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Cibo, ecco quanto dipendiamo dalle api


Un mondo senza api sarebbe sicuramente un pianeta privo di miele. Ma anche senza cioccolato. Il motivo? Il cacao è una delle colture – insieme al kiwi, meloni, cocomeri, zucche e noci del Brasile – che dipendono per il 90% dagli impollinatori, api in testa.

Le api, messe in pericolo dall’uso dei pesticidi (purtroppo non solo dai famigerati neonicotinoidi), svolgono insieme ad altri insetti – vespe e farfalle – un ruolo fondamentale nella ...

Earth Day: Cibo per Nutrire il Pianeta Terra

Future Food Institute e Fao insieme a 100 voci dal mondo per la più grande lezione di sostenibilità. Il 22 aprile “Food for Earth” maratona digitale di 24h che attraverserà il Pianeta da Est a Ovest. A confronto le migliori pratiche sui sistemi alimentari sostenibili






















La più grande lezione mondiale sul potere rigenerativo dei sistemi alimentari a beneficio del Pianeta: il 22 aprile, in occasione della Giornata della Terra delle Nazioni Unite, Future Food Institute e FAO e-learning Academy organizzano “Food for earth”, la maratona digitale globale di 24h sulla Sostenibilità.

Dopo il successo della prima edizione, che ha riunito più di 100 voci di esperti, con 24 sessioni di lavoro, e registrato più di 100mila partecipanti in tutto il mondo, torna la staffetta virtuale per il Pianeta che, come un’ideale torcia olimpica, viaggerà da Est a Ovest e coinvolgerà imprenditori, startup, scienziati, giornalisti, giovani leader, policymakers, consulenti, agricoltori da ogni angolo del mondo con l’obiettivo di confrontarsi sulle migliori esperienze sui sistemi alimentari sostenibili.

Il Pianeta è in sofferenza: a livello globale, circa il 25% della superficie terrestre è stata danneggiata. Ogni anno si perdono 24 miliardi di tonnellate di terreno fertile, in gran parte a causa di pratiche agricole insostenibili (fonte: thegef.org), a cui si aggiungono le emissioni di gas serra prodotte per il 18,4% direttamente da agricoltura e silvicoltura (fonte: https://ourworldindata.org).

L’evento, che si inserisce tra le iniziative organizzate da EarthDay.org, l’organizzazione di Washington che da 51 anni organizza la Giornata Mondiale della Terra, attraverserà tutti i paesi del G20, il Mediterraneo, paesi emergenti e zone del mondo Patrimonio Naturale dell’Umanità: si susseguiranno interventi da Australia, Corea del Sud, Indonesia, India, Cina, Giappone, Singapore, Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Turchia, Vaticano, Italia, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito, Sud Africa, Tunisia, Senegal, Costa d’Avorio, Congo, Zimbabwe, Stati Uniti d’America, Messico, Brasile, Repubblica Dominicana, Colombia, Costa Rica, Argentina e Canada.

Diverse le figure istituzionali che porteranno un loro contributo alla maratona, interverranno tra gli altri: il Direttore Generale Fao QU Dongyu, il vicedirettore e consigliere speciale Fao Maurizio Martina e il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, oltre a Ministri e Rappresentanze istituzionali da tutto il mondo.


La Global 24-hour Digital Marathon 2021 prevede anche collegamenti con i “Climate Shapers connessi da tutto il mondo ed impegnati in vere e proprie Climate Actions”. Dall’Italia ci si connetterà con Pollica, paese che ha ospitato il primo Boot Camp italiano per Formare Climate Shapers già nel 2020, luogo-simbolo per il rispetto dell’ambiente, della legalità e culla della Dieta Mediterranea. Il sindaco Stefano Pisani, il Forum dei Giovani ed i ragazzi delle scuole che saranno protagonisti di una grande lezione sul Pianeta che si terrà sulla famosa spiaggia Cinque Vele di Legambiente dal 2000. È previsto, inoltre, un momento più riflessivo dedicato al cibo e alla sostenibilità ambientale con un focus sulla Dieta Mediterranea, stile di vita che mira all’armonia tra l’uomo e l’ambiente e quindi alla salvaguardia della biodiversità e della nostra identità.

“La seconda edizione di Food for Earth Day rappresenta un’occasione unica per condividere conoscenze e competenze sui sistemi alimentari e sui loro impatti dal punto di vista sociale, culturale, ambientale, istituzionale, economico. Una base per ripensare i sistemi alimentari e per renderli più sostenibili – dichiara Sara Roversi, Fondatrice e Presidente del Future Food Institute -. Per riuscirci abbiamo bisogno di un pensiero sistemico, piattaforme multi-stakeholder e profili multidisciplinari. In questo senso, la maratona rappresenta un esempio unico sia di contenuti straordinari, che verranno raccolti in un libro, sia del potere di partnership tra settore pubblico e privato per contribuire a pratiche nuove, circolari e rigenerative”.

“La sostenibilità è il più grande obiettivo dell’umanità e l’unica via da seguire. Per questo grande scopo, abbiamo bisogno di professionisti competenti che siano in grado e capace di prendere decisioni appropriate, formulare politiche mirate e sostenibili e strategie e adottando metodologie e tecnologie “verdi” innovative. Dobbiamo generare responsabili del cambiamento, modellatori del clima e futuri leader autorizzati a rivoluzionare in modo sostenibile il cibo ecosistema, nel pieno rispetto dell’umanità e del nostro pianeta”, dichiara Cristina Petracchi, responsabile dell’Accademia e-learning della FAO.


