Visualizzazione post con etichetta #Legno. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Legno. Mostra tutti i post

Gino Chabod, l’artigiano del legno che insegna ai bambini il “saper fare”

La storia di Gino Chabod, spirito ribelle valdostano, che da quasi trent'anni educa i bambini alla manualità, alla cooperazione e al senso di comunità attraverso le sue due falegnamerie didattiche: una mobile attrezzata su un furgone; l’altra allestita ai Campi di Borla, la splendida fattoria didattica del piacentino dove vive in semplicità volontaria. E dove sogna di poter tramandare il mestiere a un giovane.









La nutrita schiera di quelle persone che si sono rimboccate le maniche e quotidianamente lavorano per ingrandire l’Italia che cambia si arricchisce oggi di un altro talentuoso personaggio. Chiunque abbia frequentato negli anni scorsi Fa’ la cosa giusta, la fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, se lo ricorderà certamente. Si tratta di Gino Chabod, uno dei più seri candidati, naturalmente a sua insaputa, al titolo di moderno Mastro Geppetto nel nostro Paese.

Lo incontro in un ventoso pomeriggio di primavera in una delle sue due falegnamerie per bambini: quella fissa, allestita presso la fattoria didattica (e agriturismo) I Campi di Borla, piccola perla sulle colline nei pressi di Salsomaggiore Terme, dove vive praticando la semplicità volontaria e l’autoproduzione assieme alla compagna Donatella Mondin, fondatrice e anima di questo luogo incantato e accogliente, immerso nella verdeggiante natura della Val d’Arda, nel piacentino.

Gino e Donatella

L’aspetto etereo e quasi stralunato, la barba bianca, la voce felpata, il sorriso pacato, le grandi mani sempre raccolte come per scongiurare la fuga del talento che le abita, Gino è una di quelle persone a cui difficilmente attribuiresti uno spirito ribelle. E invece è proprio questo spirito ad averlo animato fin dall’adolescenza ad andare controcorrente, sebbene con tutti i dubbi e le correzioni di rotta del caso, in un’epoca – quella della provincia italiana degli anni ’60 – caratterizzata da forte espansione economica e (pertanto) da una certa diffidenza per chi si opponeva al flusso prevalente.

Nato nel 1955 in un villaggio di montagna della Val D’Aosta allora popolato da gente semplice, dalla cultura minima, ancora avvezza alla convivenza con gli animali da cortile piuttosto che con altri umani, nemmeno Gino è stato inizialmente insensibile al fascino della modernità. Compiuti i 13 anni, infatti, si iscrive alla scuola per elettrotecnici dell’Olivetti a Ivrea, come tanti giovani di paese negli anni ’60 attratti dal mito del posto fisso in fabbrica e dal sogno di emancipazione che la vita in un’area industriale sembrava garantire.

Nel caso di Gino, tuttavia, questa fase dura poco. Quella che immaginava essere una possibilità di emancipazione, infatti, per lui si rivela ben presto una forma di alienazione. «Sentivo la mancanza della manualità vera, della sensibilità ai materiali che avevo appreso nell’infanzia, quando razzolavo libero sui prati e mi perdevo nei boschi», confessa. E così a 18 anni, finita la scuola, sceglie di “tornare a pascolare le capre”. Si iscrive prima a un corso per diventare casaro ad Aosta e poi, partito per il servizio militare, scopre per puro caso la sua missione di vita.

I Campi di Borla

Siamo nel 1976 e il 21enne Gino viene mandato dal suo reparto ad aiutare i terremotati del Friuli. Assegnato alla realizzazione delle tettoie delle mense per i campi tenda, mentre alcuni volontari intrattengono i bambini della zona, si ritrova – nemmeno si ricorda come – a intagliare improvvisati giochini di legno con i suoi attrezzi di fortuna.

La cosa si ripete nei giorni successivi e così, giochino dopo giochino, l’entusiasmo dei piccoli ospiti del campo non passa inosservato. Se ne accorgono le maestre della scuola del paese, le quali chiedono ai militari che quel ragazzone alto e taciturno continui a regalare sorrisi ai bambini colpiti dalla tragedia anche dopo la fine del lavoro alle mense. Gino ricorda con un pizzico di commozione la determinazione del suo capitano a superare le difficoltà burocratiche: «Dovettero scomodare un generale di corpo d’armata per darmi il permesso di andare ogni giorno nel campo dei bambini».

Da quell’esperienza nasce per la prima volta in Gino l’idea di una falegnameria per bambini attraverso la quale trasmettere loro l’identità collettiva e il senso di comunità che aveva appreso da piccolo nel suo villaggio in montagna, dove ciascun cittadino aveva capacità manuali e cultura della responsabilità tali da potersi occupare del pezzettino di beni comuni (acquedotti, boschi, pascoli, ecc.) che gli veniva assegnato. Non a caso uno dei giochi più replicati in quelle difficili settimane in Friuli era ricostruire il paese distrutto con tutte le case, le attività e le infrastrutture che c’erano prima, utilizzando delle miniature.

