La strategia virtuosa dell’Emilia-Romagna, intervista all’assessore all’ambiente
Cinema, Arpae e Emilia-Romagna Film Commission aderiscono a Green Film

Produzioni cinematografiche e televisive che rispettano e valorizzano il patrimonio ambientale che le ospita, certificate con il marchio Green Film.
Emilia-Romagna Film Commission e Arpae hanno aderito al protocollo che ha l’obiettivo di incoraggiare le produzioni a lavorare nel rispetto dell’ambiente ottimizzando i trasporti, adottando il risparmio energetico, rendendo disponibili gli alloggi delle troupe in strutture certificate, selezionando la ristorazione e la gestione dei rifiuti.
Ideato dalla Trentino Film Commission nel 2017, il protocollo Green Film è stato revisionato nel 2019 per garantire una più vasta applicabilità sulle produzioni nazionali e internazionali, Film Fund, Film Commission, broadcaster o altre realtà.
Il ruolo di Arpae
In Emilia-Romagna sarà Arpae il partner incaricato del ruolo di ente certificatore, che verificherà periodicamente l’applicazione dei criteri del protocollo durante tutta la produzione. L’Agenzia regionale prevenzione ambiente energia dell’Emilia-Romagna ha, infatti, tra i suoi compiti la promozione e il presidio della strategia per il consumo e le produzioni sostenibili, favorendo la conoscenza e l’attuazione degli strumenti volontari per migliorare le prestazioni ambientali delle imprese e la valutazione e la comunicazione degli impatti su organizzazioni e prodotti. Il Protocollo Green Film è un esempio di come tali strumenti possano svolgere un ruolo per stimolare una nuova cultura ambientale e la scelta di aderire al protocollo Green Film si inserisce nella nostra volontà di costituire con i settori produttivi un fronte comune contro l’emergenza climatica in atto.
Come funziona il disciplinare Green film
Il disciplinare di Green Film prevede diverse azioni positive per tutta la durata della lavorazione.
Prima dell’inizio della produzione i produttori dichiarano quali criteri di sostenibilità ambientale previsti dal disciplinare si impegnano a rispettare durante le riprese.
Prerequisiti obbligatori sono pianificare in anticipo l’applicazione dei criteri di sostenibilità da adottare, utilizzando informazioni semplici e concrete, al fine di ridurre al minimo l’impatto ambientale senza rallentare il lavoro della troupe, e programmare la mobilità della produzione, per ottimizzare i trasporti e ridurne l’impatto ambientale ed economico.
Altri punti da verificare e attuare vanno dal risparmio energetico agli alloggi delle troupe in strutture certificate, dalla ristorazione alla gestione dei rifiuti, prediligendo il recupero e la raccolta differenziata.
Durante le riprese la produzione si impegna a rispettare quanto dichiarato e Arpae come ente certificatore verifica che tali criteri siano rispettati. Dopo le riprese l’Agenzia completa l’attività di verifica del rispetto della sostenibilità e, se ha esito positivo, la produzione riceve la certificazione di sostenibilità ambientale Green Film e gli eventuali premi stabiliti.
Maggiori informazioni sul protocollo Green Film possono essere richieste via mail all’indirizzo: greenfilm.emiliaromagna@arpae.it
Vai alla notizia sul portale Cinema dell’Emilia-Romagna
fonte: www.snpambiente.it
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Gino Chabod, l’artigiano del legno che insegna ai bambini il “saper fare”
Lo incontro in un ventoso pomeriggio di primavera in una delle sue due falegnamerie per bambini: quella fissa, allestita presso la fattoria didattica (e agriturismo) I Campi di Borla, piccola perla sulle colline nei pressi di Salsomaggiore Terme, dove vive praticando la semplicità volontaria e l’autoproduzione assieme alla compagna Donatella Mondin, fondatrice e anima di questo luogo incantato e accogliente, immerso nella verdeggiante natura della Val d’Arda, nel piacentino.

L’aspetto etereo e quasi stralunato, la barba bianca, la voce felpata, il sorriso pacato, le grandi mani sempre raccolte come per scongiurare la fuga del talento che le abita, Gino è una di quelle persone a cui difficilmente attribuiresti uno spirito ribelle. E invece è proprio questo spirito ad averlo animato fin dall’adolescenza ad andare controcorrente, sebbene con tutti i dubbi e le correzioni di rotta del caso, in un’epoca – quella della provincia italiana degli anni ’60 – caratterizzata da forte espansione economica e (pertanto) da una certa diffidenza per chi si opponeva al flusso prevalente.
Nato nel 1955 in un villaggio di montagna della Val D’Aosta allora popolato da gente semplice, dalla cultura minima, ancora avvezza alla convivenza con gli animali da cortile piuttosto che con altri umani, nemmeno Gino è stato inizialmente insensibile al fascino della modernità. Compiuti i 13 anni, infatti, si iscrive alla scuola per elettrotecnici dell’Olivetti a Ivrea, come tanti giovani di paese negli anni ’60 attratti dal mito del posto fisso in fabbrica e dal sogno di emancipazione che la vita in un’area industriale sembrava garantire.
Nel caso di Gino, tuttavia, questa fase dura poco. Quella che immaginava essere una possibilità di emancipazione, infatti, per lui si rivela ben presto una forma di alienazione. «Sentivo la mancanza della manualità vera, della sensibilità ai materiali che avevo appreso nell’infanzia, quando razzolavo libero sui prati e mi perdevo nei boschi», confessa. E così a 18 anni, finita la scuola, sceglie di “tornare a pascolare le capre”. Si iscrive prima a un corso per diventare casaro ad Aosta e poi, partito per il servizio militare, scopre per puro caso la sua missione di vita.

