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Torneremo a guidare automobili realizzate in canapa e altre fibre vegetali?

Dalla Hempcar della Ford interamente ricavata da soia e canapa e alimentata ad etanolo, ai moderni impieghi di Bmw, Peugeot e Seat



L’iniziativa di provare ad utilizzare fibre vegetali nei processi industriali del settore automobilistico sono oggi dettate dall’esigenza di realizzare materiali a bassa impronta di carbonio. Con questo tipo di produzioni si cerca di esercitare un bassa pressione ambientale durante i loro processi di produzione ma anche di prevedere percorsi di smaltimento più sostenibili.

Lo studio, la ricerca e la realizzazione di tutti questi materiali a base vegetale erano saliti alla ribalta delle economie nazionali autarchiche principalmente per motivi di strategie politiche ed economiche. Questo era stato possibile grazie agli enormi progressi della chimica, avvenuti nel periodo tra le due guerre ed attribuendo a questi prodotti di sintesi caratteri di modernità e di progresso in chi ne facesse uso.

Studi e ricerche per nuovi materiali

Durante gli anni ’30, negli stati Uniti, la Ford mette all’opera stuoli di ingegneri per progettare la prima auto realizzata interamente con un materiale ottenuto da soia e canapa. Vale qui ricordare che dai semi di quest’ultima si ricava anche l’etanolo che sarebbe servito per alimentare l’auto stessa. Si tratta di un carburante alternativo ai derivati del petrolio, per anni ampiamente sperimentato nei motori termici ma che non è mai “decollato”.

Dopo anni di tentativi nel 1941 il prototipo della Hempcar è presentato ma l’entrata degli USA nel secondo conflitto mondiale ne farà naufragare il progetto.

Anche la Pegamoide, oggi si direbbe “ecopelle”, risale al periodo tra le due guerre mondiali. Si tratta di un materiale costituito da un supporto di tela o di carta su cui è applicata una miscela di sostanze varie, fra cui sostanze a base di celluloide ed olio di ricino.

La Pegamoide è un materiale che imita il cuoio, un tempo usato in valigeria, tappezzeria e simili, ma che è stata ampiamente utilizzata dalle case automobilistiche e dai più famosi carrozzieri per rivestire le loro creazioni. La pegamoide grazie alle sue caratteristiche di maggiore resistenza alle sollecitazioni ed agli eventi atmosferici veniva preferita rispetto alle pelli di animale e quindi, come si direbbe oggi, meno impattante per origine e trattamenti anche se all’epoca questi ultimi erano aspetti del tutto trascurabili e di nessuna rilevanza.

Nella Repubblica Democratica Tedesca RDT, la La VEB Sachsenring Automobilwerk Zwickau (Fabbrica Automobilistica Sachsenring di Zwickau) produceva in Duroplast le carrozzerie delle proprie utilitarie (Trabant). Procedimento utilizzato fino al termine della produzione avvenuta nel 1991. Il Duroplast era realizzato con materiale vegetale riciclato, cascami di cotone e resine fenoliche.

Tuttavia, a causa delle sue caratteristiche (si comporta come una plastica di derivazione minerale) il Duroplast si è dimostrato assolutamente non degradabile e la sua trasformazione richiede lavorazioni costose; l’unica possibilità per smaltirlo è stata trovata nel suo impiego, una volta macinato, come componente delle pavimentazioni stradali.

Si torna ad usare materie vegetali

Ai giorni nostri, la BMW isola le portiere della sua i3 con il Kenaf (Hibiscus cannabinus) ed è possibile acquistare in Florida presso la Renew Sports Cars un’auto dal nome fortemente evocativo: “canna”, almeno per il mercato italiano. La leggerissima carrozzeria è realizzata interamente in fibra di canapa.

Nelle Peugeot più recenti, la versatile pianta è impiegata nei rinforzi del cruscotto e nei condotti di sbrinamento del parabrezza.

Seat (gruppo Volkswagen) sta verificando la possibilità di sostituire la plastica di alcune componenti della Leon con il pulone che è il materiale ottenuto dal cascame del riso. Il pulone è trasformato in Oryzite, mischiato con poliuretani e polipropileni ed infine utilizzato, per esempio negli spessori fonoassorbenti e/o di rivestimento del bagagliaio o del cielo della macchina.

Considerato che ogni anno si raccolgono oltre 700 milioni di tonnellate di riso e che 140 milioni di questo diventano scarti, il progetto ha enormi potenzialità. In questo senso la Seat sta sottoponendo a test di resistenza gli elementi così realizzati per capire di quanto può aumentare la percentuale di pulone presente, fatti salvi i requisiti qualitativi come la resistenza meccanica e quella alle sollecitazioni del caldo/freddo ed all’umidità.

Ridurre l’uso della plastica rientra nel ventagli di strategie adottate dalle case automobilistiche per tentare di portare a zero la “carbon-footprint” nell’intero ciclo di vita delle vetture, obiettivo che la Seat ha fissato per il 2050.

fonte: www.greenreport.it



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Gomma riciclata, nuovo materiale “green” per il design e l’architettura

Sostenibile e versatile, la gomma da riciclo è ideale per la personalizzazione degli ambienti urbani e sarà al centro di un seminario gratuito il prossimo 18 maggio, a cura di Ecopneus e in collaborazione con la Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Milano.




Soluzioni sostenibili, innovative e di design per il restyling delle nostre città, sono i temi cardine del seminario gratuito che si terrà online il 18 maggio, dalle 16.00 alle 18.00, a cura di Ecopneus, la società senza scopo di lucro principale operatore della gestione dei PFU in Italia, e in collaborazione con la Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Milano.

