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Combattere gli sprechi alimentari: dall’Emilia-Romagna un progetto innovativo


Packtin sta sviluppando in Emilia-Romagna un impianto-pilota per scomporre i sottoprodotti agro-industriali, rendendoli disponibili come nuove materie prime per il mercato e per la creazione di prodotti naturali di qualità da usare nell’industria alimentare

Nel mondo si spreca molto ...

La transizione ecologica dei sistemi alimentari

La trasformazione dei sistemi alimentari è cruciale per il raggiungimento di tutti gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile

Il pre-summit ONU svoltosi a Roma tra il 26 e 28 luglio 2021, in vista del vertice sui sistemi alimentari in programma a settembre a New York, ha discusso di come trasformare il sistema alimentare globale alla luce della crisi climatica in corso, per evitare un peggioramento della crisi alimentare nei prossimi decenni. Alla base del dibattito l'idea che, agendo sull'alimentazione, si possano fare progressi su altri ambiti connessi come fame, cambiamento climatico, povertà e diseguaglianze.

I sistemi alimentari, che includono tutte le fasi e le attività che riguardano la produzione, la lavorazione, la distribuzione, la preparazione e il consumo di cibo, sono responsabili fino al 37% di tutte le emissioni di gas serra, secondo le analisi dell'Ipcc. Solo le perdite e gli sprechi di cibo rappresentano l'8% di tutte le emissioni di gas serra; la riduzione di tali perdite o l’adozione di diete più sostenibili rappresenterebbero l'opportunità di ridurre le emissioni di ben 12,5 Gt CO2e, che sarebbe come eliminare 2,7 miliardi di auto dalle strade.

Il settore agricolo, inoltre, costituisce un'importante fonte di pressione sulle acque, a causa dell'inquinamento diffuso da nutrienti e sostanze chimiche, ma anche del prelievo di acqua (l'agricoltura rappresenta fino al 60% del consumo netto di acqua a livello europeo) e dei cambiamenti fisici negli habitat, come emerge dal Report EEA Water and agriculture: towards sustainable solutions.

Se il settore primario è tra i principali responsabili della crisi ambientale e climatica in atto, allo stesso tempo esso ne subisce le conseguenze più gravi. I cambiamenti climatici alterano infatti le condizioni di crescita delle colture regionali e l'incidenza dei parassiti. Si prevede che i rendimenti annuali diventeranno più variabili e aumenterà la variabilità dei prezzi delle materie prime agricole. Ciò influenzerà i modelli di coltivazione, il commercio internazionale e i mercati regionali.

Gli effetti negativi del cambiamento climatico impattano inoltre sulla nostra alimentazione: dalla frequenza e intensità degli eventi estremi che colpiscono i suoli agricoli dipende infatti anche la qualità, la quantità, il prezzo e la provenienza di ciò che mettiamo nel carrello della spesa.

Ma come invertire questo processo e salvaguardare il settore agricolo ed alimentare dai gravi effetti dei cambiamenti climatici e allo tempo ridurre gli impatti da esso prodotti?

Nel Piano nazionale ripresa e resilienza una delle aree riguarda l'Agricoltura sostenibile e l'economia circolare, tra i cui obiettivi troviamo quello di sviluppare una filiera agricola/alimentare smart e sostenibile, per ridurre l’impatto ambientale in un settore che rappresenta una delle eccellenze italiane. In linea con la strategia europea “Dal produttore al consumatore”, l’obiettivo è quello di realizzare una filiera agroalimentare sostenibile, migliorando la competitività delle aziende agricole e le loro prestazioni climatico-ambientali, rafforzando le infrastrutture logistiche del settore, riducendo le emissioni di gas serra e sostenendo la diffusione dell'agricoltura di precisione e l’ammodernamento dei macchinari.

Anche nel quarto "Rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia", il Ministero per la transizione ecologica, al fine di salvaguardare la biodiversità e ripristinare gli ecosistemi, traccia una strada da percorrere verso agricoltura e pesca sostenibili nonché sistemi alimentari sostenibili.

L'associazione Terra! ha stilato un elenco di 12 passi ritenuti fondamentali per restituire all’agricoltura il suo valore intrinseco, dalla tutela del paesaggio al clima.

Passo 1 Teniamo vivo il suolo. Il suolo rappresenta, insieme agli oceani, il più importante serbatoio globale di gas serra e gioca un ruolo chiave nella lotta al cambiamento climatico. Nel nostro Paese, come emerge dall'ultimo rapporto SNPA, dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire lo stoccaggio di quasi tre milioni di tonnellate di carbonio, l’equivalente di oltre un milione di macchine in più circolanti nello stesso periodo per un totale di più di 90 miliardi di km. Allo stesso tempo il suolo non ha potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli. Il modo in cui vengono gestiti i terreni agricoli e quindi lo stesso sistema agricolo può contribuire a ridurre gli impatti negativi del cambiamento climatico sulle società e gli ecosistemi.

Passo 2 Ripensiamo l'allevamento industriale. II contributo della zootecnica al riscaldamento globale è equivalente a quello dei trasporti. Più della metà delle emissioni globali di metano, ad esempio, derivano dalle attività umane tra cui il settore zootecnico, le cui emissioni per tale inquinante sono aumentate drammaticamente del 70% dal 1961 a oggi e si prevede che rappresenteranno una quota crescente delle emissioni future. Si rende dunque necessaria da una parte una riduzione del consumo di carne e derivati, anche attraverso la trasparenza sui costi ambientali della produzione di carne e latticini, dall'altra una progressiva chiusura degli allevamenti industriali.

Passo 3 Riduciamo le disuguaglianze climatiche. In Italia, il Sud, più del Nord, rischia perdite pesanti in filiere come olio, vino, frumento e pomodoro. Per questo si rende necessario investire nell'irrigazione efficiente e nell'adattamento delle colture al clima.

Passo 4 Non avveleniamo il cibo. Secondo l'ultimo rapporto Ispra, nelle acque superficiali italiane sono stati trovati pesticidi nel 77,3% dei 1.980 punti di monitoraggio e in quelle sotterranee nel 32,2% dei 2.795 punti. La strategia europea “Dal produttore al consumatore” si pone l’obiettivo di dimezzare l’uso di pesticidi entro il 2030 e questo dovrebbe portare ad un aggiornamento del Piano nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, risalente ormai al 2014, prevedendo misure vincolanti per sostituire questo trattamento delle piante con alternative non inquinanti e pericolose per la salute.

Passo 5 Difendiamo le “operaie”. Gli impollinatori garantiscono all'uomo una fonte di cibo costante con un lavoro gratuito che difficilmente riusciamo ad osservare: il 30% del cibo che consumiamo dipende direttamente dall’impollinazione degli insetti e la loro opera influenza a livello qualitativo e quantitativo oltre il 70% delle colture. I cambiamenti climatici sono tra i fattori che più incidono sulla popolazione di impollinatori, creando gravissimi problemi alla loro sopravvivenza e ostacolando l’aiuto che forniscono all’agricoltura. È dunque necessario tutelare la biodiversità per salvare le api e gli altri impollinatori dall’estinzione.