Siamo nel 1976 e il 21enne Gino viene mandato dal suo reparto ad aiutare i terremotati del Friuli. Assegnato alla realizzazione delle tettoie delle mense per i campi tenda, mentre alcuni volontari intrattengono i bambini della zona, si ritrova – nemmeno si ricorda come – a intagliare improvvisati giochini di legno con i suoi attrezzi di fortuna.
La cosa si ripete nei giorni successivi e così, giochino dopo giochino, l’entusiasmo dei piccoli ospiti del campo non passa inosservato. Se ne accorgono le maestre della scuola del paese, le quali chiedono ai militari che quel ragazzone alto e taciturno continui a regalare sorrisi ai bambini colpiti dalla tragedia anche dopo la fine del lavoro alle mense. Gino ricorda con un pizzico di commozione la determinazione del suo capitano a superare le difficoltà burocratiche: «Dovettero scomodare un generale di corpo d’armata per darmi il permesso di andare ogni giorno nel campo dei bambini».
Da quell’esperienza nasce per la prima volta in Gino l’idea di una falegnameria per bambini attraverso la quale trasmettere loro l’identità collettiva e il senso di comunità che aveva appreso da piccolo nel suo villaggio in montagna, dove ciascun cittadino aveva capacità manuali e cultura della responsabilità tali da potersi occupare del pezzettino di beni comuni (acquedotti, boschi, pascoli, ecc.) che gli veniva assegnato. Non a caso uno dei giochi più replicati in quelle difficili settimane in Friuli era ricostruire il paese distrutto con tutte le case, le attività e le infrastrutture che c’erano prima, utilizzando delle miniature.
Sembra fatta, dunque. E invece no. Perché la paura di volare per il giovane Gino è ancora troppo forte. Dopo la fine del servizio militare, al ritorno in Val d’Aosta, a prevalere è di nuovo il richiamo delle certezze che ancora negli anni ’70 garantiva la vita convenzionale. Gino si associa a un coetaneo che aveva iniziato a fare il tornitore del legno e con lui apre una falegnameria. Eppure, per tutti i successivi 16 anni, fra un mobile personalizzato e l’altro, mentre è al lavoro per fabbricare serramenti, scale e chalet, non passa giorno senza sentire il fuoco sacro della missione che lo chiama a mollare tutto per dedicarsi ai “suoi” bambini.

Finché una notte, a metà anni ’90, per dirla con Sepulveda, il richiamo dell’aria diventa improvvisamente più forte della paura di cadere. Quella notte Gino si affaccia al balcone di casa e guarda dall’alto il suo furgone da lavoro, sognante. A quasi 40 anni è finalmente pronto a spiegare le sue ali. Nei giorni successivi allestisce, proprio sul suo furgone, un laboratorio mobile per bambini con tutti i crismi, in grado poi di superare anche le nuove, stringenti norme sulla sicurezza della celebre legge 626.
Nasce così la falegnameria didattica ambulante che negli anni a seguire presenterà e diffonderà, prima nelle scuole della Val d’Aosta e poi, dopo il taglio dei fondi alle scuole, in tutto il Nord Italia, dove in quel periodo iniziano a fiorire eventi e festival dedicati alla sostenibilità e al cambio di paradigma.
Fra questi eventi c’è anche Fa’ la cosa giusta, dove Gino viene invitato tutti gli anni a portare i suoi banchi, gestendo in totale libertà lo spazio che la fiera riserva ai bambini. E dove nel 2010 conosce Donatella, che ha da poco aperto – sola con i sue due figli – una fattoria didattica sulle colline del piacentino. Qualche mese dopo Gino è proprio lì, ai Campi di Borla, con le maniche tirate su, ad attrezzare la sua seconda falegnameria per bambini. più equipaggiata di quella ambulante, fiore all’occhiello di una fattoria che – dopo le chiusure forzate degli ultimi tempi – oggi è tornata ad accogliere bambini e preadolescenti da tutta Italia.
Quando gli chiedo se costruire barche, aeroplanini, bambole e animali da più di 25 anni non sia un po’ come saldare tutti i giorni pezzi d’auto in una catena di montaggio, Gino risponde pacato ma deciso: «Se fra le mansioni di un saldatore ci fosse insegnare il mestiere a dei bambini, forse quel lavoro non sarebbe più considerato alienante». In effetti è proprio il rapporto con i bambini il plus che continua a motivarlo. «Quando metti insieme la manualità e i bambini non hai un problema di ripetitività del lavoro. Le idee nuove vengono da sole, specialmente da loro», chiosa.

Ma le soddisfazioni non vengono solo dalle forme che riesce a prendere il legno una volta sollecitato dalla creatività dei piccoli. Più volte gli è capitato, infatti, che ragazzini problematici delle medie, di quelli che dopo cinque minuti di lezione frontale già cominciano a dare in escandescenze, con lui si siano trasformati in angioletti rispettosi e curiosi.
Pur preferendo lavorare con le scuole materne (bambini di 3-5 anni), paradossalmente è proprio con i più grandi che Gino conserva il suo ricordo più bello. «Era un campo diurno per adulti disabili, durante il quale i partecipanti hanno costruito giochi di società di grandi dimensioni; a un certo punto i disabili hanno iniziato a giocare con tutti i normodotati presenti, sentendosi per una volta protagonisti e spettatori allo stesso tempo».
Mentre le attività possibili nella falegnameria ambulante sono abbastanza circoscritte, ai Campi di Borla Gino può permettersi di lavorare con diverse fasce d’età e per periodi di tempo più lunghi, visto che la fattoria può anche ospitare. Ciò gli permette anche di diversificare le attività proposte, incrementandole con quelle più adatte alla preadolescenza – dal taglio di piccoli alberi alle staccionate per i sentieri, dalla rimozione dei tronchi all’edilizia con terra cruda, fino al lavoro con i mattoni, la costruzione di casette, ecc. – per un’esperienza che si rivela più completa di quella della sola falegnameria.
