I tre pilastri dell'agricoltura di domani: autoconsumo, scambio e vendita delle eccedenze
Alimenti e imballaggi non trasmettono il coronavirus. Lo dice il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare
La transizione ecologica dei sistemi alimentari

Il pre-summit ONU svoltosi a Roma tra il 26 e 28 luglio 2021, in vista del vertice sui sistemi alimentari in programma a settembre a New York, ha discusso di come trasformare il sistema alimentare globale alla luce della crisi climatica in corso, per evitare un peggioramento della crisi alimentare nei prossimi decenni. Alla base del dibattito l'idea che, agendo sull'alimentazione, si possano fare progressi su altri ambiti connessi come fame, cambiamento climatico, povertà e diseguaglianze.
I sistemi alimentari, che includono tutte le fasi e le attività che riguardano la produzione, la lavorazione, la distribuzione, la preparazione e il consumo di cibo, sono responsabili fino al 37% di tutte le emissioni di gas serra, secondo le analisi dell'Ipcc. Solo le perdite e gli sprechi di cibo rappresentano l'8% di tutte le emissioni di gas serra; la riduzione di tali perdite o l’adozione di diete più sostenibili rappresenterebbero l'opportunità di ridurre le emissioni di ben 12,5 Gt CO2e, che sarebbe come eliminare 2,7 miliardi di auto dalle strade.
Il settore agricolo, inoltre, costituisce un'importante fonte di pressione sulle acque, a causa dell'inquinamento diffuso da nutrienti e sostanze chimiche, ma anche del prelievo di acqua (l'agricoltura rappresenta fino al 60% del consumo netto di acqua a livello europeo) e dei cambiamenti fisici negli habitat, come emerge dal Report EEA Water and agriculture: towards sustainable solutions.
Se il settore primario è tra i principali responsabili della crisi ambientale e climatica in atto, allo stesso tempo esso ne subisce le conseguenze più gravi. I cambiamenti climatici alterano infatti le condizioni di crescita delle colture regionali e l'incidenza dei parassiti. Si prevede che i rendimenti annuali diventeranno più variabili e aumenterà la variabilità dei prezzi delle materie prime agricole. Ciò influenzerà i modelli di coltivazione, il commercio internazionale e i mercati regionali.
Gli effetti negativi del cambiamento climatico impattano inoltre sulla nostra alimentazione: dalla frequenza e intensità degli eventi estremi che colpiscono i suoli agricoli dipende infatti anche la qualità, la quantità, il prezzo e la provenienza di ciò che mettiamo nel carrello della spesa.
Ma come invertire questo processo e salvaguardare il settore agricolo ed alimentare dai gravi effetti dei cambiamenti climatici e allo tempo ridurre gli impatti da esso prodotti?
Nel Piano nazionale ripresa e resilienza una delle aree riguarda l'Agricoltura sostenibile e l'economia circolare, tra i cui obiettivi troviamo quello di sviluppare una filiera agricola/alimentare smart e sostenibile, per ridurre l’impatto ambientale in un settore che rappresenta una delle eccellenze italiane. In linea con la strategia europea “Dal produttore al consumatore”, l’obiettivo è quello di realizzare una filiera agroalimentare sostenibile, migliorando la competitività delle aziende agricole e le loro prestazioni climatico-ambientali, rafforzando le infrastrutture logistiche del settore, riducendo le emissioni di gas serra e sostenendo la diffusione dell'agricoltura di precisione e l’ammodernamento dei macchinari.
Anche nel quarto "Rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia", il Ministero per la transizione ecologica, al fine di salvaguardare la biodiversità e ripristinare gli ecosistemi, traccia una strada da percorrere verso agricoltura e pesca sostenibili nonché sistemi alimentari sostenibili.
L'associazione Terra! ha stilato un elenco di 12 passi ritenuti fondamentali per restituire all’agricoltura il suo valore intrinseco, dalla tutela del paesaggio al clima.
Passo 1 Teniamo vivo il suolo. Il suolo rappresenta, insieme agli oceani, il più importante serbatoio globale di gas serra e gioca un ruolo chiave nella lotta al cambiamento climatico. Nel nostro Paese, come emerge dall'ultimo rapporto SNPA, dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire lo stoccaggio di quasi tre milioni di tonnellate di carbonio, l’equivalente di oltre un milione di macchine in più circolanti nello stesso periodo per un totale di più di 90 miliardi di km. Allo stesso tempo il suolo non ha potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli. Il modo in cui vengono gestiti i terreni agricoli e quindi lo stesso sistema agricolo può contribuire a ridurre gli impatti negativi del cambiamento climatico sulle società e gli ecosistemi.
Passo 2 Ripensiamo l'allevamento industriale. II contributo della zootecnica al riscaldamento globale è equivalente a quello dei trasporti. Più della metà delle emissioni globali di metano, ad esempio, derivano dalle attività umane tra cui il settore zootecnico, le cui emissioni per tale inquinante sono aumentate drammaticamente del 70% dal 1961 a oggi e si prevede che rappresenteranno una quota crescente delle emissioni future. Si rende dunque necessaria da una parte una riduzione del consumo di carne e derivati, anche attraverso la trasparenza sui costi ambientali della produzione di carne e latticini, dall'altra una progressiva chiusura degli allevamenti industriali.