Sembra fatta, dunque. E invece no. Perché la paura di volare per il giovane Gino è ancora troppo forte. Dopo la fine del servizio militare, al ritorno in Val d’Aosta, a prevalere è di nuovo il richiamo delle certezze che ancora negli anni ’70 garantiva la vita convenzionale. Gino si associa a un coetaneo che aveva iniziato a fare il tornitore del legno e con lui apre una falegnameria. Eppure, per tutti i successivi 16 anni, fra un mobile personalizzato e l’altro, mentre è al lavoro per fabbricare serramenti, scale e chalet, non passa giorno senza sentire il fuoco sacro della missione che lo chiama a mollare tutto per dedicarsi ai “suoi” bambini.



Finché una notte, a metà anni ’90, per dirla con Sepulveda, il richiamo dell’aria diventa improvvisamente più forte della paura di cadere. Quella notte Gino si affaccia al balcone di casa e guarda dall’alto il suo furgone da lavoro, sognante. A quasi 40 anni è finalmente pronto a spiegare le sue ali. Nei giorni successivi allestisce, proprio sul suo furgone, un laboratorio mobile per bambini con tutti i crismi, in grado poi di superare anche le nuove, stringenti norme sulla sicurezza della celebre legge 626.

Nasce così la falegnameria didattica ambulante che negli anni a seguire presenterà e diffonderà, prima nelle scuole della Val d’Aosta e poi, dopo il taglio dei fondi alle scuole, in tutto il Nord Italia, dove in quel periodo iniziano a fiorire eventi e festival dedicati alla sostenibilità e al cambio di paradigma.

Fra questi eventi c’è anche Fa’ la cosa giusta, dove Gino viene invitato tutti gli anni a portare i suoi banchi, gestendo in totale libertà lo spazio che la fiera riserva ai bambini. E dove nel 2010 conosce Donatella, che ha da poco aperto – sola con i sue due figli – una fattoria didattica sulle colline del piacentino. Qualche mese dopo Gino è proprio lì, ai Campi di Borla, con le maniche tirate su, ad attrezzare la sua seconda falegnameria per bambini. più equipaggiata di quella ambulante, fiore all’occhiello di una fattoria che – dopo le chiusure forzate degli ultimi tempi – oggi è tornata ad accogliere bambini e preadolescenti da tutta Italia.

Quando gli chiedo se costruire barche, aeroplanini, bambole e animali da più di 25 anni non sia un po’ come saldare tutti i giorni pezzi d’auto in una catena di montaggio, Gino risponde pacato ma deciso: «Se fra le mansioni di un saldatore ci fosse insegnare il mestiere a dei bambini, forse quel lavoro non sarebbe più considerato alienante». In effetti è proprio il rapporto con i bambini il plus che continua a motivarlo. «Quando metti insieme la manualità e i bambini non hai un problema di ripetitività del lavoro. Le idee nuove vengono da sole, specialmente da loro», chiosa.

Una creazione dei bambini

Ma le soddisfazioni non vengono solo dalle forme che riesce a prendere il legno una volta sollecitato dalla creatività dei piccoli. Più volte gli è capitato, infatti, che ragazzini problematici delle medie, di quelli che dopo cinque minuti di lezione frontale già cominciano a dare in escandescenze, con lui si siano trasformati in angioletti rispettosi e curiosi.

Pur preferendo lavorare con le scuole materne (bambini di 3-5 anni), paradossalmente è proprio con i più grandi che Gino conserva il suo ricordo più bello. «Era un campo diurno per adulti disabili, durante il quale i partecipanti hanno costruito giochi di società di grandi dimensioni; a un certo punto i disabili hanno iniziato a giocare con tutti i normodotati presenti, sentendosi per una volta protagonisti e spettatori allo stesso tempo».

Mentre le attività possibili nella falegnameria ambulante sono abbastanza circoscritte, ai Campi di Borla Gino può permettersi di lavorare con diverse fasce d’età e per periodi di tempo più lunghi, visto che la fattoria può anche ospitare. Ciò gli permette anche di diversificare le attività proposte, incrementandole con quelle più adatte alla preadolescenza – dal taglio di piccoli alberi alle staccionate per i sentieri, dalla rimozione dei tronchi all’edilizia con terra cruda, fino al lavoro con i mattoni, la costruzione di casette, ecc. – per un’esperienza che si rivela più completa di quella della sola falegnameria.

Gino ci descrive la settimana-tipo ai Campi di Borla. Appena arriva un gruppo, si fa un piccolo calendario con i turni per cucinare, per servire, per fare le pulizie. «Sono attività simboliche, realizzate in maniera leggera e giocosa, ma tutte utilissime per educare alla manualità, alla cooperazione, e a non dare nulla per scontato», ci dice. Poi, ogni mattina dopo la colazione, parte un cerchio in cui si decide la suddivisione in gruppi. Uno dei gruppi si reca con lui in falegnameria, nel bosco o nell’orto (a seconda dell’attività prevista). L’altro gruppo aiuta invece nelle faccende domestiche, specie in cucina, dove Donatella insegna ai ragazzi a preparare un pranzo completo. Poi nel pomeriggio si invertono le attività dei gruppi.

