-density fibreboard in una nuova fonte di carbone attivo, con un processo in grado di autoalimentarsi sotto il profilo energetico
















Il modello dell’economia circolare ha iniziato a farsi strada anche in edilizia. Non solo il settore ha aperto le porte a materiali locali, riciclati o di recupero ma, con qualche difficoltà, sta diventato esso stesso fornitore di materie prime seconde. In questo nuovo filone di buone pratiche s’inserisce il progetto FibreCarb, lanciato da Kenny Vanreppelen, ricercatore belga e fondatore della start-up Act & Sorb. L’iniziativa, come è facile intuire dal nome stesso, si concentra su un particolare tipo di rifiuti edilizi: i pannelli di fibra.
“Una volta che l’edificio deve essere smantellato o in caso di ristrutturazione, è possibile avere tra i rifiuti, pannelli di fibra che non vengono riciclati ma solo bruciati o conferiti in discarica”, spiega Vanreppelen. Per offrire una soluzione alternativa, lo scienziato assieme ad alcuni colleghi ha sviluppato un processo low energy che permette di riciclare questo tipo di rifiuti edilizi. “Abbiamo sviluppato un processo che li trasforma in carbone attivo, materiale usato come filtro nei depuratori d’acqua o nelle maschere antigas”.


Gli scarti dell’industria delle costruzioni rappresentano circa la metà degli 1,3 miliardi di tonnellate di rifiuti solidi  prodotti a livello urbano, ogni anno nel mondo. La fine vita porta con sé un bagaglio ambientale non indifferente: l’estrazione di materie prime, la fabbricazione di nuovi prodotti edilizi e le attività stesse di costruzione sono responsabili del 3-6% del consumo energetico mondiale e di una parte significativa delle emissioni di anidride carbonica.
Act & Sorb sta tentando di dare una mano alla questione concentrandosi sulla seconda vita dei pannelli di fibra a media densità (MDF-Medium-density fibreboard), materiali da costruzione ampiamente diffusi e usati nelle pareti degli edifici e nei mobili. L’MDF è in gran parte costituito da fibre di legno, ottenute come sottoprodotto della fresatura, che sono combinate con resina e cera, riscaldate e pressate insieme. Tuttavia, le colle utilizzate nel processo li rendono difficili da riciclare dopo l’uso. Secondo il dott. Vanreppelen, l’Europa getta via ogni anno 11 milioni di tonnellate di pannelli di fibra mentre, a livello mondiale, vengono scartati più di 70 milioni di tonnellate. Ma rendere questo spreco utile non è solo una sfida ecologica: attualmente inviare gli MDF in discarica costa circa 50 euro a tonnellata.

Il metodo sviluppato dalla start-up utilizza la carbonizzazione per riscaldare l’MDF ad alte temperature in assenza di ossigeno, facendolo scomporre in carbone e gas. Il carbone viene quindi ulteriormente scaldato e lavorato secondo le specifiche del cliente per creare carbone attivo su misura.
Oltre alla riduzione dei rifiuti edilizi nell’ambiente e ai vantaggi finanziari che ciò comporta, il mercato del carbone attivo è in piena espansione, spiega lo scienziato. Inoltre il gas prodotto durante lo stadio di pirolisi, quando il materiale viene distrutto ad alta temperatura, può essere catturato e utilizzato per alimentare il processo stesso, eliminando la necessità di utilizzare combustibili fossili.

fonte: www.rinnovabili.it

Riciclo materiali edili: come chiudere il cerchio nel settore costruzioni

Legambiente pubblica il rapporto dell’osservatorio Recycle dedicato all’economia circolare nel settore delle costruzioni. Si studiano nodi, soluzioni e buone pratiche
















“Il futuro delle costruzioni passa per l’innovazione ambientale. Attraverso la chiave dell’economia circolare diventa infatti oggi possibile guardare in modo nuovo al rilancio del settore, riducendo l’impatto degli interventi e spingendo il riciclo di materiali edili”. Inizia così il rapporto dell’osservatorio Recycle, presentato ieri da Legambiente nel corso forum quarta edizione dell’EcoForum Rifiuti. Il documento passa in rassegna ostacoli e barriere che fino ad oggi hanno impedito di chiudere il cerchio nel settore costruzioni. Nodi pratici che non solo bloccano una filiera potenzialmente virtuosa, ma sottraggono profitti al sistema Italia. “Un punto va sottolineato con attenzione, oggi non esistono più motivi tecnici, prestazionali o economici che possano essere utilizzati come scuse per non utilizzare materiali provenienti dal riciclo nelle costruzioni”, spiega l’associazione.

