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Nel Regno Unito nascono i "mattoni solari"



Il gruppo di ricerca sull'energia solare dell'Università di Exter lancia un nuovo materiale edilizio in grado di produrre energia elettrica e regolare la temperatura degli ambienti interni.

Si tratta di un vero e proprio mattone di vetro, che al suo interno presenta delle celle fotovoltaiche per la produzione di energia elettrica. Questa nuova tecnologia è dotata di un dispositivo ottico in grado di aumentare la luce e migliorare l'efficienza del sistema di produzione.



Il dispositivo ha anche la funzione di regolare la luminosità e il carico di raffrescamento/riscaldamento interno dell'edificio. Ad esempio in una giornata molto calda la luce solare può essere ridotta al minimo evitando un eccessivo surriscaldamento. Invece, nel caso opposto, è possibile aumentare la luce sfruttando gli apporti solari, in modo da riscaldare gli ambienti interni e ottenere un maggior comfort termico nei mesi invernali.

Il potenziale di questi "mattoni solari" si può estendere anche a una serie di applicazioni differenti integrandoli alle strutture esterne, come le banchine delle stazioni ferroviarie o alle pensiline degli autobus.

Riferimenti
Solar bricks and smart glazing: could your next home be energy positive?
sul sito di The Guardian

fonte: www.nextville.it


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Una batteria ricaricabile in cemento per trasformare l’edilizia

Grazie alla ricerca della Chalmers University of Technology nasce un nuovo concept per lo stoccaggio elettrochimico che porterebbe aprire le porte all’integrazione delle batterie nelle strutture urbane



Immaginate interi edifici capaci di immagazzinare energia nelle proprie pareti, al pari di una gigantesca batteria ricaricabile. Grazie alla ricerca della Chalmers University of Technology, in Svezia, questa visione potrebbe un giorno divenire realtà. Qui infatti un gruppo di ricercatori del Dipartimento d’Architettura e Ingegneria Civile ha messo a punto un nuovo concept per l‘accumulo energetico in grado di fornire anche sostegno strutturale. Il risultato, tratteggiato nella rivista scientifica Building, è un’innovativa batteria ricaricabile in cemento con una densità energetica media di 7 Wh per metro quadrato.

La soluzione richiede una ricetta ad hoc. Per realizzare la speciale soluzione di stoccaggio si parte da una miscela a base di cemento con l’aggiunta di piccole quantità di fibre di carbonio. Tali elementi sono necessari per aumentarne la conduttività e la resistenza alla flessione. Il passo successivo richiede di incorporare alla miscela una rete in fibra di carbonio rivestita di metallo: ferro per l’anodo e nichel per il catodo. Al pari degli elettrodi tradizionali, questi trasportano gli elettroni avanti e indietro in fase di carica e scarica.

La ricetta finale è frutto di diverse sperimentazioni avviate per migliorare le ricerche sul tema. “Risultati di studi precedenti sulla tecnologia delle batterie in calcestruzzo avevano mostrato prestazioni molto basse”, spiega la dottoressa Emma Zhang. “Ci siamo resi conto che dovevamo pensare fuori dagli schemi, per trovare un altro modo per produrre l’elettrodo. L’idea che abbiamo sviluppato […] non è mai stata esplorata prima. Ora abbiamo la prova del concetto su scala di laboratorio”.

Credits: Chalmers University of Technology

La nuova batteria ricaricabile in cemento ha una densità di energia di 7 Wh per metro quadrato o 0,8 Wh per litro. Valori che secondo il team, guidato dal professor Luping Tang, potrebbero rivelarsi più di 10 volte maggiori rispetto ai precedenti tentativi. E sebbene si tratti di prestazioni ancora molto basse rispetto ai dispostitivi di accumulo commerciale, la possibilità di essere scalata per formare strutture massicce potrebbe aiutare a contrastare la sua capacità limitata. “Potrebbe anche essere accoppiata – suggerisce Zhang – con pannelli solari per fornire energia, ad esempio, ai sistemi di monitoraggio in autostrade o ponti”.

Ovviamente l’idea è ancora in una fase iniziale. Il gruppo deve risolvere diverse questioni tecniche prima di pensare alla commercializzazione inclusa l’estensione della vita utile e lo sviluppo di tecniche di riciclaggio.

fonte: www.rinnovabili.it


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Il riciclo che non ti aspetti: quello dei rifiuti dello spazzamento stradale

 

Tra le diverse tipologie di rifiuti che diventano nuova materia prima, una delle più ‘inattese’ è forse il frutto della pulizia delle strade: le terre di spazzamento. Se ormai il riciclo degli imballaggi è esperienza quotidiana, se non ci stupisce più indossare un paio di scarpe o un pile realizzati con il PET delle bottiglie, il recupero dei rifiuti lungo le strade (si chiamano appunto “terre di spazzamento”, e in questo caso “recupero” è più appropriato di “riciclo”, visto che non prevede particolari processi di trasformazione industriale) può lasciare sorpresi. Con la piacevole sensazione – del tutto personale di chi scrive, ovviamente – che se si possono recuperare sassolini, fanghi e foglie raccolti lungo le vie forse gli obiettivi della transizione ecologica e dell’economia circolare sono veramente alla nostra portata. Cerchiamo di scoprire qualcosa in più sui rifiuti di spazzamento e sulle materie prime “trovare per strada”.

Quante terre di spazzamento recuperiamo

Cominciamo col sottolineare che i rifiuti da spazzamento stradale raccolti dalle autospazzatrici contribuiscono alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani, ma solo quando sono avviati a recupero: spazzare e portare in discarica, insomma, ovviamente non conta ai fini della differenziata.