L’incontro è un’opportunità per conoscere le potenzialità della gomma riciclata dai Pneumatici Fuori Uso in ambito urbano, un materiale circolare e innovativo che, grazie alla sua versatilità nei colori, nelle forme e nelle molteplici possibilità di personalizzazione e utilizzo, può essere inserito nei progetti di riqualificazione degli spazi urbani per dare un nuovo volto alle città, renderle più sostenibili, senza rinunciare al design e all’estetica.

Le nostre città hanno bisogno di progettazione e di un design moderno in linea con le tendenze internazionali, inteso come capacità di interpretare le nuove tendenze del vivere gli spazi comuni, restituendo alla collettività nuovi luoghi di aggregazione. In questa ricerca della “bellezza che salverà il mondo” la gomma riciclata è un materiale poliedrico, adatto all’utilizzo negli spazi pubblici, per creare nuovi luoghi di incontro, aree pedonali, aree gioco e spazi per eventi. Nell’ambito dell’Urbanismo tattico, volto a riqualificare aree urbane con il coinvolgimento della cittadinanza, diventa dunque un potente alleato.

“Ripensare gli spazi comuni in ottica sostenibile, coniugando estetica e funzionalità, è fondamentale per dare un nuovo volto alle città”, commenta Giovanni Corbetta, Direttore Generale. “In Ecopneus, crediamo che la gomma riciclata possa essere un valido strumento per raggiungere questo obiettivo, in virtù della sua natura di materiale circolare, delle sue proprietà e delle infinite possibilità di personalizzazione. Questo webinar è un tassello di un puzzle più ampio, composto da una continua attività di formazione e informazione che negli anni abbiamo portato avanti per far conoscere i molteplici vantaggi della gomma riciclata nella vita di tutti i giorni.”

Sono infatti molteplici i settori di applicazione della gomma riciclata, come ad esempio le superfici sportive Tyrefield, gli isolanti acustici e antivibranti per l’edilizia, gli asfalti “modificati” più sicuri, durevoli e silenziosi, i compound termoplastici Tyreplast. Tantissimi prodotti ecofriendly, capaci di coniugare ottime prestazioni e sostenibilità, consultabili sul catalogo dei prodotti in gomma riciclata realizzato da Ecopneus e MATREC.

Il seminario presenterà alcuni casi studio di successo di utilizzo della gomma riciclata, in Italia e all’estero, illustrate dall’architetto Marco Capellini, CEO di MATREC – società di consulenza e ricerca, partner di Ecopneus, specializzata in sostenibilità e circolarità di materiali – approfondirà inoltre le caratteristiche tecniche del prodotto e le tecnologie utilizzate per la sua lavorazione, grazie al contributo tecnico delle aziende Waterproofing e Casei Eco-System, così da fornire ai partecipanti le nozioni utili per impiegare correttamente questo materiale nei progetti di architettura. Esperti del settore saranno infine a disposizione per rispondere alle domande dei partecipanti.

La partecipazione al webinar da diritto ad 1 credito formativo professionale per gli architetti iscritti all’Ordine di Milano, che ne autocertificano la frequenza, e per gli architetti di tutta Italia, a discrezione del proprio Ordine di riferimento. Per partecipare è necessario registrarsi, per avere maggiori informazioni è possibile inviare una mail a ufficiostampa@ecopneus.it

fonte: www.rinnovabili.it


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Etichettatura ambientale volontaria: fino al 30 aprile è possibile partecipare alla consultazione pubblica

l Consorzio Nazionale Imballaggi, dà ad associazioni, aziende ed esperti la possibilità di intervenire nel dibattito sul tema. Un’agorà green che tocca temi importanti legati alle informazioni da apporre in etichetta su base volontaria, come la riciclabilità dell’imballaggio, l’uso di materiale riciclato nella sua produzione e altre caratteristiche ambientali



C’è ancora tempo per partecipare alla consultazione pubblica in vista della redazione delle nuove Linee Guida per un’etichettatura ambientale volontaria: fino al 30 aprile CONAI, il Consorzio Nazionale Imballaggi, dà ad associazioni, aziende ed esperti la possibilità di intervenire nel dibattito sul tema.

Un’agorà green che tocca temi importanti legati alle informazioni da apporre in etichetta su base volontaria, come la riciclabilità dell’imballaggio, l’uso di materiale riciclato nella sua produzione e altre caratteristiche ambientali.

Alla consultazione è possibile accedere tramite l’area Documenti di etichetta-conai.com, il portale che il Consorzio ha dedicato al tema dell’etichettatura.

Sulla piattaforma sono già disponibili in consultazione circa 250 faq, ed è aperto uno spazio per l’invio al Consorzio di casi aziendali di successo.

«CONAI conferma il suo impegno al fianco delle aziende italiane, supportandole nell’orientarsi fra i nuovi obblighi di legge» afferma Simona Fontana, responsabile Centro studi / Area prevenzione CONAI. «Dopo il lavoro per le Linee guida sull’etichettatura obbligatoria, la consultazione sulle informazioni ambientali da riportare sugli imballaggi in modo volontario è una nuova risposta alla crescente richiesta di supporto da parte del mondo delle imprese e delle associazioni».

Dopo la chiusura della consultazione, un webinar trasmesso live sui canali social di CONAI presenterà le nuove Linee Guida per un’etichettatura ambientale volontaria: l’appuntamento è per il 20 maggio.

fonte: www.ecodallecitta.it


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San Benedetto sale al 100% di rPET

La bottiglia Ecogreen 1L Easy sarà prodotta interamente con PET riciclato con un risparmio fino a 300 tonnellate annue di polimero vergine.





La bottiglia Ecogreen 1L Easy di Acqua Minerale San Benedetto passa dal 50% al 100% di PET rigenerato (rPET), approfittando dell'eliminazione del limite risalente al 1973, superato con l'ultima Legge Bilancio. In questo modo, la società prevede di ridurre di 300 tonnellate il consumo annuo di polimero vergine.