«Quando restano una settimana, i bambini arrivano già con delle idee in testa», continua Gino. «Una bambina una volta ha realizzato il trombone della nonna in legno; una ragazzina ha fatto un piccolo telaio perfettamente funzionante; a un bambino che si era costruito un monopattino di legno scavato in un tronco hanno offerto 500 euro una volta rientrato a Milano, ma lui non l’ha voluto vendere».



Gli chiedo come si spieghi che la possibilità dell’autocostruzione riesca ad appassionare così tanto dei bambini abituati alle cose già pronte, che si possono comprare e utilizzare in un attimo. «Io credo – mi risponde – che ogni umano abbia una tendenza ancestrale verso la ricerca di un equilibrio più naturale tra il pensare a un oggetto e realizzarlo con le proprie mani. Forse è per questo che il cervello riscopre questa possibilità non appena gliene si dà la possibilità. Ho tantissimi ricordi di bambini felici dopo aver costruito da soli, senza spendere un centesimo, oggetti piccoli, semplici, senza alcuna dote magica quale muoversi, emettere suoni o lampeggiare».

A conclusione del nostro incontro, gli domando se si sente più artigiano o artista. Lui però glissa e preferisce confidarmi il suo ultimo sogno. Ora che sta invecchiando gli piacerebbe trovare un erede, un giovane apprendista che non creda solo agli attrezzi che impugnerà, ma soprattutto alla valenza politica del suo messaggio. «Ho imparato una serie di cose legate a un sapere che rischiava di andar perso, ma non l’ho certo fatto per guadagnare più soldi. L’ho fatto nell’attesa di tornare utile a indicare la strada il giorno in cui capiremo che quella che il mondo sta percorrendo ora non ci porta da nessuna parte». E chissà che questo articolo non si trasformi in un piccolo messaggio in bottiglia lanciato nel mare di coloro che, al momento delle scelte decisive sulla propria vita, decideranno di andare anch’essi controcorrente, come ha fatto lui.

Usciti dalla falegnameria, noto che il vento ha cessato di soffiare. Gino insiste mentre mi accompagna alla mia auto. «I ragazzi che hanno solo una formazione universitaria spesso rinunciano a essere protagonisti della loro vita. Finiscono per aggrapparsi alla convinzione che qualcuno debba offrirgli un lavoro. Io invece vorrei trasmettere l’idea che ciascuno di noi può costruirsi la sua strada con le proprie forze, senza dipendere dagli altri».

Entro in macchina con una bizzarra sensazione di incompletezza dall’origine ignota. Metto in moto e inizio a percorrere la sterrata in salita che dalla fattoria mi porterà sulla strada principale. Ma all’improvviso realizzo, richiamato dalla mia curiosità insoddisfatta. Allora tiro il freno a mano, apro la portiera, salgo sul predellino e guardo giù verso Gino, distante non più di venti metri. Gli grido: «Ma quindi, alla fine, ti senti più artigiano o più artista?». Risponde facendo roteare un dito accanto all’orecchio, come a scusarsi per il vento che gli impedisce di sentire. Non faccio in tempo a ribattere “guarda che il vento non c’è più”. Lui è più lesto. Mi saluta con quel suo sorriso calmo, sventolando entrambe le mani. Mani grandi di artigiano abitate dallo spirito ribelle di un artista.

fonte: www.italiachecambia.org


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Saviola, legno riciclato per un riuso di qualità

Dagli anni Sessanta Saviola trasforma un materiale di scarto in un prodotto di qualità. Il legno riciclato trova nuova vita a tutto vantaggio dell’ambiente, una filosofia aziendale che piace a investitori e consumatori





I tempi cambiano. Chi avrebbe immaginato che i pezzi di arredamento fatti in legno riciclato diventassero di tendenza? Oggi parlare di economia circolare è diventato normale, ma negli anni Sessanta, quando Mauro Saviola ebbe questa intuizione non lo era affatto. Costruire mobili “nuovi” ed esteticamente di pregio usando legno riciclato allora si scontrava con la complessità delle normative e con i pregiudizi del mercato. Ora comprare mobili fatti con legno è diventato non solo una «componente del lusso», secondo la definizione del presidente Alessandro Saviola, ma anche la dimostrazione tangibile dell’attenzione all’ambiente da parte dell’azienda come del consumatore. E poi un’azienda che produce in ottica di economia circolare e rifiuti zero piace anche al sistema creditizio: Saviola – azienda con sede a Viadana in provincia di Mantova, conosciuta a livello internazionale per aver inventato i pannelli di legno riciclato 100% – ha il sostegno di Bei e Cassa Depositi e Prestiti. Inoltre, rispetta i criteri ESG (che classificano l’impatto ambientale, sociale e di governance delle imprese) che sono sotto la lente degli investitori perché forniscono elementi in grado di determinare il rischio d’impresa.