Passo 3 Riduciamo le disuguaglianze climatiche. In Italia, il Sud, più del Nord, rischia perdite pesanti in filiere come olio, vino, frumento e pomodoro. Per questo si rende necessario investire nell'irrigazione efficiente e nell'adattamento delle colture al clima.
Passo 4 Non avveleniamo il cibo. Secondo l'ultimo rapporto Ispra, nelle acque superficiali italiane sono stati trovati pesticidi nel 77,3% dei 1.980 punti di monitoraggio e in quelle sotterranee nel 32,2% dei 2.795 punti. La strategia europea “Dal produttore al consumatore” si pone l’obiettivo di dimezzare l’uso di pesticidi entro il 2030 e questo dovrebbe portare ad un aggiornamento del Piano nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, risalente ormai al 2014, prevedendo misure vincolanti per sostituire questo trattamento delle piante con alternative non inquinanti e pericolose per la salute.
Passo 5 Difendiamo le “operaie”. Gli impollinatori garantiscono all'uomo una fonte di cibo costante con un lavoro gratuito che difficilmente riusciamo ad osservare: il 30% del cibo che consumiamo dipende direttamente dall’impollinazione degli insetti e la loro opera influenza a livello qualitativo e quantitativo oltre il 70% delle colture. I cambiamenti climatici sono tra i fattori che più incidono sulla popolazione di impollinatori, creando gravissimi problemi alla loro sopravvivenza e ostacolando l’aiuto che forniscono all’agricoltura. È dunque necessario tutelare la biodiversità per salvare le api e gli altri impollinatori dall’estinzione.
Passo 6 Rimettiamo i semi in mano al contadino. Da sempre gli agricoltori sono custodi e innovatori della biodiversità agricola. Tuttavia, oggi le sementi sono sempre più gestite da imprese multinazionali che governano le filiere globali e la progressiva concentrazione ha portato ad una riduzione delle varietà coltivate; meno specie significa però maggiore rischio, perché i sistemi agricoli più sono complessi, più sono resilienti. Riformare l’agricoltura industriale significa dunque anche restituire agli agricoltori il diritto di selezionare, riprodurre e scambiare le proprie sementi.
Passo 7 Accorciamo la filiera. Il nostro paese risulta al quinto posto per importazione di emissioni legate a beni intermedi agricoli e al decimo posto per l’import di emissioni legate a prodotti alimentari. Per adattare il sistema alimentare alle sfide attuali è dunque necessario ridurre il commercio globale, rafforzando la produzione e gli scambi territoriali.
Passo 8 Non facciamo “sconti”. Nel nostro paese 180 mila lavoratori agricoli particolarmente vulnerabili, esposti a fenomeni di sfruttamento e caporalato, non trovano protezione per una serie di ragioni. Allo stesso tempo, dal lato del consumatore è assente una valida etichetta narrante sui prodotti, che consenta un controllo pubblico sulle modalità di produzione e i vari passaggi della catena. Questo passo richiede quindi il divieto di pratiche sleali della grande distribuzione, il contrasto del caporalato e la riduzione dell’impatto ambientale dei prodotti.
Passo 9 Sprechiamo meno, mangiamo meglio. In Italia, secondo ISPRA, si sprecano circa 5,2 milioni di tonnellate di cibo, per 24,5 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra Investire dunque nella riduzione degli sprechi in tutte le fasi della filiera è una priorità per intraprendere una vera transizione ecologica. Alle campagne di sensibilizzazione nei confronti dei consumatori va accostata una riforma della filiera che riduca il packaging dei prodotti e favorisca il fresco agli alimenti trasformati.
Passo 10 Sposiamo l'agroecologia. Passare dall’agricoltura industriale ad un approccio agroecologico implica lo sforzo di riformare il sistema alimentare nel suo complesso: nella pratica, significa scoraggiare la produzione fondata sulle monocolture e sostenere l’agricoltura familiare che riduce gli input esterni, rispetta la stagionalità, rigenera il suolo, rispetta i diritti sociali e si rivolge al mercato locale.
Passo 11 Sosteniamo il ricambio generazionale. Secondo un rapporto della Corte dei Conti europea, circa il 60% dei giovani agricoltori europei ha difficoltà ad acquistare o affittare i terreni e ciò privilegia il ricambio generazionale all'interno della famiglia. L'11% di tutte le aziende agricole dell’Unione europea è gestito da agricoltori al di sotto dei 40 anni. Occorre invece accelerare l’ingresso dei giovani e la riconversione ecologica, supportando, sostenendo e formando i nuovi agricoltori.
Passo 12 Avviciniamo cibo e città. Le città possono costituire un ambiente favorevole allo sviluppo di una produzione alimentare locale ed ecologica. Il ruolo delle amministrazioni pubbliche è una chiave importante per favorire dinamiche virtuose: dalle mense scolastiche a quelle ospedaliere, dai mercati rionali ai programmi di supporto alla povertà alimentare, dalla lotta agli sprechi fino all’assegnazione delle terre pubbliche ai giovani agricoltori, gli enti locali possono imprimere una direzione di sostenibilità alla produzione e distribuzione del cibo.