La distribuzione delle nuove bottiglie è prevista entro qualche mese.

Nel corso della conferenza stampa di presentazione del percorso di sostenibilità ambientale del Gruppo, il CEO Enrico Zoppas ha sottolineato come la nuova bottiglia sia anche la prima referenza carbon neutral sul mercato, ovvero con emissioni di CO2 azzerate (compensate).

Nel 2014, Acqua Minerale San Benedetto aveva già aumentato la percentuale di rPET nelle bottiglie Ecogreen 1L Easy dal 30% al 50%, il massimo consentito dalla normativa fino all'inizio di quest'anno. Utilizzando materiale rigenerato, dal 2013 al 2020 la società ha ridotto del 15% le sue emissioni di CO2 (25% per le sole bottiglie Easy) con un risparmio complessivo di materie prime vergini pari a 5.160 tonnellate annue.

“La costante ricerca e capacità innovativa ci ha portato a questo lancio che rappresenta una pietra miliare nel nostro percorso verso una piena economia circolare e l’impatto zero - ha dichiarato Zoppas -. Un percorso che passa anche attraverso il maggior utilizzo di rPET e per questo ringrazio il senatore Andrea Ferrazzi (presente all'incontro) che è stato tra gli artefici della modifica legislativa grazie alla quale oggi presentiamo la nostra prima bottiglia Ecogreen 1L Easy 100% rPET”. "L'utilizzo di PET riciclato - ha aggiunto Zoppas - consentirà di calmierare le forti oscillazioni dei prezzi della resina vergine, in questi mesi in sensibile rialzo".

“La transizione ecologica deve tenere insieme la sostenibilità ambientale a quella economica e sociale ha spiegato Ferrazzi -. Con la mia norma abbiamo semplicemente colmato il divario che c'era tra un esempio di eccellenza industriale sostenibile e un sistema normativo vecchio e con un impatto negativo sia sull'ambiente che sull'economia. La bottiglia riciclata al 100 per cento è un segno tangibile di cosa vuol dire davvero economia circolare”.
Ferrazzi ha accennato anche al recepimento in Italia della Direttiva SUP, di cui è relatore al Senato (legge ora in discussione alla Camera). "In Senato abbiamo recepito la Direttiva in modo integrale, ma anche innovativo - ha dichiarato - abbiamo specificato che riguarda i bicchieri, ma allo stesso tempo esenta le bioplastiche compostabili, nell'ottica di non porre solo divieti, ma favorire la transizione green agevolando le aziende che in questi anni hanno investito in questo senso".


Sulla scia del successo del formato da 1L Easy introdotta nel 2010, San Benedetto ha presentato due anni più tardi la Linea Ecogreen, un’intera generazione di bottiglie - dal mezzo litro a 1L Easy fino ai formati famiglia da 1,5L e 2L - realizzate con plastica riciclata fino al 50% e con il 100% delle emissioni di CO2eq compensate attraverso l’acquisto di crediti per finanziare progetti di riduzione dei gas effetto serra. Ecogreen è stata anche la prima linea di prodotti in Italia a ricevere dal Ministero dell’Ambiente la validazione nel Programma per la valutazione dell’impronta ambientale.

L'annuncio di Acqua Minerale San Benedetto segue di pochi giorni quello di Levissima, che ha iniziato la produzione di bottiglie di acqua minerale in 100% di PET rigenerato nei formati da 0,75 e da 1 litro non gasata (leggi articolo).

fonte: www.polimerica.it


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Riciclo di capsule caffè in FVG

Progetto pilota finanziato da Illycaffè e Nestlè Italiana per la raccolta, selezione e riciclo delle capsule esauste in materiale plastico.



Regione Friuli Venezia Giulia ha siglato un protocollo d'intesa con Illycaffè, Nestlè Italiana e le tre aziende che gestiscono il ciclo dei rifiuti in regione (Net, A&T2000 e AcegasApsAmga) per sperimentare in un impianto pilota il riciclo delle capsule esauste di caffè in materiale plastico.
A partire dal mese di luglio, le capsule verranno raccolte in modo differenziato per poi essere trattate in un impianto sperimentale dove saranno prima svuotate (il caffè sarà destinato alla frazione organica) e quindi suddivise nei materiali costituenti - plastica, alluminio e carta - da avviare a riciclo meccanico.

Nell'ambito dell'intesa, Illycaffè e Nestlè Italiana sosterranno i costi del progetto, compresi quelli della progettazione, realizzazione e gestione dell'impianto sperimentale di separazione delle capsule e quelli connessi alla gestione dei rifiuti, mentre i tre gestori metteranno a disposizione know-how e impianti dislocati sul territorio (principalmente a Campoformido, Pasian di Prato, Trieste e Udine), oltre ad occuparsi della raccolta differenziata.

"Siamo i primi in Italia a portare avanti un progetto di economia circolare in questo campo, coinvolgendo due grandi aziende e i gestori dei rifiuti per il riutilizzo delle capsule di caffè esauste - ha dichiarato l'assessore regionale alla Difesa dell'ambiente e energia, Fabio Scoccimarro -. Ci sono tutti i presupposti affinché da progetto pilota diventi esempio in tutta Italia. Per questo mi impegno fin d'ora a portare i risultati di questa sperimentazione all'attenzione della Conferenza Stato-Regioni come buona pratica da consolidare a livello nazionale".

fonte: www.polimerica.it


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Verdurashoes: Scarpe originali con rete da pesca

Il calzolaio Andrea Verdura trasforma le reti da pesca in scarpe di moda

La passione di Andrea per la creazione di scarpe con materiale riciclato è iniziata con un sandalo rotto in Australia; quando ha individuato un vecchio pneumatico abbandonato si è trasformato in un nuovo paio di sandali per riprendere il suo viaggio a piedi.