La diretta dell’evento sarà trasmessa integralmente sul canale Youtube di Future Food Institute e sul sito dell’evento www.foodforearth.org

Sulla pagina Facebook di Future Food Institute verranno trasmesse le due sessioni italiane:

“Mediterraneo e Dieta Mediterranea: Patrimonio essenziale per il futuro dell’Umanità” ore 15.30 – 16.15

Intervengono:
Stefano Patuanelli*, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali
Grammenos Mastrojeni, Vice Segretario Generale dell’Unione per il Mediterraneo
Angelo Riccaboni , Presidente di Fondazione Prima
Stefano Pisani, Sindaco di Pollica (Comunità Emblematica Unesco della Dieta Mediterranea)
Diana Battaggia, Direttore di UNIDO ITPO
Benedetto Zacchiroli, Presidente ICCAR UNESCO,
Elisabetta Moro, MedEatResearch, Università Suor Orsola Benincasa
Antonio Parenti, Capo Rappresentanza della Commissione Europea in Italia

Modera: Sara Roversi, Presidente future Food Institute

*in attesa di conferma

“Agorà Italia: il ruolo cruciale del nostro paese nell’anno della Presidenza del G20, di COP26 e del Food Systems Summit” ore 17.15 – 18.00

Intervengono:
Luigi Di Maio, Ministro degli Affari Esteri
Maurizio Martina, Special advisor e vice direttore generale FAO
Prof. Riccardo Valentini, University of Tuscia DIBAF; Premio Nobel per la Pace nel 2007 e membro dell’ Intergovernmental Panel on Climate Change
Emanuela Del Re, Presidente del Comitato Permanente sull’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile

La voce dei Climate Shapers: Bernardo Melotti, Marina Lipari

Modera: Sara Roversi, Presidente future Food Institute

fonte: www.rinnovabili.it


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Diciamo stop allo spreco alimentare dando al cibo il giusto valore.










Per combattere lo spreco alimentare, è fondamentale ridare il giusto valore al cibo, coinvolgendo i consumatori nel cambiamento di paradigma. Un tema al centro del webinar di MDC Perugia raccontato da Sabrina Bergamini in un articolo su HelpConsumatori, che vi proponiamo.


Il cibo è salute. Ci sono dunque delle cose che non possiamo più permetterci di fare. Non possiamo più permetterci di sprecare cibo, di buttarlo via, perché ormai un terzo di quello prodotto in tutto il mondo viene sprecato – come dicono i dati della Fao. E fra le cause dello spreco alimentare da parte dei consumatori ci sono scarsa consapevolezza ma anche grande abbondanza di cibo. Bisogna dunque ridargli valore, per contenere lo spreco con l’obiettivo di azzerarlo.

Non possiamo più permetterci di riempire le nostre case di imballaggi di ogni tipo, spesso monouso, spesso fonti di pericolo per la sicurezza alimentare. Perché le alternative ci sono: contenitori riutilizzabili per la spesa sfusa, retine e barattoli da riutilizzare, prodotti alternativi che permettono di superare il ricorso alla plastica. Packaging e spreco alimentare sono stati i due grandi temi approfonditi dal webinar “Scarti alimentari, come ridurli e come gestirli”, organizzato da MDC Perugia sabato 6 marzo nell’ambito del progetto “Il cibo è salute”, realizzato all’interno del programma generale di intervento della Regione Umbria con l’uso dei fondi Mise.

Il focus sullo spreco alimentare mette bene in luce quali siano le dimensioni planetarie del fenomeno. Che ha tante cause e rimanda al rapporto della società intera e degli individui col cibo, in un contesto fatto di paradossi. Nel cibo si riproducono infatti disuguaglianze e uso non ottimale delle risorse alimentari. Per non parlare del fatto che, oltre alla malnutrizione e alla cattiva nutrizione, una delle pandemie mondiali più diffuse è quella dell’obesità. 


Lo spreco alimentare è un fenomeno che chiama in causa il rapporto della società e delle persone con il cibo

A fare il punto sullo spreco alimentare è stato, nell’ambito del webinar organizzato da MDC Perugia, il professor Luca Falasconi, Dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari dell’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna. La valorizzazione del cibo come salute si porta dietro il grande tema dello spreco alimentare. “È un fenomeno che non ha una definizione univoca al mondo – ha detto il professor Falasconi – e chiama in causa il rapporto della società e delle persone col cibo”.

Nonché i paradossi in cui si muove il cibo. Uno è fondato sulla disuguaglianza: il 5% della popolazione mondiale usa un terzo delle risorse alimentari dell’intero pianeta. Un altro riguarda il contrasto fra denutrizione e obesità, problema particolarmente sentito non solo in Italia ma anche in Paesi come Nigeria, Uganda, Messico, Egitto. Un altro ancora riguarda l’impiego non ottimale delle risorse alimentari. “Un terzo della produzione alimentare vegetale del pianeta viene destinata all’allevamento animale”, sottolinea Falasconi. Questo però porta a degli squilibri.

Un ettaro di terreno coltivato a patate, racconta l’esperto, può sfamare 22 persone in un anno; un ettaro di terreno a riso può sfamare 19 persone l’anno; un ettaro coltivato a foraggio per allevare bovini oppure ovini può sfamare una o due persone l’anno. E dal 1967 a oggi la produzione animale è esplosa: l’allevamento del pollame è aumentato del 700%, quello dei suini del 300%, quello di ovini e bovini del 200%. Altra distorsione deriva dalla produzione di biocarburanti: un ettaro di terreno coltivato a mais può sfamare una persona per un anno o fare un “pieno” al serbatoio, per una volta sola.

Il cibo non è distribuito in modo equo. La Fao stima che un terzo di quanto prodotto al mondo venga sprecato. Lo spreco alimentare rimanda dunque, spiega Falasconi, all’insieme dei prodotti scartati o perduti lungo tutta la filiera agroalimentare. È tuto il cibo che ha perso valore commerciale ma non caratteristica di cibo. Sono i prodotti utilizzabili ma non più vendibili, che perdono la caratteristica di merce, ma non quella di alimento. A quanto ammonta dunque questo spreco?

A livello planetario viene sprecato il 45% della frutta e della verdura prodotte

A livello planetario sono sprecati o persi il 30% del pesce, il 20% della carne, il 45% di frutta e verdura, il 30% dei cereali. Solo alla voce pesce, è l’equivalente di 3 miliardi di salmoni. In Europa gli sprechi alimentari si concentrano per il 43% nel consumo domestico. In Italia si spreca qualcosa come 2 milioni e mezzo di tonnellate di cibo a livello domestico.