Ispra (Rapporto rifiuti Urbani 2020) calcola che nel nostro Paese nel 2019 sono state avviate a recupero 451 mila tonnellate di terre di spazzamento. Il 2,4% del totale della raccolta differenziata dei rifiuti urbani.

Abissale la differenza tra le diverse macroregioni: il Nord recupera 288.000 tonnellate, il Centro 95.800, il Sud 63.700. Una valutazione procapite mostra sempre il Nord in vantaggio, con oltre 10 kg/abitante/anno, 8 il Centro e solo 3 il Sud.

Il recupero delle terre di spazzamento è raddoppiato in meno di cinque anni, passando dalle 215 mila tonnellate del 2016 alle 451 mila del 2019 (+109%).

Quante ne se ne potrebbero recuperare

In realtà “lo spazzamento stradale non è un obbligo previsto per legge, ma è lasciato al buon cuore delle municipalità”, sottolinea Francesco Di Maria, docente di Tecnica di tutela dell’ambiente all’università di Perugia. Quindi non tutti i Comuni si attivano per avviarlo. E non tutti quelli che lo fanno recuperano i materiali raccolti, preferendo portarli in discarica addirittura senza il necessario e obbligatorio pretrattamento (contengono infatti materiale organico putrescibile).

Per questo Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e FISE UNICIRCULAR nell’Italia del riciclo 2020 stimano una produzione di rifiuti da spazzamento stradale pari a circa 1,3 milioni di tonnellate all’anno, e pare senza dubbio – anche solo soppesando le differenze tra Nord e Sud – una stima largamente prudenziale: “È evidente – scrivono i ricercatori della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – che la mancata separazione dei rifiuti da spazzamento stradale dai rifiuti urbani indifferenziati, pratica ancora diffusa sul territorio nazionale, determina una sottostima della quantità prodotta”.

Questa sottostima non è solo un problema statistico: la principale conseguenza della sottovalutazione del mercato sono i mancati investimenti per l’adozione di corrette tecnologie di trattamento.

La popolazione effettivamente servita, poi, sarebbe “in un range che va da circa un terzo a circa un quarto del totale nazionale”.

Gli impianti di recupero dei rifiuti di spazzamento

In Italia sono oggi attivi 17 impianti dedicati al trattamento dei rifiuti da spazzamento stradale. 12 sono al Nord, 3 al Centro e 2 al Sud: la solita Italia a due velocità. La capacità autorizzata di questi impianti, spiega “L’Italia del riciclo”, i varia da un minimo di 10.000 tonnellate l’anno ad un massimo di 63.000, con una media per impianto di circa 30.000.

Sono sufficienti 17 impianti in Italia? “La sostenibilità economica di un impianto di trattamento per i rifiuti da spazzamento – spiega Di Maria – è attorno alle 40 mila tonnellate anno, non sotto. Considerato che ad esempio oggi in Umbria siamo attorno alle 15 mila tonnellate raccolte, molto poco in effetti, diventa difficile fare impianti se non c’è sufficiente materia per farlo lavorare in attivo”. Anche perché parliamo di un materiale “povero” che, per stare sul mercato, deve essere utilizzato non lontano da dove viene “prodotto”.
“Trattamento a umido”: l’acqua come vettore

Gli impianti più efficienti utilizzano il “trattamento a umido”: “Si usa l’acqua come vettore per separare le varie frazioni in base al peso specifico e contestualmente per togliere i contaminanti dalla materia solida e trasferirla nell’acqua, che poi viene depurata per essere riutilizzata e per il 90% torna in circolo”, spiega Ezio Esposito, presidente del Gruppo Esposito – progettazione, costruzione e gestione di impianti per il trattamento di rifiuti da spazzamento stradale, 9 siti realizzati in Italia (A2A, Falk Nenewables, Iren) e 4 in via di realizzazione – e presidente Assorem, che associa appunto le imprese impegnate nel recupero e riciclo di materiali provenienti dallo spazzamento delle strade. Gli impianti di trattamento a umido sono in grado di recuperare mediamente oltre il 70% delle terre di spazzamento, con valori anche superiori al 90% in alcuni impianti.

I materiali recuperati: inerti, fanghi, rifiuti organici

La maggior parte del materiale recuperato è costituito da inerti. Stando ai dati del Gruppo Esposito, il 61% del totale dei rifiuti diventa sabbia, ghiaia e ghiaia fine: materiali certificati CE, conformi con il test di cessione degli inquinanti e con le norme tecniche UNI, che tornano sul mercato come materie prime da utilizzare per la produzione di calcestruzzo, malte, prefabbricati e asfalto (quest’ultimo assorbe circa il 70% degli inerti ottenuti). Il 14% è invece composto da fanghi disidratati recuperabili in fornaci o cementifici. I fiuti organici, principalmente foglie, costituiscono il 10% delle terre di spazzamento e vengono avviati a compostaggio o al recupero di energia. Un altro 14 è costituito rifiuti misti, smaltiti in discarica o inceneriti. Mentre circa lo 0,1% è costituito da materiali ferrosi a recupero in impianti metallurgici.

“Offriamo inerte recuperato e lavato di altissima qualità, a differenza degli altri inerti recuperati”, spiega Esposito. Proprio la maggiore qualità rispetto agli altri inerti da recupero garantisce ai materiali ottenuti dai rifiuti di spazzamento un mercato, legato principalmente ai Criteri ambientali minimi (CAM) che impongono una quota di inerte “seconda vita”: “Trovare materiale di recupero che abbia qualità come le nostre è difficile. E sul mercato ci posizioniamo con costi più o meno simili a quelli dei materiai di cava”, aggiunge il presidente di Assorem.