Quello che sembra essere l’inizio di un romanzo di viaggio è in realtà l’inizio dell’avventura di Andrea Verdura. Classe 1975, nato a Piombino da genitori isolani entrambi elbani, Andrea si è ritrovato improvvisamente scalzo nella lontana Australia

“Ognuno ha una storia. La mia è una storia “ambulante” da quando mi si sono rotti i sandali in Australia e ne ho ricavato un altro paio dal pneumatico di una vecchia Fiat 500. Sembrava uno scherzo del destino… è diventata la mia più grande passione ”.dal sito internet: https://www.verdurashoes.com/

Da allora, tornato a casa a Piombino, sulla costa della Toscana in Italia, Andrea ha visto una nuova opportunità creativa nelle reti da pesca spiaggiate vicino alla sua casa. Ben presto fu in grado di integrarlo come un elemento forte nella sua gamma di sandali e stivali alla moda per donne e uomini.

Le reti da pesca vengono tagliate e lavate più volte, per ammorbidire il tessuto per la vestibilità, e poi tinte con pigmenti naturali.

Le reti vengono poi combinate con sughero per il sottopiede, suola in gomma riciclata e scarti di pelle rimasti dalla produzione di scarpe. La suola stessa è disponibile in due versioni, una composta da suole in gomma Vibram riciclata e l’altra in pelle riciclata conciata al vegetale.

Tutte le scarpe sono prodotte localmente (a Fucecchio, Toscana) mantenendo i lavori e il processo di produzione vicino a casa con il minimo impatto ambientale creando economia circolare.

A causa del processo di tintura naturale e dell’assemblaggio artigianale, ogni paio di scarpe è unico.

Il progetto “Net collection” è decollato nel 2016 con l’aiuto del crowdfunding (Kickstarter).

info: https://www.verdurashoes.com/

fonte: www.economia-circolare.info


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Robidone, il robot che insegna la raccolta differenziata a Italia’s Got Talent

 




Questa sera possiamo dirlo, un #Robot​ ci ha effettivamente fatto comprendere tutti i nostri sbagli. Almeno, lo ha fatto sulla raccolta differenziata. Dopo la sua performance non abbiamo più scuse, non sono ammessi errori. I #Giudici​ di #IGT​ hanno apprezzato l’idea, per lui 4 si.  

Italia's Got Talent


https://www.robidone.com


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Saviola, legno riciclato per un riuso di qualità

Dagli anni Sessanta Saviola trasforma un materiale di scarto in un prodotto di qualità. Il legno riciclato trova nuova vita a tutto vantaggio dell’ambiente, una filosofia aziendale che piace a investitori e consumatori





I tempi cambiano. Chi avrebbe immaginato che i pezzi di arredamento fatti in legno riciclato diventassero di tendenza? Oggi parlare di economia circolare è diventato normale, ma negli anni Sessanta, quando Mauro Saviola ebbe questa intuizione non lo era affatto. Costruire mobili “nuovi” ed esteticamente di pregio usando legno riciclato allora si scontrava con la complessità delle normative e con i pregiudizi del mercato. Ora comprare mobili fatti con legno è diventato non solo una «componente del lusso», secondo la definizione del presidente Alessandro Saviola, ma anche la dimostrazione tangibile dell’attenzione all’ambiente da parte dell’azienda come del consumatore. E poi un’azienda che produce in ottica di economia circolare e rifiuti zero piace anche al sistema creditizio: Saviola – azienda con sede a Viadana in provincia di Mantova, conosciuta a livello internazionale per aver inventato i pannelli di legno riciclato 100% – ha il sostegno di Bei e Cassa Depositi e Prestiti. Inoltre, rispetta i criteri ESG (che classificano l’impatto ambientale, sociale e di governance delle imprese) che sono sotto la lente degli investitori perché forniscono elementi in grado di determinare il rischio d’impresa.

Riusare anziché bruciare

Per avere un’idea in cifre dell’impatto positivo di Saviola, il suo lavoro salva dall’abbattimento 2,8 milioni di alberi ed evita di immettere 2 milioni di tonnellate di CO2 nell’ambiente. Le tecnologie di trasformazione di Saviola sono in grado di trattare tutti i rifiuti legnosi (dai residui di lavorazione, agli imballaggi, al materiale di cantieristica): grazie ai centri di raccolta EcoLegno, ogni anno vengono raccolte 1,5 milioni di tonnellate di legno usato.

La crisi ha creato difficoltà anche al settore dell’arredamento, ed è stato necessario ripensare la produzione: se mancano all’appello uffici, alberghi e ristoranti sono cresciute le richieste per la casa, vissuta anche come ambiente di lavoro.

Il 60% della produzione rimane in Italia, il 40% è destinato all’export. L’arredamento Made in Italy all’estero è considerato un’eccellenza in termini di qualità e di design: Saviola ha già un centro di design in Germania e sta riconvertendo all’economia circolare l’azienda tedesca Rheinspan, produttrice di pannelli truciolari su misura, di cui detiene il 50% delle azioni.

Saviola è composta da quattro business unit (legno, chimica, mobile, life science) e si definisce eco-ethical company: i valori al centro della visione strategica dell’azienda sono ambiente, persone, territorio, qualità e innovazione con l’obiettivo di avere sulla società un impatto etico di lungo termine, come si legge nel Bilancio di sostenibilità che descrive un’azienda in linea con gli Obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu.

Gli impianti per la lavorazione del legno riciclato hanno bisogno di ammodernamenti continui, ma Saviola investe nella propria crescita; è stato necessario razionalizzare la produzione e fare una revisione capillare sui costi, una politica aziendale che ha permesso di fare acquisizioni e di mantenere l’occupazione.

fonte: www.rinnovabili.it


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5 oggetti realizzati con la plastica dai mari e dagli oceani

 

La dispersione di plastiche in mare è una vera e propria piaga, ma qualcosa si muove: sapevi che con la plastica ripescata in mare si possono fabbricare altri oggetti?