Gino ci descrive la settimana-tipo ai Campi di Borla. Appena arriva un gruppo, si fa un piccolo calendario con i turni per cucinare, per servire, per fare le pulizie. «Sono attività simboliche, realizzate in maniera leggera e giocosa, ma tutte utilissime per educare alla manualità, alla cooperazione, e a non dare nulla per scontato», ci dice. Poi, ogni mattina dopo la colazione, parte un cerchio in cui si decide la suddivisione in gruppi. Uno dei gruppi si reca con lui in falegnameria, nel bosco o nell’orto (a seconda dell’attività prevista). L’altro gruppo aiuta invece nelle faccende domestiche, specie in cucina, dove Donatella insegna ai ragazzi a preparare un pranzo completo. Poi nel pomeriggio si invertono le attività dei gruppi.
«Quando restano una settimana, i bambini arrivano già con delle idee in testa», continua Gino. «Una bambina una volta ha realizzato il trombone della nonna in legno; una ragazzina ha fatto un piccolo telaio perfettamente funzionante; a un bambino che si era costruito un monopattino di legno scavato in un tronco hanno offerto 500 euro una volta rientrato a Milano, ma lui non l’ha voluto vendere».

Gli chiedo come si spieghi che la possibilità dell’autocostruzione riesca ad appassionare così tanto dei bambini abituati alle cose già pronte, che si possono comprare e utilizzare in un attimo. «Io credo – mi risponde – che ogni umano abbia una tendenza ancestrale verso la ricerca di un equilibrio più naturale tra il pensare a un oggetto e realizzarlo con le proprie mani. Forse è per questo che il cervello riscopre questa possibilità non appena gliene si dà la possibilità. Ho tantissimi ricordi di bambini felici dopo aver costruito da soli, senza spendere un centesimo, oggetti piccoli, semplici, senza alcuna dote magica quale muoversi, emettere suoni o lampeggiare».
A conclusione del nostro incontro, gli domando se si sente più artigiano o artista. Lui però glissa e preferisce confidarmi il suo ultimo sogno. Ora che sta invecchiando gli piacerebbe trovare un erede, un giovane apprendista che non creda solo agli attrezzi che impugnerà, ma soprattutto alla valenza politica del suo messaggio. «Ho imparato una serie di cose legate a un sapere che rischiava di andar perso, ma non l’ho certo fatto per guadagnare più soldi. L’ho fatto nell’attesa di tornare utile a indicare la strada il giorno in cui capiremo che quella che il mondo sta percorrendo ora non ci porta da nessuna parte». E chissà che questo articolo non si trasformi in un piccolo messaggio in bottiglia lanciato nel mare di coloro che, al momento delle scelte decisive sulla propria vita, decideranno di andare anch’essi controcorrente, come ha fatto lui.
Usciti dalla falegnameria, noto che il vento ha cessato di soffiare. Gino insiste mentre mi accompagna alla mia auto. «I ragazzi che hanno solo una formazione universitaria spesso rinunciano a essere protagonisti della loro vita. Finiscono per aggrapparsi alla convinzione che qualcuno debba offrirgli un lavoro. Io invece vorrei trasmettere l’idea che ciascuno di noi può costruirsi la sua strada con le proprie forze, senza dipendere dagli altri».
Entro in macchina con una bizzarra sensazione di incompletezza dall’origine ignota. Metto in moto e inizio a percorrere la sterrata in salita che dalla fattoria mi porterà sulla strada principale. Ma all’improvviso realizzo, richiamato dalla mia curiosità insoddisfatta. Allora tiro il freno a mano, apro la portiera, salgo sul predellino e guardo giù verso Gino, distante non più di venti metri. Gli grido: «Ma quindi, alla fine, ti senti più artigiano o più artista?». Risponde facendo roteare un dito accanto all’orecchio, come a scusarsi per il vento che gli impedisce di sentire. Non faccio in tempo a ribattere “guarda che il vento non c’è più”. Lui è più lesto. Mi saluta con quel suo sorriso calmo, sventolando entrambe le mani. Mani grandi di artigiano abitate dallo spirito ribelle di un artista.
fonte: www.italiachecambia.org
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Esperti in economia circolare: in Emilia-Romagna primo corso di istruzione tecnica superiore internazionale
Il corso, completamente gratuito e finanziato dall’Istituto europeo per l’innovazione e la tecnologia (Eit), è stato presentato dall’assessore regionale allo Sviluppo economico e green economy, lavoro formazione, Vincenzo Colla, il 5 marzo , durante un evento on line al quale hanno partecipato anche alcuni degli studenti italiani ed europei che hanno raccontato il loro percorso e i loro progetti lavorativi.
All’incontro sono intervenuti inoltre Marina Silverii, direttore Operativo di Art-ER, Pierluigi Franceschini, Co-Location Center Eit Raw Material, Chiara Pancaldi, direttore di Centoform, Morena Diazzi, direttore generale Economia della conoscenza del lavoro e dell’impresa della Regione, e Daniela Sani, coordinatrice del progetto Eit Raw Material, Art-ER.
Come per gli altri corsi Ift che costituiscono la Rete Politecnica, Jece è autorizzato dalla Regione Emilia-Romagna e, al termine, rilascerà un certificato di specializzazione tecnica superiore, corrispondente al 4° livello del Quadro Europeo delle Qualifiche.