Passo 6 Rimettiamo i semi in mano al contadino. Da sempre gli agricoltori sono custodi e innovatori della biodiversità agricola. Tuttavia, oggi le sementi sono sempre più gestite da imprese multinazionali che governano le filiere globali e la progressiva concentrazione ha portato ad una riduzione delle varietà coltivate; meno specie significa però maggiore rischio, perché i sistemi agricoli più sono complessi, più sono resilienti. Riformare l’agricoltura industriale significa dunque anche restituire agli agricoltori il diritto di selezionare, riprodurre e scambiare le proprie sementi.

Passo 7 Accorciamo la filiera. Il nostro paese risulta al quinto posto per importazione di emissioni legate a beni intermedi agricoli e al decimo posto per l’import di emissioni legate a prodotti alimentari. Per adattare il sistema alimentare alle sfide attuali è dunque necessario ridurre il commercio globale, rafforzando la produzione e gli scambi territoriali.

Passo 8 Non facciamo “sconti”. Nel nostro paese 180 mila lavoratori agricoli particolarmente vulnerabili, esposti a fenomeni di sfruttamento e caporalato, non trovano protezione per una serie di ragioni. Allo stesso tempo, dal lato del consumatore è assente una valida etichetta narrante sui prodotti, che consenta un controllo pubblico sulle modalità di produzione e i vari passaggi della catena. Questo passo richiede quindi il divieto di pratiche sleali della grande distribuzione, il contrasto del caporalato e la riduzione dell’impatto ambientale dei prodotti.

Passo 9 Sprechiamo meno, mangiamo meglio. In Italia, secondo ISPRA, si sprecano circa 5,2 milioni di tonnellate di cibo, per 24,5 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra Investire dunque nella riduzione degli sprechi in tutte le fasi della filiera è una priorità per intraprendere una vera transizione ecologica. Alle campagne di sensibilizzazione nei confronti dei consumatori va accostata una riforma della filiera che riduca il packaging dei prodotti e favorisca il fresco agli alimenti trasformati.

Passo 10 Sposiamo l'agroecologia. Passare dall’agricoltura industriale ad un approccio agroecologico implica lo sforzo di riformare il sistema alimentare nel suo complesso: nella pratica, significa scoraggiare la produzione fondata sulle monocolture e sostenere l’agricoltura familiare che riduce gli input esterni, rispetta la stagionalità, rigenera il suolo, rispetta i diritti sociali e si rivolge al mercato locale.

Passo 11 Sosteniamo il ricambio generazionale. Secondo un rapporto della Corte dei Conti europea, circa il 60% dei giovani agricoltori europei ha difficoltà ad acquistare o affittare i terreni e ciò privilegia il ricambio generazionale all'interno della famiglia. L'11% di tutte le aziende agricole dell’Unione europea è gestito da agricoltori al di sotto dei 40 anni. Occorre invece accelerare l’ingresso dei giovani e la riconversione ecologica, supportando, sostenendo e formando i nuovi agricoltori.

Passo 12 Avviciniamo cibo e città. Le città possono costituire un ambiente favorevole allo sviluppo di una produzione alimentare locale ed ecologica. Il ruolo delle amministrazioni pubbliche è una chiave importante per favorire dinamiche virtuose: dalle mense scolastiche a quelle ospedaliere, dai mercati rionali ai programmi di supporto alla povertà alimentare, dalla lotta agli sprechi fino all’assegnazione delle terre pubbliche ai giovani agricoltori, gli enti locali possono imprimere una direzione di sostenibilità alla produzione e distribuzione del cibo.

Per approfondimenti: 12 passi per la terra (e il clima)

fonte: www.arpat.toscana.it


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Earth Day: Cibo per Nutrire il Pianeta Terra

Future Food Institute e Fao insieme a 100 voci dal mondo per la più grande lezione di sostenibilità. Il 22 aprile “Food for Earth” maratona digitale di 24h che attraverserà il Pianeta da Est a Ovest. A confronto le migliori pratiche sui sistemi alimentari sostenibili






















La più grande lezione mondiale sul potere rigenerativo dei sistemi alimentari a beneficio del Pianeta: il 22 aprile, in occasione della Giornata della Terra delle Nazioni Unite, Future Food Institute e FAO e-learning Academy organizzano “Food for earth”, la maratona digitale globale di 24h sulla Sostenibilità.

Dopo il successo della prima edizione, che ha riunito più di 100 voci di esperti, con 24 sessioni di lavoro, e registrato più di 100mila partecipanti in tutto il mondo, torna la staffetta virtuale per il Pianeta che, come un’ideale torcia olimpica, viaggerà da Est a Ovest e coinvolgerà imprenditori, startup, scienziati, giornalisti, giovani leader, policymakers, consulenti, agricoltori da ogni angolo del mondo con l’obiettivo di confrontarsi sulle migliori esperienze sui sistemi alimentari sostenibili.

Il Pianeta è in sofferenza: a livello globale, circa il 25% della superficie terrestre è stata danneggiata. Ogni anno si perdono 24 miliardi di tonnellate di terreno fertile, in gran parte a causa di pratiche agricole insostenibili (fonte: thegef.org), a cui si aggiungono le emissioni di gas serra prodotte per il 18,4% direttamente da agricoltura e silvicoltura (fonte: https://ourworldindata.org).

L’evento, che si inserisce tra le iniziative organizzate da EarthDay.org, l’organizzazione di Washington che da 51 anni organizza la Giornata Mondiale della Terra, attraverserà tutti i paesi del G20, il Mediterraneo, paesi emergenti e zone del mondo Patrimonio Naturale dell’Umanità: si susseguiranno interventi da Australia, Corea del Sud, Indonesia, India, Cina, Giappone, Singapore, Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Turchia, Vaticano, Italia, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito, Sud Africa, Tunisia, Senegal, Costa d’Avorio, Congo, Zimbabwe, Stati Uniti d’America, Messico, Brasile, Repubblica Dominicana, Colombia, Costa Rica, Argentina e Canada.

Diverse le figure istituzionali che porteranno un loro contributo alla maratona, interverranno tra gli altri: il Direttore Generale Fao QU Dongyu, il vicedirettore e consigliere speciale Fao Maurizio Martina e il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, oltre a Ministri e Rappresentanze istituzionali da tutto il mondo.


La Global 24-hour Digital Marathon 2021 prevede anche collegamenti con i “Climate Shapers connessi da tutto il mondo ed impegnati in vere e proprie Climate Actions”. Dall’Italia ci si connetterà con Pollica, paese che ha ospitato il primo Boot Camp italiano per Formare Climate Shapers già nel 2020, luogo-simbolo per il rispetto dell’ambiente, della legalità e culla della Dieta Mediterranea. Il sindaco Stefano Pisani, il Forum dei Giovani ed i ragazzi delle scuole che saranno protagonisti di una grande lezione sul Pianeta che si terrà sulla famosa spiaggia Cinque Vele di Legambiente dal 2000. È previsto, inoltre, un momento più riflessivo dedicato al cibo e alla sostenibilità ambientale con un focus sulla Dieta Mediterranea, stile di vita che mira all’armonia tra l’uomo e l’ambiente e quindi alla salvaguardia della biodiversità e della nostra identità.