Riusare anziché bruciare

Per avere un’idea in cifre dell’impatto positivo di Saviola, il suo lavoro salva dall’abbattimento 2,8 milioni di alberi ed evita di immettere 2 milioni di tonnellate di CO2 nell’ambiente. Le tecnologie di trasformazione di Saviola sono in grado di trattare tutti i rifiuti legnosi (dai residui di lavorazione, agli imballaggi, al materiale di cantieristica): grazie ai centri di raccolta EcoLegno, ogni anno vengono raccolte 1,5 milioni di tonnellate di legno usato.

La crisi ha creato difficoltà anche al settore dell’arredamento, ed è stato necessario ripensare la produzione: se mancano all’appello uffici, alberghi e ristoranti sono cresciute le richieste per la casa, vissuta anche come ambiente di lavoro.

Il 60% della produzione rimane in Italia, il 40% è destinato all’export. L’arredamento Made in Italy all’estero è considerato un’eccellenza in termini di qualità e di design: Saviola ha già un centro di design in Germania e sta riconvertendo all’economia circolare l’azienda tedesca Rheinspan, produttrice di pannelli truciolari su misura, di cui detiene il 50% delle azioni.

Saviola è composta da quattro business unit (legno, chimica, mobile, life science) e si definisce eco-ethical company: i valori al centro della visione strategica dell’azienda sono ambiente, persone, territorio, qualità e innovazione con l’obiettivo di avere sulla società un impatto etico di lungo termine, come si legge nel Bilancio di sostenibilità che descrive un’azienda in linea con gli Obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu.

Gli impianti per la lavorazione del legno riciclato hanno bisogno di ammodernamenti continui, ma Saviola investe nella propria crescita; è stato necessario razionalizzare la produzione e fare una revisione capillare sui costi, una politica aziendale che ha permesso di fare acquisizioni e di mantenere l’occupazione.

fonte: www.rinnovabili.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Riciclo e riuso, la nuova vita dei mobili di seconda mano

Acquistare un mobile di seconda mano è una scelta legata alla passione per il vintage, ma anche alla sostenibilità del riciclo.












L’acquisto di mobili di seconda mano è un’importante tendenza che si è fatta strada negli ultimi anni, impedendo che arredi dal look ancora interessante finissero tristemente in discarica. Questa passione per il vintage e il modernariato trova spazio anche nelle riviste di arredamento dove gli oggetti di recupero diventano protagonisti. Non solo una scelta dettata dal portafoglio, ma una decisione di riciclo rispettosa e sostenibile nei confronti dell’ambiente.

Ridare vita a un vecchio mobile è un modo ecologico per arredare casa, riducendo di conseguenza la richiesta e la nuova produzione. Un rallentamento utile per la salvaguardia delle aree verdi ad esempio della Birmania, dell’Asia, dell’Africa e del Sud America, spesso sconvolte da un’azione costante di deforestazione. L’acquisto di un mobile di riciclo è un atto ecologico in favore dell’ambiente stesso.

Riciclo e arredamento sostenibile
Fonte:Unsplash


Scegliere un mobile di seconda mano da riporre in salotto produce l’attivazione di una serie di azioni, partendo dal restauro e dalla verniciatura dello stesso. Un mobile solido e resistente, realizzato con materiali di qualità e in grado di affrontare altre nuovi stagioni della sua lunga vita. Ed è proprio questo il concetto del riuso e del relooking degli arredi di seconda mano, in aperto contrasto con i prodotti moderni quasi sempre assemblabili o creati con materiali economici. Destinati a durare poco con un impatto ambientale non indifferente.

La produzione del passato forniva prodotti di altissima qualità con l’obiettivo che venissero tramandati di casa in casa, di generazione in generazione. Un vissuto che contrasta con i tempi attuali attraversati ad alta velocità, anche per quando riguarda la casa e i suoi arredi: economici e spesso usa e getta. Scegliere un mobile di seconda mano permette di conferire un look più caldo alla dimora stessa, grazie al look e al fascino dello stesso.

È importante scegliere un prodotto che non presenti vecchi trattamenti e pitture dannose, anche se l’azione del tempo dovrebbe averle eliminate. Meglio puntare su articoli creati con materiali resistenti, dalla superficie intatta e quindi facilmente restaurabile, meditando sull’acquisto per una scelta adeguata allo stile imposto alla casa stessa.

Fonte: TreeHugger

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

A due anni dalla tempesta Vaia, Ikea riqualifica un’area boschiva in Alto Adige

Grazie al progetto “Effetto VAIA” di Ikea Italia, oltre 4000 nuovi alberi saranno restituiti al territorio di Corvara (BZ), una delle aree più colpite dalla tempesta.