End of waste per le terre di spazzamento

Un decreto end of waste (EoW) per le terre di spazzamento è in dirittura d’arrivo. “Dovrebbe essere di prossima emanazione – spiega Esposito – sono diversi anni che lo aspettiamo. La bozza è pronta, il Consiglio di Stato ha dato il suo ok e anche l’Europa. Sicuramente fornirebbe regole chiare e certe in base alle quali chi deve autorizzare nuovi impianti avrà un percorso più semplice e univoco”. ASSOREM, inoltre, sulla base delle esperienze degli associati, preme perché si adottino criteri EoW specifici anche per la frazione organica. Anche, se, riflette Di Maria l’end of waste “è uno strumento molto importante ma non sempre risolutivo. Molti EoW sono stati approvati ma sono difficilmente praticabili perché molto complessi”. E poi “Il riciclo lo fa il mercato. L’EoW ha senso se esiste una filiera economica che consente di beneficiarne”.

fonte: economiacircolare.com


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Come il fotovoltaico integrato negli edifici può alimentare l’Italia

Massimo Mazzer (Cnr-Imem) e David Moser (EURAC Research) spiegano su Nature come sostenere l’espansione dell’energia solare senza ricorrere ad ulteriore consumo di suolo. Dai tetti italiani una produzione potenziale di oltre 200 TWh l’anno



La parola d’ordine per accelerare la rivoluzione ecologica senza aumentare l’impatto sull’ambiente? Fotovoltaico integrato negli edifici e nelle infrastrutture.

L’energia solare ha un posto di primo piano nelle strategie nazionali di decarbonizzazione. Eppure, il contributo che il comparto può fornire al mix energetico del futuro è spesso sottostimato. Parte del problema sta nello sviluppo tecnologico, molto più rapido rispetto le valutazioni politiche sul tema. I miglioramenti nell’efficienza e nella resa di celle e moduli avanzano quasi quotidianamente; e già oggi la tecnologia fotovoltaica rappresenta una delle opzioni più economiche per la nuova produzione elettrica su scala utility, in diverse aree del mondo.

Ma come sfruttare al massimo una risorsa così vantaggiosa senza sottrarre nuovo terreno? A rispondere è la la lettera pubblicata in questi giorni su Nature, da Massimo Mazzer (Cnr-Imem), referente italiano nell’Implementation Working Group sul Fotovoltaico del SET Plan Europeo, e David Moser, Responsabile R&D sul Fotovoltaico di EURAC Research. Nell’articolo “Come l’energia solare può alimentare l’Italia senza consumare più suolo (nature.com)“ i due autori vanno diritto al punto. E rimarcano le potenzialità italiane del fotovoltaico integrato negli edifici, definendolo come “la più efficace alternativa al consumo di suolo”.

D’altra parte, l’urbanizzazione si è conquistata una buona quota di terreno. Perché allora non sfruttare superfici già costruite? Precedenti stime valutavano per i tetti italiani un potenziale di produzione fotovoltaica di circa 120 GWp. Dati bastati su un’efficienza del modulo del 15%. Con la tecnologia commerciale attuale (efficienza al 22%) tale potenziale sale automaticamente. “Sulla base di questi dati, i moduli commerciali attualmente disponibili […] genererebbero 200 TWh di elettricità all’anno“, scrivono Mazzer e Moser. Un valore doppio rispetto all’obiettivo nazionale per il fotovoltaico 2030. “Con moduli efficienti al 30%, il potenziale raggiungerebbe 275 TWh/a. Anche le facciate possono contribuire significativamente […] si stima che edifici residenziali e uffici potrebbero integrare impianti fotovoltaici su un totale di almeno 160 km² di superficie di facciate, e contribuire alla generazione di 15-25 TWh/a di elettricità (a seconda della tecnologia fotovoltaica usata)”.

La pubblicazione fa parte di un’iniziativa intrapresa a livello nazionale già a partire dal 2017, con la costituzione di specifici gruppi di lavoro misti, composti esperti del mondo della ricerca e industriale. L’obiettivo? Definire il contributo italiano all’Implementation Plan del SET Plan Europeo. Un lavoro che ha prodotto risultati molto importanti sul piano del possibile rilancio di tutta la filiera industriale del fotovoltaico (compresa la parte alta) di importanza strategica per l’Italia e l’UE.

La lettera dedicata al fotovoltaico integrato negli edifici, spiega il CNR, “rappresenta una ulteriore voce dibattito pubblico, rappresentativa di coloro che hanno contribuito alla scrittura del Piano Strategico, per chiarire quanto ampie, diversificate e convenienti siano le potenzialità del fotovoltaico integrato nelle infrastrutture esistenti (a partire dagli edifici) nel nostro Paese”.

fonte: www.rinnovabili.it



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Alghe e microplastiche per isolare le case

Miscelando un biopolimero gelificante con polvere plastica da rifiuti si è ottenuto un isolante termoacustico per edilizia.

















Un materiale isolante espanso per edilizia da scarti plastici eterogenei e, in prospettiva, anche da rifiuti marini e microplastiche: è l'obiettivo di uno studio condotto da Marco Caniato, ricercatore e docente della Facoltà di Scienze e Tecnologie della Libera Università di Bolzano.
Il materiale messo a punto e brevettato dal ricercatore, in collaborazione con l’Università di Trieste, utilizza un biopolimero estratto dell’alga agar agar, un polisaccaride della consistenza di un gel - usato come gelificante naturale - che viene addizionato con carbonato di calcio per poi essere miscelato con polvere di plastica.

