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Le risorse del consorzio CIC: dalle nostre cucine alla terra















Il Consorzio Italiano Compostatori è un’organizzazione senza fini di lucro che si occupa di promuovere e valorizzare le attività di riciclo della frazione organica dei rifiuti per produzione di compost e biometano. Il Consorzio, che conta più di 130 consorziati, riunisce e rappresenta soggetti pubblici e privati interessati alle attività di produzione di fertilizzanti organici.

Il suo ruolo, fondamentale per la realizzazione di una filiera circolare, diventa importante anche all’interno del festival Circonomia, di cui è sostenitore. In quest’occasione abbiamo avuto modo di comprendere meglio il ruolo del Consorzio dialogando con Massimo Centemero, Direttore Generale di CIC.

Nel vostro campo il concetto di “economia circolare” è più che mai cruciale, non è così? Cosa significa per voi?

L’economia circolare è aumento dell’efficienza delle risorse; le risorse su cui le aziende del CIC operano sono i rifiuti organici (frazione umida, verde, fanghi di depurazione, scarti dell’agroindustria), che devono essere trasformate in nuovi prodotti di cui il mercato abbia necessità, che possano sostituire gli analoghi generati da nuove risorse prelevate dall’ambiente. La trasformazione di questi rifiuti deve rispondere innanzitutto a obiettivi di efficienza, che per noi significa massimizzazione delle raccolte differenziate, per poter gestire flussi “puliti” e valorizzabili come nuova materia, e minimizzazione degli scarti prodotti nel corso della trasformazione. Su questo secondo aspetto, devono concorrere il miglioramento continuo delle raccolte differenziate e l’ottimizzazione delle tecnologie di separazione delle frazioni estranee.


Qual è il vostro impegno nell’ambito della comunicazione ambientale?

Da sempre ci impegniamo in questo lungo tutta la filiera. Considerando che le materie prime su cui le nostre aziende operano derivano dalla raccolta differenziata dei rifiuti, un nostro costante impegno è quello di stimolare il miglioramento della qualità della raccolta differenziata. Lo facciamo attraverso le oltre 1.000 analisi merceologiche che svolgiamo ogni anno su tutto il territorio, che alimentano con dati concreti le campagne informative e gli strumenti di persuasione del cittadino al miglioramento dei propri comportamenti. Relativamente agli output, da 18 anni il CIC gestisce un programma di verifica della qualità del compost (Compost di qualità CIC) il cui obiettivo primario è quello di accrescere la fiducia degli agricoltori, principali utenti del prodotto, rispetto alla qualità di questo ammendante. Su entrambi i fronti, confermiamo l’intenzione a perseguire gli obiettivi rafforzando le campagne di comunicazione ambientale; citiamo ad esempio il nostro impegno verso la difesa del suolo e lo stimolo a mettere in atto buone pratiche per tutelarne la fertilità attraverso la campagna SOS Soil.


fonte: www.envi.info



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Il riciclo che non ti aspetti: quello dei rifiuti dello spazzamento stradale

 

Tra le diverse tipologie di rifiuti che diventano nuova materia prima, una delle più ‘inattese’ è forse il frutto della pulizia delle strade: le terre di spazzamento. Se ormai il riciclo degli imballaggi è esperienza quotidiana, se non ci stupisce più indossare un paio di scarpe o un pile realizzati con il PET delle bottiglie, il recupero dei rifiuti lungo le strade (si chiamano appunto “terre di spazzamento”, e in questo caso “recupero” è più appropriato di “riciclo”, visto che non prevede particolari processi di trasformazione industriale) può lasciare sorpresi. Con la piacevole sensazione – del tutto personale di chi scrive, ovviamente – che se si possono recuperare sassolini, fanghi e foglie raccolti lungo le vie forse gli obiettivi della transizione ecologica e dell’economia circolare sono veramente alla nostra portata. Cerchiamo di scoprire qualcosa in più sui rifiuti di spazzamento e sulle materie prime “trovare per strada”.