16 milioni di alberi e 41mila ettari di bosco che non esistono più: la tempesta VAIA che si è abbattuta sul territorio al confine fra Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Lombardia, nella notte tra il 28 e il 29 ottobre 2018 ha messo in grave pericolo il patrimonio boschivo e la biodiversità del nostro Paese, modificando il paesaggio e l’immagine stessa del territorio.
A due anni da quell’evento drammatico che ha causato l’abbattimento di 1 milione e 500 mila metri cubi di legname solo in Alto Adige, IKEA dà vita ad “Effetto Vaia”, un circolo virtuoso che restituisce una nuova speranza al territorio colpito dalla tempesta. Il legno delle foreste di Corvara (BZ) è infatti stato utilizzato per realizzare 20.000 librerie BILLY e 5.000 ante TRÄARBETARE, in edizione limitata, il cui acquisto contribuisce a sostenere il progetto per la riqualificazione e il rimboschimento delle aree coinvolte.
Grazie al progetto “Effetto VAIA” IKEA Italia ha quindi avviato un progetto di riqualificazione e rimboschimento nel comune altoatesino: 3.000 nuovi alberi e 1.000 da rinnovazione naturale, una tecnica che mira a salvaguardare l’ecosistema del bosco, andranno a ricucire la ferita inferta ai boschi da Vaia. L’attività rientra nell'ambito della campagna “Mosaico Verde”, un grande progetto nazionale di forestazione ideato e promosso da AzzeroCO2 e Legambiente.
La piantumazione e la gestione dei nuovi alberi avverranno in aree boschive già certificate secondo i principi del Forest Stewardship Council (FSC), con cui IKEA Italia collabora da sempre per garantire i massimi standard in merito alla gestione responsabile delle foreste e della trasformazione del legno.

fonte: www.greencity.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Eolico: torri in legno ridurranno impatto ambientale, la prima in Svezia

Dal legno modulare un'alternativa green ed economica per la realizzazione di torri eoliche, la prima installata in Svezia.



Nel futuro dell’energia eolica potrebbero esserci strutture realizzate in legno. Questa la strada indicata da una nuova torre eolica, installata in Svezia e realizzata in legno modulare. Un impianto alto 30 metri e presentato come più resistente ed economico dell’acciaio. Inoltre garantirebbe anche una migliore prestazione in termini di rispetto per l’ambiente.

Ideata dalla compagnia svedese Modvion, la torre eolica in legno modulare è stata installata sull’isola di Björkö, nei pressi di Göteborg. I benefici sarebbero molteplici, anche climatici secondo quanto affermato da Otto Lundman (CEO Modvion):

Si tratta di una scoperta rilevante che mostra la strada alla prossima generazione di turbine eoliche. Il legno laminato è più resistente dell’acciaio a parità di peso e costruendo le torri in maniera modulare, le turbine eoliche possono essere più alte. Costruendo in legno possiamo anche ridurre le emissioni di CO2 durante la lavorazione e anzi stoccare CO2 nel progetto.

La turbine eolica installata a Björkö verrà utilizzata per effettuare test e ricerche su questo tipo di costruzioni, mentre l’avvio delle installazioni su scala commerciale è previsto per il 2022. Modvion ha sottoscritto alcune dichiarazioni di intenti con alcune compagnie, che porteranno l’azienda svedese a produrre un esemplare alto 110 metri per la Varberg Energi e 10 torri di almeno 150 metri per la Rabbalshede Kraft. Ha concluso Ola Carlson, direttore dello Swedish Wind Power Technology Centre:

L’eolico è atteso come la maggiore fonte energetica UE già nel 2027. Con le torri eoliche in legno possiamo produrre energia rinnovabile ancora più intelligente dal punto di vista ambientale per contrastare la crisi climatica.

fonte: www.greenstyle.it


=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

I rifiuti di legno rendono il calcestruzzo più ecologico e forte

Un team di ricercatori ha sviluppato una nuova procedura per il riciclaggio del calcestruzzo con l’aggiunta di legno di scarto. Il risultato? Un nuovo materiale da costruzione con una resistenza alla flessione superiore a quella tradizionale





















La produzione del cemento utilizzato nel calcestruzzo è un’enorme fonte di emissioni climalteranti. Si stima che l’industria cementifera, da sola, rilasci in atmosfera ben  2,8 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno. Le nuove pressioni ambirli e climatiche stanno però spingendo il settore a ripulire la propria impronta, cercando nuove soluzioni più ecofriendly. Una di queste arriva oggi dall’Università di Tokyo. Qui un team di scienziati dell’Istituto di scienze industriali, ha sviluppato una nuova procedura per il riciclaggio del calcestruzzo con l’aggiunta di legno di scarto: una ricetta che non solo si è dimostrata più ecologica di quella tradizionale ma che ha portato anche ad un materiale finale ancora forte.

Il calcestruzzo viene prodotto miscelando un aggregato – che di solito è fatto di ghiaia e pietrisco – con acqua e cemento. Una volta che la miscela è indurita, il cemento si lega con l’aggregato per formare un solido blocco. Tuttavia un “semplice” processo di riciclo degli aggregati non avrebbe portato il risultato sperato. “È la produzione di nuovo cemento che sta guidando le emissioni dei cambiamenti climatici”, ribadisce il primo autore della ricerca, Li Liang. 
  
