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Le pillole di sostenibilità di ARPAT: organizzare una festa sostenibile per bambine e bambini

 


Nella nostra nuova pillola di sostenibilità, qualche suggerimento per una festa di compleanno con impronta green, perché il rispetto per l’ambiente va promosso e diffuso fin dalla più tenera età

Ogni occasione è buona per cimentarsi con ...

La Casa del Giocattolo Solidale: riuso e condivisione per fare felici i bambini

Economia del dono, solidarietà e seconda vita per gli oggetti usati si fondono in un progetto di mutuo aiuto rivolto ai più piccoli e alle loro famiglie. Partendo dalla distribuzione di giocattoli di seconda mano, un'associazione di Varese ha costruito una rete di vicinanza e appoggio morale e concreto per i nuclei familiari con difficoltà economiche.















Varese, Lombardia - Durante il primo lockdown a Varese è nata la Casa del Giocattolo Solidale per promuovere il benessere e il sostegno dell’infanzia all’interno di famiglie con situazioni e realtà più delicate. Il motto del progetto é “dona un giocattolo, regala un sorriso!”.

Perché i giocattoli? Quanto sono importanti per i bambini? Si può crescere facendone a meno? Attraverso il gioco il bambino acquista maggiore fiducia nelle proprie capacità, prende coscienza del fatto che possiede delle abilità e delle caratteristiche. Attraverso il gioco i bambini imparano e crescono scoprendo piano piano il proprio corpo.

L’attività ludica è funzionale e proporzionale allo sviluppo sensoriale e motorio, aiuta i bambini a mantenersi attivi e reattivi influenzando anche la creatività, la consapevolezza, l’apprendimento e la capacità di risolvere e superare gli ostacoli. Il rapporto che si instaura tra genitori e figli durante il gioco è determinante, è un momento importante di socializzazione che permette di migliorare anche la qualità della loro comunicazione e della loro relazione.

A seguito dell’emergenza sanitaria causata dal Covid, in molte famiglie le difficoltà economiche sono aumentate e le poche risorse economiche a disposizione sono state comprensibilmente dirottate tutte verso i beni di prima necessità; il gioco è stato un po’ trascurato. Tutto questo ha rafforzato la missione per cui è nata l’associazione: donare un giocattolo, ma essere anche vicini ai bambini e alle loro famiglie nei momenti più delicati e importanti della vita.

Sono tante le organizzazioni che si occupano di beni di prima necessità; al contrario, sono poche le associazioni che si occupano del gioco e ancora meno le realtà che mettono a disposizione di bambini cresciuti in contesti complicati e difficili spazi accessibili gratuitamente senza nessun costo per la famiglia.

L’associazione del Giocattolo Solidale di Varese infatti, è alla ricerca di un locale da trasformare in uno spazio di gioco dove le famiglie con più difficoltà possano aderire e partecipare ad attività ludiche e di laboratorio in maniera gratuita. «Sogniamo uno spazio dove tutti i bambini, anche se le loro famiglie non hanno risorse sufficienti, possano giocare spensierati». Un luogo dove poter festeggiare il compleanno o giocare in serenità.

Al momento la Casa del Giocattolo Solidale aiuta oltre 200 bambini – il 26,4% di loro è in età prescolare, il 40,6% frequenta la scuola primaria, il 33% è adolescente – dando loro la possibilità di avere dei sogni, delle ambizioni e degli obiettivi. Oltre ai giocattoli, infatti, l‘associazione cerca di ridurre le distanze fornendo materiale scolastico a chi non ha la possibilità economica per acquistarlo autonomamente e infondendo un senso di comunità tra le persone e i luoghi, rafforzando ogni giorno i contati.



La Casa del Giocattolo Solidale e Cuorieroi Per Bambini Eroi donano anche camerette e biciclette e grazie a “Un Sorriso per La Scuola”, progetto organizzato dall’associazione Pane di Sant’Antonio e La Casa del Giocattolo Solidale Varese, con il sostegno della Fondazione Comunitaria del Varesotto e il patrocinio del Comune di Varese, tanti bambini e adolescenti andranno a scuola il prossimo anno con uno zaino nuovo e tutto il materiale scolastico necessario.

Aiutare senza sprecare! La Casa del Giocattolo Solidale ridà spesso una nuova vita a tutti quegli oggetti che vengono abbandonati nei cassetti, ma che possono avere un altro tipo di uso per chi ne ha bisogno, evitando lo spreco e ogni tipo di consumismo. Uniti si è sempre più forti, soprattutto quando a guidare le azioni sono il cuore e la voglia di regalare un sorriso a chi è un po’ meno fortunato.

La condivisione è la vera risorsa per superare le disparità economiche e sociali. Le realtà come la Casa del Giocattolo Solidale di Varese ci raccontano di altri mondi e di altri valori che possono fare la differenza.

fonte: www.italiachecambia.org



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Gino Chabod, l’artigiano del legno che insegna ai bambini il “saper fare”

La storia di Gino Chabod, spirito ribelle valdostano, che da quasi trent'anni educa i bambini alla manualità, alla cooperazione e al senso di comunità attraverso le sue due falegnamerie didattiche: una mobile attrezzata su un furgone; l’altra allestita ai Campi di Borla, la splendida fattoria didattica del piacentino dove vive in semplicità volontaria. E dove sogna di poter tramandare il mestiere a un giovane.









La nutrita schiera di quelle persone che si sono rimboccate le maniche e quotidianamente lavorano per ingrandire l’Italia che cambia si arricchisce oggi di un altro talentuoso personaggio. Chiunque abbia frequentato negli anni scorsi Fa’ la cosa giusta, la fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, se lo ricorderà certamente. Si tratta di Gino Chabod, uno dei più seri candidati, naturalmente a sua insaputa, al titolo di moderno Mastro Geppetto nel nostro Paese.