Le cause dello spreco alimentare sono molteplici, ma alcune colpiscono in modo particolare – anche per la loro diffusione a livello casalingo e domestico. C’è ad esempio l’assenza di consapevolezza dei consumatori che, quando fanno la spesa, evitano di comprare i prodotti con imballaggio rovinato. Sono prodotti che verranno buttati via dai punti vendita per il solo fatto di avere, ad esempio, il cartone di un rivestimento strappato.

Altre cause, spiega Falasconi, sono “la straordinaria abbondanza di cibo, la straordinaria accessibilità, la straordinaria economicità”. Brutalmente: “possiamo permetterci di buttare via cibo”. Allo stesso tempo, possiamo anche invertire la rotta, almeno a livello di consumo domestico.

“È vero che il consumatore è la pecora nera dello spreco alimentare lungo la filiera, ma se tutti noi consumatori decidessimo di essere più attenti e ridurre a zero lo spreco, il 40% dello spreco alimentare verrebbe risolto”. E questo dà un grande ruolo ai consumatori nella lotta allo spreco di cibo. L’imperativo è dunque uno: “Ridare valore al cibo”.


Le nuove tecnologie hanno permesso di sviluppare strumenti digitali per contribuire a ridurre lo spreco alimentare

Le pratiche virtuose nella riduzione dello spreco non mancano, anche via app e con le nuove tecnologie. Due su tutte. Una è quella dell’app Too Good To Go, che mette in contatto gli esercizi al dettaglio con gli utenti quando ci sono prodotti invenduti a fine giornata, specialmente cibo fresco. I consumatori ritirano una magic box a sorpresa e hanno cibo “troppo buono per essere gettato via”, venduto a un terzo del suo prezzo. A livello globale, è un’esperienza che ha permesso di salvare 50 milioni di pasti, 2 milioni in Italia.

L’altra esperienza virtuosa è quella di Regusto, piattaforma blockchain per la gestione delle eccedenze e degli stock. Attraverso Regusto le aziende possono vendere o donare i propri prodotti a enti non profit e associazioni convenzionate. La piattaforma traccia le transazioni in blockchain e calcola la riduzione di impatto ambientale generata, nonché le persone raggiunte dai beni donati o venduti. In media all’interno di Regusto vengono donate e vendute più di 25 tonnellate di beni al mese.

Sabrina Bergamini – HelpConsumatori

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Cambiamenti climatici, FAO: a rischio le risorse alimentari mondiali

Cambiamenti climatici fattore di rischio per l'alimentazione e l'agricoltura, FAO: minaccia non soltanto per i Paesi in via di sviluppo



I cambiamenti climatici stanno colpendo duramente I Paesi anche dal punto di vista dell’approvvigionamento di cibo. A lanciare l’allarme è la FAO, attraverso lo studio “The Impact of Disasters and Crises on Agriculture and Food Security” (Trad. Impatto dei disastri e delle crisi sull’agricoltura e la sicurezza alimentare).

Alimentazione mondiale a rischio secondo la Food and Agriculture Organization, che sottolinea come le calamità naturali siano costate ai settori agricoli dei Paesi in via di sviluppo oltre 108 miliardi di dollari.

Nel report sono stati analizzati gli effetti provocati da 457 disastri ambientali naturali, verificatisi in 109 Paesi (inclusi quelli più ricchi). Sono state considerate sia le perdite economiche, ma anche quelle relative ai mezzi di sostentamento. In 389 casi le calamità naturali hanno compromesso anche la produzione agricola. Maggiormente colpite le nazioni in via di sviluppo, ben 94.

Cambiamenti climatici, rischi per il futuro dell’alimentazione

Secondo il bilancio tratto dalla FAO i cambiamenti climatici e gli eventi meteorologici estremi sono costati al comparto agricolo oltre 108 miliardi di dollari ai settori agricoli dei soli Paesi più poveri. Particolarmente danneggiati risulterebbero i piccoli produttori, allevatori e pescatori locali.

I mutamenti nel clima mondiale stanno aumentando i rischi legati alla siccità, la principale minaccia, ma anche alle infestazioni da parassiti o insetti, alle malattie (Covid-19 e non solo). La pandemia di Coronavirus, ha concluso la FAO, oltre ad aver colpito l’umanità in maniera diretta sta aggravando i rischi sistemici legati al settore alimentare.

Fonte: Adnkronos



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Le città italiane strette tra nuovi poveri e spreco alimentare

Un nuovo studio mostra che serve una gestione integrata, cioè che guardi veramente al cibo dal campo alla tavola, fino alla gestione del rifiuto




Mentre a causa della pandemia si stima che in Italia oltre 2 milioni di famiglie scivoleranno nella povertà assoluta – segnando un +50% sul 2019 –, la Fao stima che a livello globale più di un terzo del cibo sia perso o sprecato lungo l’intera catena di produzione del cibo. Si tratta di un problema che si concentra nelle città, dove ormai vive oltre la metà della popolazione mondiale e dove si consuma dal 70 all’80% di tutte le risorse alimentari prodotte. Ecco perché il nuovo studio Urban food waste: a framework to analyse policies and initiatives parte da qui, prendendo in esame 40 città europee in 16 diversi Paesi, per elaborare una nuova metodologia in grado di valutare le politiche e le iniziative delle città per la lotta allo spreco alimentare.

«Le città possono andare a incidere direttamente su tanti settori o elementi del sistema alimentare urbano – spiega la co-autrice Marta Antonelli, senior scientist presso la Fondazione Cmcc e direttore ricerca di Fondazione Barilla –, che poi determinano le dimensioni della sicurezza alimentare per i cittadini. Come? Attraverso l’azione sui mercati rionali, le mense scolastiche, le mense caritatevoli, gli incentivi per ridurre gli sprechi, etc».