“La seconda edizione di Food for Earth Day rappresenta un’occasione unica per condividere conoscenze e competenze sui sistemi alimentari e sui loro impatti dal punto di vista sociale, culturale, ambientale, istituzionale, economico. Una base per ripensare i sistemi alimentari e per renderli più sostenibili – dichiara Sara Roversi, Fondatrice e Presidente del Future Food Institute -. Per riuscirci abbiamo bisogno di un pensiero sistemico, piattaforme multi-stakeholder e profili multidisciplinari. In questo senso, la maratona rappresenta un esempio unico sia di contenuti straordinari, che verranno raccolti in un libro, sia del potere di partnership tra settore pubblico e privato per contribuire a pratiche nuove, circolari e rigenerative”.

“La sostenibilità è il più grande obiettivo dell’umanità e l’unica via da seguire. Per questo grande scopo, abbiamo bisogno di professionisti competenti che siano in grado e capace di prendere decisioni appropriate, formulare politiche mirate e sostenibili e strategie e adottando metodologie e tecnologie “verdi” innovative. Dobbiamo generare responsabili del cambiamento, modellatori del clima e futuri leader autorizzati a rivoluzionare in modo sostenibile il cibo ecosistema, nel pieno rispetto dell’umanità e del nostro pianeta”, dichiara Cristina Petracchi, responsabile dell’Accademia e-learning della FAO.


La diretta dell’evento sarà trasmessa integralmente sul canale Youtube di Future Food Institute e sul sito dell’evento www.foodforearth.org

Sulla pagina Facebook di Future Food Institute verranno trasmesse le due sessioni italiane:

“Mediterraneo e Dieta Mediterranea: Patrimonio essenziale per il futuro dell’Umanità” ore 15.30 – 16.15

Intervengono:
Stefano Patuanelli*, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali
Grammenos Mastrojeni, Vice Segretario Generale dell’Unione per il Mediterraneo
Angelo Riccaboni , Presidente di Fondazione Prima
Stefano Pisani, Sindaco di Pollica (Comunità Emblematica Unesco della Dieta Mediterranea)
Diana Battaggia, Direttore di UNIDO ITPO
Benedetto Zacchiroli, Presidente ICCAR UNESCO,
Elisabetta Moro, MedEatResearch, Università Suor Orsola Benincasa
Antonio Parenti, Capo Rappresentanza della Commissione Europea in Italia

Modera: Sara Roversi, Presidente future Food Institute

*in attesa di conferma

“Agorà Italia: il ruolo cruciale del nostro paese nell’anno della Presidenza del G20, di COP26 e del Food Systems Summit” ore 17.15 – 18.00

Intervengono:
Luigi Di Maio, Ministro degli Affari Esteri
Maurizio Martina, Special advisor e vice direttore generale FAO
Prof. Riccardo Valentini, University of Tuscia DIBAF; Premio Nobel per la Pace nel 2007 e membro dell’ Intergovernmental Panel on Climate Change
Emanuela Del Re, Presidente del Comitato Permanente sull’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile

La voce dei Climate Shapers: Bernardo Melotti, Marina Lipari

Modera: Sara Roversi, Presidente future Food Institute

fonte: www.rinnovabili.it


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Cambiamenti climatici, FAO: a rischio le risorse alimentari mondiali

Cambiamenti climatici fattore di rischio per l'alimentazione e l'agricoltura, FAO: minaccia non soltanto per i Paesi in via di sviluppo



I cambiamenti climatici stanno colpendo duramente I Paesi anche dal punto di vista dell’approvvigionamento di cibo. A lanciare l’allarme è la FAO, attraverso lo studio “The Impact of Disasters and Crises on Agriculture and Food Security” (Trad. Impatto dei disastri e delle crisi sull’agricoltura e la sicurezza alimentare).

Alimentazione mondiale a rischio secondo la Food and Agriculture Organization, che sottolinea come le calamità naturali siano costate ai settori agricoli dei Paesi in via di sviluppo oltre 108 miliardi di dollari.

Nel report sono stati analizzati gli effetti provocati da 457 disastri ambientali naturali, verificatisi in 109 Paesi (inclusi quelli più ricchi). Sono state considerate sia le perdite economiche, ma anche quelle relative ai mezzi di sostentamento. In 389 casi le calamità naturali hanno compromesso anche la produzione agricola. Maggiormente colpite le nazioni in via di sviluppo, ben 94.

Cambiamenti climatici, rischi per il futuro dell’alimentazione

Secondo il bilancio tratto dalla FAO i cambiamenti climatici e gli eventi meteorologici estremi sono costati al comparto agricolo oltre 108 miliardi di dollari ai settori agricoli dei soli Paesi più poveri. Particolarmente danneggiati risulterebbero i piccoli produttori, allevatori e pescatori locali.

I mutamenti nel clima mondiale stanno aumentando i rischi legati alla siccità, la principale minaccia, ma anche alle infestazioni da parassiti o insetti, alle malattie (Covid-19 e non solo). La pandemia di Coronavirus, ha concluso la FAO, oltre ad aver colpito l’umanità in maniera diretta sta aggravando i rischi sistemici legati al settore alimentare.

Fonte: Adnkronos



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Microplastiche e biberon: un neonato è esposto in media a un milione e mezzo di particelle al giorno, rivela uno studio

 

I biberon e gli altri contenitori in plastica utilizzati per dare ai neonati latte, tisane e succhi, e per conservare alimenti per bambini possono rilasciare molte microplastiche, soprattutto se vengono scaldati. Tuttavia, anche se è molto difficile evitare del tutto di utilizzarli, esistono accorgimenti per minimizzare il rischio, che andrebbero messi in pratica più spesso, perché degli effetti diretti delle microplastiche su un organismo in sviluppo si sa ancora troppo poco.


A quantificare il rilascio di microplastiche di polipropilene, il polimero più usato per questi scopi, è uno studio appena pubblicato su Nature Food dagli esperti del Trinity College di Dublino, che hanno anche stilato una serie di raccomandazioni semplici ma efficaci.

Innanzitutto le cifre: gli autori hanno analizzato dieci tipi di biberon di polipropilene tra i più diffusi a livello internazionale, che rappresentano il 68% del mercato. Se si applica un protocollo di somministrazioni tipico per un bambino di 12 mesi, si vede che in media un biberon (ma anche un contenitore per alimenti) può rilasciare fino a 16 trilioni di particelle per litro, e la quantità dipende dalla temperatura. La relazione è lineare: via via che si passa da 25 a 95°C si va infatti da 0,6 a 55 milioni di microplastiche per litro.

Se poi si prendono in considerazione l’allattamento medio così come è raccomandato dalle linee guida internazionali (come quelle dell’Oms) e le modalità di preparazione consigliate, emerge che in 48 paesi ogni neonato è esposto, mediamente, a più di un milione e mezzo di microplastiche al giorno (1,58), e che le aree dove la situazione è più critica sono Oceania, Nord America ed Europa, con valori medi pari, rispettivamente, a 2,10, 2,28 e 2,61 milioni di microparticelle al giorno. 


Secondo lo studio, un neonato è esposto in media a un milione e mezzo di microplastiche al giorno provenienti da biberon e contenitori per alimenti

La temperatura, però, fa una grande differenza: quando l’acqua per preparare il latte è portata a 70°C direttamente nel contenitore, come raccomandato, vengono rilasciate anche 16,2 milioni di microplastiche per litro, e se i gradi arrivano a 95 le particelle per litro possono essere 55 milioni. Al contrario, a temperatura ambiente (25°C) le microplastiche sono in media 600 mila, ma questa temperatura è molto al di sotto di quanto raccomandato per la sterilizzazione e la preparazione del latte.