Lo incontro in un ventoso pomeriggio di primavera in una delle sue due falegnamerie per bambini: quella fissa, allestita presso la fattoria didattica (e agriturismo) I Campi di Borla, piccola perla sulle colline nei pressi di Salsomaggiore Terme, dove vive praticando la semplicità volontaria e l’autoproduzione assieme alla compagna Donatella Mondin, fondatrice e anima di questo luogo incantato e accogliente, immerso nella verdeggiante natura della Val d’Arda, nel piacentino.

Gino e Donatella

L’aspetto etereo e quasi stralunato, la barba bianca, la voce felpata, il sorriso pacato, le grandi mani sempre raccolte come per scongiurare la fuga del talento che le abita, Gino è una di quelle persone a cui difficilmente attribuiresti uno spirito ribelle. E invece è proprio questo spirito ad averlo animato fin dall’adolescenza ad andare controcorrente, sebbene con tutti i dubbi e le correzioni di rotta del caso, in un’epoca – quella della provincia italiana degli anni ’60 – caratterizzata da forte espansione economica e (pertanto) da una certa diffidenza per chi si opponeva al flusso prevalente.

Nato nel 1955 in un villaggio di montagna della Val D’Aosta allora popolato da gente semplice, dalla cultura minima, ancora avvezza alla convivenza con gli animali da cortile piuttosto che con altri umani, nemmeno Gino è stato inizialmente insensibile al fascino della modernità. Compiuti i 13 anni, infatti, si iscrive alla scuola per elettrotecnici dell’Olivetti a Ivrea, come tanti giovani di paese negli anni ’60 attratti dal mito del posto fisso in fabbrica e dal sogno di emancipazione che la vita in un’area industriale sembrava garantire.

Nel caso di Gino, tuttavia, questa fase dura poco. Quella che immaginava essere una possibilità di emancipazione, infatti, per lui si rivela ben presto una forma di alienazione. «Sentivo la mancanza della manualità vera, della sensibilità ai materiali che avevo appreso nell’infanzia, quando razzolavo libero sui prati e mi perdevo nei boschi», confessa. E così a 18 anni, finita la scuola, sceglie di “tornare a pascolare le capre”. Si iscrive prima a un corso per diventare casaro ad Aosta e poi, partito per il servizio militare, scopre per puro caso la sua missione di vita.

I Campi di Borla

Siamo nel 1976 e il 21enne Gino viene mandato dal suo reparto ad aiutare i terremotati del Friuli. Assegnato alla realizzazione delle tettoie delle mense per i campi tenda, mentre alcuni volontari intrattengono i bambini della zona, si ritrova – nemmeno si ricorda come – a intagliare improvvisati giochini di legno con i suoi attrezzi di fortuna.

La cosa si ripete nei giorni successivi e così, giochino dopo giochino, l’entusiasmo dei piccoli ospiti del campo non passa inosservato. Se ne accorgono le maestre della scuola del paese, le quali chiedono ai militari che quel ragazzone alto e taciturno continui a regalare sorrisi ai bambini colpiti dalla tragedia anche dopo la fine del lavoro alle mense. Gino ricorda con un pizzico di commozione la determinazione del suo capitano a superare le difficoltà burocratiche: «Dovettero scomodare un generale di corpo d’armata per darmi il permesso di andare ogni giorno nel campo dei bambini».

Da quell’esperienza nasce per la prima volta in Gino l’idea di una falegnameria per bambini attraverso la quale trasmettere loro l’identità collettiva e il senso di comunità che aveva appreso da piccolo nel suo villaggio in montagna, dove ciascun cittadino aveva capacità manuali e cultura della responsabilità tali da potersi occupare del pezzettino di beni comuni (acquedotti, boschi, pascoli, ecc.) che gli veniva assegnato. Non a caso uno dei giochi più replicati in quelle difficili settimane in Friuli era ricostruire il paese distrutto con tutte le case, le attività e le infrastrutture che c’erano prima, utilizzando delle miniature.

Sembra fatta, dunque. E invece no. Perché la paura di volare per il giovane Gino è ancora troppo forte. Dopo la fine del servizio militare, al ritorno in Val d’Aosta, a prevalere è di nuovo il richiamo delle certezze che ancora negli anni ’70 garantiva la vita convenzionale. Gino si associa a un coetaneo che aveva iniziato a fare il tornitore del legno e con lui apre una falegnameria. Eppure, per tutti i successivi 16 anni, fra un mobile personalizzato e l’altro, mentre è al lavoro per fabbricare serramenti, scale e chalet, non passa giorno senza sentire il fuoco sacro della missione che lo chiama a mollare tutto per dedicarsi ai “suoi” bambini.



Finché una notte, a metà anni ’90, per dirla con Sepulveda, il richiamo dell’aria diventa improvvisamente più forte della paura di cadere. Quella notte Gino si affaccia al balcone di casa e guarda dall’alto il suo furgone da lavoro, sognante. A quasi 40 anni è finalmente pronto a spiegare le sue ali. Nei giorni successivi allestisce, proprio sul suo furgone, un laboratorio mobile per bambini con tutti i crismi, in grado poi di superare anche le nuove, stringenti norme sulla sicurezza della celebre legge 626.

Nasce così la falegnameria didattica ambulante che negli anni a seguire presenterà e diffonderà, prima nelle scuole della Val d’Aosta e poi, dopo il taglio dei fondi alle scuole, in tutto il Nord Italia, dove in quel periodo iniziano a fiorire eventi e festival dedicati alla sostenibilità e al cambio di paradigma.