Sono sempre di più i rifiuti di plastica che si accumulano nei mari e negli oceani della Terra, una situazione dovuta al fatto che ogni anno sono ben 8 milioni le tonnellate di questo materiale che finiscono nelle acque del pianeta, a questo ritmo, si stima, che entro il 2050 nuoterà tra le onde più plastica che pesci.

Un vero disastro ambientale che mette gravemente a rischio l’intero ecosistema marino dal quale dipende la nostra stessa esistenza.

Sono tanti, infatti, i doni che provengono da questo “patrimonio blu”: cibo, ossigeno, ma non solo. Mari e Oceani sono alleati fondamentali per regolare il clima sulla Terra, comprometterne ancora di più il loro equilibrio non farebbe altro che aggravare la crisi climatica in atto. Per non parlare del problema crescente delle microplastiche mangiate dai pesci...

Ma cosa fare? Come invertire una rotta che sembra già segnata?

Se da un lato è importante ridurre il costante afflusso di plastica nei nostri mari è, oggi, altrettanto fondamentale rafforzare l’impegno nella raccolta e nel riuso di tutto il materiale che è possibile recuperare.

Ad esempio, sono sempre più numerose le aziende che creano prodotti nuovi utilizzando la plastica ripescata. Non stiamo parliamo di prototipi da mostrare solo in qualche fiera ma di beni prodotti e rimessi in circolo, veri e propri “ambasciatori” del mare. Curiosi? Adiamo a scoprire cosa si può realizzare con il materiale recuperato.




Oggetti di uso domestico

Dalle palette alle scope fino alle ceste per il bucato sono numerosi gli oggetti per la casa realizzati dalla ditta portoghese Fapil utilizzando un 20% di plastica recuperata dal mare dall’associazione Waste Free Oceans. A questa percentuale si aggiunge poi altro materiale di riciclo e solo in piccola parte plastica vergine. Il nome della linea? Naturalmente “Ocean”.

Arredi per la casa

Anche l’arredamento della casa può essere sostenibile, è quello che accade con i mobili Vondom Revolution realizzati dall’omonima azieda. Si tratta di mobilio prodotto riciclando plastica recuperata dal mare. Un esempio? La linea “Manta” che viene creata grazie alla collaborazione con varie associazioni di pescatori del Mediterraneo che raccolgono le reti da pesca abbandonate dalle quali, dopo un attenta lavorazione, viene genera una materia prima riciclata di alta qualità che viene poi impiegata per la produzione di prodotti di alto design.
L'oceano ai piedi... con le scarpe nate dalla salvaguardia dell'oceano

Si tratta delle Adidas X Parley, delle sneakers, sia per uomo che per donna, nate dalla collaborazione tra il famoso brand sportivo e l’organizzazione ambientalista Parley for the Oceans. Ogni paio di scarpe è prodotto impiegando almeno per il 75% rifiuti plastici recuperati prima che raggiungano il mare, da cui poi si ottiene un filato usato per creare il disegno esterno, gli strati di rivestimento interno e il rivestimento dei talloni. Una vera corsa verso la sostenibilità.

Borsa da viaggio

Per gli uomini più trendy che sono attenti anche all’ambiente non poteva mancar la borsa da viaggio made in Portogallo dell’azienda Mi Terro. Un prodotto realizzato con sughero e quasi un chilo di plastica recuperata dagli oceani, ma non solo. Per ogni nuova borsa vengono piantati anche dieci nuovi alberi.

Costumi da bagno ecofriendly

È italiana la linea di costumi “Ocean Breeze” creata dalla ditta Mermazing .Ogni capo di questa collezione è realizzato con filo ECONYL ® un filato di Nylon 100% rigenerato da materiali di scarto come le reti da pesca abbandonate e recuperate negli oceani. Un vero prodotto “dal mare per il mare” come si legge sul loro sito.

fonte: www.donnamoderna.com/


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È nato il primo rasoio da barba usa e getta riciclato e riciclabile di Wilkinson Sword

La striscia lubrificante con aloe vera del rasoio garantisce una rasatura confortevole e le 3 lame flessibili di Eco Green si adattano a tutti i contorni del viso per un taglio preciso.










Wilkinson Sword ha lanciato Xtreme 3 Eco Green, il suo primo rasoio usa e getta riciclato e riciclabile. Questa nuova versione dello storico rasoio usa e getta di Wilkinson ha un manico realizzato con il 95% di plastica riciclata e, alla fine del suo utilizzo, sarà sufficiente staccare le lame dal manico per poterlo smaltire, regalandogli una nuova vita e combattendo l'inquinamento.

Xtreme 3 Eco Green fa parte di un nuovo modo di avvicinarsi al mondo della rasatura che Wilkinson Sword applica anche al packaging, anch'esso più "ecologicamente responsabile", in cartone riciclato per più del 90%. Inoltre, la confezione è certificata FSC, un'etichetta che garantisce la provenienza della materia prima cellulosa da foreste certificate, per un approvvigionamento responsabile, mirato a combattere la deforestazione.

fonte: www.greencity.it


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Rifiuti: la differenziata cresce in Italia, ma i materiali riciclati chi li compra?

Quagliolo (Conai): la domanda di materiale riciclato arranca, va incentivata. Altrimenti il cerchio non si chiude




Non va a gonfie vele, ma l’avvio a riciclo dei rifiuti di imballaggi in Italia è in costante crescita e nel 2019 ha segnato un +3,1%. A preoccupare semmai è la domanda di prodotti riciclati, che è debole, e che – è la richiesta esplicita del presidente del Consorzio Conai Giorgio Quagliuolo – : «Va incentivata».