Per approfondimenti: 12 passi per la terra (e il clima)
fonte: www.arpat.toscana.it
=> Seguici su Blogger
=> Seguici su Facebook
Earth Day: Cibo per Nutrire il Pianeta Terra
Dopo il successo della prima edizione, che ha riunito più di 100 voci di esperti, con 24 sessioni di lavoro, e registrato più di 100mila partecipanti in tutto il mondo, torna la staffetta virtuale per il Pianeta che, come un’ideale torcia olimpica, viaggerà da Est a Ovest e coinvolgerà imprenditori, startup, scienziati, giornalisti, giovani leader, policymakers, consulenti, agricoltori da ogni angolo del mondo con l’obiettivo di confrontarsi sulle migliori esperienze sui sistemi alimentari sostenibili.
Il Pianeta è in sofferenza: a livello globale, circa il 25% della superficie terrestre è stata danneggiata. Ogni anno si perdono 24 miliardi di tonnellate di terreno fertile, in gran parte a causa di pratiche agricole insostenibili (fonte: thegef.org), a cui si aggiungono le emissioni di gas serra prodotte per il 18,4% direttamente da agricoltura e silvicoltura (fonte: https://ourworldindata.org).
L’evento, che si inserisce tra le iniziative organizzate da EarthDay.org, l’organizzazione di Washington che da 51 anni organizza la Giornata Mondiale della Terra, attraverserà tutti i paesi del G20, il Mediterraneo, paesi emergenti e zone del mondo Patrimonio Naturale dell’Umanità: si susseguiranno interventi da Australia, Corea del Sud, Indonesia, India, Cina, Giappone, Singapore, Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Turchia, Vaticano, Italia, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito, Sud Africa, Tunisia, Senegal, Costa d’Avorio, Congo, Zimbabwe, Stati Uniti d’America, Messico, Brasile, Repubblica Dominicana, Colombia, Costa Rica, Argentina e Canada.
Diverse le figure istituzionali che porteranno un loro contributo alla maratona, interverranno tra gli altri: il Direttore Generale Fao QU Dongyu, il vicedirettore e consigliere speciale Fao Maurizio Martina e il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, oltre a Ministri e Rappresentanze istituzionali da tutto il mondo.
La Global 24-hour Digital Marathon 2021 prevede anche collegamenti con i “Climate Shapers connessi da tutto il mondo ed impegnati in vere e proprie Climate Actions”. Dall’Italia ci si connetterà con Pollica, paese che ha ospitato il primo Boot Camp italiano per Formare Climate Shapers già nel 2020, luogo-simbolo per il rispetto dell’ambiente, della legalità e culla della Dieta Mediterranea. Il sindaco Stefano Pisani, il Forum dei Giovani ed i ragazzi delle scuole che saranno protagonisti di una grande lezione sul Pianeta che si terrà sulla famosa spiaggia Cinque Vele di Legambiente dal 2000. È previsto, inoltre, un momento più riflessivo dedicato al cibo e alla sostenibilità ambientale con un focus sulla Dieta Mediterranea, stile di vita che mira all’armonia tra l’uomo e l’ambiente e quindi alla salvaguardia della biodiversità e della nostra identità.
“La seconda edizione di Food for Earth Day rappresenta un’occasione unica per condividere conoscenze e competenze sui sistemi alimentari e sui loro impatti dal punto di vista sociale, culturale, ambientale, istituzionale, economico. Una base per ripensare i sistemi alimentari e per renderli più sostenibili – dichiara Sara Roversi, Fondatrice e Presidente del Future Food Institute -. Per riuscirci abbiamo bisogno di un pensiero sistemico, piattaforme multi-stakeholder e profili multidisciplinari. In questo senso, la maratona rappresenta un esempio unico sia di contenuti straordinari, che verranno raccolti in un libro, sia del potere di partnership tra settore pubblico e privato per contribuire a pratiche nuove, circolari e rigenerative”.
“La sostenibilità è il più grande obiettivo dell’umanità e l’unica via da seguire. Per questo grande scopo, abbiamo bisogno di professionisti competenti che siano in grado e capace di prendere decisioni appropriate, formulare politiche mirate e sostenibili e strategie e adottando metodologie e tecnologie “verdi” innovative. Dobbiamo generare responsabili del cambiamento, modellatori del clima e futuri leader autorizzati a rivoluzionare in modo sostenibile il cibo ecosistema, nel pieno rispetto dell’umanità e del nostro pianeta”, dichiara Cristina Petracchi, responsabile dell’Accademia e-learning della FAO.