Il problema, come accennato, si concentra nelle città ma i suoi riflessi sono ormai globali. Secondo le stime Fao lo spreco alimentare rappresenta fino al 10% delle emissioni globali di gas serra, e ha un’impronta idrica pari a cinque volte il volume del lago di Garda. Solo in Europa, con 88 milioni di tonnellate di cibo sprecato ogni anni (pari a 173 kg a testa), si stima inoltre che il 15% degli impatti totali sull’ambiente della catena di produzione del cibo siano attribuibili proprio agli sprechi alimentari.

In questo contesto l’Italia è comunque riuscita a fare dei passi avanti, negli ultimi anni. Secondo l’ultima indagine pubblicata – all’inizio di quest’anno – dall’Osservatorio waste watcher, c’è stata una riduzione del 25% nello spreco alimentare. Ma a livello nazionale continuano a finire nel cestino 65kg di cibo pro capite l’anno, con perdite economiche pari a 6,5 miliardi di euro.

Con la pandemia, paradossalmente la situazione potrebbe però tornare a peggiorare. Come dettaglia Antonelli in riferimento ai risultati emersi nello studio, «a fronte di una perfetta edibilità del cibo, si osservano spesso perdite (nelle prime fasi della filiera alimentare, nel tragitto tra il campo e la vendita al dettaglio), oppure sprechi (nelle ultime, a livello di vendita al dettaglio e di consumo), con significativi impatti a livello economico, sociale e ambientale. Anche senza considerare l’emergenza Covid-19, che ha ulteriormente aggravato la situazione, ogni anno il 14% circa dei prodotti alimentari va perso in tutto il mondo prima di raggiungere il mercato; i motivi sono molteplici, e spaziano da problemi alle infrastrutture, vizi di manipolazione, inadeguatezza delle modalità di trasporto, condizioni meteorologiche estreme, fino a problemi nello stoccaggio e conservazione dei prodotti, che colpiscono soprattutto i cibi più deperibili, come frutta e verdura. Per quanto riguarda invece lo spreco ‘a valle’, imputabile ai consumatori o agli addetti al servizio della ristorazione, le ragioni sono soprattutto di tipo comportamentale».

Cosa possono fare le città per contribuire a migliorare? L’analisi cui ha collaborato il Cmcc mette in luce anche come molte città (in Italia, Bari, Bologna, Milano, Torino, Genova, Venezia e Cremona, con iniziative sia pubbliche che private) stiano utilizzando la lotta allo spreco per andare ad alleviare la povertà alimentare e l’esclusione sociale delle fasce più vulnerabili della popolazione, per esempio attraverso sistemi di donazione delle eccedenze di cibo, o la creazione di nuove opportunità di lavoro nell’economia circolare.

Adesso il primo passo sta nel riuscire a fare rete. «Se andassimo a vedere le azioni che i diversi comuni italiani hanno intrapreso sul sistema alimentare, vedremmo – osserva Antonelli – che le azioni sono molteplici; quello che è ancora raro, è avere una gestione integrata, cioè che guardi veramente al cibo dal campo alla tavola, fino alla gestione del rifiuto, in maniera integrata, multi-settoriale, e di conseguenza anche multi-attoriale».

fonte: www.greenreport.it


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Dalla FAO un database su perdita e spreco alimentare

La piattaforma contiene dati e informazioni provenienti da rapporti e studi che misurano la perdita e lo spreco di cibo, in ogni fase della catena del valore




Il database Food Loss and Waste è la più grande raccolta online di dati su perdita e spreco alimentare e sulle relative cause. Il database può essere utilizzato liberamente da chiunque desideri saperne di più sull’argomento.

Il Target 12.3 dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile 12 – Consumo e produzione responsabili (Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo) recita: “Entro il 2030, dimezzare lo spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo lungo le filiere di produzione e fornitura, comprese le perdite post-raccolto”.

Per monitorare la perdita e lo spreco di cibo, la FAO ha esaminato la letteratura disponibile e raccolto dati e informazioni da rapporti e fonti diverse, tra cui organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale, IFPRI (International Food Policy Institute), GIZ (Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit).

Questi dati sono raccolti in un database interattivo su perdite e scarti alimentari dove è possibile svolgere micro e macro analisi grazie ai dati disponibili. Gli utenti possono filtrare le informazioni secondo anno, nazione, tipo di merce, stato della catena del valore e attività.

Conoscere i dati dello spreco alimentare permetterà di conoscere il problema in modo approfondito e quindi intervenire in modo appropriato. L’aggiornamento dei dati è costante, quindi i risultati visibili nel database cambiano in base all’inserimento dei nuovi dati.

Tuttavia il sistema ha ancora delle lacune sulle quali si dovrà intervenire. Ad esempio, spesso gli studi sommano le percentuali di perdita lungo la catena di approvvigionamento: questo fa aumentare le perdite percentuali complessive e non calcola le perdite lungo la catena di approvvigionamento. A volte è difficile valutare correttamente la perdita di cibo entro le stime nazionali perché si tratta di campioni di piccole dimensioni. Non è infrequente che le cifre presentino differenze nelle diverse fasi delle catene del valore e delle regioni, rendendo più complessa una stima delle perdite a livello internazionale. Un altro elemento di difficoltà risiede nella mancanza di mancanza di comparabilità su molti livelli a causa delle diverse metodologie utilizzate. Facendo uno studio dei casi, le dimensioni del campione potrebbero essere troppo piccole per elaborare prescrizioni politiche generali. Infine, può succedere che le valutazioni siano viziate da pregiudizi di fondo nella raccolta dei dati.