Fra questi eventi c’è anche Fa’ la cosa giusta, dove Gino viene invitato tutti gli anni a portare i suoi banchi, gestendo in totale libertà lo spazio che la fiera riserva ai bambini. E dove nel 2010 conosce Donatella, che ha da poco aperto – sola con i sue due figli – una fattoria didattica sulle colline del piacentino. Qualche mese dopo Gino è proprio lì, ai Campi di Borla, con le maniche tirate su, ad attrezzare la sua seconda falegnameria per bambini. più equipaggiata di quella ambulante, fiore all’occhiello di una fattoria che – dopo le chiusure forzate degli ultimi tempi – oggi è tornata ad accogliere bambini e preadolescenti da tutta Italia.

Quando gli chiedo se costruire barche, aeroplanini, bambole e animali da più di 25 anni non sia un po’ come saldare tutti i giorni pezzi d’auto in una catena di montaggio, Gino risponde pacato ma deciso: «Se fra le mansioni di un saldatore ci fosse insegnare il mestiere a dei bambini, forse quel lavoro non sarebbe più considerato alienante». In effetti è proprio il rapporto con i bambini il plus che continua a motivarlo. «Quando metti insieme la manualità e i bambini non hai un problema di ripetitività del lavoro. Le idee nuove vengono da sole, specialmente da loro», chiosa.

Una creazione dei bambini

Ma le soddisfazioni non vengono solo dalle forme che riesce a prendere il legno una volta sollecitato dalla creatività dei piccoli. Più volte gli è capitato, infatti, che ragazzini problematici delle medie, di quelli che dopo cinque minuti di lezione frontale già cominciano a dare in escandescenze, con lui si siano trasformati in angioletti rispettosi e curiosi.

Pur preferendo lavorare con le scuole materne (bambini di 3-5 anni), paradossalmente è proprio con i più grandi che Gino conserva il suo ricordo più bello. «Era un campo diurno per adulti disabili, durante il quale i partecipanti hanno costruito giochi di società di grandi dimensioni; a un certo punto i disabili hanno iniziato a giocare con tutti i normodotati presenti, sentendosi per una volta protagonisti e spettatori allo stesso tempo».

Mentre le attività possibili nella falegnameria ambulante sono abbastanza circoscritte, ai Campi di Borla Gino può permettersi di lavorare con diverse fasce d’età e per periodi di tempo più lunghi, visto che la fattoria può anche ospitare. Ciò gli permette anche di diversificare le attività proposte, incrementandole con quelle più adatte alla preadolescenza – dal taglio di piccoli alberi alle staccionate per i sentieri, dalla rimozione dei tronchi all’edilizia con terra cruda, fino al lavoro con i mattoni, la costruzione di casette, ecc. – per un’esperienza che si rivela più completa di quella della sola falegnameria.

Gino ci descrive la settimana-tipo ai Campi di Borla. Appena arriva un gruppo, si fa un piccolo calendario con i turni per cucinare, per servire, per fare le pulizie. «Sono attività simboliche, realizzate in maniera leggera e giocosa, ma tutte utilissime per educare alla manualità, alla cooperazione, e a non dare nulla per scontato», ci dice. Poi, ogni mattina dopo la colazione, parte un cerchio in cui si decide la suddivisione in gruppi. Uno dei gruppi si reca con lui in falegnameria, nel bosco o nell’orto (a seconda dell’attività prevista). L’altro gruppo aiuta invece nelle faccende domestiche, specie in cucina, dove Donatella insegna ai ragazzi a preparare un pranzo completo. Poi nel pomeriggio si invertono le attività dei gruppi.

«Quando restano una settimana, i bambini arrivano già con delle idee in testa», continua Gino. «Una bambina una volta ha realizzato il trombone della nonna in legno; una ragazzina ha fatto un piccolo telaio perfettamente funzionante; a un bambino che si era costruito un monopattino di legno scavato in un tronco hanno offerto 500 euro una volta rientrato a Milano, ma lui non l’ha voluto vendere».



Gli chiedo come si spieghi che la possibilità dell’autocostruzione riesca ad appassionare così tanto dei bambini abituati alle cose già pronte, che si possono comprare e utilizzare in un attimo. «Io credo – mi risponde – che ogni umano abbia una tendenza ancestrale verso la ricerca di un equilibrio più naturale tra il pensare a un oggetto e realizzarlo con le proprie mani. Forse è per questo che il cervello riscopre questa possibilità non appena gliene si dà la possibilità. Ho tantissimi ricordi di bambini felici dopo aver costruito da soli, senza spendere un centesimo, oggetti piccoli, semplici, senza alcuna dote magica quale muoversi, emettere suoni o lampeggiare».

A conclusione del nostro incontro, gli domando se si sente più artigiano o artista. Lui però glissa e preferisce confidarmi il suo ultimo sogno. Ora che sta invecchiando gli piacerebbe trovare un erede, un giovane apprendista che non creda solo agli attrezzi che impugnerà, ma soprattutto alla valenza politica del suo messaggio. «Ho imparato una serie di cose legate a un sapere che rischiava di andar perso, ma non l’ho certo fatto per guadagnare più soldi. L’ho fatto nell’attesa di tornare utile a indicare la strada il giorno in cui capiremo che quella che il mondo sta percorrendo ora non ci porta da nessuna parte». E chissà che questo articolo non si trasformi in un piccolo messaggio in bottiglia lanciato nel mare di coloro che, al momento delle scelte decisive sulla propria vita, decideranno di andare anch’essi controcorrente, come ha fatto lui.

Usciti dalla falegnameria, noto che il vento ha cessato di soffiare. Gino insiste mentre mi accompagna alla mia auto. «I ragazzi che hanno solo una formazione universitaria spesso rinunciano a essere protagonisti della loro vita. Finiscono per aggrapparsi alla convinzione che qualcuno debba offrirgli un lavoro. Io invece vorrei trasmettere l’idea che ciascuno di noi può costruirsi la sua strada con le proprie forze, senza dipendere dagli altri».