La diretta dell’evento sarà trasmessa integralmente sul canale Youtube di Future Food Institute e sul sito dell’evento www.foodforearth.org
Sulla pagina Facebook di Future Food Institute verranno trasmesse le due sessioni italiane:
“Mediterraneo e Dieta Mediterranea: Patrimonio essenziale per il futuro dell’Umanità” ore 15.30 – 16.15
Intervengono:
Stefano Patuanelli*, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali
Grammenos Mastrojeni, Vice Segretario Generale dell’Unione per il Mediterraneo
Angelo Riccaboni , Presidente di Fondazione Prima
Stefano Pisani, Sindaco di Pollica (Comunità Emblematica Unesco della Dieta Mediterranea)
Diana Battaggia, Direttore di UNIDO ITPO
Benedetto Zacchiroli, Presidente ICCAR UNESCO,
Elisabetta Moro, MedEatResearch, Università Suor Orsola Benincasa
Antonio Parenti, Capo Rappresentanza della Commissione Europea in Italia
Modera: Sara Roversi, Presidente future Food Institute
*in attesa di conferma
“Agorà Italia: il ruolo cruciale del nostro paese nell’anno della Presidenza del G20, di COP26 e del Food Systems Summit” ore 17.15 – 18.00
Intervengono:
Luigi Di Maio, Ministro degli Affari Esteri
Maurizio Martina, Special advisor e vice direttore generale FAO
Prof. Riccardo Valentini, University of Tuscia DIBAF; Premio Nobel per la Pace nel 2007 e membro dell’ Intergovernmental Panel on Climate Change
Emanuela Del Re, Presidente del Comitato Permanente sull’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile
La voce dei Climate Shapers: Bernardo Melotti, Marina Lipari
Modera: Sara Roversi, Presidente future Food Institute
fonte: www.rinnovabili.it
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
Cambiamenti climatici, FAO: a rischio le risorse alimentari mondiali

I cambiamenti climatici stanno colpendo duramente I Paesi anche dal punto di vista dell’approvvigionamento di cibo. A lanciare l’allarme è la FAO, attraverso lo studio “The Impact of Disasters and Crises on Agriculture and Food Security” (Trad. Impatto dei disastri e delle crisi sull’agricoltura e la sicurezza alimentare).
Alimentazione mondiale a rischio secondo la Food and Agriculture Organization, che sottolinea come le calamità naturali siano costate ai settori agricoli dei Paesi in via di sviluppo oltre 108 miliardi di dollari.
Nel report sono stati analizzati gli effetti provocati da 457 disastri ambientali naturali, verificatisi in 109 Paesi (inclusi quelli più ricchi). Sono state considerate sia le perdite economiche, ma anche quelle relative ai mezzi di sostentamento. In 389 casi le calamità naturali hanno compromesso anche la produzione agricola. Maggiormente colpite le nazioni in via di sviluppo, ben 94.
Cambiamenti climatici, rischi per il futuro dell’alimentazione
Secondo il bilancio tratto dalla FAO i cambiamenti climatici e gli eventi meteorologici estremi sono costati al comparto agricolo oltre 108 miliardi di dollari ai settori agricoli dei soli Paesi più poveri. Particolarmente danneggiati risulterebbero i piccoli produttori, allevatori e pescatori locali.
I mutamenti nel clima mondiale stanno aumentando i rischi legati alla siccità, la principale minaccia, ma anche alle infestazioni da parassiti o insetti, alle malattie (Covid-19 e non solo). La pandemia di Coronavirus, ha concluso la FAO, oltre ad aver colpito l’umanità in maniera diretta sta aggravando i rischi sistemici legati al settore alimentare.
Fonte: Adnkronos
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
Microplastiche e biberon: un neonato è esposto in media a un milione e mezzo di particelle al giorno, rivela uno studio
I biberon e gli altri contenitori in plastica utilizzati per dare ai neonati latte, tisane e succhi, e per conservare alimenti per bambini possono rilasciare molte microplastiche, soprattutto se vengono scaldati. Tuttavia, anche se è molto difficile evitare del tutto di utilizzarli, esistono accorgimenti per minimizzare il rischio, che andrebbero messi in pratica più spesso, perché degli effetti diretti delle microplastiche su un organismo in sviluppo si sa ancora troppo poco.
A quantificare il rilascio di microplastiche di polipropilene, il polimero più usato per questi scopi, è uno studio appena pubblicato su Nature Food dagli esperti del Trinity College di Dublino, che hanno anche stilato una serie di raccomandazioni semplici ma efficaci.
Innanzitutto le cifre: gli autori hanno analizzato dieci tipi di biberon di polipropilene tra i più diffusi a livello internazionale, che rappresentano il 68% del mercato. Se si applica un protocollo di somministrazioni tipico per un bambino di 12 mesi, si vede che in media un biberon (ma anche un contenitore per alimenti) può rilasciare fino a 16 trilioni di particelle per litro, e la quantità dipende dalla temperatura. La relazione è lineare: via via che si passa da 25 a 95°C si va infatti da 0,6 a 55 milioni di microplastiche per litro.
Se poi si prendono in considerazione l’allattamento medio così come è raccomandato dalle linee guida internazionali (come quelle dell’Oms) e le modalità di preparazione consigliate, emerge che in 48 paesi ogni neonato è esposto, mediamente, a più di un milione e mezzo di microplastiche al giorno (1,58), e che le aree dove la situazione è più critica sono Oceania, Nord America ed Europa, con valori medi pari, rispettivamente, a 2,10, 2,28 e 2,61 milioni di microparticelle al giorno.
La temperatura, però, fa una grande differenza: quando l’acqua per preparare il latte è portata a 70°C direttamente nel contenitore, come raccomandato, vengono rilasciate anche 16,2 milioni di microplastiche per litro, e se i gradi arrivano a 95 le particelle per litro possono essere 55 milioni. Al contrario, a temperatura ambiente (25°C) le microplastiche sono in media 600 mila, ma questa temperatura è molto al di sotto di quanto raccomandato per la sterilizzazione e la preparazione del latte.