La variabilità dei dati impone una misurazione puntuale con sistemi affidabili, cosa non sempre facile considerate le lacune nei dati forniti dai diversi Paesi. Rimane comunque interessante l’esistenza di un database su perdita e spreco alimentare perché può stimolare riflessioni su un problema che richiede ingenti investimenti e adeguate decisioni politiche.

fonte: www.rinnovabili.it


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Fao: meno biodiversità, a rischio agricoltura e sistema alimentare


















Diffuso dalla Fao il rapporto sullo Stato della biodiversità mondiale per l'alimentazione e l'agricoltura che presenta preoccupanti prove che la biodiversità che sta alla base dei nostri sistemi alimentari sta scomparendo, mettendo a rischio il futuro dei nostri alimenti, dei mezzi di sussistenza, della salute umana e dell’ambiente. 
Una volta perduta, avverte il rapporto, la biodiversità alimentare e agricola - vale a dire tutte le specie che supportano i nostri sistemi alimentari - non può essere recuperata.
Con biodiversità per il cibo e l'agricoltura s’intendono tutte le piante e gli animali - selvatici e domestici - che forniscono cibo, mangimi, carburante e fibre. E anche la miriade di organismi che sostengono la produzione di cibo attraverso i servizi eco-sistemici - chiamati "biodiversità associata". Questo include tutte le piante, gli animali e i microrganismi (insetti, pipistrelli, uccelli, mangrovie, coralli, piante marine, lombrichi, funghi, batteri) che mantengono i terreni fertili, impollinano le piante, purificano l'acqua e l'aria, mantengono le risorse ittiche e forestali in buona salute, e aiutano a combattere i parassiti e le malattie delle coltivazioni e del bestiame.
Il rapporto, preparato dalla FAO sotto la guida della Commissione sulle risorse genetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, esamina tutti questi elementi. Si basa sulle informazioni fornite specificamente per questo rapporto da 91 paesi e sull'analisi degli ultimi dati globali.
"La biodiversità è fondamentale per la salvaguardia della sicurezza alimentare globale, é alla base di diete sane e nutrienti e raforza i mezzi di sussistenza rurali e la capacitá di resilienza delle persone e delle comunità,“ ha dichiarato il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva. “Dobbiamo usare la biodiversità in modo sostenibile, in modo da poter rispondere meglio alle crescenti sfide del cambiamento climatico e produrre cibo senza danneggiare il nostro ambiente."
"Meno biodiversità significa che piante e animali sono più vulnerabili ai parassiti e alle malattie”, ha aggiunto Graziano da Silva. “Elemento, che insieme alla nostra dipendenza da un numero sempre minore di specie per nutrirci, sta mettendo la nostra già fragile sicurezza alimentare sull'orlo del collasso".
Il rapporto denuncia una riduzione della diversità delle coltivazioni, il maggiore numero di razze di animali a rischio d’estinzione e l'aumento della percentuale di stock ittici sovra-sfruttati. Delle circa 6.000 specie di piante coltivate per il cibo, meno di 200 contribuiscono in modo sostanziale alla produzione alimentare globale e solo nove rappresentano il 66% della produzione totale.
La produzione mondiale di bestiame si basa su circa 40 specie animali, con solo un piccolo gruppo che fornisce la stragrande maggioranza di carne, latte e uova. Delle 7.745 razze di bestiame locali (a livello di paese) segnalate, il 26% è a rischio d‘estinzione. Quasi un terzo degli stock ittici è sovra-sfruttato, più della metà ha raggiunto il limite sostenibile.
Le informazioni provenienti dai 91 paesi rivelano che le specie di cibo selvatico e molte specie che contribuiscono ai servizi eco-sistemici vitali per l'alimentazione e l'agricoltura, compresi gli impollinatori, gli organismi del suolo e i nemici naturali dei parassiti, stanno rapidamente scomparendo. Ad esempio, i paesi riportano che il 24%di quasi 4.000 specie di cibo selvatico - principalmente piante, pesci e mammiferi - sta diminuendo. Ma la proporzione di alimenti selvatici in declino è probabilmente ancora più grande perché lo stato di oltre la metà delle specie alimentari selvagge è ancora sconosciuto. Il maggior numero di specie di cibo selvatico in declino compare in paesi dell'America Latina e dei Caraibi, seguiti da quelli dell’Asia-Pacifico e dell’Africa. Questo potrebbe essere, tuttavia, il risultato del fatto che le specie alimentari selvatiche sono più studiate e riportate in questi paesi che in altri.
Sono anche gravemente minacciate molte specie associate alla biodiversità. Tra queste vi sono uccelli, pipistrelli e insetti che aiutano a controllare i parassiti e le malattie, la biodiversità del suolo e gli impollinatori selvatici - come api, farfalle, oltre ai pipistrelli e agli uccelli.
Foreste, pascoli, mangrovie, praterie di alghe, barriere coralline e zone umide in generale - gli eco-sistemi chiave che forniscono numerosi servizi essenziali per l'alimentazione e l'agricoltura e ospitano innumerevoli specie - sono anch'essi in rapido declino.
fattori chiavi della perdita di biodiversità citati dalla maggior parte dei paesi: cambiamenti nell'uso e nella gestione della terra e dell'acqua, seguiti da inquinamento, sovra-sfruttamento, cambiamenti climatici, crescita della popolazione e urbanizzazione.
Nel caso della biodiversità associata, mentre tutte le regioni segnalano l'alterazione e la perdita dell'habitat tra le principali minacce, altri fattori chiave variano da una regione all'altra. Questi sono il sovra-sfruttamento, la caccia e il bracconaggio in Africa; deforestazione, cambiamenti nell'uso del suolo e intensificazione dell'agricoltura in Europa e Asia centrale; sovra-sfruttamento, parassiti, malattie e specie invasive in America Latina e nei Caraibi; sovra-sfruttamento nel Vicino Oriente e Nord-Africa e la deforestazione in Asia.
Il rapporto evidenzia un crescente interesse per pratiche e approcci compatibili con la biodiversità. L'80% dei 91 paesi dichiara di utilizzare una o più pratiche e approcci rispettosi della biodiversità come l’agricoltura biologica, la gestione integrata dei parassiti, l’agricoltura conservativa, una gestione sostenibile del suolo, l’agro-ecologia, una gestione forestale sostenibile, l’agro-forestazione, pratiche di diversificazione in acquacoltura, un approccio eco-sistemico alla pesca e al ripristino dell'ecosistema. Gli sforzi di conservazione, sia sul posto (ad esempio aree protette, gestione delle fattorie) che fuori sede (ad esempio banche di geni, zoo, collezioni di colture, giardini botanici) stanno aumentando a livello globale, sebbene i livelli di copertura e protezione siano spesso inadeguati.
Cosa fare per invertire le tendenze che portano alla perdita di biodiversità, la cui conservazione è invece fondamentale per combattere la fame nel mondo? Mentre l'aumento delle pratiche favorevoli alla biodiversità è incoraggiante, occorre fare di più per fermare la perdita di biodiversità alimentare e agricola. La maggior parte dei paesi ha adottato quadri normativi a livello legale, politico e istituzionale per l'uso sostenibile e la conservazione della biodiversità, ma spesso sono risultati inadeguati o insufficienti. Il rapporto invita i governi e la comunità internazionale a fare di più per rafforzare la legislazione, creare incentivi e misure di condivisione dei benefici, promuovere iniziative a favore della biodiversità e affrontare le cause principali della sua perdita.
Secondo la Fao occorre inoltre intensificare gli sforzi per migliorare lo stato delle conoscenze sulla biodiversità, poiché permangono molte lacune in termini di informazioni, in particolare per le specie ad essa associate. Molte di queste specie non sono mai state identificate e descritte, in particolare gli invertebrati e i microrganismi. Oltre il 99% dei batteri e delle specie protiste - e il loro impatto su cibo e agricoltura - rimangono sconosciuti. "È necessario - sostiene la Fao - migliorare la collaborazione tra responsabili politici, organizzazioni di produttori, consumatori, settore privato e organizzazioni della società civile nei settori alimentare, agricolo e ambientale. Potrebbero essere meglio esplorate le opportunità di sviluppare più mercati per prodotti compatibili con la biodiversità."
Il rapporto evidenzia anche il ruolo che il pubblico può svolgere nel ridurre le pressioni sulla biodiversità alimentare e agricola. I consumatori possono optare per prodotti coltivati ​​in modo sostenibile, acquistare dai mercati degli agricoltori o boicottare cibi considerati insostenibili. In diversi paesi, i "cittadini scienziati" svolgono un ruolo importante nel monitoraggio della biodiversità alimentare e agricola.
Esempi dell’impatto della perdita di biodiversità e di pratiche che la proteggono:
· In Gambia, le enormi perdite di alimenti selvatici hanno costretto le comunità a ricorrere ad alternative, spesso alimenti prodotti industrialmente, per integrare le diete.
· In Egitto, l'innalzamento delle temperature porterà a spostamenti verso nord di gamme di specie ittiche, con impatti sulla produzione.
· In Nepal la carenza di manodopera, i flussi delle rimesse dall’estero e la crescente disponibilità di prodotti alternativi economici sui mercati locali hanno contribuito all'abbandono di molte colture locali.
· Nelle foreste amazzoniche del Perù, si prevede che il cambiamento climatico porterà a una "savanizzazione", con impatti negativi sull'offerta di alimenti selvatici.
· Gli agricoltori californiani permettono alle loro risaie di allagarsi in inverno invece di essere bruciate dopo la stagione di crescita. Questo fornisce 111.000 ettari di zone umide e uno spazio aperto per 230 specie di uccelli, molti a rischio di estinzione. Di conseguenza, molte specie sono aumentate e il numero di anatre è raddoppiato.
· In Francia, circa 300.000 ettari di terra sono gestiti utilizzando principi agro-ecologici.
· A Kiribati, l'agricoltura integrata di molluschi, pesci palustri, cetrioli di mare e alghe marine garantisce cibo e reddito regolari, nonostante il cambiamento delle condizioni meteorologiche, almeno una componente del sistema produce sempre cibo.
fonte: www.oggigreen.it