Come materiali rappresentativi delle microplastiche presenti in ambiente marino, nell'ambito della ricerca sono state utilizzate plastiche provenienti dai rifiuti industriali e domestici (polietilene, PET, EPS). Dopo la gelificazione, i campioni vengono congelati a -20 °C per 12 ore e infine liofilizzati per rimuovere l’acqua. Il risultato finale - spiega il ricercatore - è un materiale poroso che può essere utilizzato, ad esempio, come sostituto della lana di roccia nell'isolamento termoacustico degli edifici. Il processo prevede anche il riciclo dell’acqua, che viene raccolta al termine della liofilizzazione, dopo lo scongelamento.


“Le prove di caratterizzazione che abbiamo condotto hanno confermato che il prodotto possiede ottime proprietà isolanti e che può facilmente competere con gli isolanti tradizionali come la lana di roccia o le schiume poliuretaniche - afferma Caniato (nella foto) -. Abbiamo dimostrato che un approccio sostenibile, più pulito ed ecologico, può essere usato per riciclare i rifiuti marini e per costruire con un materiale ecologicamente ed economicamente conveniente”.

I risultati sono stati pubblicati in un articolo "Acoustic and thermal characterization of a novel sustainable material incorporating recycled microplastic waste" sulla sulla rivista Sustainable Materials and Technologies (leggi QUI).


fonte: www.polimerica.it



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Plasmix nelle pavimentazioni

Accordo tra Iren e Mapei per la produzione di conglomerati bituminosi modificati con plastiche riciclate da raccolta differenziata.







La multiutility emiliana Iren, attraverso la controllata I.Blu, ha siglato un accordo con il fornitore di materiali da costruzione Mapei per utilizzare plastiche riciclate da rifiuti post-consumo nella produzione di conglomerati bituminosi destinati alla realizzazione di pavimentazioni stradali. L'obiettivo è sviluppare asfalti più sostenibili e duraturi per strade, autostrade, aree industriali, aeroporti, centri logistici e commerciali.

Negli anni scorsi Mapei e I.Blu hanno collaborato a progetti di pavimentazione di alcuni tra i principali scali aeroportuali del territorio nazionale, confermando la validità della tecnologia adottata. Formulazioni messe a punto anche grazie al supporto del Laboratorio Stradale del Politecnico di Milano.


“L’accordo stipulato con Mapei interpreta perfettamente il nostro concetto di multicircle economy, la nostra visione industriale a lungo termine focalizzata sull’uso consapevole ed efficiente delle risorse - commenta l'AD di Iren Massimiliano Bianco (a destra nella foto in alto) –. L’ingresso nel Gruppo Iren di I.Blu, avvenuto nel 2020 (leggi articolo), ci ha permesso di compiere un ulteriore passo avanti, sia in termini di innovazione industriale che nella valorizzazione economica ed ambientale del ciclo dei rifiuti, permettendoci di diventare leader nazionale nella selezione delle plastiche Corepla e nel trattamento del plasmix". "La partnership con Mapei aggiunge ulteriore valore a questo processo, permettendoci di chiudere il cerchio attraverso l’impiego dei polimeri termoplastici nei conglomerati bituminosi”.

"Mapei crede fortemente nello sviluppo di questo mercato ed ha recentemente creato la nuova linea Road Engineering dedicata proprio alle tecnologie e soluzioni per tutto quello che è il mondo dei conglomerati bituminosi, dalle grandi opere alle strade comunali o provinciali. L’economia circolare implica anche la ricerca di durabilità - aggiunge Marco Squinzi, CEO di Mapei (a sinsitra nella foto in alto) -. L’utilizzo di tecnologie innovative per interventi più risolutivi e più duraturi per estendere la vita delle strutture, sia nel nuovo che nel ripristino, deve diventare un impegno condiviso nell’ambito delle infrastrutture e dell’edilizia. Il fatto che questo si possa ottenere grazie all’utilizzo di materie prime seconde, aggiunge valore al progetto che si inserisce appieno nella scelta di Mapei di fare della sostenibilità un pilastro della propria attività”.

fonte: www.polimerica.it


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Progetto AweS0Me, materiali per l’edilizia dai rifiuti agricoli

Il progetto “AweS0Me” finanziato dall’Unione Europea studia come trasformare i rifiuti agricoli in materiali da costruzione ad alte prestazioni. Tre i Paesi coinvolti: Italia, Albania e Montenegro



Da rifiuti a risorsa. “AweS0Me” – “Agricultural Waste as Sustainable 0 km building Material” (Scarti agricoli come materiali edili sostenibili a km 0) è un progetto per la trasformazione dei rifiuti agricoli in materiali da costruzione ad alte prestazioni. Il progetto mira a promuovere buone pratiche e lo studio di soluzioni ecocompatibili di economia circolare per il settore edilizio di qualità.

Il progetto “AweS0Me” è finanziato dall’Unione Europea con un budget totale di 706.936,09 euro. Rientra nell’ambito del secondo bando del Programma Interreg IPA CBC Italia-Albania-Montenegro 2014-2020 – Targeted Asse 3, “Protezione dell’ambiente, gestione dei rischi strategia a basse emissioni di carbonio”.

Tre i Paesi coinvolti in “AweS0Me”, Italia, Albania e Montenegro rappresentati da istituzioni diverse: CONFIMI, l’Associazione imprenditori italiani in Albania (capofila), il Politecnico di Bari, il Centro per l’innovazione e l’imprenditorialità “Tehnopolis” del Montenegro e il GAL Molise “Verso il 2000”.

Utilizzare i rifiuti agricoli (sia le potature che gli scarti di lavorazione) per realizzare materiali termoisolanti (come ad esempio i pannelli) da utilizzare per l’efficientamento energetico degli edifici è una realizzazione pratica di economia circolare. Ma soprattutto “AweS0Me” ha l’obiettivo di diffondere la conoscenza di nuove vie per l’edilizia sostenibile e incoraggiare lo sviluppo di nuovi materiali che garantiscano ottime prestazioni termoisolanti e nello stesso tempo abbiano un basso impatto ambientale.