Come se ne esce? Innanzitutto – rispondono i ricercatori – seguendo scrupolosamente le linee guida più affidabili, che raccomandano sempre di non scaldare liquidi direttamente nel biberon, ma a parte, in contenitori di acciaio o comunque non di plastica. Poi si possono travasare nel biberon (che dovrebbe sempre essere di plastica di qualità) solo una volta pronti e raffreddati alla giusta temperatura, senza agitarli energicamente.
Un altro aspetto da considerare è quello del tipo di riscaldamento: bisogna sempre evitare il microonde. Allo stesso modo, mai riscaldare una seconda volta il latte o un alimento avanzato ma vanno buttati a fine pasto, soprattutto se sono stati nella plastica. Sarebbe poi opportuno non mescolare con troppa forza quando il latte o la pappa sono in contenitori di plastica (se necessario, meglio farlo altrove, e poi travasare).
Tutte le precauzioni hanno una motivazione comune: mentre si sa abbastanza dell’effetto delle microplastiche provenienti dalla catena alimentare, per esempio dai pesci, poco o nulla per il momento è stato fatto per controllare che cosa succede all’organismo quando arrivano con il cibo direttamente dal contenitore, soprattutto quando si tratta di neonati, e quando ciò accade ogni giorno e più volte al giorno. Applicare il principio di precauzione è quindi importante.
Tra gli autori c’erano anche bioingegneri e chimici, i quali hanno dato che essendo poco realistico pensare alla sparizione della plastica dalla vita dei neonati, sarebbe utile trovare materiali a minore rilascio di microplastiche e sistemi di filtrazione dei liquidi per trattenerle, evitando che arrivino al bambino.
fonte: www.ilfattoalimentare.it
#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897. Grazie!
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
Pesca sostenibile: il video WWF con Maccio Capatonda

Ogni momento è quello giusto per scegliere prodotti ittici da pesca sostenibile. L’ha imparato anche Maccio Capatonda, protagonista “vittima” del nuovo spot del WWF. Il video è stato pubblicato come anteprima di quella che sarà la Giornata mondiale dell’Alimentazione, in programma venerdì 16 ottobre 2020.
Il video realizzato con Maccio Capatonda è uno dei tasselli che compone la Food Week, lanciata dall’associazione con l’hashtag #Menu4Planet. Il WWF ricorda come il 33% degli stock ittici sia sovrapescato, mentre un ulteriore 60% venga sfruttato al massimo delle sue possibilità. Grave la situazione del Mediterraneo, che risulta sfruttato oltre il livello di sostenibilità per il 78% dei suoi stock ittici.
Pesca sostenibile, Maccio Capatonda e WWF Italia
Di consumo responsabile e pesca sostenibile ha parlato Giulia Prato, responsabile mare di WWF Italia:
Imparare a consumare responsabilmente è una scelta che dobbiamo fare da subito. Ad esempio potremmo tutti cominciare da questo sabato sera, chiedendo al ristoratore informazioni sulla provenienza e il metodo di cattura dei prodotti ittici che troviamo a menù, oppure cominciando a ordinare specie locali meno comuni, ma altrettanto buone come lo ‘zerro’ o il ‘sugarello’. Ci sono piccoli criteri che possiamo mettere in atto cambiando modo di consumare, ma non c’è tempo da perdere perché: il futuro dipende anche dalla determinazione con cui siamo disposti a rendere i nostri stili di vita più sostenibili.
Lo stesso Maccio Capatonda si è detto sorpreso delle disastrose condizioni in cui versano gli oceani e la popolazione ittica:
Prima pensavo, come tutti, che per dare una mano al Pianeta bastasse ridurre il consumo di carne nella mia dieta. Poi, grazie al WWF, ho scoperto le condizioni disastrose in cui si trovano gli oceani e penso che abbiamo il dovere di fare subito qualcosa per salvare i nostri mari e far sì che dentro continuino a esserci i pesci. Non è un problema solo di chi verrà dopo di noi perché ormai questa è un’emergenza che si declina nel presente!
fonte: www.greenstyle.it
#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897. Grazie!
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
Sostenibilità alimentare: che ne pensano gli italiani? L’indagine Altroconsumo

La scarsità di risorse e la crescente domanda di generi alimentari pone le nuove generazioni verso grandi sfide sempre più ambiziose. Rendere sostenibile la filiera alimentare e abbattere gli sprechi è il solo modo per ridurre l’impatto che la produzione di cibo ha sull'ambiente. La sola agricoltura genera circa il 30% di gas serra nell'atmosfera ed è responsabile del 70% dello sfruttamento delle risorse idriche . Per comprendere a fondo il rapporto che gli italiani hanno con la sostenibilità alimentare, Altroconsumo ha condotto un’indagine prima della pandemia Covid-19, che ha coinvolto complessivamente un campione di 1.025 individui tra i 18 e i 74 anni. La ricerca è stata condotta con il coordinamento del Beuc in 11 Paesi UE, con il fine di individuare i comportamenti più diffusi e i provvedimenti più urgenti in materia di alimentazione e sostenibilità.