Spreco di cibo in aumento: nel 2030 verranno perse 66 tonnellate al secondo

È quanto emerge dal rapporto del Boston Consulting Group (BCG). La quantità di cibo che viene sprecata ogni anno nel mondo aumenterà di un terzo entro il 2030, quando saranno perse o gettate via 2,1 miliardi di tonnellate di alimenti





La quantità di cibo che viene sprecata ogni anno nel mondo aumenterà di un terzo entro il 2030, quando saranno perse o gettate via 2,1 miliardi di tonnellate di alimenti, pari a 66 tonnellate al secondo. È quanto emerge dal rapporto del Boston Consulting Group (BCG), multinazionale statunitense di consulenza di managemen, in cui si dice che la risposta globale allo spreco alimentare è frammentata e inadeguata e che il problema sta crescendo ad un ritmo allarmante.

"Mentre stiamo sviluppando le nostre soluzioni la portata del problema continua ad aumentare", ha affermato Shalini Unnikrishnan, partner e managing director di BCG. "Man mano che la popolazione cresce rapidamente in alcune parti del mondo industrializzate, come in Asia, anche il consumo cresce altrettanto rapidamente" e di conseguenza lo spreco: “Dove la ricchezza cresce le persone chiedono più cibo e più cibo diverso, che non viene coltivato localmente. Ciò aumenterà la perdita e lo spreco". Il rapporto suggerisce la creazione di un marchio di qualità ecologica, simile a quello delle campagne del commercio equo, che incoraggi i clienti ad acquistare da aziende impegnate nel ridurre gli scarti.

Le stime attuali dicono che ogni anno vengono sprecate 1,6 miliardi di tonnellate di cibo per un valore di circa 1,2 milioni di dollari, circa un terzo del cibo prodotto a livello globale. Tutto questo mentre 815 milioni di persone nel mondo (il 10,7% della popolazione globale) soffre di denutrizione cronica secondo i dati FAO relativi 2016, e senza dimenticare che i rifiuti alimentari e le perdite hanno anche un peso ambientale notevole, visto che determinano l'8% delle emissioni globali di gas serra, sempre secondo la FAO. Come detto sono i paesi che si stanno industrializzando e che hanno una popolazione in crescita quelli soggetti ai maggiori aumenti dello spreco di cibo, anche a causa di inefficienze nell'utilizzare appieno la produzione già presente, come quella dei piccoli agricoltori locali.