Il progetto “AweS0Me” ha anche un altro aspetto interessante da un punto di vista ambientale. La disponibilità di scarti agricoli a km 0 potrebbe ridurre l’impatto ambientale del trasporto dei materiali e potrebbe abbattere i costi energetici di produzione. Solitamente la gran parte dei rifiuti agricoli vengono bruciati sul campo, con conseguenti emissioni di carbonio; un ulteriore vantaggio di “AweS0Me” deriva dal fatto che il riciclo degli scarti agricoli eliminerebbe le emissioni di carbonio. Il sistema proposto da “AweS0Me” avrebbe grandi capacità di sviluppo: per dare un’idea della quantità di scarti agricoli potenzialmente disponibili, il rapporto Ispra del 2019 riporta che la frazione verde della raccolta differenziata è di circa 10.775 tonnellate solo in Puglia.

L’obiettivo finale “AweS0Me” è costituire una rete di stakeholder pubblici e privati che condividano le linee guida del progetto: promuove la sostenibilità e l’impiego degli scarti agricoli in edilizia. A tal fine, sono previsti workshop aperti al pubblico per dimostrare come le prestazioni di questi materiali siano in linea con gli standard energetici nazionali e internazionali.

fonte: www.rinnovabili.it


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Muschi e qualità dell’aria, un singolare binomio

 












Per valutare i possibili benefici effetti del muschio come strumento di “assorbimento” delle polveri sottili presenti nell’aria, Arpal collabora al progetto PoC Instrument attuata da LINKS, con il supporto di LIFTT, a valere su fondi della Compagnia di San Paolo’che vede in prima fila l’Università di Genova.

L’obiettivo è valutare l’efficacia ambientale legata proprio all’utilizzo per l’edilizia, di sistemi di rivestimento leggero in muschio.

Una sperimentazione è stata avviata nei giorni scorsi usando, come riferimento, la centralina posta all’incrocio tra corso Europa e via San Martino, a Genova, che ospita alcuni campioni di muschi opportunamente trattati.


Terminata l’esposizione prevista, Arpal aiuterà i ricercatori dell’Università di Genova anche attraverso le analisi al microscopio elettronico, che permetteranno di misurare nello specifico le polveri sottili assorbite dal muschio.

Ecco il video che riassume l’attività.

fonte: www.snpambiente.it


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Riciclo di qualità dai cavi elettrici

Il progetto PVC Upcycling avviato da R.ED.EL in collaborazione con Università della Calabria ed ENEA punta a trovare una seconda vita ai cavi provenienti dallo smaltimento di impianti elettrici.















Partire dalle guaine di cavi provenienti dallo smaltimento di impianti elettrici per ottenere pavimentazioni urbane e malte cementizie rinforzate con PVC è l'obiettivo del progetto di ricerca PVC Upcycling avviato da R.ED.EL - azienda italiana attiva nella costruzione e manutenzione di impianti elettrici di media-bassa tensione - in collaborazione con Università della Calabria ed Enea, finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (POR CALABRIA 2014-2020).
Per entrambe le applicazioni sono state condotte ricerche sperimentali per verificarne le proprietà di resistenza meccanica, igrotermiche e di durabilità.

La produzione di pavimentazioni urbane in PVC è stata testata utilizzando una formulazione composta per il 90% da PVC riciclato (PVC-R) e per il 10% da resina poliuretanica, miscela che più si avvicina, per densità, a quella di riferimento (prova di R-PVC). La fase di miscelazione è stata condotta con tre differenti passaggi per ottenere una miscela più omogenea ed uniforme possibile.


Terminato l'indurimento della miscela, il campione è risultato idoneo sia in termini di sfaldamento superficiale e densità, sia in termini dimensionali (piastrelle di 20 × 20 cm), evidenziando una adeguata resistenza meccanica e all’abrasione superficiale.

La seconda applicazione testata riguarda malte cementizie ottenute sostituendo la sabbia con rifiuti plastici, in percentuali comprese tra il 10% e il 50%, provenienti da cavi a fine vita in rame rivestiti di PVC (PVC-Cu). Questi sono stati macinati con un processo che consente la completa separazione del metallo conduttivo dalla guaina in PVC.
Tutte le malte preparate sostituendo inerti naturali con plastica riciclata hanno mostrato un coefficiente di conducibilità termica inferiore alla malta di riferimento, dovuto anche alla bassa densità del materiale polimerico, che aiuta a contenere la perdita di calore dagli edifici durante l'inverno e l’aumento di calore negli ambienti interni in estate.
Anche se la sostituzione dell'aggregato siliceo con residui di PVC comporta una diminuzione delle proprietà meccaniche - affermano i ricercatori -, questo fattore non è limitante, soprattutto nelle applicazioni che non richiedono una funzione strutturale.
Infine, la riduzione dell'assorbimento d'acqua per capillarità dimostra che l'incorporazione di vari tipi di aggregati plastici può migliorare il comportamento di permeabilità dei compositi cementizi, rendendoli più durevoli in caso di agenti chimici aggressivi e agli agenti atmosferici.

fonte: www.polimerica.it


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Il riciclo in edilizia può dare una grande mano alla riduzione delle emissioni









L’industria delle costruzioni è tra i settori più inquinanti al mondo. Nei paesi sviluppati rappresenta circa il 40% delle emissioni di CO2 ed è responsabile di terzo di tutti i rifiuti generati. Senza contare che il suo peso sulle materie prime è altissimo. Per ridurre l’impatto del settore, una delle strategie attuabili è quella di aumentare la quota di riciclo in edilizia. Materie prime seconde ed elementi di recupero possono alleggerire la fase iniziale, mentre un’attenta gestione circolare dei rifiuti – da costruzione o demolizione – è in grado rendere più sostenibile il fine vita. “Dobbiamo mitigare questo impatto il più rapidamente possibile”, afferma Jan Brütting, completato il suo dottorato all’EPFL all’interno dello Structural Xploration Lab (SXL). “Un modo per raggiungere questo obiettivo è implementare sistematicamente i principi dell’economia circolare”.