Ecco perché il gruppo ha deciso di aggiungere un ingrediente in più nell’equazione. Guidati da Yuya Sakai, gli scienziati hanno macinato il calcestruzzo riducendolo ad una fine polvere; quindi hanno aggiunto acqua e lignina tratta da rifiuti lignei. Quest’ultimo è un polimero organico altamente reticolato che conferisce supporto e rigidità alle cellule e ai tessuti vegetali. La miscela è stata quindi contemporaneamente riscaldata e sottoposta ad alta pressione. Il gruppo ha  scoperto che modificando con precisione variabili come il rapporto cemento / lignina, il contenuto di acqua, la temperatura, oltre alla quantità e alla durata della pressione, poteva ottenere un materiale dalle prestazioni elevate. Il procedimento, se ben calibrato, infatti, permette alla lignina di trasformarsi in un adesivo altamente efficace.
I test hanno mostrato che il calcestruzzo riciclato con la lignina possiede una resistenza alla flessione maggiore rispetto al calcestruzzo originale da cui è stato realizzato. Come bonus aggiuntivo, a causa del suo contenuto di lignina, il materiale dovrebbe probabilmente biodegradarsi una volta scartato. “La maggior parte dei prodotti riciclati che abbiamo realizzato mostrava una resistenza alla flessione migliore rispetto a quella del calcestruzzo ordinario”, afferma il professor Yuya Sakai, autore senior. “Questi risultati possono promuovere un passaggio verso un’industria delle costruzioni più ecologica ed economica che non solo riduce i depositi di rifiuti di cemento e legno, ma aiuta anche ad affrontare il problema dei cambiamenti climatici”.

fonte: www.rinnovabili.it

Laboratorio Linfa: l’impresa artigiana che recupera il legno usato

Recuperare e ridar vita al legno usato per realizzare mobili, allestimenti e installazioni anche per luoghi pubblici e attraverso la progettazione partecipata. Nato per iniziativa di alcuni giovani designer attenti all’ambiente, il Laboratorio Linfa è un’impresa artigiana che promuove l’economia circolare, l’educazione ambientale e la valorizzazione delle risorse e del territorio.













“Noi siamo il risultato di una serie di imperfezioni che hanno avuto successo. (…) Sono le strutture imperfette a farci capire in che modo funziona l’evoluzione: non come un ingegnere che ottimizza sistematicamente le proprie invenzioni, ma come un artigiano che fa quel che può con il materiale a disposizione, trasformandolo con fantasia, arrangiandosi e rimaneggiando”
Da “Imperfezione. Una storia naturale” di Telmo Pievani
Tutto ha inizio nel ritiro del materiale: mobili vecchi, serramenti, imballaggi, scarti di produzione. Ogni oggetto, che di solito non è nato con il criterio sostenibile di essere facile da disassemblare, viene smantellato e ogni suo materiale correttamente differenziato. Questa fase è difficile e lunga, se si vuol salvare quanto più legno possibile. Successivamente inizia la fase di recupero delle qualità estetiche e funzionali, le vere e proprie lavorazioni di falegnameria e tarsia; il criterio è sempre quello del minimo scarto, che prevale ed essenzialmente fissa i parametri estetici del manufatto.
L’uso di colle, e quindi di sistemi di fissaggio permanenti, è minimizzato; tutto, anche l’energia consumata dagli utensili, va nella direzione dell’efficientamento e del minimo impatto. Si conclude con i trattamenti di finitura, operati con cere naturali e mai sostanze tossiche; in questo modo ogni loro opera potrà essere un giorno smantellata e il legno riusato senza paura di inquinare, Mettere e togliere la cera, anche se può sembrare solo una citazione, è l’operazione che ridona vita al materiale; le venature, i pori così come i colori tornano splendere. É l’olio di gomito, e non le innovative vernici “protettive”, a fare la differenza.