Il percorso è stato progettato insieme alle imprese, partendo da un’analisi dei loro fabbisogni e inserendo rappresentanti delle stesse nella didattica. Si tratta quindi di un caso di successo per la capacità di aggregare reti internazionali e modelli formativi su tematiche innovative e prioritarie per i diversi contesti di produzione industriale. Tra le imprese partecipanti grandi gruppi emiliano-romagnoli come Caviro, Aimag e Hera insieme a startup come Sfridoo e partner internazionali tra cui la Fondazione MyClimate e Rytec Circular AG svizzere, il Wuppertal Institute for Climate, ente di ricerca tedesco, l’Università di Oulu e la Yara Suomi Oy finlandesi.
La partecipazione delle aziende testimonia, inoltre, la richiesta di nuove figure professionali green in grado di condurre e guidare le aziende nella transizione verso un’economia circolare.
Al termine del percorso i partecipanti diventeranno Tecnici per la Sostenibilità e l’Economia Circolare dei Processi Industriali, ossia figure con competenze tecnico-specialistiche e trasversali applicabili in diversi contesti professionali: dall’industria alla manifattura alle aziende di consulenza. Dunque una figura professionale in grado di introdurre sistemi di produzione con criteri di sostenibilità e di economia circolare, scegliendo piani di approvvigionamento da fonti rinnovabili, adottando sistemi di automazione industriale che consentano l’uso razionale delle risorse o di recupero e riciclo degli scarti.
I partecipanti acquisiranno le competenze necessarie a monitorare e valutare l’impatto ambientale delle produzioni, attraverso l’applicazione di metodologie di Life Cycle Assessment e saranno quindi in grado di rispondere ai nuovi bisogni del processo di progettazione, design e sviluppo del prodotto che dovrà sempre di più introdurre, in ogni sua fase, criteri di sostenibilità ed economia circolare. Inoltre, grazie all’impostazione del corso, i nuovi tecnici potranno operare in contesti internazionali.
Sono inoltre aperte le candidature per le imprese e le organizzazioni interessate ad ospitare i ragazzi in stage che possono contattare l’ente di formazione Centoform scrivendo a: contact@studycirculareconomy.com
fonte: www.ecodallecitta.it
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Green economy. Nuova vita per i rifiuti elettrici ed elettronici
(Claudio Tedeschi, presidente di Dismeco)
Al via progetto sperimentale per raccoglierli, predisporli per il loro riutilizzo e organizzarne la vendita presso le grandi catene commerciali. L'assessore Colla: "L'economia circolare è fondamentale per ridare valore a prodotti di scarto e contrastarne l'abbandono nell'ambiente" - Il progetto realizzato dall'azienda Dismeco di Lama di Reno (Bo) congiuntamente a Hera Spa, Aires-Confcommercio (Grande Distribuzione), Cna Bologna, Università di Bologna e Zero Waste Italy. In 5 anni si potrebbero creare decine di posti di lavoroUn progetto sperimentale, unico in Europa, per sperimentare nuove modalità di raccolta ecocompatibili dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), per avviare linee di preparazione per il loro riutilizzo e sviluppare sistemi di vendita di questi prodotti, rigenerati industrialmente e con funzionamento certificato, presso “corner verdi” dedicati posti all'interno dei piccoli negozi e grandi punti vendita di elettronica.
Se ne è parlato in un incontro tra l’assessore regionale allo Sviluppo economico e Green economy, Vincenzo Colla e i vertici di Dismeco Srl, società specializzata nel settore della valorizzazione e trattamento dei Raee.
L’azienda, insieme ad altri soggetti quali Hera Spa, Aires-Confcommercio, Cna Bologna, Università di Bologna, Zero Waste Italy (presieduta dal Nobel per l'Ambiente Rossano Ercolini) e realtà legate alla cooperazione sociale, intende approntare un nuovo progetto nel campo del riciclo e del riuso che potrebbe portare nel giro di un quinquennio a incrementare sensibilmente l’occupazione nella Valle del Reno, presso la sede dell’ex cartiera di Lama di Reno (Bo).
“Un fatto molto importante per il territorio del nostro Appennino e coerente con il Patto per il Lavoro e per il Clima, dove l’economia circolare è uno degli elementi fondanti del posizionamento di questa Regione – ha commentato l’assessore Colla –.
Guardiamo con grande attenzione al tema del riciclo e del riuso e trovo molto interessante il progetto dei corner all'interno dei grandi gruppi commerciali.
Si tratta di un programma industriale unico a livello europeo importante non solo per dare una risposta di mercato sociale e al reinserimento dei prodotti di scarto nella catena del valore, ma anche per intercettare e contrastare efficacemente il rischio di inquinamento per abbandono di rifiuti nell’ambiente”.
“Siamo di fronte a una filiera strategica anche dal punto di vista politico istituzionale – ha continuato l’assessore –.
Siamo un Paese che non ha materie prime, quindi il riciclo e riuso può diventare davvero un driver di sviluppo.
Nel post covid- ha aggiunto- la cultura ambientale sarà sempre più diffusa e anche per questo motivo lavoriamo per dare una certificazione a livello regionale e nazionale a queste filiere”.
“Affrontiamo questa sfida unitamente a partner di primissimo livello – ha detto il presidente di Dismeco, Claudio Tedeschi – certi del necessario e fondamentale supporto istituzionale a questa filiera industriale innovativa.
Con l'implementazione di questo progetto, il territorio dell'Emilia-Romagna si pone al vertice delle politiche legate alla Green Economy, declinandole in maniera operativa e concreta, coniugandole con l'attenzione dovuta alle problematiche sociali e a quelle del lavoro”.
La Dismeco Srl di Bologna è stata la prima azienda nata in Italia per la gestione e il trattamento dei Raee.
Trasferitasi a Marzabotto, in provincia di Bologna, ha riqualificato parte dell’abbandonata ex Cartiera Borgo di Lama di Reno, dove ha insediato il proprio impianto produttivo e industriale.