Come se ne esce? Innanzitutto – rispondono i ricercatori – seguendo scrupolosamente le linee guida più affidabili, che raccomandano sempre di non scaldare liquidi direttamente nel biberon, ma a parte, in contenitori di acciaio o comunque non di plastica. Poi si possono travasare nel biberon (che dovrebbe sempre essere di plastica di qualità) solo una volta pronti e raffreddati alla giusta temperatura, senza agitarli energicamente.

Un altro aspetto da considerare è quello del tipo di riscaldamento: bisogna sempre evitare il microonde. Allo stesso modo, mai riscaldare una seconda volta il latte o un alimento avanzato ma vanno buttati a fine pasto, soprattutto se sono stati nella plastica. Sarebbe poi opportuno non mescolare con troppa forza quando il latte o la pappa sono in contenitori di plastica (se necessario, meglio farlo altrove, e poi travasare). 


I ricercatori raccomandano di riscaldare i liquidi e gli alimenti in contenitori di materiali diversi dalla plastica per ridurre la quantità di microplastiche rilasciate

Tutte le precauzioni hanno una motivazione comune: mentre si sa abbastanza dell’effetto delle microplastiche provenienti dalla catena alimentare, per esempio dai pesci, poco o nulla per il momento è stato fatto per controllare che cosa succede all’organismo quando arrivano con il cibo direttamente dal contenitore, soprattutto quando si tratta di neonati, e quando ciò accade ogni giorno e più volte al giorno. Applicare il principio di precauzione è quindi importante.

Tra gli autori c’erano anche bioingegneri e chimici, i quali hanno dato che essendo poco realistico pensare alla sparizione della plastica dalla vita dei neonati, sarebbe utile trovare materiali a minore rilascio di microplastiche e sistemi di filtrazione dei liquidi per trattenerle, evitando che arrivino al bambino.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Pesca sostenibile: il video WWF con Maccio Capatonda

Maccio Capatonda protagonista di un video del WWF Italia a sostegno del consumo responsabile e della pesca sostenibile.



Ogni momento è quello giusto per scegliere prodotti ittici da pesca sostenibile. L’ha imparato anche Maccio Capatonda, protagonista “vittima” del nuovo spot del WWF. Il video è stato pubblicato come anteprima di quella che sarà la Giornata mondiale dell’Alimentazione, in programma venerdì 16 ottobre 2020.

Il video realizzato con Maccio Capatonda è uno dei tasselli che compone la Food Week, lanciata dall’associazione con l’hashtag #Menu4Planet. Il WWF ricorda come il 33% degli stock ittici sia sovrapescato, mentre un ulteriore 60% venga sfruttato al massimo delle sue possibilità. Grave la situazione del Mediterraneo, che risulta sfruttato oltre il livello di sostenibilità per il 78% dei suoi stock ittici.

Pesca sostenibile, Maccio Capatonda e WWF Italia

Di consumo responsabile e pesca sostenibile ha parlato Giulia Prato, responsabile mare di WWF Italia:

Imparare a consumare responsabilmente è una scelta che dobbiamo fare da subito. Ad esempio potremmo tutti cominciare da questo sabato sera, chiedendo al ristoratore informazioni sulla provenienza e il metodo di cattura dei prodotti ittici che troviamo a menù, oppure cominciando a ordinare specie locali meno comuni, ma altrettanto buone come lo ‘zerro’ o il ‘sugarello’. Ci sono piccoli criteri che possiamo mettere in atto cambiando modo di consumare, ma non c’è tempo da perdere perché: il futuro dipende anche dalla determinazione con cui siamo disposti a rendere i nostri stili di vita più sostenibili.

Lo stesso Maccio Capatonda si è detto sorpreso delle disastrose condizioni in cui versano gli oceani e la popolazione ittica:

Prima pensavo, come tutti, che per dare una mano al Pianeta bastasse ridurre il consumo di carne nella mia dieta. Poi, grazie al WWF, ho scoperto le condizioni disastrose in cui si trovano gli oceani e penso che abbiamo il dovere di fare subito qualcosa per salvare i nostri mari e far sì che dentro continuino a esserci i pesci. Non è un problema solo di chi verrà dopo di noi perché ormai questa è un’emergenza che si declina nel presente!



fonte: www.greenstyle.it


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Sostenibilità alimentare: che ne pensano gli italiani? L’indagine Altroconsumo

Che rapporto hanno gli italiani con il cibo che portano in tavola? A rivelarlo è un’indagine Altroconsumo, che mostra le intenzioni degli italiani in tema di scelte alimentari




La scarsità di risorse e la crescente domanda di generi alimentari pone le nuove generazioni verso grandi sfide sempre più ambiziose. Rendere sostenibile la filiera alimentare e abbattere gli sprechi è il solo modo per ridurre l’impatto che la produzione di cibo ha sull'ambiente. La sola agricoltura genera circa il 30% di gas serra nell'atmosfera ed è responsabile del 70% dello sfruttamento delle risorse idriche . Per comprendere a fondo il rapporto che gli italiani hanno con la sostenibilità alimentare, Altroconsumo ha condotto un’indagine prima della pandemia Covid-19, che ha coinvolto complessivamente un campione di 1.025 individui tra i 18 e i 74 anni. La ricerca è stata condotta con il coordinamento del Beuc in 11 Paesi UE, con il fine di individuare i comportamenti più diffusi e i provvedimenti più urgenti in materia di alimentazione e sostenibilità.

Le intenzioni degli italiani

La ricerca mostra una forte propensione da parte degli italiani ad adottare comportamenti virtuosi per la salvaguardia dell’ambiente. Il 76% del campione ha dichiarato di fare attenzione all'impatto ambientale delle proprie scelte alimentari e il 68% si è dichiarato disposto a cambiare le proprie abitudini e ad abbracciare uno stile di vita più sostenibile. E ancora: ben 2 italiani su 3 sarebbero disposti ad acquistare solo frutta e verdura di stagione, mentre il 55% acquisterebbe più verdura e prodotti a base vegetale. Il 29% del campione ha anche dichiarato di voler spendere di più per l’acquisto di prodotti sostenibili. Il quadro cambia, però, nel momento in cui si passa dalle intenzioni ai comportamenti effettivi.

La disinformazione blocca gli italiani

Gli italiani sono ben disposti a porre l’attenzione verso la sostenibilità alimentare. Concretamente, però, i comportamenti effettivi sono ancora poco orientati ad uno stile alimentare più green. Basti pensare al consumo di carne rossa: solo il 7% ha smesso di mangiarla e il 45% ne ha ridotto il consumo per motivi ambientali; dall'altra parte, il 21% del campione non ne ha ridotto il consumo né ha intenzione di farlo. Ma cosa blocca gli italiani a passare dalle intenzioni alle azioni? Secondo Altroconsumo, vi sono tre barriere fondamentali:

● Il costo più alto dei prodotti sostenibili (44%)
● Poca chiarezza in etichetta rispetto ai metodi di produzione e le origini della materia prima (41%)
● Scarsa informazione sul tema (39%)

Per ottenere un cambiamento significativo nei comportamenti delle persone sono auspicabili interventi che agiscano direttamente su questi tre punti, favorendo la buona informazione e incentivando politiche alimentari sostenibili in UE.