Quante terre di spazzamento recuperiamo

Cominciamo col sottolineare che i rifiuti da spazzamento stradale raccolti dalle autospazzatrici contribuiscono alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani, ma solo quando sono avviati a recupero: spazzare e portare in discarica, insomma, ovviamente non conta ai fini della differenziata.

Ispra (Rapporto rifiuti Urbani 2020) calcola che nel nostro Paese nel 2019 sono state avviate a recupero 451 mila tonnellate di terre di spazzamento. Il 2,4% del totale della raccolta differenziata dei rifiuti urbani.

Abissale la differenza tra le diverse macroregioni: il Nord recupera 288.000 tonnellate, il Centro 95.800, il Sud 63.700. Una valutazione procapite mostra sempre il Nord in vantaggio, con oltre 10 kg/abitante/anno, 8 il Centro e solo 3 il Sud.

Il recupero delle terre di spazzamento è raddoppiato in meno di cinque anni, passando dalle 215 mila tonnellate del 2016 alle 451 mila del 2019 (+109%).

Quante ne se ne potrebbero recuperare

In realtà “lo spazzamento stradale non è un obbligo previsto per legge, ma è lasciato al buon cuore delle municipalità”, sottolinea Francesco Di Maria, docente di Tecnica di tutela dell’ambiente all’università di Perugia. Quindi non tutti i Comuni si attivano per avviarlo. E non tutti quelli che lo fanno recuperano i materiali raccolti, preferendo portarli in discarica addirittura senza il necessario e obbligatorio pretrattamento (contengono infatti materiale organico putrescibile).

Per questo Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e FISE UNICIRCULAR nell’Italia del riciclo 2020 stimano una produzione di rifiuti da spazzamento stradale pari a circa 1,3 milioni di tonnellate all’anno, e pare senza dubbio – anche solo soppesando le differenze tra Nord e Sud – una stima largamente prudenziale: “È evidente – scrivono i ricercatori della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – che la mancata separazione dei rifiuti da spazzamento stradale dai rifiuti urbani indifferenziati, pratica ancora diffusa sul territorio nazionale, determina una sottostima della quantità prodotta”.

Questa sottostima non è solo un problema statistico: la principale conseguenza della sottovalutazione del mercato sono i mancati investimenti per l’adozione di corrette tecnologie di trattamento.

La popolazione effettivamente servita, poi, sarebbe “in un range che va da circa un terzo a circa un quarto del totale nazionale”.

Gli impianti di recupero dei rifiuti di spazzamento

In Italia sono oggi attivi 17 impianti dedicati al trattamento dei rifiuti da spazzamento stradale. 12 sono al Nord, 3 al Centro e 2 al Sud: la solita Italia a due velocità. La capacità autorizzata di questi impianti, spiega “L’Italia del riciclo”, i varia da un minimo di 10.000 tonnellate l’anno ad un massimo di 63.000, con una media per impianto di circa 30.000.

Sono sufficienti 17 impianti in Italia? “La sostenibilità economica di un impianto di trattamento per i rifiuti da spazzamento – spiega Di Maria – è attorno alle 40 mila tonnellate anno, non sotto. Considerato che ad esempio oggi in Umbria siamo attorno alle 15 mila tonnellate raccolte, molto poco in effetti, diventa difficile fare impianti se non c’è sufficiente materia per farlo lavorare in attivo”. Anche perché parliamo di un materiale “povero” che, per stare sul mercato, deve essere utilizzato non lontano da dove viene “prodotto”.
“Trattamento a umido”: l’acqua come vettore

Gli impianti più efficienti utilizzano il “trattamento a umido”: “Si usa l’acqua come vettore per separare le varie frazioni in base al peso specifico e contestualmente per togliere i contaminanti dalla materia solida e trasferirla nell’acqua, che poi viene depurata per essere riutilizzata e per il 90% torna in circolo”, spiega Ezio Esposito, presidente del Gruppo Esposito – progettazione, costruzione e gestione di impianti per il trattamento di rifiuti da spazzamento stradale, 9 siti realizzati in Italia (A2A, Falk Nenewables, Iren) e 4 in via di realizzazione – e presidente Assorem, che associa appunto le imprese impegnate nel recupero e riciclo di materiali provenienti dallo spazzamento delle strade. Gli impianti di trattamento a umido sono in grado di recuperare mediamente oltre il 70% delle terre di spazzamento, con valori anche superiori al 90% in alcuni impianti.