Ideando e ingegnerizzando innovative attrezzature per la gestione di questa particolare tipologia di rifiuti, non distruttive ma selettive, per materiali e ricambistica (con il record mondiale del 98% di recupero dai cosiddetti grandi bianchi).
Il Borgo Ecologico di Dismeco ha conseguito il Premio di Confindustria nel 2015 come miglior Progetto industriale in campo ambientale in Italia.
Nel 2019 Dismeco ha vinto il premio di Confindustria come “Best Performer dell’Economia Circolare” e nel 2020 è stata selezionata come “Caso di studio internazionale di Economia Circolare” da parte dell’IWWG (International Waste Working Group).
fonte: https://www.cuoreeconomico.com
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Officine Recycle: una nuova vita per uomini e biciclette – Io faccio così #315
Tre storie di tre ragazzi normali. Ed era la normalità stessa che li soffocava, rendendo la loro vita una continua, vana, rincorsa verso la felicità. Due le cose che li accomunano: il coraggio di cambiare, lanciandosi senza rete di sicurezza verso un progetto lavorativo che disinnescasse il lento ticchettio di una vita destinata a ingrigirsi ogni giorno di più. E la passione per la bicicletta.
Prima di farci raccontare la storia del progetto mangiamo, beviamo e conversiamo. Sembra una serata in compagnia degli amici di una vita. Si parla di cambiamento, di lavoro, di coraggio, di famiglia e, naturalmente, di bici. Mi rendo conto che dopo quattro chiacchiere davanti a una birra potrei già scrivere pagine e pagine sulla loro scelta, ma il lavoro è lavoro, così li facciamo accomodare su un divanetto, accendiamo la telecamera e iniziamo l’intervista.
«In Officine Recycle creiamo biciclette su misura», spiega Marco raccontando la genesi del progetto. «Il concetto che sta alla base è il riciclo di vecchie biciclette: vecchie telai che venivano trasformati in cargo-bike, ovvero biciclette da carico. Negli anni il progetto è cresciuto tanto e oggi realizziamo tutti i pezzi all’interno della nostra officina».

I telai realizzati vengono venduti direttamente, senza intermediari. Questa scelta penalizza i produttori dal punto di vista commerciale, ma è una scelta etica: «In questo modo – spiega Marco – l’acquirente finale ha l’opportunità di pagare per il vero valore della bicicletta, perché di mezzo non ci sono container che passano per Taiwan, intermediari e rivenditori».
Inevitabilmente il discorso tocca anche il tema della mobilità: «Una cargo-bike nasce dal bisogno di muoversi in città come se si guidasse un’automobile e per questo negli anni abbiamo sviluppato pianali, box in alluminio per le consegne, cassoni in legno con seggiolini e cinture per il trasporto di bambini. Quando sei fermo al semaforo con la tua auto e accanto a te sfreccia il tuo collega in bicicletta che arriva al lavoro prima di te, magari un pensierino lo fai!».
Dopo l’intervista il lavoro riprenderà e noi avremo l’occasione di assistere alle dinamiche della produzione, affascinati dalle scintille della saldatrice di Marco come bambini davanti a un gioco pirotecnico. Lui è il “mastro di bottega” che si occupa principalmente di assemblare i telai, mentre Erik e Cristian eseguono i lavori di pulitura e smerigliatura delle saldature, assemblaggio dei componenti meccanici, logistica e trasporto dei pezzi per ulteriori lavorazioni.
«Questo è un ambiente più familiare che lavorativo – racconta Cristian –, non come prima, quando il lavoro era una sofferenza per portare a casa la pagnotta. Qua è vivere, semplicemente vivere». «Il lavoro, il tempo libero e la vita si fondono insieme», gli fa eco Marco, che sottolinea la leggerezza del “fare ciò che ci piace”, una passione che rende piacevoli anche le notti passate al banco a fare gli straordinari per evadere una commessa.

Mi raccomando però, non commettete l’errore di pensare che sia stato tutto facile per i ragazzi di Officine Recycle. L’incertezza economica del salto da dipendente con contratto a tempo indeterminato a imprenditore – peraltro in un settore ancora giovane come quello della telaistica per cargo-bike – è stata per anni ed è tutt’ora un fantasma che aleggia fra le stanze dell’officina, con cui però Marco e gli altri ragazzi convivono serenamente. «Oggi lavoro più di prima – confessa –, ma faccio ciò che mi piace e poter gestire il mio tempo non ha prezzo. Se voglio, inizio a saldare la mattina presto così all’ora di pranzo ho finito e posso chiudere bottega e andare a prendere mia figlia per godermi un giro in bicicletta con lei, in assoluta libertà».
Mentre smontiamo l’attrezzatura e ci prepariamo a salutare i ragazzi, scorgo una strana bicicletta nel capanno attiguo all’officina. L’ha costruita Marco per partecipare a un raduno, è una specie di Frankenstein a due ruote: due telai saldati, il sellino e il manubrio a due metri d’altezza, una vasca di alluminio dietro la ruota anteriore, i tubolari dipinti di verde, giallo e rosso. Sorrido pensando che rispecchia perfettamente la filosofia delle Officine Recycle: tanti pezzi vecchi messi insieme per costruire qualcosa di nuovo, un mezzo all’apparenza instabile e precario, ma al tempo stesso colorato, allegro, scanzonato, libero e felice. E, pensate un po’, se pedalate vi può portare ovunque!
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Videoclip “Mare di plastica”
Si chiama “Mare di plastica” il rap a tema ambientale realizzato da un gruppo di ragazzi di Ravenna e prodotto dall’Associazione Tozzi Green Odv (ToGether) in collaborazione con il Centro Mousikè della città romagnola.
Testo interessante, melodia coinvolgente, video suggestivo, il rap è disponibile sui principali canali social, come Facebook, youtube, spotify.