Il ricercatore si è focalizzato sulla fase di progettazione. Ma piuttosto che suggerire di riciclare materiali esistenti fondendo parti metalliche per dare loro una nuova forma, Brütting invita le aziende, gli ingegneri strutturali e gli architetti a basare il loro progetto sui componenti di seconda mano, senza trasformarli. Soprattutto perché la loro affidabilità e le loro proprietà tecniche sono dimostrate. “Si tratta di cambiare tutto ciò che abbiamo imparato a fare finora”, avverte. Per raggiungere questo obiettivo, mancano ancora alcuni strumenti fondamentali. Ecco perché lo scienziato si è dedicato negli ultimi 4 anni allo sviluppo di un software che permettesse di progettare strutture analizzandone il ciclo di vita. Il programma si basa sul riutilizzo di travi, pilastri e barre di acciaio, ma potrebbe incorporare un domani anche altri materiali, come legno e cemento.

Come funziona? L’ingegnere o l’architetto che progetta o modifica una struttura, inserisce le sue caratteristiche generali nel programma, insieme a una descrizione dello stock di componenti riutilizzabili e di seconda mano. Il software esegue quindi una prima ottimizzazione della forma della struttura, in modo da utilizzare il minor materiale possibile. Successivamente, – e questa è una delle innovazioni del progetto – fornisce forme strutturali alternative che soddisfino vari obiettivi di sostenibilità. Ad esempio, può cambiare il layout della struttura, selezionando e posizionando anche i componenti dallo stock di risorse, in modo da ridurre al minimo l’impronta di carbonio.

Lo studio svolto ha anche fornito parametri di riferimento per confermare che la pratica del riciclo in edilizia consegna una profonda riduzione delle emissioni di gas serra: fino al 60%, nonostante un aumento della massa del struttura del 40%. Brütting ha integrato nel software anche la possibilità di progettare strutture temporanee specifiche per eventi, basate su travi lineari e connettori sferici. “La nostra soluzione offre molte più opzioni di design rispetto agli attuali sistemi di costruzione modulare. Questo potrebbe interessare le aziende specializzate nel riutilizzo dei materiali”.

fonte: www.rinnovabili.it


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Pannelli isolanti per l'edilizia dagli scarti dell'industria chimica


















Al via il progetto INNCED per realizzare pannelli innovativi per l'edilizia con il gesso sintetico anidrite, un sottoprodotto della produzione di acido fuoridrico e disponibile in elevate quanttà sia nel mercato italiano che europeo.


INNCED (INNovazione nell’utlizzo di by product da processi Chimici per la fabbricazione di pannElli per l’eDilizia) sarà portato avanti da ENEA, in collaborazione con l'azienda Fluorsid leader mondiale nella produzione e vendita di prodotti chimici a base di fluoro.

L'idea è quella di realizzare una nuova tipologia di pannelli autoportanti per edilizia, caratterizzati da resistenza meccanica, resistenza al fuoco, bassa densità ed elevate prestazioni di isolamento termo-acustico.

I pannelli veranno realizzati utilizzando un sottoprodotto del ciclo produttivo industriale di Fluorsid, costituito per il 98% da gesso anidro (CaSO4). In virtù delle sue performances tecnologiche, l’anidrite sintetica ha oggi sostituito il cemento nella produzione di prodoti autolivellanti, come per esempio i massetti.

Ancora inesplorata è invece l’applicazione dell’anidrite per le pannellature nelle opere di ingegneria. La ricerca ENEA, partendo dall’analisi delle proprietà del gesso sintetico anidrite, individuerà il mix design tra molteplici componenti per ottenere basse densità, prestazioni meccaniche adeguate (utlizzando fibre di rinforzo naturali, organiche o inorganiche), resistenza al fuoco, alti livelli di isolamento termico e acustico ed elevata leggerezza.

Contando su un finanziamento totale di 180mila euro, il team di ricercatori ENEA di due diversi dipartimenti - "Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili” e “Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali" -, studierà la possibilità di realizzare un prototipo di pannello innovativo destinato al settore edilizio, secondo modelli di economia circolare.

"Lo scopo della nostra ricerca - spiega Piero De Fazio, responsabile della Sezione Strumenti per Applicazioni Energetiche dell’ENEA - è quello di realizzare prototipi di pannelli di anidrite sintetica con prestazioni meccaniche migliori rispetto a quelle dei prodotti attuali, leggeri e a bassa densità. Questo anche collaborando con una azienda leader del settore a livello internazionale e mettendo così a disposizione del sistema produttivo del paese l’esperienza e gli strumenti della ricerca applicata".

Se volete saperne di più sull'economia circolare e avere indicazioni pratiche per implementare i principi della circolarità nella propria attività, generando ricchezza e nuova occupazione, vi consigliamo di leggere il libro "Cos'è l'economia circolare", di Emanuele Bompan e Ilaria Nicoletta Brambilla, edito da Edizioni Ambiente.

fonte: www.nextville.it



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Le facciate edilizie si trasformano in pannelli solari termici

Un consorzio di ricerca, guidato dal Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems, ha sviluppato due nuovi collettori solari in grado di essere integrati nella pareti esterne degli edifici.