Il riciclo ha toccato quota 70% e va subito ricordato che si tratta di imballaggi, che pagano il Cac e sono oggetto di raccolta differenziata, e che rappresentano il 25% del totale dei rifiuti urbani ma solo l’8% dei rifiuti totali compresi gli speciali. In peso il 70% vuol dire: 9 milioni e 560mila tonnellate sui 13 milioni e 655mila immessi al consumo. Un incremento del 3,1%, come indicato dal Conai, rispetto ai quantitativi del 2018, che aveva visto l’avvio a riciclo di 9 milioni e 270mila tonnellate. La crescita è trainata essenzialmente da un aumento del 6,2% nel riciclo dei rifiuti provenienti dalla raccolta urbana. Ma come ha detto Quagliuolo, ora è tempo di incentivare anche la domanda di materiali riciclati, altrimenti il sistema andrà gioco forza in crisi. I metodi posso essere diversi, tramite ad esempio l’Iva più bassa su prodotti da riciclo, crediti d’imposta ad hoc (quelli varati finora però non sono divenuti operativi a causa di mancanza dei decreti attuativi) e soprattutto attraverso un’effettiva applicazione degli acquisti verdi gpp (vessata quaestio di cui greenreport scrive da anni).

Il dato più negativo, se si leggono con attenzione i dati forniti dal consorzio, è che i rifiuti di imballaggio conferiti al sistema dai Comuni italiani sono cresciuti del 14,3% a causa soprattutto “del crollo dei listini del macero a fine 2019”. Questo significa che “avviare la carta a riciclo non era più profittevole”. E così, ha spiegato sempre Quagliolo, «abbiamo aperto finestre che hanno consentito a molti Comuni l’ingresso in convenzione con Comieco, il nostro consorzio che si occupa degli imballaggi in carta e cartone. Conai si è quindi fatto carico dei maggiori oneri per l’avvio a riciclo di questo materiale in un momento in cui il suo valore di mercato era negativo, dimostrando ancora una volta il suo ruolo di sussidiarietà al mercato nel considerare l’interesse ambientale superiore a quello economico».

Il consorzio segnala anche che se alle cifre del riciclo si sommano quelle del recupero energetico, i numeri lievitano: le tonnellate di rifiuti di imballaggio recuperate superano gli 11 milioni, quasi l’81% dell’immesso al consumo. Più di quattro imballaggi su cinque, insomma, evitano di finire in discarica.

«Il sistema nel suo complesso ha già superato gli obiettivi di riciclo che l’Europa chiede entro il 2025», commenta sempre il presidente del Consorzio Giorgio Quagliuolo. «L’economia circolare in Italia funziona e si impone per l’efficacia del suo modello. Anche i risultati per i sei materiali di imballaggio che Conai gestisce sono molto positivi: per quasi tutti gli obiettivi al 2025 sono stati superati. Manca solo la plastica, che però resta indietro di pochi punti percentuali, serenamente recuperabili nel corso dei prossimi cinque anni. Per questo è importante continuare a lavorare sia sulla strada dello sviluppo di nuove tecnologie per il riciclo sia su quella della prevenzione, incentivando eco design e design for recycling». Ovvero, come scrivevamo ieri, i prodotti devono essere progettati in modo tale da poter essere facilmente riciclati (e dovrebbero anche durare segnatamente di più).

Ma veniamo ai numeri: lo scorso anno l’Italia ha avviato a riciclo 399mila tonnellate di acciaio, 51mila di alluminio, 3 milioni e 989mila di carta, 1 milione e 997mila di legno, 1 milione e 54mila di plastica e 2 milioni e 69mila di vetro. In Italia sono oltre 58 milioni gli abitanti serviti grazie all’Accordo con Anci per il ritiro dei rifiuti di imballaggio in modo differenziato. A stipulare convenzioni con il sistema consortile, lo scorso anno, è stato più del 92% dei Comuni italiani.

Ma quanto ci costa? Per coprire i maggiori oneri della raccolta differenziata – quindi i costi maggior che genera questo tipo di raccolta – nel corso del 2019 Conai ha trasferito ai Comuni del nostro paese 648 milioni di euro. «Stiamo parlando di una percentuale significativa della spesa sostenuta per la raccolta differenziata degli imballaggi che, rispetto al totale dei rifiuti urbani, rappresentano una percentuale che oscilla fra il 25% e il 28%», spiega il presidente Quagliuolo. «Si tratta di risorse provenienti dalle 800.000 aziende che, aderendo al Consorzio, si fanno carico della responsabilità di una corretta gestione degli imballaggi che immettono sul mercato, quando questi diventano rifiuti». Altri 421 milioni di euro sono stati invece destinati da Conai alla copertura dei costi per attività di trattamento, riciclo e recupero.

Il costo complessivo, però, ce lo dice oggi Cispel: i costi effettivi della raccolta differenziata ammontano a oltre 2 miliardi di euro l’anno. Come noto, anche secondo l’indagine condotta dall’AgCom nel 2016 “il finanziamento da parte dei produttori (attraverso il sistema Conai) dei costi della raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico”.

In ogni caso, lo scorso anno i quantitativi di rifiuti di imballaggio conferiti al sistema dai Comuni italiani sono cresciuti del 14,3%. «Un incremento notevole», commenta Quagliuolo. «Una delle sue cause è sicuramente il crollo dei listini del macero a fine 2019: avviare la carta a riciclo non era più profittevole. Per questo abbiamo aperto finestre che hanno consentito a molti Comuni l’ingresso in convenzione con Comieco, il nostro consorzio che si occupa degli imballaggi in carta e cartone. Conai si è quindi fatto carico dei maggiori oneri per l’avvio a riciclo di questo materiale in un momento in cui il suo valore di mercato era negativo, dimostrando ancora una volta il suo ruolo di sussidiarietà al mercato nel considerare l’interesse ambientale superiore a quello economico».