Entro in macchina con una bizzarra sensazione di incompletezza dall’origine ignota. Metto in moto e inizio a percorrere la sterrata in salita che dalla fattoria mi porterà sulla strada principale. Ma all’improvviso realizzo, richiamato dalla mia curiosità insoddisfatta. Allora tiro il freno a mano, apro la portiera, salgo sul predellino e guardo giù verso Gino, distante non più di venti metri. Gli grido: «Ma quindi, alla fine, ti senti più artigiano o più artista?». Risponde facendo roteare un dito accanto all’orecchio, come a scusarsi per il vento che gli impedisce di sentire. Non faccio in tempo a ribattere “guarda che il vento non c’è più”. Lui è più lesto. Mi saluta con quel suo sorriso calmo, sventolando entrambe le mani. Mani grandi di artigiano abitate dallo spirito ribelle di un artista.

fonte: www.italiachecambia.org


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TERNI: PRENDE VITA “FACCIAMO A CAMBIO?”, MERCATINO DEL BARATTO PER BAMBINI E BAMBINE




TERNI – Martedì primo giugno il Co-working Bloom Spazio Condiviso e Illustrastorie organizzano “Facciamo a cambio?” il mercatino del baratto per i bambini e le bambine. L’evento si svolgerà a via Galvani, in pieno centro, nel rispetto delle attuali normative. Giulia Ceccarani, illustratrice che è l’artefice del progetto Illustrastorie, sottolinea che “l’evento sarà organizzato come quando si facevano i mercatini sotto casa, dove ci si scambiava i giochi e gli oggetti più vari.” Un evento per tornare a far stare insieme i più piccoli, che con la pandemia hanno avuto sempre meno occasioni di socialità.

L’organizzazione metterà a disposizione dei tappeti dove i bambini potranno allestire la propria postazione. Per info e prenotazioni si può contattare lo 0744/1984085 oppure scrivere una mail a:
bloomcoworking2020@gmail.com
illustrastorie@gmail.com

fonte: www.vivoumbria.it


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Spazi verdi in città e benessere dell'infanzia

Una corretta pianificazione del verde costituisce una strategia di mitigazione da promuovere nelle nostre città, per renderle così più sane e sostenibili




Numerose ricerche hanno permesso di quantificare il beneficio ambientale che la vegetazione, con le sue diverse tipologie, offre alle nostre città, dalla rimozione di inquinanti atmosferici come PM10 e ozono (si veda la scheda RIAS Verde urbano e miglioramento della qualità dell'aria) alla mitigazione dell'isola di calore. Per questo è ormai riconosciuta come fondamentale la valorizzazione della rete di infrastrutture verdi nelle aree urbane; citiamo a titolo di esempio il modello delle green city che le inserisce tra gli obiettivi strategici della rigenerazione urbana e le indicazioni di ANCI che nel suo documento sulle linee guida per il Recovery Fund le definisce essenziali per un futuro più resiliente delle città.

Vale la pena ricordare qui il progetto Forestami, promosso tra gli altri dal Comune di Milano, che prevede la messa a dimora di 3 milioni di alberi entro il 2030, per pulire l’aria, migliorare la vita della città e contrastare gli effetti del cambiamento climatico. In Toscana, la Regione, in linea con quanto stabilito nel suo Piano regionale per la qualità dell’aria, ha destinato ai Comuni che presentano maggiore criticità dal punto di vista dell’inquinamento atmosferico un bando che finanzia interventi di piantumazione di specie arboree e arbustive in ambito urbano.



La valorizzazione delle aree verdi è finalizzata al raggiungimento dello sviluppo sostenibile delle città, in linea anche con l’obiettivo 11 dell’Agenda 2030 “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”, e naturalmente del benessere e della salute dei cittadini che vi abitano.

Su quest’ultimo aspetto vale la pena soffermarci su una determinata fascia di popolazione, ovvero i bambini, che crescono sempre più in contesti urbani esposti a diversi fattori di rischio ambientale, subendone spesso il carico maggiore, insieme ad altre categorie fragili.

Ci piace citare a questo proposito il manifesto per “I diritti naturali dei bambini e delle bambine”, in cui l’educatore Gianfranco Zavalloni, alcuni anni fa, enucleava 10 concetti che ci possono far comprendere quanto le nostre città siano attualmente poco “adatte” al benessere dei bambini, siano cioè poco rispettose del loro bisogno di spazi aperti e natura:
Il diritto all’ozio, a vivere momenti di tempo non programmato dagli adulti
Il diritto a sporcarsi, a giocare con la sabbia, la terra, l'erba, le foglie, l'acqua, i sassi, i rametti
Il diritto agli odori, a percepirne il gusto, riconoscere i profumi offerti dalla natura
Il diritto al dialogo, ad ascoltatore e poter prendere la parola, interloquire e dialogare
Il diritto all’uso delle mani, a piantare chiodi, segare e raspare legni, scartavetrare, incollare, plasmare la creta, legare corde, accendere un fuoco
Il diritto ad un buon inizio, a mangiare cibi sani fin dalla nascita, bere acqua pulita e respirare aria pura,
Il diritto alla strada, a giocare in piazza liberamente, a camminare per le strade
Il diritto al selvaggio, a costruire un rifugio-gioco nei boschetti, ad avere canneti in cui nascondersi, alberi su cui arrampicarsi
Il diritto al silenzio, ad ascoltare il soffio del vento, il canto degli uccelli, il gorgogliare dell'acqua
Il diritto alle sfumature, a vedere il sorgere del sole e il suo tramonto, ad ammirare, nella notte, la luna e le stelle






















Ma perché la vita all’aperto, a contatto con la natura, aiuterebbe il benessere dei bambini anche e soprattutto nelle nostre città? La risposta, che WWF ci riassume nel suo decalogo “10 cose che non sai”, ovvero i benefici della natura sui bambini (vedi infografica a fianco che è possibile ingrandire), ci giunge da numerosi studi e sperimentazioni, come quella svolta in Inghilterra e raccontata nel report di Wildlife Trust Children and Nature: dopo aver trascorso del tempo in ambiente naturale, il 90% dei bambini partecipanti allo studio ha detto di aver imparato qualcosa di nuovo sulla natura, l’84% si ritiene capace di cose nuove, il 79% si è sentito più sicuro di sé. Ecco perché secondo Wildlife Trust, i bambini dovrebbero passare almeno un’ora al giorno imparando e giocando nella natura, per migliorare il loro benessere e la loro autostima.