“…e poi mastica mastica mastica
sono a mollo in un mare di plastica…”
fonte: www.snpambiente.it
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Emilia-Romagna, come ridurre i rifiuti di plastica
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fonte: https://www.snpambiente.it
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INCENERITORI ED EFFETTO SERRA Il contributo degli inceneritori alla produzione di gas climalterante con effetto serra
INCENERITORI ED EFFETTO SERRA
Il contributo degli inceneritori alla produzione di gas climalterante con effetto serra
Sintesi
Secondo i dati ISPRA già oggi gli inceneritori emettono CO2 di origine fossile per kWh netta prodotta in misura pari al 220% rispetto alle emissioni del mix energetico nazionale. Mentre le emissioni di quest’ultimo continuano nella loro pronunciata discesa, gli inceneritori non mostrano altrettanta capacità, per cui il gap già elevato è destinato ad ampliarsi.
Questo dimostra che gli inceneritori non sono assolutamente più una alternativa alle fonti fossili nella produzione di energia, e ancor meno rispetto alle prospettive a medio-lungo termine di emissioni del mix energetico nazionale, ma, anche se la quota di energia prodotta dagli inceneritori è bassa, costituiscono comunque, come tutti gli impianti con emissioni superiori al mix energetico nazionale, una palla al piede rispetto agli obiettivi europei di azzerare le emissioni entro il 2050.
Non appaiono più neanche una valida alternativa rispetto alle discariche dato che con la stabilizzazione obbligatoria del RUR e la captazione del biogas le emissioni di CO2 equivalente derivanti dalla produzione di biogas non sembrano colmare il divario.
Occorre mettere in campo da subito una exit strategy dall’incenerimento che veda la loro chiusura anticipatamente e comunque non oltre la fine degli ammortamenti degli investimenti già eseguiti, e che metta in campo tecnologie e metodologie di gestione dei rifiuti alternative più efficienti, tanto più in considerazione del trend di riduzione dei rifiuti urbani da smaltire.
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Relazione
Per dimostrare che l'incenerimento ha una funzione ambientale positiva si è sempre affermato che tale pratica permette una riduzione delle emissioni di gas climalteranti, usando uno o più dei seguenti argomenti:
· L’energia prodotta da RU è “rinnovabile” (oppure)
· Pur essendo solo parzialmente rinnovabile, sostituisce fonti fossili (oppure) le emissioni di CO2 di origine fossile derivanti dall'incenerimento per unità di energia prodotta sarebbero inferiori a quelli emesse dalle altre fonti di energia.
Tralasciando la prima affermazione, palesemente inconsistente ad uno scrutinio scientifico, esaminiamo le altre due. Chi afferma questo normalmente prende a riferimento tre parametri obsoleti. Infatti il confronto viene fatto:
•• con i combustibili fossili e non col mix energetico nazionale di produzione di energia; e/o
•• prendendo in considerazione la produzione di energia lorda e non quella netta; e/o
•• aggiungendo al risparmio di CO2 equivalente anche l'effetto equivalente delle tradizionali emissioni di metano dalle discariche.
Oggi il confronto va fatto non solo rispetto all'attuale mix energetico nazionale per unità netta di energia prodotta, ma soprattutto rispetto alle prospettive a medio-lungo termine di emissioni del mix energetico nazionale. In effetti, la decarbonizzazione in corso della produzione energetica, processo unidirezionale e con obiettivi dichiarati e condivisi a livello UE, comporta produzioni specifiche di gas climalteranti per kWh prodotto sempre più basse.
Dalle dichiarazioni ambientali dei gestori degli 8 inceneritori per rifiuti urbani presenti nel 2018 in Emilia Romagna, di cui 4 con sola produzione di energia elettrica e 4 con produzione di energia elettrica e termica, si ottiene un dato medio di CO2 totale emessa di 1.135,6 grammi per kWh lordo prodotto. Se prendiamo questo dato come riferimento le emissioni di CO2 degli inceneritori risultano nettamente superiori anche alle emissioni del carbone (884 grammi/kWh lordo).
Ma la CO2 emessa dagli inceneritori proviene dalla combustione sia di prodotti derivati dal petrolio (fossile) sia dalla combustione di sostanza organica (biogenica) derivante direttamente o indirettamente dalla fotosintesi.
La CO2 di derivazione biogenica viene indicata ad effetto neutro rispetto ai cambiamenti climatici perché restituisce all'atmosfera quella sottratta con la fotosintesi[1]. Ovviamente se l'atmosfera, come attualmente, ha già una sovrabbondanza di CO2, sarebbe più utile prevedere processi che sequestrino il carbonio senza reimmetterlo in atmosfera per ridurre l'effetto serra, come avviene in parte con la trasformazione della sostanza organica in compost utilizzato come ammendante dei terreni.
La CO2 di derivazione fossile produce un incremento di gas climalterante in atmosfera con aumento dell'effetto serra[2].
Nella dichiarazione ambientale dei gestori degli inceneritori non viene normalmente specificato quanta della CO2 emessa è di tipo fossile e quanta di tipo biogenica, lasciando intendere che quella biogenetica risulta superiore a quella fossile.
ISPRA[3] certifica[4] che nel 2018 gli inceneritori in Italia hanno emesso 554,2 grammi di CO2 fossile per kWh lordo prodotto di energia combinata termica ed elettrica. Applicando questo dato agli inceneritori dell'Emilia Romagna si ottiene che del totale di CO2 emessa il 48,9% è fossile mentre il 51,1% (pari a 581,4 grammi) è biogenica.
Nello stesso anno (2018) le emissioni del mix energetico nazionale[5] per kWh lordo erano di 281,4 grammi, mentre quelle del comparto termoelettrico per i soli combustibili fossili era di 493,8 grammi.