Quando si parla di impianti rinnovabili integrati nella facciate edilizie, il primo pensiero va quasi alla tecnologia fotovoltaica. C’è però chi, ormai da quattro anni, sta lavorando per portare sulle pareti esterne anche i pannelli solari termici. Parliamo Arkol, progetto tedesco guidato dal Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems. L’iniziativa ha preso il via nel 2016 con il sostegno del governo federale e un preciso obiettivo: sviluppare involucri multifunzionali.

A febbraio di quest’anno la ricerca si è conclusa e i risultati hanno mostrato che le speranze riposte non erano sbagliate. Il progetto, a cui hanno collaborato anche le società DAW SE e Priedemann Façade-Lab e l’Istituto Borderstep, è riuscito a dare nuove forme ai tradizionali pannelli solari termici. Nel dettaglio, i ricercatori di Arkol hanno creato due tipi di impianti differenti: un sistema a strisce e delle veneziane.

“Lo scopo del progetto era quello di sfruttare l’ampio potenziale superficiale delle facciate per la generazione di calore, dando nel contempo agli architetti una maggiore libertà di progettazione. Fino ad ora infatti le riserve dei potenziali clienti sull’aspetto dei collettori sono sempre state un ostacolo al diffuso uso della tecnologia”, spiega l’ingegnere Michael Hermann. “Allo stesso tempo, volevamo ridurre gli sforzi in fase di pianificazione, rendendo semplice l’installazione”.

Le facciate presentano numerosi vantaggi rispetto alla classica installazione sul tetto quando si parla di pannelli solari termici. Durante l’inverno, quando il sole è più basso, la la parte è illuminata con un angolo più favorevole rispetto al tetto e può quindi offrire una resa maggiore. In estate, invece, i collettori per facciate lavoreranno di meno. Ma dal momento che in questo periodo il fabbisogno termico è essenzialmente legato alla produzione di acqua calda sanitaria, si tratta di un aspetto positivo. In altre parole, nei mesi più caldi genereranno meno calore, riducendo il carico sul fluido termovettore e consentendo una maggiore durata. 

Le strisce solari

Il pannello solare a striscia o “Strip Collector” combina un elevato livello di efficienza con un’ampia possibilità di progettazione architettonica. Il design permette di utilizzare materiali di rivestimento classici, come il legno o il gesso, nella zona compresa tra le strisce. La struttura modulare il trasferimento “a secco” del calore dall’assorbitore al condotto di raccolta, permettono di superare i tradizionali problemi idraulici rendendo più semplice installazione e manutenzione. Questo collettori possono essere appesi nella sottostruttura di una facciata a ventilazione posteriore (VHF) sia su nuovi edifici sia che durante i lavori di ristrutturazione.



Le tapparelle solari

Il design prevede di integrare gli heat pipe (o tubo di calore) sono integrati in una sorta di alette di tapparelle, che fungono da assorbitori; anche in questo caso il trasferimento di calore avviene “a secco”, senza un liquido termovettore. Grazie a questa progettazione, le lamelle possono essere spostate come nelle tradizionali veneziane. “Le tende solari termiche – spiegano i ricercatori – possono muoversi liberamente come normali persiane, ma allo stesso tempo, fornire calore e ridurre la quantità di energia che entra all’interno dell’edificio”.

fonte: www.rinnovabili.it

Terre di scavo dei cantieri: da Roma le linee guida su come riciclarle

















Arrivano dal comune di Roma le nuove linee guida che fissano le regole per il riciclo delle terre di scavo dei cantieri. La decisione è arrivata con una delibera dell’Assemblea capitolina.

L’obiettivo del progetto è creare un terreno comune dove si possano incrociare e incontrare in modo efficace domanda e offerta. Per chi scava per realizzare nuove infrastrutture e deve smaltire i materiali di scavo, trovare un’azienda che ne ha bisogno per realizzare altre opere come riempimenti o modellazione del terreno.

Per questo verrà costruito un database apposito in cui far confluire domanda e offerta, in modo che si incrocino.

La normativa “End of waste”

L’anno scorso, all’interno del Decreto Legislativo imprese, era stata approvata anche la nuova normativa “End of waste”. Questa regolamentava il riciclo di nuovi materiali che non erano precedentemente riutilizzabili a causa di un buco normativo. I nuovi materiali compresi nella normativa riguardavano non solo terre di scavo, ma anche plastiche miste, scarti della carta, scarti del vetro, oli lubrificanti e altro.
La Delibera n. 54 sulle terre di scavo

Un altro aggiornamento in materia era arrivato l’anno scorso, con la Delibera n. 54 del 9 maggio 2019. Il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente – SNPA, organo di coordinamento tra le ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale), ha approvato le “Linee guida sull’applicazione della disciplina per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo”.

A questo link è possibile consultare la normativa nella sua versione integrale.

fonte: http://www.recoverweb.it

Grafene flash prodotto dai rifiuti, il lato prezioso del riciclo

Messa a punto dai ricercatori della Rice University, la tecnica consente di ottenere scaglie di grafene partendo da rifiuti organici e dalla plastica. La metodologia, ancora da migliorare, si è già dimostrata particolarmente efficiente ed economica



Grazie alla sua elevata conduttività termica ed elettrica, ad un profilo ultrasottile e alla grande resistenza, il grafene ha recentemente aperto alcune eccitanti possibilità nel mondo della scienza dei materiali.