Le intenzioni degli italiani
La ricerca mostra una forte propensione da parte degli italiani ad adottare comportamenti virtuosi per la salvaguardia dell’ambiente. Il 76% del campione ha dichiarato di fare attenzione all'impatto ambientale delle proprie scelte alimentari e il 68% si è dichiarato disposto a cambiare le proprie abitudini e ad abbracciare uno stile di vita più sostenibile. E ancora: ben 2 italiani su 3 sarebbero disposti ad acquistare solo frutta e verdura di stagione, mentre il 55% acquisterebbe più verdura e prodotti a base vegetale. Il 29% del campione ha anche dichiarato di voler spendere di più per l’acquisto di prodotti sostenibili. Il quadro cambia, però, nel momento in cui si passa dalle intenzioni ai comportamenti effettivi.
La disinformazione blocca gli italiani
Gli italiani sono ben disposti a porre l’attenzione verso la sostenibilità alimentare. Concretamente, però, i comportamenti effettivi sono ancora poco orientati ad uno stile alimentare più green. Basti pensare al consumo di carne rossa: solo il 7% ha smesso di mangiarla e il 45% ne ha ridotto il consumo per motivi ambientali; dall'altra parte, il 21% del campione non ne ha ridotto il consumo né ha intenzione di farlo. Ma cosa blocca gli italiani a passare dalle intenzioni alle azioni? Secondo Altroconsumo, vi sono tre barriere fondamentali:
● Il costo più alto dei prodotti sostenibili (44%)
● Poca chiarezza in etichetta rispetto ai metodi di produzione e le origini della materia prima (41%)
● Scarsa informazione sul tema (39%)
Per ottenere un cambiamento significativo nei comportamenti delle persone sono auspicabili interventi che agiscano direttamente su questi tre punti, favorendo la buona informazione e incentivando politiche alimentari sostenibili in UE.
Le proposte: il Manifesto Verde Altroconsumo
Altroconsumo ha presentato il suo Manifesto Green, un codice che raccoglie 10 best practices per sostenere uno stile di vita più sostenibile. Tra i punti di maggior rilievo, l’informazione di qualità e la lotta alle fake news sulla sostenibilità. Di pari passo con questo processo, anche la necessità di distinguere gli interventi di greenwashing dall'impegno concreto delle aziende in un percorso di sostenibilità. In più, grande enfasi è rivolta alla promozione dell’economia circolare, all'attenzione verso le risorse idriche, la difesa alla salute e l’educazione alla sostenibilità. Il manifesto completo è scaricabile qui.
fonte: https://www.nonsoloambiente.it
#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
Microplastiche nei microscopici animali antartici: ecco le prime prove

A 120 km dalla punta più a nord dell’Antartide si trova King George Island, la più grande delle Isole Shetland meridionali, quasi interamente coperta di ghiaccio. Talmente remota che “se le microplastiche riescono a entrare nella rete alimentare qui, possono farlo in ogni luogo del pianeta”. Lo scrive Tancredi Caruso, professore alla School of Biology and Environmental Science dell’University College Dublin, in un articolo su The Conversation che presenta la sua ultima ricerca: “Plastica ovunque: le prime prove di frammenti di polistirolo all’interno del comune collembolo Cryptopygus antarcticus”.
Con un gruppo di studio tutto italiano, il ricercatore ha guidato l’analisi della rete alimentare del suolo di King George Island, scoprendo che le microplastiche stanno diventando parte integrante di quelle comunità di organismi viventi nel terreno tutta o parte della loro vita. Nonostante gli effetti delle microplastiche siano più visibili negli ecosistemi acquatici, sempre più prove indicano come queste particelle inquinanti colpiscano anche piante e suolo. Lo stesso destino della catena alimentare marina lo stanno così subendo anche le reti alimentari terrestri.
Con Elisa Bergami e Ilaria Corsi dell’Università di Siena lo studio si è concentrato sul Cryptopygus antarcticus, una specie di collembolo, animale sub-millimetrico simile ad un insetto, fondamentale per ogni terreno. “La specie particolare che abbiamo analizzato – scrive Caruso – è centrale nelle reti alimentari del suolo antartico, ma è anche un buon rappresentante dei numerosi animali microscopici che abitano i suoli in tutto il mondo. Io stesso, nel 2005, ho studiato popolazioni di collemboli antartici, ma all’epoca non avevo pensato che questi animali potessero ingerire materie plastiche, […] il suolo antartico sembrava lontano da fonti di inquinamento”.