A influenzare il +14,3% nei conferimenti al sistema Conai ha contribuito anche lo sprint delle macro-aree geografiche del Centro e del Sud, che hanno messo a segno rispettivamente un +16,4% e un +16% di raccolta in convenzione. Crescono in particolare la raccolta della plastica, che al Centro passa da 237mila a 268mila tonnellate e a Sud da 362mila a 442mila, e quella del vetro, che balza da 314mila a 364mila tonnellate nel Centro e da 472mila a 541mila tonnellate nelle Regioni del Sud.

fonte: www.greenreport.it


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Poty, l’orto verticale che permette di coltivare il proprio orto sul balcone

Il progetto è sviluppato da Hexagro, azienda hi-tech specializzata nel vertical farming che coniuga la ricerca tecnologica con progetti ad alto impatto sociale con l’obiettivo di cambiare gli attuali modelli di agricoltura.




Rispondere alla recente crisi causata dal Covid-19 in modo forte e concreto, per tracciare la rotta verso uno stile di vita più sostenibile e a contatto con la natura creando una community che condivide i medesimi valori. È questa la mission di Poty, prodotto appena lanciato da Hexagro azienda nata nel 2016 e da sempre impegnata ad implementare tecnologie di agricoltura verticale.Poty è un orto verticale fabbricato da materiali riciclati e riciclabili costruito per spazi outdoor anche contenuti, quali balconi o terrazzi, perfetto per essere installato in città. Come una sorta di lego, Poty si presenta come una struttura modulabile verticalmente composta da diversi vasi a quadrifoglio a forma di fiore, che possono contenere fino a 40 piante nella sua “taglia” più grande. Con Poty, infatti, è possibile coltivare piccoli frutti, verdure a foglia e verdure normali e piante aromatiche stagionali.
Una soluzione pensata anche per chi teme di non avere il pollice verde necessario per mettersi alla prova e coltivare autonomamente sul proprio balcone. Poty presenta, infatti, un sistema di irrigazione autonomo, che basterà assemblare guidati dall’assistente digitale integrato. L’orto verticale di Hexagro infatti non è una semplice struttura di vasi bensì è una vera e propria piattaforma dove è presente un chatbot che guida l’utente nelle varie fasi della coltivazione, dando, inoltre, consigli in base a come ci si sente in quel momento. L’assistente digitale infatti, per favorire la ricerca del benessere, consiglia ove richiesto diverse attività di giardinaggio che si possono realizzare con Poty, con l’obiettivo di incrementare il benessere sia mentale che fisico. E se i frutti tardano ad arrivare o le foglie della propria pianticella ingialliscono, basta scattare una foto, inviarla al chatbot ed un agronomo di Hexagro saprà dare il suggerimento giusto. In ultimo suggerisce tutto ciò che serve per coltivare: il catalogo è in costante aggiornamento e arriverà a contare ad oltre 100 varietà di piante entro settembre, e soprattutto come utilizzarle in cucina.
Ogni componente di Poty è realizzato in metallo o in plastica riciclata, l’obiettivo è sviluppare un modello di economia circolare per combattere gli sprechi e riutilizzare ogni materiale. Più in generale Poty punta a creare una community di persone unite dal medesimo stile di vita. Permettere quindi a tutti di potersi coltivare da soli prodotti non sempre reperibili sul mercato, sfruttando spazi minimi, e creando dei veri e propri urban farmer che possono connettersi tra loro, scambiarsi buone pratiche di coltivazione così come i prodotti coltivati o coltivare addirittura insieme.
Non manca poi l’aspetto sociale, che da sempre investe ogni progetto sviluppato con Hexagro. Per ogni Poty venduto l’azienda installa nuovi moduli da installare in progetti sociali attraverso Hexagro Siembra Vertical. Il progetto, attualmente particolarmente attivo in Colombia con il supporto della NGO Fundaces, ha come obiettivo quello di supportare le comunità più vulnerabili al cambiamento climatico e che hanno maggiori difficoltà nell’adottare pratiche di agricoltura sostenibile, attraverso l’installazione di sistemi di vertical farming.
Poty è già disponibile al prezzo di lancio di 149 euro fino a fine luglio.

fonte: www.greencity.it


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Lifeproof Wake: la custodia che protegge lo smartphone e l’ambiente














Arriva sul mercato la nuova linea di custodie Wake di Lifeproof con la quale è possibile con un solo gesto proteggere sia il telefono e sia l'ambiente. Il merito è di un progetto nato proprio per rispondere alla crescente sensibilità dei consumatori nei confronti di questi temi, in modo particolare il rispetto del Pianeta.
I prodotti della linea Wake sono realizzati utilizzando per l'85% materiale plastico riciclato dagli scarti recuperati nell'oceano. In modo particolare il materiale viene fornito da un'azienda scandinava, partner dell'iniziativa, specializzata proprio nella realizzazione di Green Plastics, che utilizza tra l'altro le corde e le reti abbandonate dai pescatori.Nonostante le custodie siano realizzate con questo materiale le Wake garantiscono una protezione ideale degli smartphone, assicurando una resistenza agli urti fino a 2 metri d'altezza. Belle da vedere, con un design che ricorda le onde del mare, le custodie sono anche particolarmente sottili e offrono un ottimo grip.Le Lifeproof Wake, distribuite in Italia da Attiva, sono disponibili nei colori blu, grigio e nero al prezzo al pubblico di 29,99 euro e  sono compatibili con gli iPhone 11, 11 Pro, 11 Pro Max, iPhone 8/7/6s.


fonte: www.greencity.it


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Orti urbani: potrebbero produrre frutta e verdura a sufficienza per il 15% degli abitanti della città. Basta coltivare il 10% delle aree verdi


