I materiali recuperati: inerti, fanghi, rifiuti organici

La maggior parte del materiale recuperato è costituito da inerti. Stando ai dati del Gruppo Esposito, il 61% del totale dei rifiuti diventa sabbia, ghiaia e ghiaia fine: materiali certificati CE, conformi con il test di cessione degli inquinanti e con le norme tecniche UNI, che tornano sul mercato come materie prime da utilizzare per la produzione di calcestruzzo, malte, prefabbricati e asfalto (quest’ultimo assorbe circa il 70% degli inerti ottenuti). Il 14% è invece composto da fanghi disidratati recuperabili in fornaci o cementifici. I fiuti organici, principalmente foglie, costituiscono il 10% delle terre di spazzamento e vengono avviati a compostaggio o al recupero di energia. Un altro 14 è costituito rifiuti misti, smaltiti in discarica o inceneriti. Mentre circa lo 0,1% è costituito da materiali ferrosi a recupero in impianti metallurgici.

“Offriamo inerte recuperato e lavato di altissima qualità, a differenza degli altri inerti recuperati”, spiega Esposito. Proprio la maggiore qualità rispetto agli altri inerti da recupero garantisce ai materiali ottenuti dai rifiuti di spazzamento un mercato, legato principalmente ai Criteri ambientali minimi (CAM) che impongono una quota di inerte “seconda vita”: “Trovare materiale di recupero che abbia qualità come le nostre è difficile. E sul mercato ci posizioniamo con costi più o meno simili a quelli dei materiai di cava”, aggiunge il presidente di Assorem.

End of waste per le terre di spazzamento

Un decreto end of waste (EoW) per le terre di spazzamento è in dirittura d’arrivo. “Dovrebbe essere di prossima emanazione – spiega Esposito – sono diversi anni che lo aspettiamo. La bozza è pronta, il Consiglio di Stato ha dato il suo ok e anche l’Europa. Sicuramente fornirebbe regole chiare e certe in base alle quali chi deve autorizzare nuovi impianti avrà un percorso più semplice e univoco”. ASSOREM, inoltre, sulla base delle esperienze degli associati, preme perché si adottino criteri EoW specifici anche per la frazione organica. Anche, se, riflette Di Maria l’end of waste “è uno strumento molto importante ma non sempre risolutivo. Molti EoW sono stati approvati ma sono difficilmente praticabili perché molto complessi”. E poi “Il riciclo lo fa il mercato. L’EoW ha senso se esiste una filiera economica che consente di beneficiarne”.

fonte: economiacircolare.com


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Alessandra, che raccoglie gli avanzi dalle nostre cucine

A Bordeaux i rifiuti organici trattati con gli EM finiscono come compost nei campi. La pratica innovativa di un’associazione giovanile è incoraggiata dal Comune. Un video che dobbiamo far vedere anche al nostro Sindaco!



Per le strade di Bordeaux, si può incontrare un triciclo davvero insolito: una ragazza di 24 anni trasporta degli strani bidoncini. Alessandra Neyroud, insieme con l’associazione Recup', si è lanciata nel recupero degli scarti organici della città, che finiscono come compost nei campi e orti del circondario: raccoglie ben 50 tonnellate/anno di scarti; una goccia in confronto con le 87.000 t. prodotte in totale ogni anno... Ma fra 2 anni la raccolta differenziata dell’organico-umido in tutte le principali città in Francia diventerà obbligatoria… Alessandra, come gli altri giovani che si battono per un mondo migliore, conta di trovarvi il suo posto.




fonte: http://osservatorioborgogiglione.it/

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Rapporto EEA: la gestione dei rifiuti organici in Europa



