Le proposte: il Manifesto Verde Altroconsumo

Altroconsumo ha presentato il suo Manifesto Green, un codice che raccoglie 10 best practices per sostenere uno stile di vita più sostenibile. Tra i punti di maggior rilievo, l’informazione di qualità e la lotta alle fake news sulla sostenibilità. Di pari passo con questo processo, anche la necessità di distinguere gli interventi di greenwashing dall'impegno concreto delle aziende in un percorso di sostenibilità. In più, grande enfasi è rivolta alla promozione dell’economia circolare, all'attenzione verso le risorse idriche, la difesa alla salute e l’educazione alla sostenibilità. Il manifesto completo è scaricabile qui.

fonte: https://www.nonsoloambiente.it



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Microplastiche nei microscopici animali antartici: ecco le prime prove

Una nuova ricerca dell’University College Dublin in collaborazione con l’Università di Siena ha scoperto che le microplastiche sono entrate nella rete alimentare del suolo antartico




A 120 km dalla punta più a nord dell’Antartide si trova King George Island, la più grande delle Isole Shetland meridionali, quasi interamente coperta di ghiaccio. Talmente remota che “se le microplastiche riescono a entrare nella rete alimentare qui, possono farlo in ogni luogo del pianeta”. Lo scrive Tancredi Caruso, professore alla School of Biology and Environmental Science dell’University College Dublin, in un articolo su The Conversation che presenta la sua ultima ricerca: “Plastica ovunque: le prime prove di frammenti di polistirolo all’interno del comune collembolo Cryptopygus antarcticus”.

Con un gruppo di studio tutto italiano, il ricercatore ha guidato l’analisi della rete alimentare del suolo di King George Island, scoprendo che le microplastiche stanno diventando parte integrante di quelle comunità di organismi viventi nel terreno tutta o parte della loro vita. Nonostante gli effetti delle microplastiche siano più visibili negli ecosistemi acquatici, sempre più prove indicano come queste particelle inquinanti colpiscano anche piante e suolo. Lo stesso destino della catena alimentare marina lo stanno così subendo anche le reti alimentari terrestri.

Con Elisa Bergami e Ilaria Corsi dell’Università di Siena lo studio si è concentrato sul Cryptopygus antarcticus, una specie di collembolo, animale sub-millimetrico simile ad un insetto, fondamentale per ogni terreno. “La specie particolare che abbiamo analizzato – scrive Caruso – è centrale nelle reti alimentari del suolo antartico, ma è anche un buon rappresentante dei numerosi animali microscopici che abitano i suoli in tutto il mondo. Io stesso, nel 2005, ho studiato popolazioni di collemboli antartici, ma all’epoca non avevo pensato che questi animali potessero ingerire materie plastiche, […] il suolo antartico sembrava lontano da fonti di inquinamento”.

Quindici anni dopo i campioni prelevati da King George Island hanno svelato colonie di animali cresciute su schiuma di poliestere (PS), “lo stesso tipo di rifiuti plastici che oggi troviamo sulle spiagge di tutto il mondo”, mentre si nutrivano di alghe, muschio, licheni e microfauna sviluppatisi sul polistirolo. Grazie alla spettroscopia infrarossa hanno “inequivocabilmente rilevato tracce di PS (meno di 100 µm) nell’intestino dei collemboli associati alla schiuma”, documentando così la loro capacità di ingerire plastica. e materie plastiche– concludono i ricercatori – stanno quindi entrando nelle trame alimentari terrestri dell’Antartide e rappresentano un nuovo potenziale fattore di stress per gli ecosistemi polari che già stanno affrontando i cambiamenti climatici e l’aumento delle attività umane”. Il problema non riguarda però unicamente tali ecosistemi remoti. L’entrata delle microplastiche nella rete alimentare terrestre è un altro segnale d’allarme: ogni metro quadrato di terreno è popolato da centinaia di migliaia di questi animali microscopici che potrebbero “trasportare e ridistribuire frammenti di microplastiche attraverso l’intera lunghezza e profondità del suolo […]. Questa ridistribuzione della plastica potrebbe essere un processo globale”.

fonte: www.rinnovabili.it


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Il km zero è un sogno per due terzi degli abitanti del pianeta: il sistema alimentare mondiale è sempre più globalizzato

















Consumare alimenti prodotti vicino a casa, il cosiddetto km zero, è vantaggioso per l’ambiente, perché abbatte l’impronta associata al trasporto e allo stoccaggio. Inoltre mette al riparo dagli effetti di eventi catastrofici ed emergenze globali come la pandemia da Covid-19. Ma non è alla portata di tutti. Al contrario, meno di un abitante della Terra su tre se lo può permettere, perché le filiere sono ormai globalizzate e perché in aree vastissime non ci sono le condizioni climatiche per far crescere, per esempio i cereali o altre colture fondamentali.
L’impossibilità di creare autosufficienza alimentare per tutti emerge da uno studio condotto da alcune università australiane, statunitensi ed europee coordinate da quella di Aalto, in Finlandia, pubblicato su Nature Food.  I ricercatori hanno creato un modello apposito considerando le condizioni climatiche minime per far crescere i cereali e legumi adatti ai vari climi temperati, tropicali… Hanno quindi calcolato la distanza tra colture e insediamenti umani, sia nella situazione attuale, che in un ipotetico scenario migliore, in cui lo spreco dovesse diminuire in misura significativa e i sistemi di coltivazione diventare più efficienti, ottenendo una situazione molto diversificata.
Se in Europa e Nord America i consumatori riescono ad avere la stragrande maggioranza dei cereali  che consumano da fonti situate entro 500 km, a livello globale la distanza media è di 3.800 km, e supera i mille km per una percentuale di popolazione che varia dal 26 al 64%. In generale  solo il 27% della popolazione mondiale ha accesso a cereali coltivati in zone temperate a meno di 100 km, valore che diventa 22% per quelli tropicali, 28% per il riso e 27% per i legumi. Per quanto riguarda il mais la percentuale scende ulteriormente, arrivando all’11%, un dato che più di ogni altro fotografa la grande concentrazione delle produzioni industriali di mais in enormi zone dedicate, mentre per i tuberi tropicali ci si ferma al 16%, per ragioni climatiche. Osservando poi la mappa dell’intera Terra preparata dagli autori, si nota come le popolazioni nella situazione peggiore che dipendono dall’importazione di alimenti essenziali siano quelle più povere e residenti nelle aree con il clima peggiore.
Per come è strutturato oggi il mercato, concludono i ricercatori, il sistema alimentare mondiale in definitiva non è in grado di assicurare l’autosufficienza a larghe fasce di popolazione. Ma migliorare la produzione locale e km zero avrebbe un sicuro impatto positivo da molteplici punti di vista, anche se in zone densamente popolate potrebbe esacerbare problemi di distribuzione e inquinamento delle acque. 
fonte: www.ilfattoalimentare.it

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Non ci salvano i supermercati ma chi coltiva e chi raccoglie

Avere meno del 4% degli occupati in agricoltura è una pistola costantemente puntata alla tempia del nostro paese, che un giorno lontano era chiamato il Giardino d’Europa. E ora con l'emergenza coronavirus manca anche chi raccoglie. Cosa mangeremo?


