Di quanto il contatto con l’ambiente naturale sia un fattore importante per il benessere psicofisico del bambino si è parlato in occasione di uno degli incontri del ciclo Mobilityamoci, dedicato alla mobilità scolastica sostenibile. Nel promuovere una mobilità attiva nei percorsi casa-scuola, è stata infatti citata la teoria del “restauro dell’attenzione” secondo cui l’ambiente aperto avrebbe un effetto positivo, riparatore, sulle capacità attentive del bambino, consentendo di prevenire e/o curare stati di stress o irritabilità: trascorrere del tempo in prossimità delle aree verdi cattura infatti l’attenzione spontanea, permettendo all’attenzione diretta di "riposare" e quindi "ripristinarsi".

In linea con questo aspetto riparatore delle aree verdi, ricordiamo il cosiddetto “disturbo pediatrico da deficit di natura”, definito per la prima volta da Richard Louv, giornalista e scrittore americano, nel 2005 e poi studiato e osservato da medici e ricercatori, che coinvolge proprio i bambini che vivono in agglomerati urbani e che non hanno contatti frequenti con ambienti verdi. Secondo questa teoria, stare in mezzo alla natura aiuterebbe a muoversi e socializzare in modo diretto e autentico, favorendo l’attività sportiva e la buona salute psicofisica, e la vegetazione, anche quella cittadina, migliorerebbe le qualità dell’aria respirata e anche solo la visione di un paesaggio verde costituirebbe un’immagine positiva a livello mentale.

















Per questa fascia di età, i benefici provenienti dal verde urbano possono toccare altre importanti sfere, come ad esempio lo sviluppo cognitivo. L'esposizione al verde e i suoi effetti benefici su diversi aspetti cognitivi e comportamentali sono stati analizzati attraverso alcuni studi di coorte, come quello condotto in Belgio, che ha mostrato come lo spazio verde residenziale possa essere utile per lo sviluppo intellettuale e comportamentale dei bambini che vivono nelle aree urbane, o quello svolto a Roma dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale, che ha associato l’esposizione al verde urbano ad un miglioramento nelle performance dei test riguardanti attenzione, concentrazione e ragionamento aritmetico.

Uno dei focus del progetto I primi 1000 giorni, finalizzato a capire in che modo l’ambiente e l’esposizione ad agenti inquinanti influiscano sui primi 1000 giorni del bambino, riguarda proprio il verde urbano, che, come abbiamo già accennato, svolge un ruolo importante di mitigazione nell’ambiente urbano, esercita un’azione di controllo della temperatura, della pioggia che cade al suolo e fornisce una barriera contro il rumore e l’inquinamento atmosferico.






















Il progetto intende dunque promuovere la corretta gestione e manutenzione del verde come misura di mitigazione da implementare, anche nelle scuole. Mettere a disposizione infatti dei cittadini, soprattutto giovanissimi, spazi per l’attività fisica e ricreativa, percorsi per spostarsi a piedi o in bicicletta, stimola la crescita della sensibilità ambientale e favorisce i contatti sociali. La mancata gestione e manutenzione del verde urbano, anche negli spazi scolastici, tra l’altro, può essere anche associata ad una maggiore prevalenza di piante allergizzanti, con effetti negativi nei soggetti più sensibili con asma o allergia, anche per la possibile interazione tra pollini e inquinamento atmosferico.

Chiudiamo richiamando con piacere alcuni dei consigli che il progetto I primi 1000 giorni propone sul suo sito Web, finalizzati a proteggere la salute dei bambini dai fattori di rischio ambientali:
Programmare attività fisica dei bambini in spazi verdi
Ricordare che il gioco con gli altri bambini in aree verdi favorisce anche la socializzazione e lo sviluppo psico-fisico
Limitare la frequentazione di parchi/giardini per bambini che sono affetti da patologie allergiche durante i periodi di fioritura.
In estate evitare attività all’aria aperta dalle 12 alle 18, quando i livelli di ozono sono più elevati.

fonte: www.arpat.toscana.it/

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Robidone, il robot che insegna la raccolta differenziata a Italia’s Got Talent

 




Questa sera possiamo dirlo, un #Robot​ ci ha effettivamente fatto comprendere tutti i nostri sbagli. Almeno, lo ha fatto sulla raccolta differenziata. Dopo la sua performance non abbiamo più scuse, non sono ammessi errori. I #Giudici​ di #IGT​ hanno apprezzato l’idea, per lui 4 si.  

Italia's Got Talent


https://www.robidone.com


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Una rete di famiglie genovesi condivide oggetti, vestiti e buone pratiche per bimbi “a basso impatto”

Un’associazione di famiglie green ha creato TOORNA (“turna” in genovese vuol dire: di nuovo), una web app per scambiare e regalare oggetti, libri e vestiti dei propri bambini e che si avvale anche di trentacinque punti di ritiro a Genova. Perché “di nuovo è meglio che nuovo”.