Questa evidenza, che può apparire paradossale, è in realtà pienamente comprensibile laddove si ponga mente al fatto che gli inceneritori sono impianti poco efficienti rispetto alle centrali elettriche avendo un rendimento lordo, in termini di energia elettrica, attorno al 24%, rispetto al 44,8% delle centrali termoelettriche.
Ma ancor più gli inceneritori sono impianti fortemente energivori. Nei 4 impianti dell'Emilia Romagna con sola produzione di energia elettrica si ha un autoconsumo di energia pari al 22,7%, mentre negli altri 4 con produzione cogenerativa elettrica e termica l'autoconsumo scende al 16,0%. La media di autoconsumo è del 18,3%.
Dai dati ISPRA si apprende che l'autoconsumo per l'intero comparto degli impianti termoelettrici, comprendenti sia quelli con sola produzione elettrica sia quelli con produzione combinata è molto minore e pari al 4,7%.
Se si calcolano le emissioni degli inceneritori di CO2 totale per energia netta prodotta si ottengono 1.389 grammi per kWh netto prodotto, di cui 678 grammi di origine fossile ben oltre il doppio dei 295 del mix energetico nazionale.
Per l'incenerimento la quota di CO2 biogenetica per kWh netto sale a 711 grammi, emissioni non presenti nel resto del comparto termoelettrico, a parte le centrali a biomasse.

Se il rifiuto residuo viene collocato in discarica senza alcun pretrattamento, dalla sostanza organica biogenica si producono nell'arco di 40 anni sostanze gassose (biogas). Tolta una piccola percentuale di altri gas, circa la metà del carbonio biogenico si trasforma in CO2 biogenica e l'altra metà in metano (CH4). Il metano è un gas con potere climalterante 34 volte superiore rispetto alla CO2, anche se meno persistente in atmosfera perché tende a degradarsi col tempo.
Senza alcun intervento le emissioni climalteranti delle discariche risulterebbero nettamente superiori alla CO2 fossile derivante dall'incenerimento.
Oggi però le condizioni sono profondamente mutate, non solo perché circa l'80% del biogas viene captato per alimentare generatori elettrici o, in misura minore, eliminato in torcia, trasformando il metano in CO2 di origine biogenica e quindi considerato neutro sotto l'aspetto climalterante, ma soprattutto perché da alcuni anni è stato finalmente recepita la direttiva discariche 99/31 che impone:
1. la riduzione progressiva del rifiuto biodegradabile in discarica
2. il pretrattamento del rifiuto, che comporta, per il materiale non incenerito, la stabilizzazione della frazione organica prima dello smaltimento.
Per queste ragioni la produzione di biogas dai nuovi rifiuti smaltiti risulta fortemente ridotta, in modo tale, a nostro avviso, da non poter colmare il divario esistente fra emissioni degli inceneritori ed emissioni del mix energetico nazionale.
Da un'analisi di 195 campioni di RUR (Rifiuto Urbano Residuo) condotta da ARPAE[6] dell'Emilia Romagna tra il 2015 e il 2017 risulta una presenza di rifiuti di origine fossile (plastiche varie, quota parte di tessili, di prodotti assorbenti per l'igiene e altre frazioni minori) pari al 23,8% su 276 kg pro-capite di RUR in caso di raccolta prevalentemente stradale, e una quota del 31% su 128 kg pro-capite in caso di una raccolta prevalentemente porta a porta con una media del 25,1% su 227 kg di RUR[7]. Questi dati indicano che più aumenta la raccolta differenziata e diminuisce il RUR pro-capite prodotto, più in esso si concentrano le plastiche. I dati di presenza di plastiche emersi in Emilia Romagna sono superiori a quanto normalmente indica la media nazionale e a quanto indicano i gestori (14-19%) per correlarlo alle proprie emissioni di CO2 fossile.
Si ritiene pertanto che, più progredisce la raccolta differenziata, maggiori siano i quantitativi di emissione di CO2 di origine fossile (dunque non neutra dal punto di vista climalterante) per kg di RUR incenerito e per kWh prodotto, mentre con il trattamento di biostabilizzazione il carbonio di origine fossile rimane “sequestrato” in discarica, e non immesso in atmosfera. È possibile che già oggi il dato di materiale di origine fossile sia sottostimato, ma soprattutto la prospettiva è di una sempre maggiore incidenza della CO2 fossile sul totale della CO2 emessa dagli inceneritori per unità di rifiuti trattato.
Ma anche prendendo come riferimento i dati nazionali appare evidente l'insostenibilità ambientale dell'uso degli inceneritori come strumenti di produzione energetica. Gli inceneritori appaiono impianti energetici sempre più obsoleti, inefficienti, a basso rendimento ed energivori e con scarsissima suscettibilità di miglioramento.
L'obiettivo dell'Unione Europea è di azzerare le emissioni di CO2 fossile entro il 2050. Il trend di emissioni del mix energetico italiano è in forte e costante decrescita. Nel 1990[8] era di 576,9 grammi/kWh lordo. Nel 2018, dopo 28 anni era quasi dimezzato a 281,4 grammi. La linea di tendenza di questo trend porta all'azzeramento prima della data dell'obiettivo.
Per poter centrare l'obiettivo occorre programmare l'abbandono non solo delle fonti e degli impianti che producono emissioni oltre il mix energetico attuale, ma rivolgersi a fonti ed impianti che assicurino di rimanere sempre sotto il trend di decrescita delle emissioni, avendo come riferimento, come indica la UE, non la situazione attuale, ma l'obiettivo di emissioni dell'anno di fine ammortamento dell'impianto.
Poiché normalmente il tempo di ammortamento degli impianti è calcolato in 20 anni, un qualsiasi impianto che entra in funzione oggi, nel 2020 deve garantire emissioni di CO2 fossile non superiori a quelle previste nel 2040, quindi sotto i 100 grammi per kWh prodotta.