Avere meno del 4% degli occupati in agricoltura è una pistola costantemente puntata alla tempia del nostro paese, che un giorno lontano era chiamato il Giardino d’Europa. Nel settore primario (sarà un caso che si chiama così?) agricolo che determina la nostra sopravvivenza lavora una percentuale ridicola di lavoratori, se paragonata agli altri settori. E come se ciò non fosse già molto pericoloso, si tratta in grandissima parte di una agricoltura che dipende totalmente dalle fonti fossili.
Basta una qualsiasi crisetta di approvvigionamento e ci ritroviamo alla fame. Questo perchè i nostri decisori politici sono così lungimiranti che per rendere le cose ancora più eccitanti, hanno deciso di farci dipendere energeticamente per più del 75% dall’estero e dai combustibili fossili. Qualsiasi cosa succede o decide chi all’estero ha la mano sui nostri rubinetti energetici, noi siamo spacciati.
E per non farci mancare proprio nulla in fatto di rischio, l’agricoltura dipende molto dalla manodopera di persone che spesso vengono da paesi esteri e per questo più facilmente sfruttabili. Con la cosiddetta emergenza coronavirus, mancano o sono bloccati molti dei lavoratori che raccolgono gli alimenti nei campi, soprattutto in un periodo come quello primaverile/estivo che, per chi pensa che il cibo cresca direttamente negli scaffali dei supermercati, è fondamentale.
Improvvisamente si è scoperta la dipendenza da quei lavoratori che qualcuno vorrebbe ributtare a mare quando fa comodo per avere voti elettorali ma che poi sono quelli senza i quali i raccolti delle campagne sono a rischio. E quei lavoratori fanno comodo anche alle aziende prive di scrupoli, alle mafie, ai caporali, ai supermercati e al consumatore perché senza di loro, che lavorano pesantemente per qualche spicciolo l’ora, non potremmo comprare il cibo a prezzi irrisori.
La nostra politica ora si è accorta che lasciare marcire il cibo nei campi potrebbe essere un problemino che nessun supermercato può risolvere. Quindi si cercano come sempre soluzioni di corsa che non possono che essere delle non soluzioni dove vige l’improvvisazione e l’ipocrisia. Si invocano sanatorie, regolarizzazioni temporali o fisse, anche per quei lavoratori dalla carnagione più scura della nostra che ci servono per raccogliere gli alimenti. Oppure si invocano i lavoratori rumeni che però sembra ci stiano facendo il gesto dell’ombrello, visto che non si può prima creare il panico, fare scappare tutti, chiudere in casa la gente e poi quando fa comodo, chiedere l’aiuto di chi si è terrorizzato. Altri vogliono mandare nei campi quelli che percepiscono il reddito di cittadinanza o i disoccupati in genere. Ottima idea ma se ci mandiamo i nostri ariani italici (ammesso che ci vogliano andare), mica possiamo dare loro qualche spicciolo all’ora come percepiscono ad esempio quei lavoratori dalla carnagione più scura della nostra; mica li possiamo fare vivere ammassati nelle baracche, senza acqua, senza servizi igienici, senza nulla; mica li possiamo trattare come bestie nei furgoni del trasporto della mafia e dei caporali. Qualche diritto e una paga dignitosa gliela si deve pure garantire, se non altro perché sono appunto della nostra stessa razza ariana italica e assai difficilmente accetterebbero le condizioni disumane che invece non ci turbano se sono sottoposte ai non italici.
Ma se succede tutto questo, poi gli alimenti quanto ci verranno a costare? Di sicuro non il poco che costano adesso grazie proprio a chi viene sfruttato in maniera vergognosa. E chi sarebbe poi disposto a pagare quel cibo il giusto prezzo?
In questa fase suggerirei a gente come Salvini di combattere la sua personale battaglia del grano e di andare lui a torso nudo modello Papeete a raccogliere gli alimenti nei campi, magari nel sud Italia, così da dare il buon italico/padano esempio alle masse. Lo faccia come campagna elettorale anche solo per un mesetto di seguito, farà un figurone.
Oppure ora mi rivolgerei a tutti i fanatici invasati della supertecnologia chiedendogli di mandare eserciti di droni e robot vari a raccogliere nei campi in un attimo tutto quello che serve e consegnarcelo direttamente sull’uscio di casa. Immagino che sia tecnicamente fattibilissimo, non costi nemmeno nulla e così risolviamo tutti i problemi. Attendo istruzioni in merito dai suddetti fanatici, anzi mi chiedo come mai non ci sia già una task force che stia risolvendo la situazione nel tempo di un click. Ma chissà, forse se si aggrava il problema si deciderà di accelerare la fine dell’emergenza corona virus perché senza mangiare si muore davvero come mosche.
In ogni caso la soluzione per non ritrovarsi più in simili assurde e pericolose situazioni è ritornare a coltivare la terra ovunque sia possibile e per favore non si tiri fuori la solita insostenibile scusa che i terreni costano, perché per farsi almeno un orto, non servono di certo ettari. Inoltre ci sono gli usi civici e ovunque terre incolte, abbandonate, di chi non sa cosa farci e che possono essere chieste in affitto, in comodato d’uso, ecc. Poi ci sono gli orti collettivi comunali, di quartiere, di circoscrizione e se non ci sono, fondateli voi. Queste sono tutte strade percorribilissime senza essere ricchi o spendere chissà quali soldi.
Quindi è bene aumentare l’autoproduzione e per il resto si può acquistare direttamente dai piccoli produttori biologici locali che sono strangolati dalla grande distribuzione, quella che ci dicono che ci sta salvando, quando l’unica cosa che sta facendo sono affari giganteschi. Per fare ciò è possibile anche creare o rivolgersi ai gruppi di acquisto collettivo che sono sparsi in tutta Italia e che da anni fanno un lavoro prezioso come ad esempio qui dalle nostre parti è molto attivo il gruppo storico di acquisto collettivo Pulmino contadino . Sempre in questa ottica si può guardare all’attività encomiabile di strutture come il movimento wwoof che supporta da sempre proprio il mondo agricolo di prossimità. Ma queste sono solo alcune delle tante soluzioni a portata di mano per qualsiasi persona di buona volontà.
Paolo Ermani
fonte: www.ilcambiamento.it

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Alimentazione ed energia: il Made in Italy è la soluzione

Da oltre trent'anni (appena!) affermo che il Paese del sole non può che puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, con il necessario compendio di risparmio energetico e uso razionale dell’energia, altrimenti in un mondo di sprechi le rinnovabili da sole servono a ben poco. Se ci fossimo mossi trent'anni fa, ora le cose sarebbero molto diverse.





Da oltre trent'anni (appena!) affermo che il Paese del sole non può che puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, con il necessario compendio di risparmio energetico e uso razionale dell’energia, altrimenti in un mondo di sprechi le rinnovabili da sole servono a ben poco. Cosa dicevano gli esperti trent'anni fa? Che l’apporto delle energie rinnovabili in Italia era risibile e non erano nemmeno da considerare alternative perché non lo erano affatto, al massimo potevano essere una graziosa cornicetta al quadro ben delineato dei combustibili fossili sempre e comunque. Ma del resto anche un ragazzino delle medie o forse anche di quinta elementare guardando una piantina nazionale di insolazione media annua o della ventosità, visto che siamo un paese pieno di costa e di monti, poteva facilmente capire le potenzialità enormi delle energie rinnovabili. Così come era altrettanto ovvio che i combustibili fossili erano una fonte esauribile.