Quando nasce un bambino, ci si trova inondati da giochi e vestitini passati da amici, regalati o prestati. Ci si rende conto di cosa serva effettivamente, solo imparando a conoscere il proprio figlio: c’è chi non userà mai le sdraiette e chi invece le amerà, c’è chi apprezzerà molto quel giochino musicale, chi invece lo ritroverà sempre in giro, lanciato come una pallina da baseball. Ogni bimbo ha i suoi gusti e il proprio carattere, certo è che le case sono sempre più piccole e lo spazio è sempre più ridotto.

Preziosa in queste situazioni è TOORNA, una vivace rete di scambi gratuiti che favorisce il riuso di oggetti e abbigliamento per l’infanzia: «Inizialmente veniva gestita su una chat Whatsapp, ma poi abbiamo visto quanto stimolava l’interesse, così, nel 2018, è diventata web app», racconta Marta Prisco, p.r. dell’associazione tRiciclo – Bimbi a Basso Impatto, ricordando gli esordi di quest’App, usatissima a Genova.

L’APP

Grazie al bando “Partecipa digitale”, lanciato dall’associazione Open Genova, l’associazione tRiciclo ha vinto con il progetto TOORNA e oggi l’iniziativa è sostenuta dal Comune di Genova e da Amiu: «La web app è stata sviluppata grazie al supporto tecnico dell’azienda genovese Dot Next e il giorno del lancio ha visto una bella partecipazione da parte delle istituzioni che si sono fatte portavoce insieme a noi di questo messaggio importante per l’ambiente e la città».



Come funziona in concreto? TooRNA consente di donare, prestare e chiedere in regalo oggetti per i bimbi nella fascia d’età 0-12 anni e per le mamme in dolce attesa. E sono quasi 5000 gli oggetti scambiati in questi primi due anni, dallo scaldabiberon alle tutine fino al triciclo, passando anche per oggetti più “strani”: «C’è una tortiera – sorride Marta – a forma di 3, che può essere usata per il terzo compleanno, ma anche per il tredicesimo o il trentatreesimo, e sta viaggiando molto, ce la siamo passata un po’ tutti… anche questo è il bello di TOORNA».

L’ASSOCIAZIONE

tRiciclo è un’associazione di genitori volontari nata da un gruppo di famiglie genovesi che ha deciso di crescere i propri figli all’insegna della sostenibilità ambientale. «Dal 2016, promuoviamo comportamenti virtuosi per la riduzione dei rifiuti, incoraggiando la condivisione di cose e saperi». Ed è iniziata con gruppi di acquisto solidale, per poi evolversi sempre di più.

GLI ALTRI PROGETTI

Oltre all’app, l’associazione porta avanti altre iniziative, come PANNOLINI VERDI, che promuove l’uso di pannolini lavabili e di pannolini biodegradabili, attraverso gruppi di acquisto e la sperimentazione negli asili nido genovesi. Risale, poi, al 2019 un grande censimento svolto dai volontari per indagare e mappare le abitudini dei vari istituti scolastici del territorio e diffondere l’uso di stoviglie lavabili. «In diversi casi, siamo riusciti a far virare nella direzione più ecosostenibile diversi plessi, facendo adottare borracce in metallo da ogni alunno, sostenendo le famiglie organizzando gruppi di acquisto dedicati».



«A breve lanceremo un video animato di presentazione dell’associazione che verrà proiettato nei corsi prenascita negli ospedali di Genova: Carla Signoris ci ha prestato la sua voce ed è stato realizzato da YOGE, un’agenzia genovese di comunicazione sensibile, grazie al sostegno di ERG e al supporto di IREN».

Altro tema molto sentito dall’associazione è quello della mobilità. Proprio in queste settimane stanno promuovendo il pedibus, con l’hashtag #desideriodipedibus, un “trenino” di bambini e genitori diretti a scuola nel modo più ecologico e divertente: a piedi! E vedere questi bambini camminare insieme fino alla scuola, attraversando in sicurezza il centro città, è emozionante.

«Quello che desideriamo è che diventi la regola: stiamo lavorando per istituire “zone 30”, dove non si possono superare i 30km/h nei pressi delle scuole, e sensibilizzare le scuole sulla necessità di investire tempo ed energie sull’importanza della mobilità sostenibile».

E i piani per il futuro riguardano l’adozione di TOORNA da realtà associative non genovesi: «Vorremmo condividere l’App, essendo opensource, con associazioni simili alla nostra in altre città, liguri e d’Italia: in soli due anni abbiamo risparmiato alla discarica quasi 5000 oggetti, quindi la nostra iniziativa può essere importante per tante famiglie che si vogliono aprire agli scambi anche al di fuori dai confini regionali».

Grandi idee combinate a piccole azioni, che danno un segnale forte alla cittadinanza: per l’ambiente e per vivere meglio.

fonte: www.italiachecambia.org


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I Pfas abbassano le difese immunitarie e riducono la risposta ai vaccini, a partire dai bambini.






















Oltre alle patologie già conosciute: interferenti endocrini, tumori dei testicoli e dei reni, ipertensione in gravidanza, aumento del colesterolo ecc. Li assumiamo attraverso il cibo e l’acqua potabile contaminati. Sono impiegati , con diverse composizioni molecolari, nelle schiume antincendio, nei rivestimenti metallici antiaderenti per padelle,  negli imballaggi per alimenti, nelle creme e nei cosmeticinei tessuti per mobili e abbigliamento per esterni, fino ai pesticidi e ai prodotti farmaceutici. Ma ad Alessandria Solvay chiede alla Provincia l’autorizzazione al C6O4Clicca qui.

fonte: https://www.rete-ambientalista.it



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È il clima a mettere a rischio la salute dei bambini di oggi e di domani

I cambiamenti climatici stanno già danneggiando la salute dei bambini di tutto il mondo e il rischio è quello di conseguenze a lungo termine sulla loro vita, se niente cambierà. Ovvero se il mondo continuerà a seguire la rotta attuale senza perseguire l’obiettivo dell’Accordo sul Clima di Parigi. È quanto emerso da una tavola rotonda sul rapporto "The Lancet Countdown on Health and Climate Change".