L’economia circolare europea e le politiche sui rifiuti ritengono quelli organici una tra le principali chiavi per una “moderna” gestione dei flussi di rifiuti. Proprio in considerazione della loro importanza e del loro potenziale, questo nuovo report, recentemente pubblicato dall’Agenzia Europea per l’ambiente (EEA), approfondisce questo tema, articolandosi in più capitoli, dove si affronta la questione dell’importanza del trattamento dei rifiuti organici in Europa offre una panoramica sui sistemi di raccolta e gestione dei rifiuti organici e gli output che possono derivare dal loro corretto trattamento focalizza l’attenzione sui rifiuti alimentari, soffermandosi in particolare sulle politiche e misure per la riduzione di questa particolare tipologia di rifiuti fa il punto sulla gestione del compost e del digestato e su come creare un mercato per questi particolari prodotti guarda all’innovazione e alla ricerca per valorizzare i rifiuti organici traendone e trasformandoli in nuovi prodotti.




I rifiuti organici rappresentano un quantitativo superiore al 34% del complesso dei rifiuti urbani, raggiungevano, nel 2017, 86 milioni di tonnellate nell’UE a 28. Partendo da questi dati, è facile da capire il motivo per cui riciclare i rifiuti organici costituisca un punto cruciale per raggiungere l’obiettivo posto dall’UE: raggiungere il 65% di riciclo dei rifiuti urbani entro il 2035.



Inoltre la gestione sostenibile dei rifiuti organici contribuirà a dimezzare, entro il 2030, la quantità di rifiuti urbani prodotta, infatti, una quota parte di questi sono costituiti da rifiuti organici non differenziati.

Per raggiungere gli obiettivi contenuti nell’Action Plan dell’Unione Europea sull’economia circolare è necessario che gli amministratori a livello nazionale, regionale e locale insieme agli stakeholders prendano importanti decisioni, nelle prossime decadi, per la gestione sostenibile di questa particolare tipologia di rifiuti.

Per questo il nuovo report dell’EEA sui rifiuti organici si rivolge in particolare agli amministratori, fornendo le basi della conoscenza in questo ambito e supportando l’implementazione dei processi di gestione di questi rifiuti con lo scambio di esperienze e buone pratiche.

Allo stato attuale, il livello di raccolta differenziata, in generale e nello specifico per questo tipo di rifiuti, differisce, anche in modo considerevole, da un paese all’altro all’interno dell’UE, in particolare alcuni paesi membri appaiono alquanto lontani dal raggiungere il pieno potenziale derivante da una corretta gestione di questa particolare tipologia di rifiuti, anche l’implementazione dei sistemi di raccolta differenziata si mostra piuttosto lenta oltre che complessa.



Per superare queste differenze è necessaria una politica dei rifiuti coordinata, che comprenda in sé anche la strategia sui rifiuti organici, insieme a strategie tese al raggiungimento dei valori dell’economia circolare, in particolare è necessario puntare su:
il principio in base al quale si paga in base a quanti rifiuti si produce
incentivi chiari che stimolino a differenziare i residui organici dagli altri tipi di rifiuti
senso di consapevolezza e corretta informazione dei consumatori
capacità di trattare i volumi di rifiuti organici differenziati



Gli scarti alimentari, invece, rappresentano i due terzi (circa il 60%) di tutti i rifiuti organici provenienti dalle abitazioni private e da situazioni analoghe.

Più che per altri tipi di rifiuti, ridurre la quantità di cibo gettato costituisce una responsabilità anche morale per la nostra società. Fortunatamente, nella maggior parte dei paesi membri dellUE, ridurre gli sprechi alimentari rappresenta una priorità nella politica di prevenzione dei rifiuti.



Le azioni più comuni per arrivare alla riduzione di rifiuti alimentari passano dalla consapevolezza e dalle campagne di informazione. Altre misure che vengono adottate sono: la redistribuzione del cibo attraverso l’utilizzo di piattaforme e l’incremento delle vendite di cibo di “seconda classe”. In ogni caso, misurare l’efficacia delle misure e delle politiche di prevenzione rimane una sfida. Nel futuro, i dati armonizzati consentiranno di comparare gli impatti potenziali delle diverse politiche di prevenzione adottate nei paesi europei.