Il problema principale, com’è noto, riguarda però la sua produzione, costosa e spesso complessa. Ad oggi, uno dei modi principali per produrre grafene è la deposizione chimica da vapore, un processo in cui una fonte di carbonio (tipicamente metano) viene pompata in una camera per forzare una reazione chimica e lasciare un foglio spesso solo un atomo sulla superficie di un substrato sottile. Si tratta di un processo processo laborioso e costoso, che porta il prezzo commerciale del grafene in un range compreso tra i 67.000 e i 200.000 dollari a tonnellata.

Non c’è dunque da stupirsi che gli scienziati siano alla ricerca di metodi alternativi – più semplici ed economici – per produrlo. Un passo avanti in tal senso è stato compiuto dai ricercatori della Rice University (Texas), alle prese con una nuova tecnica in grado di convertire una vasta gamma di prodotti spazzatura in “grafene flash” in modo economico ed efficiente.

Il processo sfrutta l’Effetto Joule (Joule heating) mediante il quale la corrente elettrica viene fatta passare attraverso un materiale conduttivo per generare calore. In tal modo è possibile riscaldare qualsiasi materiale contenente carbonio fino a circa 3.000 Kelvin (2.730 ° C) trasformandolo in scaglie di grafene in appena 10 millisecondi e convertendo gli elementi non carboniosi presenti nel rifiuto in gas utili.

L’aspetto più promettente di questa nuova tecnologia – spiegano i ricercatori – è la vasta gamma di materiali che possono essere utilizzati per generare il grafene. Tutto, dalle bucce di banana alla plastica, può fungere da fonte di carbonio e, quindi, essere utilizzato per lo scopo.

Tutto questo permetterebbe da una parte di riciclare rifiuti e, dall’altra, di ottenere grafene a prezzi estremamente più vantaggiosi. A sua volta, la possibilità di ottenere grafene a prezzi vantaggiosi ne permetterebbe un impiego più diffuso in diversi campi.

Uno su tutti quello dell’edilizia: addizionando il cemento a solo lo 0,1% di grafene, gli scienziati hanno per esempio scoperto che si potrebbe ridurre di circa un terzo l’impatto ambientale della produzione di calcestruzzo.

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature, mentre il video qui sotto ci fornisce una panoramica della tecnologia.


fonte: www.rinnovabili.it

Economia circolare: è fondamentale migliorare le buone pratiche nell’edilizia




















Nell’Ue i rifiuti provenienti dal settore delle costruzioni e demolizioni rappresentano poco più di un terzo della produzione totale di rifiuti ma, nonostante tassi di recupero relativamente elevati di materiali usati, se vuole davvero partecipare pienamente alla realizzazione di una economia circolare l’industria edile europea deve essere molto più efficiente e ambiziosa nelle sue pratiche di gestione dei rifiuti. E’ quanto emerge dal briefing “Construction and demolition waste: challenges and opportunities in a circular economy”, pubblicato dall’European Environment Agency (Eea) e secondo il quale «Gli approcci circolari sono fondamentali per aumentare la qualità e la quantità di riciclaggio e riutilizzo di materiali da costruzione e demolizione».

Secondo l’Eea, «Occorre fare di più per prevenire o riciclare la grande quantità di rifiuti prodotti dal settore delle costruzioni e delle demolizioni in Europa. Tali rifiuti, come rottami metallici, cemento usato o prodotti in legno, costituiscono attualmente il più grande flusso di rifiuti nell’Unione europea. Al momento, molti dei flussi di materiale provenienti dai lavori di demolizione e ristrutturazione non sono adatti per il riutilizzo o al riciclo di alta qualità. Questo sta bloccando gli sforzi per passare a un’economia circolare».

Il briefing, che si basa sul rapporto “Construction and Demolition Waste: challenges and opportunities in a circular economy” redatto congiuntamente dall’Eea e dall’European Topic Centre on Waste and Materials in a Green Economy, esamina come le attività che si ispirano all’economia circolare possono aiutare a raggiungere gli obiettivi della politica europea in materia di rifiuti, come la prevenzione dei rifiuti e l’aumento della quantità e della qualità del riciclaggio per i rifiuti prodotti nei cantieri, riducendo anche i materiali pericolosi.

Nel 2016, nell’Ue i rifiuti da costruzione e demolizione, escluse le terre da scavi, sono arrivati a 374 milioni di tonnellate e L’Eea evidenzia che «L’elevato volume e la natura dei rifiuti prodotti sono difficili da gestire, ma rappresentano anche una chiara opportunità per attuare solide pratiche di gestione dei rifiuti secondo i principi dell’economia circolare. Inoltre, il settore delle costruzioni è considerato un settore prioritario secondo il prossimo piano d’azione per l’economia circolare della Commissione europea».

Mentre i Paesi dell’Unone europea sono sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di recupero del 70% del 2020, con la maggior parte dei paesi che ha già superato l’obiettivo nel 2016, il briefing fa notare che «Un esame più attento delle pratiche di gestione dei rifiuti a livello nazionale mostra che il recupero dei rifiuti da costruzione si basa in gran parte sul valorizzare le operazioni di riempimento, usando i rifiuti e le macerie raccolti per riempire i buchi nei cantieri, e sul recupero di basso livello, come l’utilizzo di cemento riciclato e frantumato o delle pietre (aggregati) nella costruzione di strade».

L’Eea conclude: «Una migliore prevenzione dei rifiuti e un riciclaggio di qualità superiore e migliore possono essere raggiunti se vengono seguite determinate misure per migliorare i prezzi, migliorare le informazioni su quali materiali sono utilizzati negli edifici esistenti e nuovi e per migliorare la fiducia degli utenti nella qualità dell’utilizzo di materiali secondari come gli aggregati riciclati, per realizzare attività migliori e uspirate all’economia circolare»

fonte: http://www.greenreport.it