Quindici anni dopo i campioni prelevati da King George Island hanno svelato colonie di animali cresciute su schiuma di poliestere (PS), “lo stesso tipo di rifiuti plastici che oggi troviamo sulle spiagge di tutto il mondo”, mentre si nutrivano di alghe, muschio, licheni e microfauna sviluppatisi sul polistirolo. Grazie alla spettroscopia infrarossa hanno “inequivocabilmente rilevato tracce di PS (meno di 100 µm) nell’intestino dei collemboli associati alla schiuma”, documentando così la loro capacità di ingerire plastica. e materie plastiche– concludono i ricercatori – stanno quindi entrando nelle trame alimentari terrestri dell’Antartide e rappresentano un nuovo potenziale fattore di stress per gli ecosistemi polari che già stanno affrontando i cambiamenti climatici e l’aumento delle attività umane”. Il problema non riguarda però unicamente tali ecosistemi remoti. L’entrata delle microplastiche nella rete alimentare terrestre è un altro segnale d’allarme: ogni metro quadrato di terreno è popolato da centinaia di migliaia di questi animali microscopici che potrebbero “trasportare e ridistribuire frammenti di microplastiche attraverso l’intera lunghezza e profondità del suolo […]. Questa ridistribuzione della plastica potrebbe essere un processo globale”.
fonte: www.rinnovabili.it
#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
Il km zero è un sogno per due terzi degli abitanti del pianeta: il sistema alimentare mondiale è sempre più globalizzato
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
Non ci salvano i supermercati ma chi coltiva e chi raccoglie
Avere meno del 4% degli occupati in agricoltura è una pistola costantemente puntata alla tempia del nostro paese, che un giorno lontano era chiamato il Giardino d’Europa. E ora con l'emergenza coronavirus manca anche chi raccoglie. Cosa mangeremo?
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria
Alimentazione ed energia: il Made in Italy è la soluzione

Da oltre trent'anni (appena!) affermo che il Paese del sole non può che puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, con il necessario compendio di risparmio energetico e uso razionale dell’energia, altrimenti in un mondo di sprechi le rinnovabili da sole servono a ben poco. Cosa dicevano gli esperti trent'anni fa? Che l’apporto delle energie rinnovabili in Italia era risibile e non erano nemmeno da considerare alternative perché non lo erano affatto, al massimo potevano essere una graziosa cornicetta al quadro ben delineato dei combustibili fossili sempre e comunque. Ma del resto anche un ragazzino delle medie o forse anche di quinta elementare guardando una piantina nazionale di insolazione media annua o della ventosità, visto che siamo un paese pieno di costa e di monti, poteva facilmente capire le potenzialità enormi delle energie rinnovabili. Così come era altrettanto ovvio che i combustibili fossili erano una fonte esauribile.
Ma a quanto pare i nostri esperti non avevano conoscenza nemmeno delle basi, del due più due che fa quattro. O forse le conoscevano e le conoscono ma hanno ben altri interessi da servire che quelli delle energie rinnovabili, dell’ambiente e di conseguenza della salute delle persone.
Ora grazie a questi esperti, rigorosamente dotati di lauree prestigiose e master, messi a capo anche dei grandi gruppi energetici nazionali e grazie a una politica cieca, sorda e muta, l’Italia al 2020 (!!) è ancora dipendente dall’estero energeticamente per oltre il 75%, e con pervicace e masochista ostinazione si continua ad andare in quella direzione.
Si vedano a questo proposito, fra le innumerevoli follie, le trivellazioni in cerca di petrolio, il metanodotto TAP in Puglia, la metanizzazione della Sardegna e gli oltre 18 miliardi di euro che ogni anno lo Stato regala in modi diversi alle aziende di combustibili fossili. E sono quegli stessi esperti e quella stessa politica che poi si lamentano se c’è, ad esempio, la disoccupazione, quando sono le loro azioni che la determinano. E gli stessi esperti e gli stessi politici che grazie a scelte suicide hanno costruito un paese fortemente dipendente soprattutto nei due aspetti principali che determinano l’esistenza di tutti noi che sono l’energia e l’alimentazione.
Cosa sarebbe successo se trenta o quarant'anni fa, invece di non fare nulla fino ad oggi, sottolineo nulla, confermato dalla dipendenza che ancora abbiamo, si fosse puntato decisamente alle energie rinnovabili e all’abbattimento di tutti gli sprechi energetici? Avremmo ora una filiera italiana sviluppata in innumerevoli settori, milioni di posti di lavoro certi, stabili, con un senso sociale e ambientale. Anche solo con la diffusione a tappeto delle tecnologie solari termiche applicate alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano, avevamo e avremmo da lavorare per i prossimi cento anni. E che dire degli enormi risparmi di soldi per le tasche dei cittadini italiani e per quelle pubbliche che si sarebbero avuti con questi interventi? E che dire della salute e delle centinaia di migliaia di morti evitati a causa dell’inquinamento di ogni tipo che li determina ?
Niente di tutto questo è stato fatto e così il paese del sole si è visto arrivare, in tutti questi anni, tecnologie per le energie rinnovabili e il contenimento energetico anche dai paesi del nord Europa, che il sole a malapena sanno cosa sia ma che in maniera seria, intelligente e lungimirante hanno puntato su questi settori. Ci lamentiamo ora con la Germania brutta e cattiva ma le abbiamo comprato questo mondo e quell’altro di tecnologie solari, che solo a dirlo viene da ridere o da piangere, quando saremmo dovuti essere noi a vendergliele, altro che vendergli vestiti alla moda o le Ferrari. Infatti chi al mondo può sviluppare questo tipo di tecnologie e lavoro se non il Paese del sole? Ma queste sono considerazioni così ovvie, così semplici e solari appunto, che forse proprio per questo non entrano nei mega cervelli dei nostri mega esperti.