Confrontando il trend di calo di emissioni di CO2 fossile del mix energetico nazionale dal 2010 al 2018, pari a meno 26%, con quello minore degli inceneritori pari a meno 16%, si constata che il divario aumenta.
Il calo degli inceneritori è dovuto soprattutto al passaggio da sola produzione elettrica a produzione combinata di elettricità e calore, per cui i margini di miglioramento tendono ad esaurirsi, come dimostra la curva che tende ad appiattirsi negli ultimi anni.

Gli inceneritori già oggi non solo producono emissioni maggiori di oltre il 100% rispetto all'energia netta prodotta, ma danno anche la garanzia di peggiorare la situazione rispetto al trend, una vera palla al piede alla lotta ai cambiamenti climatici.
Occorre quindi mettere in campo da subito una exit strategy dall'incenerimento che veda la loro chiusura anticipatamente e comunque non oltre la fine degli ammortamenti degli investimenti già eseguiti, e che metta in campo tecnologie e metodologie di gestione dei rifiuti alternative più efficienti, tanto più in considerazione del trend di riduzione dei rifiuti urbani da smaltire.
Conclusioni
Il contributo dell'incenerimento dei rifiuti nella produzione nazionale di energia, sebbene assai limitato, è stato finora indicato come una alternativa alla produzione tradizionale di energia che permette una riduzione delle emissioni di gas climalterante.
Oggi, viceversa, grazie al dimezzamento delle emissioni del mix energetico nazionale, l'incenerimento dei rifiuti contribuisce, assieme ai combustibili fossili, al peggioramento dell'effetto serra, allontanando l'obiettivo europeo di azzerare le emissioni al 2050, obiettivo che potrà essere raggiunto solo se verranno eliminate nei tempi richiesti tutte le fonti maggiormante emissive sostituendole con fonti non emissive.
D'altra parte il recupero energetico finora è stato l'argomento principale che ha collocato l'incenerimento su un gradino superiore rispetto alla discarica. Con quanto esposto questo argomento sembra ormai venuto meno.
Anche la combustione del rifiuto come alternativa al collocamento in discarica per eliminare la dispersione di metano (quale gas fortemente climalterante) che si origina in discarica dai rifiuti organici sottoposti ad ambiente anaerobico, appare superata con le nuove pratiche definitivamente introdotte di biostabilizzazione e di captazione del biogas a fini energetici.
In un contesto ormai profondamente modificato anche rispetto a pochi anni addietro, gli assunti del passato vanno rimessi in discussione e rivisti sulla base delle nuove condizioni per verificare se quel gradino di differenza fra incenerimento e discarica esista ancora o sia venuto meno come i dati esposti indicano.
Ma il tutto va rivisto in base all'evoluzione della produzione e gestione dei rifiuti, del calo sempre più marcato del residuo da smaltire e della sua composizione, alla continua evoluzione delle tecnologie che oggi permettono sia di ampliare e riciclare la gamma delle frazioni differenziate raccolte, ma anche di trattare diversamente il rifiuto residuo e gli scarti delle raccolte differenziate, per cui l'alternativa non è più fra discarica e inceneritore, ma fra questi strumenti e altri stumenti emersi o che stanno emergendo.
In tutti i casi la verifica delle emissioni climalteranti degli inceneritori che abbiamo riportato in confronto con l'insieme dei risultati delle altre fonte energetiche, ma soprattutto rispetto alle prospettive a medio-lungo termine di emissioni del mix energetico nazionale, ci dicono che l'incenerimento dei rifiuti uno strumento ormai superato e diventato dannoso, che non può più avere un alcun futuro ma solo essere oggetto di una exit strategy assieme all'approfondimento delle alternative[9] già in essere che possono sostituirlo.
Comitato Scientifico Rete Rifiuti Zero E
[1] Sul fatto che l'effetto sia effettivamente neutro sono stati sollevati molti dubbi a nostro avviso fondati.
[2] Uno studio di UNIMORE sull'inceneritore di Coriano (RN) indica emissioni per kWh lordo prodotto pari a 564 grammi di CO2 fossile e 885 di CO2 biogenica. Prof. A. M. Ferrari "AnalisiLCA dell’inceneritore dei rifiuti solidi urbani di Coriano (RN)" (in PDF)
[3] ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale,
[4] ISPRA – Fattori emissione produzione e consumo elettricità 2019
[5] ISPRA – Rapporti 280/2018 “Fattori di emissione in atmosfera di gas a effetto serra e altri gas nel settore elettrico”
[6] Nostra elaborazione su documentazione ARPAE
[7] La componente fossile risulta mediamente pari al 35% dei solidi volatili.
[8] ISPRA – Rapporti 317/2020 "Fattori di emissione di gas ad effetto serranel settore elettrico nazionale e nei principali paesi Europei"
[9] le alternative che verranno descritte in altre schede, si possono così sintetizzare: interventi a monte del trattamento attraverso il potenziamento delle azioni di riduzione dei rifiuti, il prolungamento della vita utile dei beni, l'ampliamento delle frazioni differenziate raccolte e il loro riciclaggio, l'applicazione dei più performanti sistemi di raccolta sia sotto l'aspetto quantitativo che sotto quello qualitativo per rendere minimo sia il RUR che gli scarti delle frazioni differenziate. Interventi sul trattamento con la selezione del RUR ai fini dell'ulteriore intercettazione di materiali riciclabile e la biostabilizzazione delle frazioni organiche fino a bassi indici respirometrici, con utilizzo alternativo del biostabilizzato. Interventi sulla produzione dei beni sulla base dell'analisi del rifiuto residuo per eliminare qualsiasi prodotto non riusabile o non riciclabile.
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