Clima e salute, un binomio ormai indissolubile. Se ne è discusso all’Istituto superiore di Sanità in occasione di una tavola rotonda dedicata alla riflessione sul rapporto The Lancet Countdown on Health and Climate Change pubblicata su The Lancet, frutto della collaborazione tra 120 esperti di 35 istituzioni di tutto il mondo - tra cui l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il University College di Londra e l'Università di Tsinghua - che ha analizzato 41 indicatori chiave, suggerendo quali azioni intraprendere per raggiungere gli obiettivi dell'accordo di Parigi.

I cambiamenti climatici stanno già danneggiando la salute dei bambini di tutto il mondo e minacciano conseguenze a lungo termine sulla loro vita, se niente cambierà. Ovvero se il mondo continuerà a seguire la rotta attuale senza perseguire l’obiettivo dell’Accordo sul Clima di Parigi, ratificato da tutti i paesi UE: mantenere dal 2015 al 2100 l’aumento medio della temperatura globale al di sotto di 2 ̊C, sotto cioè ai livelli della prima rivoluzione industriale (1861-1880).

Ecco, in sintesi, come il clima potrebbe condizionare un’intera generazione secondo il rapporto.

-I neonati saranno più soggetti alla malnutrizione: con l'aumento delle temperature, infatti, il potenziale di resa media di mais (-4%), frumento (-6%), soia (-3%) e riso (-4%) è gradualmente diminuito negli ultimi 30 anni e, di conseguenza, i prezzi degli alimenti basati su questi cereali sono aumentati.
-I bambini saranno tra i più colpiti dalle malattie infettive: il 2018 è stato il secondo anno che climaticamente ha favorito la diffusione di batteri, causa di gran parte delle malattie diarroiche e delle infezioni da ferite a livello globale.
-Durante l'adolescenza, l'impatto dell'inquinamento atmosferico peggiorerà, con morti premature che nel 2016 hanno raggiunto i 2,9 milioni (oltre 440.000 dovute al solo carbone); l'approvvigionamento energetico globale da carbone è cresciuto dell’1,7% dal 2016 al 2018, invertendo una tendenza al ribasso.
-Da adulti vedranno intensificarsi gli eventi meteorologici estremi, con 152 dei 196 paesi che hanno registrato un aumento delle persone esposte agli incendi dal 2001-2004, e un record nel 2018 di 220 milioni di persone oltre i 65 anni esposte alle ondate di calore (63 milioni in più rispetto al 2017).

Invece, percorrere fino in fondo il cammino tracciato dall'accordo di Parigi potrebbe consentire ai bambini nati oggi di crescere in un mondo in grado di raggiungere l'obiettivo zero emissioni entro il loro 31° compleanno e garantire un futuro più sano per le generazioni future. Solo un taglio del 7,4% l’anno delle emissioni di CO2 fossile dal 2019 al 2050, avvertono gli studiosi, limiterà il riscaldamento globale, secondo l'obiettivo più ambizioso di mantenere questo aumento entro 1,5°C.

Gli autori di The Lancet Countdown chiedono un'azione coraggiosa per invertire la tendenza in quattro aree chiave:

-fornire una rapida, urgente e completa eliminazione graduale dell'energia a carbone in tutto il mondo;
-garantire che i paesi ad alto reddito rispettino gli impegni internazionali di finanziamento per il clima di 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020 per aiutare i paesi a basso reddito;
-aumentare sistemi di trasporto pubblico e attivo, in particolare a piedi e in bicicletta, come la creazione di piste ciclabili e programmi di noleggio o acquisto di biciclette a prezzi accessibili ed efficienti;
-fare grandi investimenti nell'adattamento del sistema sanitario per garantire che i danni alla salute causati dai cambiamenti climatici non sopraffacciano la capacità dei servizi sanitari e di emergenza di curare i pazienti.

fonte: www.ilcambiamento.it

Il baratto dei giocattoli per promuovere riuso e condivisione

Il baratto dei giocattoli è uno strumento ideale per promuovere tra i bambini il concetto di riuso e di condivisione verso chi ha bisogno. Nasce da questo presupposto l’iniziativa “Ce l’ho ce l’ho mi manca” la cui sesta edizione si terrà a Roma domenica 1 dicembre. Un evento dove il consumismo lascia il passo alla generosità (con buona pace degli inventori del black friday!).



Da una scorsa edizione dell’iniziativa 

Promuovere tra i bambini un pensiero etico, nel quale il baratto di giocattoli possa riflettere nuove pratiche di sostenibilità e di solidarietà verso chi è meno fortunato. È questo l’obiettivo della sesta edizione della manifestazione “Ce l’ho ce l’ho mi manca”, prevista domenica 1 dicembre 2019, dalle ore 10:00 alle ore 19:00 negli spazi del terzo piano di Eataly a Roma (in Piazzale 12 Ottobre 1492, a pochi passi dalla Piramide Cestia).


Una giornata gratuita, organizzata dal magazine online Family Welcome, per sensibilizzare i più piccoli e le loro famiglie al “non spreco” ed alla riduzione dei rifiuti, attraverso il riuso a fini solidali dei giocattoli non più utilizzati.


Un evento dove il consumismo lascia per una volta il passo alla generosità dimostrando che così a vincere siamo un po’ tutti.


Promuovendo la buona pratica del riuso si allunga la vita dei giocattoli che non diventano né rifiuti da smaltire né oggetto di ulteriore consumo di risorse naturali. Si può così aiutare l’ambiente e i bambini in difficoltà destinatari delle donazioni dei giocattoli non scambiati: i minori migranti, in fuga da guerra e povertà o quelli che vivono in condizioni di disagio socio-economico nei quartieri più svantaggiati delle grandi città.