Il compostaggio (trattamento in presenza di ossigeno) e la digestione anaerobica (in assenza di ossigeno) sono al momento le due tecniche maggiormente utilizzate. Il compostaggio risulta, ad oggi, dominante ma la digestione anaerobica è in aumento. Quest’ultima è in grado di generare biogas, risultando una fonte di energia rinnovabile.

Il tipo di trattamento scelto dipende dalla composizione dei rifiuti organici e dalle specificità dei sistemi di raccolta differenziata ma si può affermare che la digestione anaerobica fornisca maggiori benefici ambientali.

Per chiudere il cerchio, il compost e il digestato dovrebbero essere di buona qualità in modo da essere impiegato per migliorare e fertilizzare il terreno. Per creare un mercato del compost e del digestato è necessario che l’intero processo e il prodotto finale siano di alta qualità in modo anche da generare fiducia nel consumatore.Questo può essere fatto solo separando i rifiuti organici all’origine in modo da garantire la produzione di un compost o un digestato di qualità in grado di apportare nutrienti, azoto minerale, fosforo e potassio, ai terreni depauperati, migliorandone la capacità di trattenere l’acqua e nutrienti oltre che quella di stoccare carbonio, rendendolo più fertile.

Dei paesi assoggettati a verifica da questo report, 24 hanno o stanno sviluppando standard nazionali di qualità per il compost. Di questi 12 hanno già un sistema di gestione in qualità del compost e schemi di garanzia del processo, che garantiscono standard di qualità per prodotti come il terriccio.

È stato stimato che, in Europa, 134 mila tonnellate di azoto e 44 mila tonnellate di fosforo vengono perse a causa di un’errata raccolta differenziata dei rifiuti organici di provenienza urbana.

Svariati prodotti di uso comune, come le borse di plastica, ma anche molti altri beni, sono classificati come “compostabili” o “biodegradabili”, in alcuni paesi, questi vengono utilizzati per la raccolta differenziata di questa particolare tipologia di rifiuti ed evitare contaminazioni con altri materiali plastici, mentre, in altri Stati tutto questo non viene fatto.

La capacità di degradarsi di questi sacchetti dipende da varie condizioni, come, ad esempio, la presenza di umidità ed ossigeno, per questo il loro uso necessita di un’attenta valutazione e una capacità di trattamento da parte dell’impianto di gestione dei rifiuti, in genere, le plastiche dei sacchetti non sono biodegradabili durante il processo di digestione anaerobica.

I prodotti compostabili non sono necessariamente biodegradabili in natura o nella compostiera domestica, per questo è molto importante che vi siano etichette chiare, istruzioni d’uso e disposizioni sulla biodegradabilità e compostabilità delle plastiche per una buona gestione dei rifiuti organici.

Nel 2018, la direttiva sui rifiuti, sottoposta a modifiche, ha introdotto importanti cambiamenti per quanto riguarda i rifiuti organici, in particolare, ha previsto:
l’obbligo per tutti gli stati membri di raccogliere separatamente i rifiuti organici o assicurare il riciclo a partire dalla fine del 2023
nuovi targets per la preparazione per il riuso e il riciclaggio dei rifiuti urbani, che, in accordo con la direttiva sulle discariche, necessita di individuare una corretta gestione dei rifiuti organici
l’obiettivo di ridurre gli scarti alimentari in linea con quanto stabilito dagli obiettivi di sviluppo sostenibile, prevedendo di dimezzarne i quantitativi prodotti entro il 2030
l’imposizione per tutti gli Stati membri UE di misurare e riportare i dati raccolti sulla produzione dei rifiuti alimentari generati ogni anno.

I rifiuti organici hanno un importante potenziale non solo come fertilizzanti in grado di migliorare i terreni ma anche in termini di nuovi prodotti, come il biocarburanti e non solo.