C'è chi potrebbe obiettare che i cinesi, grazie al regime di schiavitù lavorativa che hanno, avrebbero abbattuto i costi e quindi potuto venderci anche quel tipo di tecnologia, come in parte è avvenuto in maniera recente; ma a questi si può tranquillamente rispondere che tutti i soldi e le agevolazioni date ai fossili si sarebbero potute dare alle rinnovabili e così il “sistema Italia” avrebbe retto anche all’invasione dei prodotti cinesi. Oltre al fatto che realizzare campagne di informazione e sensibilizzazione per utilizzare il Made in Italy avrebbe fatto scegliere con cognizione di causa i prodotti italiani piuttosto che quelli arrivati da chissà dove e fatti chissà come. Inoltre partendo molto prima dei cinesi in quei campi, avremmo avuto vantaggi enormi.
Per non parlare poi di tutto il personale tecnico e non, che avrebbe il compito di diffondere ovunque le buone pratiche e la consapevolezza presso la popolazione e tutta la conseguente formazione da fare in ogni luogo per divulgare come risparmiare energia e interagire con le fonti rinnovabili. Lavori e prassi normali e diffuse che sarebbero dovute diventare tante e usuali come le pizzerie e inserirsi nella mentalità e quotidianità così come si conosce a memoria la formazione delle propria squadra di calcio o le canzoni del proprio cantante preferito.
E visto che ci si lamenta pure dell’Europa, cosa sarebbe successo se l’Italia fosse stata fortemente indipendente nei fatti, non nelle chiacchiere e nelle sparate dei finti sovranisti, per gli elementi base dell’esistenza? Avrebbe significato che ciò che faceva o fa l’Europa ci sarebbe interessato fino ad un certo punto, forti della nostra vera e sola sovranità che è quella nei fatti, perché è assolutamente ridicolo fare i sovranisti se poi si è totalmente dipendenti da tutto e tutti, che si chiamino Europa, Cina, Giappone, Russia o Stati Uniti.
Sarà il caso ora finalmente di rivedere radicalmente la questione? Sarà il caso di puntare decisamente ad una filiera italiana di energie rinnovabili e tecnologie per il risparmio energetico? Si trasferiscano in questi settori i soldi che vengono regalati ai combustibili fossili, si taglino le innumerevoli spese inutili e dannose come ad esempio quelle per gli aerei militari da combattimento F35 e si vada diretti in questa direzione senza se e senza ma. Abbiamo tutto, conoscenze, tecnologia, competenze, persone, non ci manca nulla, se non la volontà politica o la volontà tout court, perché anche senza la politica si può andare risolutamente in quella direzione coinvolgendo la società civile, le imprese lungimiranti e la finanza etica. Poi anche la politica seguirà, tanto è sempre l’ultima a reagire (se mai lo farà).
E veniamo ora all’alimentazione. Per cosa è conosciuta l’Italia nel mondo? Per il cibo e non potrebbe essere altrimenti visto che ogni più piccolo paesino, borgo, città che sia, ha le sue specialità e cultura alimentare, cibo di qualità sopraffina frutto di attenzione e cura secolare per uno dei motivi di maggiore piacere nella vita e per il quale siamo invidiati da tutto il mondo. E una cultura di questo tipo da cosa è stata favorita? Anche dalla posizione geoclimatica meravigliosa dell’Italia dove praticamente è possibile coltivare una varietà di alimenti incredibile, considerate anche tutte quelle coltivazioni antiche e particolari che sono state trascurate e dimenticate e che possono essere facilmente riprese. Mangiamo due o tre tipi di mele quando ne esistono centinaia.
Ma in una tale situazione da paradiso terreste dell’alimentazione abbiamo trascurato le nostre ricchezze e varietà alimentari e siamo riusciti a farci colonizzare da cibo spazzatura che arriva da paesi che non sanno nemmeno lontanamente cosa sia una cultura dell’alimentazione. Vengono prodotti e venduti cibi imbottiti di sostanze chimiche e veleni assortiti che sono un attentato quotidiano alla nostra salute. Bombardati da pubblicità dementi ci fanno credere che prodotti industriali pieni di robaccia che arriva da mezzo mondo e packaging ci facciano tanto bene e siano pure naturali.
Viste quindi le nostre immense risorse e potenzialità, perché non dirigersi verso la massima sovranità alimentare possibile, recuperando ogni centimetro coltivabile, facendo rifiorire la nostra eccezionale agricoltura da nord a sud, coltivando di tutto e proteggendo con sacralità la biodiversità che tra l’altro è quella che ci aiuta ad avere ottime difese immunitarie?
Non si può fare? E’ troppo difficile? Assolutamente no, basta puntare decisamente su questi due ambiti di forte indipendenza alimentare ed energetica così come si è fatto per altri ambiti che non solo ci hanno regalato pericolosissima dipendenza ma ci hanno determinato spese, prodotto inquinamento e danneggiato la salute. In alternativa potete sempre staccare uno sportello della vostra automobile, magari proprio della tanto decantata Fiat, orgoglio nazionale che di nazionale non ha praticamente più nulla e provare a mangiarlo. Magari sarà un po’ indigesto ma sai che scorpacciata….
Paolo Ermani
fonte: http://www.ilcambiamento.it/