Le centinaia e centinaia di giochi scambiati e donati e le migliaia di famiglie romane che hanno preso parte alle prime cinque edizioni sono la dimostrazione che il “ “Ce l’ho ce l’ho mi manca” è un momento che va ben oltre al giocattolo in sé.


Rappresenta una situazione ludica di crescita e di consapevolezza rivolto soprattutto ai bambini, impegnati in prima persona, a ragionare in modo critico su questioni sociali di grande importanza. Lo scambio dei giochi, tra i più piccini, costituisce infatti un insegnamento verso il consumo eticamente sostenibile. Così come la donazione, rivolta ai più grandi, promuove il senso di solidarietà verso i coetanei che si trovano in difficoltà.





La scoperta che donare può essere più bello di ricevere e che nel farlo si può anche tutelare l’ambiente è il messaggio che ci si può portare a casa.
Le buone regole del baratto


Ad accogliere bambini e famiglie all’ingresso della manifestazione, ci saranno i volontari di Save the Children – l’Organizzazione internazionale che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e garantire loro un futuro. Poi i Clowndottori e Cantastorie dell’Associazione no-profit di medici, La Banda Faclò, nata nel 2015 in seno alla Carovana dei Sorrisi per promuovere la terapia del sorriso, la forza della fantasia e la creatività come aiuto ai bambini malati e persone in situazione di disagio.


A tutti questi professionisti del sorriso si consegnano i giocattoli ricevendo in cambio monete simboliche per un valore il più possibile equivalente al materiale che è stato messo a disposizione per il baratto.


Con questi gettoni i bambini possono scegliere autonomamente altri giochi, “come nuovi”, all’interno dell’area dedicata al baratto.


Al termine, i giocattoli che non dovessero conoscere nuovi “proprietari” saranno donati ai Punti Luce e Spazi Mamme di Save the Children in Italia e all’Associazione La Banda Faclò, che li distribuirà in ospedali pediatrici e case famiglia.


La Banda Faclò


Baratto, Family Friendly Market, Laboratori per bambini


L’evento si articola in 3 aree tematiche:


1) BARATTO: uno spazio unicamente dedicato allo scambio dei giochi tra i bambini.


2) INTRATTENIMENTO: laboratori gratuiti didattici per bambini organizzati per temi e fasce d’età dai 3 ai 12 anni.


L’argomento dei laboratori organizzati da Musement, la piattaforma digitale leader nella ricerca e nella prenotazione di tour e attrazioni in tutto il mondo, riguarda una serie di appuntamenti focalizzati sulle diverse città dove il portale offre imperdibili esperienze. Occhi puntati su Londra e Parigi dove Musement è particolarmente attiva: i bambini possono cimentarsi nella costruzione di modellini del London Eye e della Torre Eiffel in cartone riciclato per vivere insieme il piacere di un’avventura. Un momento di stimolo per i piccoli che si spera possa avere in futuro risonanza nella loro quotidianità. Anche per questo ai bambini viene regalata una borraccia ecologica da utilizzare per i prossimi viaggi e le avventure alla scoperta del mondo.


Si legano al piacere della sperimentazione e della trasformazione, invece, i laboratori pensati da Treatwell, la piattaforma di prenotazione online per i trattamenti di bellezza e benessere leader in Europa. Un’esperienza coinvolgente che vede i bambini come piccoli erboristi, impegnati attorno a un tavolo con oli e pozioni, nella preparazione di regali per le loro mamme: creme e scrub a base di ingredienti alimentari e completamente naturali. Contemporaneamente le mamme si concedono un momento di relax grazie alla manicure offerta dai saloni che fanno parte del network.


3) XMAS MARKET: area espositiva dedicata a prodotti e servizi a misura di famiglia con bambini.

fonte: www.italiachecambia.org

SOS Plastica: il divertente libro interattivo che insegna ai bambini come ‘aiutare il mare’


















Un pesciolino che non riesce ad uscire da una bottiglia, un cucciolo di delfino incagliato in una rete: nemmeno nel profondo del mare i nostri amici animali se la cavano bene, ma come fare per aiutarli? Arriva un libro magico, di quelli che spiegano ai più piccoli che tutti possono fare la propria parte per salvare gli animali e il pianeta!

È SOS Plastica, aiuta il mare in questo libro (disponibile su Amazon), pensato per la fascia di età dai 3 ai 6 anni: un libro interattivo, di quelli da scuotere, soffiare e schiacciare, per fare in modo che i bambini entrino nel cuore della storia e la facciano loro.

A scriverlo è Olimpia Ruiz di Altamirano, l’autrice indipendente che, dopo aver esplorato la profondità degli abissi con Tuffati in questo libro, regala ora ai piccoli un momento di riflessione su qualcosa che affligge il nostro mare, la plastica, e una bella occasione buona per imparare il rispetto per l’ambiente.




E con SOS Plastica lo fa con un libro interattivo, che chiede cioè al bambino di compiere delle azioni e si comporta come se effettivamente rispondesse (nella pagina successiva è illustrato “il risultato” dell’azione).

Questo libro non terrorizza i bambini, presentando scenari apocalittici, ma usa l’empatia con le creature marine per far riflettere anche i più piccoli: una forchetta monouso, se lasciata sulla spiaggia può diventare un grosso problema per una simpatica tartaruga. È il momento di pensare anche a questo!”, racconta Olimpia Ruiz di Altamirano sul suo sito.

La storia

Ci sono un pesce intrappolato in una bottiglia, una tartaruga con posate usa e getta incastrate nel carapace, un piccolo delfino che non riesce a liberarsi da un pezzo di rete, un pesce spada a cui un anello di plastica ha chiuso la bocca, le meduse disorientate dalle buste, un’orca spiaggiata e un granchietto che qualcuno dimentica in un secchiello.





fonte: www.greenme.it