Per approfondire: EEA Bio-waste in Europe

fonte: https://www.snpambiente.it


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La rivoluzione del “lombricompostaggio” a Melpignano (Le)










Il territorio comunale di Melpignano, in provincia di Lecce, è un esempio cardine nell’implementazione di approcci virtuosi come il compostaggio domestico (o auto compostaggio) e il compostaggio di prossimità, nelle sue derivazioni di compostaggio locale e di comunità.
Il Comune ha affidato il sistema di raccolta ad una ditta che gestisce il servizio con il porta a porta, prevedendo la raccolta separata di 7 categorie merceologiche (carta e cartone, organico, plastica, vetro e lattine, indifferenziato, ingombranti e beni durevoli).
Gli uffici competenti hanno attivato una procedura amministrativa per l’installazione e la messa in esercizio della compostiera attraverso procedura ordinaria, ai sensi del D.lgs 152/2006 art 208, il quale prevede che “i soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento e di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell’impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso”.
Il Comune di Melpignano ha inteso intraprendere la procedura ordinaria di cui all’art. 208, in alternativa alla semplificata dell’art 214, la quale può essere avanzata solo dal gestore dell’impianto, poiché comporta la sicurezza che quanto realizzato e approvato tramite autorizzazione unica ambientale potrà essere autorizzato anche per il gestore in fase di avvio all’esercizio.
È stata espletata la procedura autorizzativa ordinaria, in quanto, la compostiera ha capacità di trattamento di 150 t/a compreso lo strutturante (in misura del 25%), ed è, pertanto, considerata a tutti gli effetti alla stregua di un impianto, poiché supera le 130 t/a.



Il caso di Melpignano non si configura, quindi, come compostaggio locale definito dall’Art 37 del Collegato Ambientale, né come compostaggio di comunità ai sensi dell’Art 38, bensì come compostaggio di prossimità: il recupero in loco del rifiuto organico di utenze domestiche e non domestiche di uno stesso Comune, per l’ottenimento di compost di qualità, il cui impianto di recupero è gestito da un ente terzo.
La produzione stimata di frazione umida è, in questo caso, pari a 242 t/A e quindi 0,67 t/g. Ipotizzando che la raccolta della frazione organica avvenga ogni 2 giorni, il quantitativo di rifiuto inviato a recupero è di 1,34 t per ogni giorno di apertura.
Inoltre, è l’unico esperimento in Italia che coniuga il trattamento della frazione organica con il sistema della lombricoltura, che ha permesso di raddoppiare la portata dell’impianto.




fonte: https://www.innovactioncoop.it


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Spreco zero: lo stato rurale del Vermont vieta di gettare i rifiuti organici in discarica. E i residenti scelgono il compostaggio


















Non esiste un solo modo per affrontare lo spreco alimentare: ciò che è ottimale per i centri grandi urbani non lo è necessariamente per quelli rurali. Ne è un esempio lo stato del Vermont, che quest’anno ha stabilito il divieto assoluto di buttare via rifiuti organici e scarti alimentari nella spazzatura indifferenziata. Lo stesso è stato fatto nei mesi scorsi da grandi metropoli come San Francisco e Seattle (finora, nessun altro stato ha introdotto norme nazionali).
Il sistema Vermont è stato illustrato in uno studio pubblicato su Frontiers in Sustainable Food dai ricercatori della locale università e, in particolare, del Gund Institute for Environment. Gli autori sono partiti da un dato elaborato da loro stessi in precedenza: ogni americano butta via ogni giorno una libbra di cibo, pari a 450 grammi circa e a un terzo delle calorie che consuma, cioè spreca una quantità inaccettabile di alimenti.
Ma nelle comunità rurali non si vuole che l’amministrazione pubblica si occupi del ritiro dei rifiuti compostabili, perché rispetto alle città possono essere sfruttati come concimi o basi per mangimi animali. Trattandosi quasi sempre di fattorie isolate, il ritiro avrebbe un costo economico e ambientale non trascurabile.
Per definire meglio l’atteggiamento dei residenti in queste zone, i ricercatori hanno intervistato quasi 600 cittadini del Vermont,  scoprendo che più di uno su due è favorevole al divieto che sta entrando in vigore. C’è di più visto che il 72% attua già qualche forma di compostaggio domestico e più del 75% ha in programma di farlo nell’immediato futuro. Solo il 34% desidera entrare a far parte dei programmi di raccolta davanti a casa, e la maggior parte dei partecipanti si dice contraria a pagare una tassa addizionale sui rifiuti, giustificata dal servizio di raccolta.
spreco alimentare spazzatura ceci
Nella lotta contro lo spreco alimentare, il Vermont vieta di gettare i rifiuti organici e gli scarti alimentari in discarica
La predisposizione degli abitanti delle aree rurali sembra quindi chiara: la sensibilità ambientale è aumentata e quasi tutti si rendono conto che lo spreco alimentare deve diminuire. Per chi vive in campagna il sistema migliore è il riutilizzo di ciò che non è consumato o non è vendibile. Per questo – concludono gli autori – è necessario non solo pensare alla realtà prima di proporre soluzioni innovative, ma anche investire in formazione ed educazione della popolazione, e in strumenti in grado di facilitare il compito come, per esempio, la fornitura gratuita di recipienti per  il compostaggio. L’Università del Vermont organizza corsi a 50 dollari per spiegare come si fa un buon compost, e sostiene altre iniziative analoghe.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Rifiuti organici: Italia terza in Europa per trattamento