È questo il ciclo di lavoro che si svolge quotidianamente nel Laboratorio Linfa, un’impresa artigiana che progetta e produce mobili di design, allestimenti e installazioni, impiegando legno usato quindi, non abbattendo alberi. Il laboratorio nasce nel 2004 come gruppo informale, dall’incontro di alcuni giovani designer preoccupati per le conseguenze che il proprio lavoro avrebbe avuto sull’ambiente. Scelgono così di progettare oggetti a basso impatto e sistemi comunicativi che sensibilizzano l’uomo all’adozione di principi ecologici.
Attualmente Laboratorio Linfa conta due laboratori artigianali, uno a Orte, in provincia di Viterbo, e l’altro a Montemarciano, in provincia di Ancona, gestiti rispettivamente da Luigi Cuppone e Raul Sciurpa. Grazie anche all’insegnamento in scuole di design, come l’ISIA e lo IED di Roma, il Poliarte ad Ancona, tentano di diffondere le buone prassi ecologiche ed economiche alle nuove generazioni. Hanno instaurato ottimi rapporti con enti pubblici e imprese virtuose, e le attività partecipate di green thinking da loro intraprese in questi anni hanno permesso di costruire una rete capillare di avamposti collaborativi sul territorio nazionale.
Laboratorio Linfa si occupa anche di grafica e comunicazione; elabora contenuti per allestimenti e prodotti editoriali e di comunicazione riguardanti i temi della sostenibilità. Per l’impegno nel settore dell’ecodesign, nel 2014 è stato premiato dalla Commissione europea con il primo premio per l’Italia, consegnato dall’allora commissario europeo all’ambiente Janez Potocnik.
Sul fronte dell’economia circolare, obiettivo primario di Laboratorio Linfa è innescare circuiti virtuosi sostenibili: reintegrare materiali di scarto, provenienti da aziende locali e privati, in nuove catene produttive. Linfa lavora in upcycling, ossia seguendo processi artigianali che puntano a donare maggior valore al materiale. L’estetica delle sue creazioni è subordinata alla funzione e alle risorse disponibili; una sorta di «adattamento», come il comportamento che l’uomo dovrebbe assumere nei confronti della Terra. Si punta quindi a ridurre l’impronta antropica con oggetti duraturi, realizzati con il minimo sfrido e che stoccano CO2.
Laboratorio Linfa ha una forte propensione a lavorare per luoghi pubblici, come musei, parchi, biblioteche, coworking. Attraverso la progettazione partecipata o affiancando le pubbliche amministrazioni, si producono allestimenti in grado di testimoniare l’impegno verso un cambiamento culturale e di maggior attenzione per l’ambiente. Un esempio è il Centro di documentazione del SAC – Sistemi ambientali e culturali di Andrano, in provincia di Lecce, sviluppato in progettazione partecipata; qui, agli arredi si affiancano le installazioni, che raccontano il territorio e il suo capitale naturale.
Particolare attenzione è posta anche al mondo dei bambini, dagli arredi ai giochi. Sul piano dell’estetica, le installazioni dedicate ai più piccoli sono un modo per spezzare il ritmo dagli arredi convenzionali, un modo per uscire da schemi compositivi archetipici e poco creativi.

Per potenziare le iniziative no-profit, Luigi Cuppone e Raul Sciurpa, hanno fondato anche l’associazione di promozione sociale, culturale e ambientale Linfa, che coinvolge dal 2008 centinaia di giovani motivati alla difesa della natura. Realizzano azioni capaci di valorizzare il territorio secondo i principi della sostenibilità, attraverso workshop di ecodesign gratuiti e percorsi di educazione ambientale in scuole e università. Nei workshop i ragazzi sono invitati a progettare e realizzare mobili, giochi, installazioni, utilizzando materiali di recupero. Queste iniziative sono itineranti, si svolgono ogni anno in un luogo diverso, in aree verdi pubbliche dove si allestisce un’esclusiva falegnameria en plain air, una cucina da campo, tende e docce, per vivere una settimana full-immersion tra design ed ecologia.
Grazie ai giovani che hanno partecipato a una o più edizioni del workshop, questa best-practice si è diffusa in modo esponenziale in piazze importanti, come: Torino, Verona, Pescara, Perugia, Terni, Latina, Bari, Roma, Rio de Janeiro, in piazze scomode come Rosarno (Rc) e in piazze piccole come: Sannicola (Le), Morciano di Leuca (Le), Andrano (Le), Salisano (RI), Calcata (Vt), Montemarciano (An), Piticchio di Arcevia (An). Questo a significare che la strada del cambiamento va trovata con metodi e visioni globali, ma con applicazioni locali e integrate sui singoli casi.
fonte: www.italiachecambia.org

Torri eoliche in legno, ecologiche e modulari

La società svedese di ingegneria e design industriale Modvion sta sviluppando un nuovo concetto di torre eolica "full-wood" innovativa e modulare.






Mediamente servono 200 tonnellate di acciaio per costruire una turbina eolica di grandi dimensioni, con tutto ciò che consegue in termini di impatto ambientale e di impronta ecologica. Riuscendo a costruire torri in legno, si potebbero evitare fino a 2.000 tonnellate di emissioni di CO2 (per torre) nel corso dell'intero ciclo di vita dell'impianto, grazie anche a un processo produttivo a bassa intensità energetica. Senza contare che il legno è un prodotto naturale spesso reperibile localmente, contribuendo così alla creazione di ulteriori posti di lavoro.

La visione utopica della Modvion potrebbe presto diventare realtà: nei prossimi mesi è infatti prevista l'installazione, su un'isola nei pressi di Göteborg, di una torre prototipo in scala 1:5, con un'altezza del mozzo di 30 metri. Se i test sul campo daranno esito positivo, si tratterà del primo passo verso la realizzazione della torre commerciale alta 150 metri, adatta per range di potenza di 4-4,5 MW. Questa torre avrà un diametro di base di 12,5 metri, che si restringe fino a 4 metri nella parte superiore. L'idea è quella di suddividere la torre in sezioni di 15-25 metri; a sua volta, ogni singola sezione è suddivisa in quattro o otto moduli precurvati identici, il cui numero e larghezza diminuiscono al crescere dell'altezza.

La stabilità e la resistenza delle torri progettate dalla Modvion saranno garantite dall'impiego di legno microlamellare (LTV) e lamellare incollato (GLT). La laminazione di strati di impiallacciatura di legno molto sottili compensa le naturali imperfezioni del materiale e conferisce alla torre Modvion una notevole capacità portante, renendendola più resistente del 250% rispetto ad un'equivalente realizzata in legno multistrato (CLT).