La produzione di frutta e verdura nelle grandi città potrebbe crescere molto, aiutando così i cittadini a dipendere di meno dai grandi circuiti produttivi internazionali: se si dedicasse a questo scopo il 10% degli spazi disponibili, si potrebbe facilmente arrivare a coprire il fabbisogno giornaliero di frutta e verdura del 15% della popolazione urbana. Le stime arrivano dall’Institute for Sustainable Food dell’Università di Sheffield, in Regno Unito, che ha pubblicato su Nature Food una serie di numeri e di valutazioni molto interessanti relativi alla stessa città.
Nella città inglese i giardini, i parchi, le aiuole ai bordi delle strade, gli orti urbani e quelli sui tetti coprono infatti circa il 45% della superficie comunale, una percentuale simile a quella che si riscontra in molte altre città britanniche. Nello specifico, gli orti ricoprono l’1,3% dello spazio, mentre i giardini delle case il 38%. Inoltre ci sarebbe un altro 15% potenzialmente coltivabile, se si sfruttasse una parte di tutti gli altri spazi verdi esistenti. Se tutto ciò fosse dedicato alla produzione di cibo, la superficie coltivata passerebbe dagli attuali 23 a 98 metri quadrati per abitante. In questo modo si arriverebbe facilmente a produrre la frutta e la verdura necessaria a nutrire, con cinque porzioni al giorno, 709 mila persone, cioè più della popolazione attuale di Sheffield (il 122%). Restando su un più realistico 10% dei giardini delle case, sommato a un altro 10% degli spazi verdi e agli orti urbani già attivi, si raggiungerebbe il 15% del fabbisogno locale, cioè si fornirebbero frutta e verdura a oltre 87 mila persone.


Gli orti urbani potrebbero fornire frutta e verdura al 15% della popolazione delle città, coprendo solo il 10% delle aree verdi disponibili

Ma c’è di più. I ricercatori hanno infatti preso in considerazione anche un’altra modalità facilmente applicabile: la coltivazione idroponica o acquaponica (che comprende anche l’allevamento di pesci in un sistema circolare), da installare sui tetti piatti utilizzando materiali riciclati come supporto, energia rinnovabile per il fabbisogno giornaliero e acqua piovana. A Sheffield ci sono 32 ettari di tetti piatti utilizzabili, pari a 0,5 metri quadri per persona, ma data l’alta resa di questi metodi di coltivazione potrebbero comunque avere un impatto significativo sulla produzione urbana. Per esempio, l’86% dei pomodori attualmente consumati in città è importato, ma se anche solo il 10% dei tetti ospitasse una coltivazione idroponica, si potrebbe rifornire di pomodori l’8% della popolazione, per una delle cinque porzioni giornaliere di frutta e verdura. Un numero che arriverebbe al 60% se fossero utilizzati tre quarti dei tetti disponibili.
Il Regno Unito produce in patria solo il 16% della frutta e il 53% della verdura che consuma, e sta cercando di incrementare la produzione locale non solo a causa della Brexit ma perché vuole essere meno esposta a fattori che possono influire sull’approvvigionamento come quelli climatici, alle malattie veicolate dagli alimenti e alle oscillazioni economiche del mercato globale. Per questo gli autori concludono che “combinando lo sfruttamento delle superfici disponibili con le attuali tecnologie potremmo creare delle Smart Food Cities nelle quali le contadini urbani supporterebbero le loro comunità fornendo cibo sicuro e fresco”.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

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Materiale riciclabile: le nuove frontiere di pizza e birra

Ogni anno, in Italia, vengono prodotti 6 milioni di pizze, molte delle quali da asporto. Si tratta di un’enorme quantità di rifiuti non riciclabili. L’azienda di birra Carlsberg propone così BetterBox, il primo cartone per la pizza composto dagli scarti di produzione della birra.



















Pizza e birra sono, da sempre, un connubio perfetto. E da oggi non solo per i nostri palati. La Carlsberg, una delle più importanti società produttrici di birra al mondo, ha presentato recentemente BatterBox, un cartone per la pizza fatto di materiale riciclabile, compostabile al 100% perché realizzato con gli scarti di produzione della birra.

Ogni anno, in Italia, vengono prodotte una media di 6 milioni di pizze, molte delle quali da asporto. I cartoni della pizza, però, non possono essere riciclati nella carta perché, molto spesso, sporchi di cibo. Si tratta, dunque, di un’enorme quantità di rifiuti che non può essere trasformata e re-immessa nel ciclo produttivo. Ma attraverso l’uso del materiale compostabile proveniente dalla produzione della birra, anche il cartone nella pizza può essere inserito nel circuito dell’economia circolare.

“Gli scarti di produzione della birra sono un’ottima risorsa per produrre i contenitori della pizza: si crea una mescola con agenti aggreganti naturali e si lascia essiccare l’impasto”, spiega Serena Savoca, responsabile del marketing di Carlsberg Italia, all’agenzia di stampa Adnkronos. “Crediamo che dalle materie prime, come il nostro lievito e orzo, si possa arrivare a realizzare innovazioni incredibili, sempre seguendo la filosofia del continuo miglioramento portata avanti dal nostro fondatore. La missione di Carlsberg è sempre stata quella di impegnarsi e lavorare per un oggi e un domani migliore”


Infatti, l’azienda ha annunciato di stare lavorando a un altro prodotto: la bottiglia fatta di carta. Si tratta di bottiglie composte da materiale riciclabile perché realizzate in fibre di legno, circondate da un sottile strato di bioplastica che permette di evitare la fuoriuscita del liquido dal contenitore. Per creare questo prodotto, chiamato Green Fiber Bottle, dal 2015 Carlsberg ha lavorato in stretta collaborazione con EcoXpac, azienda di packaging, la società di confezionamento BillerudKorsnäs e con i ricercatori dell’Università della Danimarca, supportati da Innovation Fund Denmark.

fonte: http://www.rinnovabili.it