Utilitalia: “Il nostro Paese è all’avanguardia nella gestione del rifiuto organico, ma servono misure concrete a sostegno della filiera”


















Quando si tratta di gestire i rifiuti organici, l’Italia non ha bisogno di lezioni da terze parti. Il Belpaese, infatti, è terzo in Europa per quantità di frazione organica urbana trattata, subito dopo Germania e Regno Unito, e quinto per numero di impianti presenti sul territorio. Buoni piazzamenti dietro cui si trovano una cultura sempre più attenta al problema e specifiche politiche incentivanti, che hanno aiutato il comparto nell’ultimo anno e mezzo.Tra un primo e un terzo posto, però, la differenza esiste e il gap va cercato in quei nodi strutturali ancora da sciogliere. A fare conti con le difficoltà, che tuttora assillano la gestione nazionale dei rifiuti organici, è oggi Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, in occasione di Ecomondo-Key Energy 2019.

L’Italia ha avviato prima di molti altri la raccolta differenziata dell’umido e del verde urbano, raggiungendo importanti tassi di intercettazione (si registra un valore medio di 107 kg procapite l’anno) ed elevati livelli qualitativi. Attualmente l’organico rappresenta la principale frazione merceologica dei rifiuti urbani sia dal lato produzione che da quello della raccolta (più del 40% del totale) e, soprattutto, la quota che cresce più velocemente. Peccato che le centrali di trattamento non stiano aumentando con la stessa velocità: gli impianti non sono ancora diffusi in maniera omogenea sul territorio nazionale, andando incontro in alcuni casi a vere e proprie carenze.
Ciò fa emergere diversi dubbi sulla capacità di tenere il passo con dettami verdi dell’Unione Europea. Il pacchetto di norme sull’Economia circolare – voluto da Bruxelles – impone di alzare progressivamente riciclo dei rifiuti urbani, per arrivare una quota del 65% sul totale raccolto entro il 2035 (leggi anche Ok al Pacchetto economia circolare: riciclo al 65% entro il 2035).
Gestire il comparto, anche in vista degli obiettivi UE, richiede un nuovo approccio sistemico, come spiega Alberto Ferro, responsabile Raccolte Differenziate e Riciclo di Utilitalia “Occorre ragionare in termini di filiera, una filiera composta da Comuni e aziende che, con la fondamentale collaborazione dei cittadini, raccolgono i rifiuti organici in modo differenziato, da impianti di trattamento che trasformano i rifiuti organici in fertilizzanti organici e biometano, fino al comparto agricolo e all’industria dei trasporti in cui questi prodotti vengono valorizzati”
Chi oggi è riuscito già a chiudere il cerchio, è anche stato in grado di ridare ai territori le risorse, contenute in questi scarti, sotto forma di energia rinnovabile e fertilizzanti organici. “Il biometano in particolare rappresenta un’opportunità di crescita in termini industriali e di sostenibilità dei servizi erogati dalle utility nazionali –  ha sottolineato il Vice Presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini […] può valorizzare le reti territoriali di distribuzione del gas e rappresentare un’occasione di rinnovamento delle flotte aziendali e del trasporto pubblico verso un ridotto impatto ambientale”.
L’approccio suggerito dalla Federazione permetterebbe di limitare i viaggi dei rifiuti tra le diverse aree del Paese, dando così la possibilità ad ogni territorio di chiudere il cerchio e ottenere i relativi vantaggi. Perché ciò succeda, tuttavia, è anche necessario eliminare l’incertezza normativa. È, ad esempio, il caso dell’End of Waste: il ritardo ha frenato in questi anni l’iter autorizzativo (e quindi la realizzazione) di impianti innovativi di trattamento dell’organico. “Alla luce dei ritardi dati da questa incertezza normativa e per sfruttare al massimo il potenziale dato dal biometano nella transizione all’economia circolare – ha concluso Brandolini – Utilitalia chiede che la scadenza al 31 dicembre 2022 per l’accesso agli incentivi sia adeguatamente posticipata”.