Il passo successivo alla fase di test del prototipo di 30 metri sarà la realizzazione, entro il 2021, di una prima torre commerciale con un'altezza del mozzo di 110 metri. Questa potrebbe diventare non solo la struttura in legno più alta al mondo ma anche la turbina eolica con l'impronta di carbonio in assoluto più bassa.
Riferimenti

WindTech: Why wood works for modular, low-carbon towers
l'articolo su windpowermonthly.com



fonte: http://www.nextville.it

Conai, dal 1/1/2020 aumenti contributo ambientale per carta, legno e plastica



Il Consiglio di amministrazione del Consorzio nazionale imballaggi (Conai) ha deciso l'aumento del contributo ambientale per gli imballaggi in carta, legno e plastica dal 1 gennaio 2020.

Il contributo per gli imballaggi in carta passa da 20 a 35 euro/tonnellata. Invariato il contributo aggiuntivo di 20 euro/tonnellata per i poliaccoppiati a prevalenza carta idonei al contenimento di liquidi, per i quali il contributo ambientale sarà quindi di 55 euro/tonnellata. Il contributo per gli imballaggi in legno aumenterà da 7 a 9 euro/tonnellata

Per quanto riguarda invece il contributo ambientale per la plastica sono confermate le <b>quattro diverse fasce contributive valide dal 1 gennaio 2019. Invariato il contributo ambientale per la fascia A (imballaggi con una filiera di selezione e riciclo efficace e consolidata da circuito commercio & industria) fermo a 150 euro/tonnellata, nonchè quello per la fascia B1 (imballaggi con una filiera di selezione e riciclo efficace e consolidata da circuito domestico) che rimane di 208 euro/tonnellata. La fascia B2 (imballaggi con una filiera di selezione e riciclo in fase di consolidamento e sviluppo, sia da circuito domestico sia da commercio & industria) pagherà un contributo ambientale sarà di 436 euro/tonnellata. Infine la fascia C (imballaggi non selezionabili o riciclabili allo stato delle tecnologie attuali) vedrà il contributo passare da 369 a 546 euro/tonnellata

fonte: http://www.reteambiente.it

Legno post consumo: quasi 2mln di tonnellate riciclate in italia

Semeraro (Rilegno): “Il 95% del legno recuperato genera nuova materia prima o nuovi prodotti”




















Quasi 2 milioni di tonnellate di legno post consumo vengono destinate al riciclo nel ogni anno in Italia. Lo conferma Rilegno, il Consorzio nazionale per il recupero e il riciclo degli imballaggi di legno, presentando i dati della sua attività per il 2018. Il documento, approvato la scorsa settimana dall’Assemblea annuale, mostra i grandi passi avanti compiuti dal settore negli ultimi 12 mesi: un incremento dei volumi raccolti del 7,74 per cento sull’anno precedente e una percentuale del 63 per cento raggiunta nel riciclo degli imballaggi di legno (gli imballaggi nuovi immessi sul mercato nel 2018 hanno superato i 3 mlndi tonnellate).
Numeri che fanno della filiera una vera fuoriclasse a livello comunitario: oggi, infatti, il sistema italiano supera già l’obiettivo UE fissato per il 2030. “Da diversi anni ormai registriamo un costante aumento dei volumi di legno riciclato questo grazie anche alla capacità del sistema di aumentare il numero delle piattaforme aderenti al network, così come di coinvolgere sempre più Comuni attraverso le convenzioni per la raccolta differenziata del legno”, spiega Nicola Semeraro, Presidente del consorzio. “Ma quello che ritengo davvero importante sottolineare è che in poco più di 20 anni il sistema del recupero e del riciclo del legno in Italia ha creato una ‘nuova’ economia che ha prodotto risultati importanti sia in termini ambientali, sia per la capacità di creare sviluppo e occupazione. Abbiamo dato al concetto di economia circolare una effettiva applicazione concreta, considerando che il 95% del legno recuperato genera nuova materia prima o nuovi prodotti. Un caso di successo made in  Italy che ci pone all’avanguardia in Europa”.
La gran parte di tutto questo legno post consumo, avviato al riciclo, è costituito da pallet, imballaggi industriali, imballaggi ortofrutticoli e per alimenti; tuttavia una parte importante del totale – circa 642.000 tonnellate – oggi proviene anche dalla raccolta urbana realizzata attraverso le convenzioni attive con oltre 4.500 Comuni italiani. Da sottolineare poi l’attività di rigenerazione dei pallet, fondamentale in ottica di prevenzione: sono state ben 780mila le tonnellate, ovvero circa 56 milioni i pallet usati, ripristinati per la loro funzione originaria e reimmessi sul mercato.
A livello territoriale è la Lombardia a fare la parte del leone con 504.290 tonnellate (il 26% del totale), seguita dall’Emilia-Romagna con 242.504 ton. e dal Piemonte con 197.602 ton.

fonte: www.rinnovabili.it