Mentre nei paesi in via di sviluppo i rifiuti si generano soprattutto durante i processi produttivi, nei paesi ricchi i rifiuti sono causati principalmente dalla grande distribuzione e dai consumatori, che buttano via il cibo perché ne hanno acquistato troppo o perché non soddisfa gli standard estetici. Anche le promozioni dei supermercati e la mancanza di informazioni accurate hanno contribuito allo spreco, dice il rapporto. Alcune aziende stanno sperimentando iniziative di riduzione dei rifiuti, ma secondo il BCG non sono sufficienti. La creazione di un marchio di qualità ecologica potrebbe incoraggiare le aziende a lavorare di più in tal senso, anche se è l'azione dei governi che disincentiva troppo poco lo spreco alimentare.

fonte: www.ecodallecitta.it

Spreco alimentare: ogni anno le famiglie Ue buttano nella spazzatura 17 miliardi di kg di frutta e verdura

Ogni anno nell'Ue si producono 21,1 kg di "rifiuti alimentari inevitabili" e 14,2 kg di "rifiuti evitabili" pro capite





Secondo il recente studio “Quantifying household waste of fresh fruit and vegetables in the EU” pubblicato su Waste Management da Valeria De Laurentis, Sara Corrado e Serenella Sala del Joint Research Centre (Jrc) della Commissione europea, le famiglie dell’Unione europea producono circa 35,3 kg di rifiuti di frutta e verdura freschi pro capite all’anno, 14,2 kg dei quali sono evitabili. La Fao stima che circa un terzo del cibo prodotto a livello mondiale per il consumo umano vada perso o finisca nella spazzatura. Secondo studi realizzati in diversi Paesi europei, frutta e verdura fresche rappresentano quasi il 50% degli sprechi alimentari delle famiglie dell’Ue. Le ricercatrici italiane del Jrc fanno notare che si tratta di qualcosa di prevedibile, «dato che costituiscono circa un terzo degli acquisti alimentari totali, parte della loro massa è immangiabile (ad esempio buccia), e sono altamente deperibili e relativamente economici».

In tutto, si tratta di circa 88 milioni di tonnellate di cibo sprecate ogni anno solo nell’Ue, con costi stimati in 143 miliardi di euro, ma lo studio del Jrc fa notare che i rifiuti alimentari potrebbero essere ridotti applicando strategie di prevenzione mirate e che i rifiuti inevitabili potrebbero essere gestiti in modo molto più sostenibile, sia nella fase di produzione che per il riciclo, utilizzandoli nell’economia circolare.

Al Jrc sono convinti che «I risultati di questo studio hanno implicazioni sia per le politiche sulla prevenzione che per la gestione dei rifiuti alimentari domestici. Il modello proposto può aiutare a stabilire le prassi di base e le differenze nella produzione di rifiuti tra i diversi Paesi, studiare gli effetti dei diversi modelli di consumo sulla produzione di rifiuti e stimare il potenziale di riutilizzo di rifiuti inevitabili in altri sistemi produttivi, il che è di grande interesse in una prospettiva di economia circolare.Ha anche potenziali applicazioni più ampie, ad esempio nella stima dei rifiuti generati da altri prodotti domestici.

Le autrici dello studio hanno creato un modello per stimare la quantità di rifiuti domestici evitabili e inevitabili costituiti da frutta e verdura fresca prodotta dalle famiglie dell’Ue e spiegano che «I rifiuti inevitabili (rifiuti derivanti da preparazione o consumo di cibo che non sono, e non sono mai stati, commestibili in circostanze normali) e rifiuti evitabili (cibo buttato via che era, fino ad un certo punto prima dello smaltimento, commestibile) sono stati calcolati nel 2010 per 51 tipi di rifiuti di frutta e verdura fresche in sei paesi dell’Ue (Germania, Spagna, Danimarca, Paesi Bassi, Finlandia e Regno Unito). Queste cifre sono state utilizzate per stimare gli sprechi inevitabili ed evitabili prodotti dalle famiglie dell’Ue da consumo di frutta e verdura fresca».

Dallo studio viene così fuori che «Ogni anno nell’Ue si producono 21,1 kg di rifiuti inevitabili e 14,2 kg di rifiuti evitabili pro capite. In media, il 29% (35,3 kg per persona) di frutta e verdura fresca acquistata dalle famiglie nell’Ue a 28 viene sprecato, il 12% (14,2 kg) del quale era evitabile».

A seconda dei diversi livelli di comportamenti di spreco (legati a fattori culturali ed economici) e dei diversi modelli di consumo (che influenzano la quantità di rifiuti inevitabili prodotti), le ricercatrici hanno riscontrato grandi differenze nei rifiuti evitabili e inevitabili prodotti nei diversi Paesi: «Ad esempio, sebbene gli acquisti di verdure fresche sno più bassi nel Regno Unito che in Germania, la quantità di rifiuti inevitabili generati pro-capite è quasi la stessa, mentre la quantità di rifiuti evitabili è più alta nel Regno Unito. Si è scoperto che i Paesi i cui cittadini spendono una percentuale maggiore del loro reddito per il cibo producono meno rifiuti evitabili».

Un bel problema, visto che l’ Obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG) 12.3 dell’Agenda Onu punta a dimezzare entro il 2030 gli sprechi alimentari sia alla vendita che da parte dei consumatori e che l’ultima modifica alla Direttiva quadro sui rifiuti dell’Ue impone agli Stati membri di ridurre lo spreco alimentare come contributo all’obiettivo SDG 12.3 e di monitorare e riferire annualmente riguardo ai livelli di spreco alimentare.

fonte: www.greenreport.it

Il declino delle api minaccia (anche) l’uomo: il 75% delle colture alimentari mondiali dipende dall’impollinazione

Fao: «Non possiamo continuare a concentrarci sull'aumento della produzione e della produttività basandoci sull'uso diffuso di pesticidi»