fonte: www.rinnovabili.it

Rifiuti. L'umido è il 40% del differenziato, se trattato rientra nel ciclo produttivo

Il rifiuto umido rappresenta il 40% del differenziato e se trattato rientra nel ciclo produttivo come metano e compost, ma non tutte le regioni hanno impianti di trattamento e questo costringe a lunghi viaggi i cui costi finiscono nelle bollette dei cittadini.




fonte: http://www.rainews.it/

Lazio: si sperimenta la filiera del compostaggio sostenibile

Approvato dalla giunta regionale un progetto di raccolta e trattamento dei rifiuti organici per la produzione di compost direttamente dalle imprese agricole locali




















Una filiera regionale del compostaggio che sia sostenibile, di qualità e a km zero. Questo l’obiettivo a cui mira il Lazio in un’ottica di profonda trasformazione verso l’economia circolare. A gettare le basi di questo percorso è un nuovo progetto che ha ottenuto in questi giorni il via libera. La giunta ha, infatti, approvato la scorsa settimana  un investimento da 200mila euro con cui far partire un esperimento territoriale dedicato al riciclo della frazione organica. Nel dettaglio il progetto prevede la promozione di un sistema per la raccolta e il trattamento delle frazioni umide e verdi dei rifiuti raccolti dai Comuni, organizzata secondo criteri di efficienza e di prossimità. L’obiettivo, spiega la stessa Regione in una nota stampa, è favorire la produzione di compost di qualità certificata presso impianti di compostaggio gestiti direttamente da imprese agricole, che potranno quindi utilizzarlo per fertilizzare i propri terreni.
In altre parole un sistema chiuso, i cui benefici sono in grado di autoalimentarsi.
Attualmente in Italia vi sono quasi 340 impianti di compostaggio o integrati di digestione anaerobica e compostaggio con una capacità complessiva di circa 10 milioni di tonnellate annue (dati del consorzio CIC). Tuttavia la maggior parte di queste strutture si trova al Nord.
Per Massimiliano Valeriani, assessore al Ciclo dei Rifiuti della Regione Lazio, è proprio qui che la sperimentazione permetterà di fare la differenza. “Con questo provvedimento vogliamo sostenere le aziende agricole per la realizzazione di compost certificato, che potrà essere direttamente impiegato nei campi coltivati del Lazio senza dover fare migliaia di chilometri in giro per l’Italia”, ha spiegato l’assessore.

D’altra parte i benefici legati al riciclo della frazione organica sono ormai noti: negli ultimi 25 anni l’utilizzo del compost come fertilizzante nel settore agricolo nazionale ha garantito un risparmio di 650 milioni di euro.
In questo contesto l’iniziativa regionale, da un lato aiuterà i Comuni nella gestione della frazione umida attraverso la realizzazione di centri di compostaggio da parte delle aziende agricole, mentre dall’altro assumerà una rilevanza economica e ambientale. Verrà così promossa una concreta chiusura del ciclo dei rifiuti, – conclude Valeriani – per trasformarli in una reale risorsa per l’ambiente e il sistema agricolo regionale”.

fonte: www.rinnovabili.it