E lo dimostrano, dati alla mano, nove progetti in cui il riciclo materiali edili ha permesso di realizzare edifici sostenibili risparmiando sui costi di costruzione. Come nel caso del nuovo Stadio della Juventus, realizzato recuperando i materiali dismessi del vecchio Stadio “Delle Alpi”: circa 40.000 metri cubi di calcestruzzo, 5.000 tonnellate di acciaio, 2.000 metri quadrati di vetro e 300 tonnellate di alluminio. Un riuso intelligente che ha permesso di risparmiare circa 2 milioni di euro.


Perché allora l’economia circolare del settore costruzioni italiano non decolla? I problemi sono essenzialmente di tipo burocratico, giuridico e di scarsa informazione.  Mancano ad esempio riferimenti chiari e vincoli per l’utilizzo di materiali edili da riciclo nei cantieri e i nuovi Criteri Ambientali Minimi (CAM) – che valgono solo per gli appalti pubblici – prevedono percentuali obbligatorie di materiale riciclato davvero ridotte (5% per i calcestruzzi, 5% per il gesso, 10% per i laterizi per murature e solai).
Complicano il quadro, le lacune normative. Oggi mancano criteri tecnici e ambientali (molto specifici con regole sulle caratteristiche geotecniche e ambientali che gli aggregati devono possedere) per tali materiali, rendendo pertanto difficile stabilire quando, “a valle di determinate operazioni di recupero, un rifiuto cessi di essere tale e diventi una materia prima secondaria o un prodotto, non più soggetto alla normativa sui rifiuti”. Senza tali criteri e stringenti controlli, rifiuti solo parzialmente trattati potrebbero essere impiegati al posto dei tradizionali materiali da costruzione, con ovvie conseguenze sia sul fronte della sicurezza dell’opera che della legalità.

Il report analizza nel dettaglio tutte le barriere e fornisce una sorta di ricetta per affrontare il problema, attraverso tre misure da applicare immediatamente:
1) Attuare la Direttiva Europea introducendo obblighi crescenti di utilizzo di aggregati riciclati
2) Cambiare i capitolati fissando obiettivi prestazionali
3) Aumentare controlli e monitoraggio dei rifiuti da demolizione

Leggi qui il report “L’economia circolare nel settore delle costruzioni”

fonte: www.rinnovabili.it

Immagine: Rifiuti edili: al via la tracciabilità nella capitale Rifiuti edili: al via la tracciabilità nella capitale

Approvata la memoria dalla Giunta Capitolina. L'incarico è stato assegnato ai Dipartimenti Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana e Tutela Ambientale













Roma Capitale sottoscriverà un protocollo d'intesa con le associazioni di categoria per la tracciabilità dei rifiuti da attività di costruzione e demolizione e dei prodotti inerti riciclati nei cantieri. E' quanto prevede una memoria approvata dalla Giunta capitolina che assegna ai Dipartimenti Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana e Tutela Ambientale il mandato per stipulare l'accordo con l'obiettivo di migliorare l'efficacia delle azioni di controllo da parte della Direzione Lavori, tenendo conto dell'applicazione della politica degli acquisti verdi (Green Public Procurement). I firmatari del documento ritengono che la gestione della filiera dei rifiuti derivanti da attività di costruzione, demolizione e scavo possa, in prospettiva, trasformarsi in una concreta opportunità per produrre materia e ricchezza a beneficio dei cittadini.
La memoria si inscrive pienamente nelle politiche ambientali adottate da questa amministrazione, che intende costruire una gestione integrata dei rifiuti e promuovere buone pratiche incentrate sul recupero e sul riciclo allo scopo di diminuire il consumo di materie prime naturali. Un obiettivo che deve, però, misurarsi con il consistente numero di interventi di scavo per la realizzazione e la manutenzione delle reti di sottoservizi. Lavori che determinano la produzione di ingenti quantitativi di terre e rocce di scavo e di rifiuti inerti provenienti dalle pavimentazioni rimosse o dalla demolizione di manufatti. Il protocollo è stato quindi concepito proprio per arginare e ridurre il danno ambientale generato da questi rifiuti.

fonte: http://www.ecodallecitta.it/