Ma a quanto pare i nostri esperti non avevano conoscenza nemmeno delle basi, del due più due che fa quattro. O forse le conoscevano e le conoscono ma hanno ben altri interessi da servire che quelli delle energie rinnovabili, dell’ambiente e di conseguenza della salute delle persone.

Ora grazie a questi esperti, rigorosamente dotati di lauree prestigiose e master, messi a capo anche dei grandi gruppi energetici nazionali e grazie a una politica cieca, sorda e muta, l’Italia al 2020 (!!) è ancora dipendente dall’estero energeticamente per oltre il 75%, e con pervicace e masochista ostinazione si continua ad andare in quella direzione.

Si vedano a questo proposito, fra le innumerevoli follie, le trivellazioni in cerca di petrolio, il metanodotto TAP in Puglia, la metanizzazione della Sardegna e gli oltre 18 miliardi di euro che ogni anno lo Stato regala in modi diversi alle aziende di combustibili fossili. E sono quegli stessi esperti e quella stessa politica che poi si lamentano se c’è, ad esempio, la disoccupazione, quando sono le loro azioni che la determinano. E gli stessi esperti e gli stessi politici che grazie a scelte suicide hanno costruito un paese fortemente dipendente soprattutto nei due aspetti principali che determinano l’esistenza di tutti noi che sono l’energia e l’alimentazione.

Cosa sarebbe successo se trenta o quarant'anni fa, invece di non fare nulla fino ad oggi, sottolineo nulla, confermato dalla dipendenza che ancora abbiamo, si fosse puntato decisamente alle energie rinnovabili e all’abbattimento di tutti gli sprechi energetici? Avremmo ora una filiera italiana sviluppata in innumerevoli settori, milioni di posti di lavoro certi, stabili, con un senso sociale e ambientale. Anche solo con la diffusione a tappeto delle tecnologie solari termiche applicate alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano, avevamo e avremmo da lavorare per i prossimi cento anni. E che dire degli enormi risparmi di soldi per le tasche dei cittadini italiani e per quelle pubbliche che si sarebbero avuti con questi interventi? E che dire della salute e delle centinaia di migliaia di morti evitati a causa dell’inquinamento di ogni tipo che li determina ?

Niente di tutto questo è stato fatto e così il paese del sole si è visto arrivare, in tutti questi anni, tecnologie per le energie rinnovabili e il contenimento energetico anche dai paesi del nord Europa, che il sole a malapena sanno cosa sia ma che in maniera seria, intelligente e lungimirante hanno puntato su questi settori. Ci lamentiamo ora con la Germania brutta e cattiva ma le abbiamo comprato questo mondo e quell’altro di tecnologie solari, che solo a dirlo viene da ridere o da piangere, quando saremmo dovuti essere noi a vendergliele, altro che vendergli vestiti alla moda o le Ferrari. Infatti chi al mondo può sviluppare questo tipo di tecnologie e lavoro se non il Paese del sole? Ma queste sono considerazioni così ovvie, così semplici e solari appunto, che forse proprio per questo non entrano nei mega cervelli dei nostri mega esperti.

C'è chi potrebbe obiettare che i cinesi, grazie al regime di schiavitù lavorativa che hanno, avrebbero abbattuto i costi e quindi potuto venderci anche quel tipo di tecnologia, come in parte è avvenuto in maniera recente; ma a questi si può tranquillamente rispondere che tutti i soldi e le agevolazioni date ai fossili si sarebbero potute dare alle rinnovabili e così il “sistema Italia” avrebbe retto anche all’invasione dei prodotti cinesi. Oltre al fatto che realizzare campagne di informazione e sensibilizzazione per utilizzare il Made in Italy avrebbe fatto scegliere con cognizione di causa i prodotti italiani piuttosto che quelli arrivati da chissà dove e fatti chissà come. Inoltre partendo molto prima dei cinesi in quei campi, avremmo avuto vantaggi enormi.

Per non parlare poi di tutto il personale tecnico e non, che avrebbe il compito di diffondere ovunque le buone pratiche e la consapevolezza presso la popolazione e tutta la conseguente formazione da fare in ogni luogo per divulgare come risparmiare energia e interagire con le fonti rinnovabili. Lavori e prassi normali e diffuse che sarebbero dovute diventare tante e usuali come le pizzerie e inserirsi nella mentalità e quotidianità così come si conosce a memoria la formazione delle propria squadra di calcio o le canzoni del proprio cantante preferito.

E visto che ci si lamenta pure dell’Europa, cosa sarebbe successo se l’Italia fosse stata fortemente indipendente nei fatti, non nelle chiacchiere e nelle sparate dei finti sovranisti, per gli elementi base dell’esistenza? Avrebbe significato che ciò che faceva o fa l’Europa ci sarebbe interessato fino ad un certo punto, forti della nostra vera e sola sovranità che è quella nei fatti, perché è assolutamente ridicolo fare i sovranisti se poi si è totalmente dipendenti da tutto e tutti, che si chiamino Europa, Cina, Giappone, Russia o Stati Uniti.

Sarà il caso ora finalmente di rivedere radicalmente la questione? Sarà il caso di puntare decisamente ad una filiera italiana di energie rinnovabili e tecnologie per il risparmio energetico? Si trasferiscano in questi settori i soldi che vengono regalati ai combustibili fossili, si taglino le innumerevoli spese inutili e dannose come ad esempio quelle per gli aerei militari da combattimento F35 e si vada diretti in questa direzione senza se e senza ma. Abbiamo tutto, conoscenze, tecnologia, competenze, persone, non ci manca nulla, se non la volontà politica o la volontà tout court, perché anche senza la politica si può andare risolutamente in quella direzione coinvolgendo la società civile, le imprese lungimiranti e la finanza etica. Poi anche la politica seguirà, tanto è sempre l’ultima a reagire (se mai lo farà).

E veniamo ora all’alimentazione. Per cosa è conosciuta l’Italia nel mondo? Per il cibo e non potrebbe essere altrimenti visto che ogni più piccolo paesino, borgo, città che sia, ha le sue specialità e cultura alimentare, cibo di qualità sopraffina frutto di attenzione e cura secolare per uno dei motivi di maggiore piacere nella vita e per il quale siamo invidiati da tutto il mondo. E una cultura di questo tipo da cosa è stata favorita? Anche dalla posizione geoclimatica meravigliosa dell’Italia dove praticamente è possibile coltivare una varietà di alimenti incredibile, considerate anche tutte quelle coltivazioni antiche e particolari che sono state trascurate e dimenticate e che possono essere facilmente riprese. Mangiamo due o tre tipi di mele quando ne esistono centinaia.

Ma in una tale situazione da paradiso terreste dell’alimentazione abbiamo trascurato le nostre ricchezze e varietà alimentari e siamo riusciti a farci colonizzare da cibo spazzatura che arriva da paesi che non sanno nemmeno lontanamente cosa sia una cultura dell’alimentazione. Vengono prodotti e venduti cibi imbottiti di sostanze chimiche e veleni assortiti che sono un attentato quotidiano alla nostra salute. Bombardati da pubblicità dementi ci fanno credere che prodotti industriali pieni di robaccia che arriva da mezzo mondo e packaging ci facciano tanto bene e siano pure naturali.

Viste quindi le nostre immense risorse e potenzialità, perché non dirigersi verso la massima sovranità alimentare possibile, recuperando ogni centimetro coltivabile, facendo rifiorire la nostra eccezionale agricoltura da nord a sud, coltivando di tutto e proteggendo con sacralità la biodiversità che tra l’altro è quella che ci aiuta ad avere ottime difese immunitarie?

Non si può fare? E’ troppo difficile? Assolutamente no, basta puntare decisamente su questi due ambiti di forte indipendenza alimentare ed energetica così come si è fatto per altri ambiti che non solo ci hanno regalato pericolosissima dipendenza ma ci hanno determinato spese, prodotto inquinamento e danneggiato la salute. In alternativa potete sempre staccare uno sportello della vostra automobile, magari proprio della tanto decantata Fiat, orgoglio nazionale che di nazionale non ha praticamente più nulla e provare a mangiarlo. Magari sarà un po’ indigesto ma sai che scorpacciata….

Paolo Ermani

fonte: http://www.ilcambiamento.it/

Torna il Festival del Giornalismo Alimentare: politiche del cibo, sostenibilità delle filiere e cibo del futuro

Massimiliano Borgia: “ Il cibo è vita, economia, sviluppo, solidarietà, benessere. Il cittadino deve sapersi orientare tra le diverse fonti e interpretare in modo consapevole le informazioni che legge sui giornali o su un blog”






















Dal 20 al 22 febbraio 2020, Torino tornerà ad essere capitale del dibattito culturale nazionale sul cibo e l’alimentazione con la quinta edizione del Festival del Giornalismo Alimentare, che dal 2016 si è consolidato come una delle manifestazioni di rilievo nazionale, sia del «mondo alimentare» che del «mondo della comunicazione» e del giornalismo, unico in Europa nel suo genere. Al Festival si parla di giornalismo e alimentazione da punti di vista anche molto diversi fra loro: il cibo visto dal giornalismo economico e finanziario; l’informazione sulla sicurezza alimentare; l’informazione sulla ricerca agroalimentare; il linguaggio del giornalismo enogastronomico; le bufale alimentari nel web; la comunicazione alimentare verso i bambini; le politiche nazionali sull’alimentazione; legalità e cibo; la critica e l’attualità delle guide enogastronomiche; la comunicazione delle aziende; l’editoria di settore…
A Torino, la città delle idee per antonomasia, l’appuntamento richiama ogni anno centinaia di professionisti dell’informazione alimentare: giornalisti, blogger, aziende, funzionari di amministrazioni pubbliche, professionisti della sicurezza alimentare, uffici stampa e rappresentanti di associazioni si incontrano, si confrontano, scambiano esperienze e mettono in rete saperi. Qui nascono nuove idee e si anticipano i futuri trend della comunicazione legata ai temi alimentari. E nascono soluzioni per rispondere alle necessità sociali.
Filo conduttore del dibattito sarà come sempre la necessità di una informazione di qualità, a fronte anche di un pubblico di consumatori sempre più attento, partecipe e preparato, anche grazie ad una più facile accessibilità ai contenuti, garantita dai nuovi media. Questa facilità di accedere alle informazioni, che è un incredibile strumento di sviluppo, ha anche un rovescio della medaglia: in rete è molto facile incappare in informazioni errate, incomplete, superficiali, fuorvianti. Solo un atteggiamento critico e la capacità di distinguere la validità delle fonti può permettere al consumatore di avere un ruolo attivo non solo nell’individuare informazioni di qualità, ma anche nella propagazione di quelle vere e corrette.
Per questo, per la prima volta nel 2020, il Festival aprirà le sue porte anche al pubblico, che avrà anche l’occasione di incontrare dal vivo alcuni tra i più seguiti personaggi della rete. Tra gli ospiti dell’edizione 2018 ricordiamo: Lisa Casali, Sonia Peronaci e Benedetta Rossi. “Il cibo è nella vita di noi tutti, ogni giorno e in numerosi momenti. Il cibo è vita, economia, sviluppo, solidarietà, benessere, salute, scienza, cultura…e molto altro. Sempre più ci informiamo sul web. E i confini tra le diverse fonti di informazione sono sempre meno netti. – spiega il giornalista Massimiliano Borgia, ideatore e direttore del Festival – Il cittadino deve sapersi orientare tra le diverse fonti e interpretare in modo consapevole le informazioni che legge sui giornali o su un blog. E abbiamo pensato che aprire al pubblico le porte del Festival possa fornire un contributo importante nello sviluppo di questo spirito critico e verso la consapevolezza della responsabilità che ciascuno di noi può avere anche quando decide di condividere un contenuto – corretto o errato - sui social.”
Grazie agli oltre 30 panel di discussione, saranno numerosi i temi sul tavolo della V edizione: le politiche del cibo, la sostenibilità e sicurezza delle filiere, la ricerca sul cibo del futuro, lo spreco alimentare, nuovi trend come la “doggy bag” e il “food delivery”. Grande spazio sarà, come sempre, dedicato all’informazione sulla sicurezza e sui reati alimentari, al made in Italy e al cibo come veicolo di promozione sociale e culturale. Non mancheranno momenti di confronto sull’informazione vista con l’occhio della televisione, della radio e delle grandi guide gastronomiche e focus sulle grandi inchieste.
Accanto ai dibattiti, anche quest’anno il Festival proporrà un programma parallelo di stage tecnici e laboratori di esperienza. Questi saranno momenti formativi organizzati in collaborazione con partner e sponsor. Saranno a numero chiuso e avranno la finalità di trasmettere consigli utili per il lavoro del giornalista che scrive, fotografa, filma, posta il cibo. Ma saranno anche momenti di conoscenza reciproca tra i partecipanti e i curatori degli stage e dei laboratori anche in vista di contatti futuri. “Stage e laboratori – spiega ancora il Direttore Massimiliano Borgia - si svolgeranno negli stessi orari dei panel: un modo per «staccare» dai dibattiti e farsi coinvolgere in attività pratiche. Inoltre, così come avvenuto nella scorsa edizione, il Festival del Giornalismo Alimentare consegnerà i propri riconoscimenti a giornalisti che, nel corso dell’anno, si sono distinti per il loro lavoro di informazione e inchiesta in ambito food. Ripeteremo infine anche l’esperienza degli incontri B2B, che ha riscosso molto successo l’anno scorso, quando per la prima volta abbiamo organizzato incontri tra le aziende presenti al Festival interessate ad approfondire possibilità e benefici della comunicazione con i professionisti della comunicazione interessati a sviluppare la propria attività. C’è ancora moltissimo bisogno di comunicazione sul cibo e ci è parso naturale porci come facilitatori dell’incontro tra domanda e offerta.”
Con l’obiettivo di far incontrare le diverse professionalità interessate alla comunicazione alimentare, (Giornalisti, Medici, Veterinari, Biologi, Nutrizionisti, Agronomi, Avvocati e Tecnologi Alimentari) l’evento è ufficialmente inserito tra quelli validi per acquisire i crediti della formazione obbligatoria continua dei giornalisti e delle professioni scientifiche e sanitarie.