Oltre il 75% delle colture alimentari mondiali dipende in una certa misura dall’impollinazione per resa e qualità: gli impollinatori – come api, api selvatiche, uccelli, pipistrelli, farfalle e coleotteri – volano, saltano e strisciano sui fiori aiutando le piante a fertilizzarsi, e dunque successivamente a garantirci quei frutti della terra che sono parte indispensabile della nostra alimentazione. Cosa accadrebbe senza di loro? Secondo l’Onu l’assenza di api e di altri impollinatori eliminerebbe ad esempio la produzione di caffè, mele, mandorle, pomodori e cacao, per citare solo alcune delle colture che si basano sull’impollinazione. E non si tratta di un’ipotesi di scuola.
Il numero e la diversità degli impollinatori sono diminuiti negli ultimi decenni e le prove indicano che il declino è principalmente conseguenza delle attività umane, compreso il cambiamento climatico, che possono interrompere le stagioni di fioritura.
Le api risultano inoltre gravemente minacciate dall’agricoltura intensiva, dei pesticidi, della perdita di biodiversità e dell’inquinamento. Per questo «non possiamo continuare a concentrarci sull’aumento della produzione e della produttività basandoci sull’uso diffuso di pesticidi e di sostanze chimiche che minacciano le colture e gli impollinatori», come ha ricordato il direttore generale della Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) José Graziano da Silva, intervenendo in Slovenia alla vigilia della prima Giornata mondiale delle api, caduta ieri.
«Ognuno di noi ha una responsabilità individuale nei confronti della protezione delle api e dovremmo tutti fare scelte rispettose degli insetti impollinatori –  ha aggiunto Graziano da Silva – Anche la crescita dei fiori a casa per nutrire le api contribuisce a questo sforzo».
Ma soprattutto le pratiche agricole sostenibili e in particolare l’agro-ecologia, secondo la Fao, possono aiutare a proteggere le api riducendo l’esposizione ai pesticidi e contribuendo a diversificare il paesaggio agricolo: «Attraverso l’agro-ecologia, la Fao cerca di ottimizzare le interazioni tra piante, animali, esseri umani e ambiente. Le innovazioni sono necessarie e devono basarsi sulla creazione di conoscenza, dove la scienza si combini con le conoscenze e le esperienze locali, come un processo sociale», ha argomentato Graziano da Silva.
A tale proposito – insieme all’Organizzazione mondiale della sanità – la Fao ha anche sviluppato il Codice di condotta internazionale sulla gestione dei pesticidi: un quadro delle migliori pratiche che possono aiutare a ridurre l’esposizione degli impollinatori ai pesticidi.

fonte: http://www.greenreport.it

Stop allo spreco alimentare: l’iniziativa di Selina Juul













Stop Spild Af Mad. Potrebbero essere quattro parole senza significato, ma invece per Selina Juul hanno un potere e un’importanza incredibile. Tradotte dal danese significano “Smettetela di Sprecare Cibo” ed è una sorta di missione che Selina porta avanti dal 2008, cercando di sensibilizzare tutto il mondo su questo tema.

Sostenuta e aiutata dal governo danese, dalle Nazioni Unite e dalla FAO, Selina spinge i consumatori e i supermercati a non usare confezioni troppo grosse, a non comprare più cibo di quanto non se ne consumi e, in generale, a ridurre lo spreco.
Questa vocazione per Selina è nata da un’esperienza personale: originaria della Russia ha ben impresse nella memoria le immagini dei supermercati di casa vuoti o con pochissimo cibo. Arrivare in Danimarca a 13 anni e trovarsi davanti a negozi in cui il cibo quasi “straborda” dagli scaffali è stato come un shock.

Scontrarsi con una realtà in cui il benessere è talmente forte che le persone non si fanno problemi a sprecare cibo è stato quasi drammatico per Selina che ha deciso di non rimanere indifferente. Nel luglio del 2008 è iniziato così questo progetto che, in poco tempo, ha fatto parlare di sé in tutto il mondo.
Dal semplice momento in cui si cercava di capire cosa volesse fare Selina si è passati rapidamente all’azione e i supermercati hanno deciso di appoggiare il progetto smettendo di vendere confezioni di cibo troppo grandi che rischiano poi di essere sprecate.
Selina, dalla Danimarca, ha deciso di viaggiare in tutto il mondo per diffondere questo concetto e ha ottenuto i suoi risultati positivi. In Danimarca, per fare un esempio, in 5 anni lo spreco alimentare è diminuito del 25%.
“Ridurre lo spreco salva le vite” spiega Selina a chiunque glielo chieda e così prosegue in questo suo percorso di sensibilizzazione che, come prossimo step, ha scelto quello di spingere i clienti a comprare i cibi vicini alla scadenza per evitare che vengano buttati. Chi compra questi prodotti sa che una parte del costo verrà usato per aiutare i Paesi meno abbienti e, in un solo mese, Selina ha raccolto 28 mila euro.

fonte: www.greenstyle.it

Unep boccia accordo di Parigi, ''non basterà''

Senza ulteriori tagli emissioni, temperatura media su di 3°
 © ANSA 
BRUXELLES - L'accordo di Parigi sul clima non basterà a contenere l'aumento della temperatura globale in questo secolo entro i 2 gradi: se vogliono raggiungere questo obiettivo i Paesi del mondo devono cercare di ridurre attivamente le emissioni di gas a effetto serra di un ulteriore 25% entro il 2030. Questo l'allarme lanciato nel rapporto annuale del programma delle Nazioni unite per l'ambiente (Unep), secondo il quale senza ulteriori tagli delle emissioni, la temperatura media salirebbe di 3 gradi.

Secondo l'agenzia dell'Onu, che ha presentato il suo rapporto il giorno prima dell'entrata in vigore dell'accordo sul clima di Parigi, anche se l'accordo fosse pienamente applicato l'aumento previsto della temperatura in questo secolo sarebbe tra i 2,9 e i 3,4 gradi.

Il direttore esecutivo dell'Unep, Erik Solheim, presentando i dati dell'Emissions Gap Report 2016 ha osservato che gli impegni presi nell'ambito dell'accordo sul clima di Parigi vanno "nella giusta direzione" e possono contribuire a "rallentare il cambiamento climatico". Ma serve "subito intraprendere ulteriori azioni" se si vogliono evitare gli effetti peggiori dell'aumento delle temperature. Nel documento si invitano quindi le parti ad andare immediatamente oltre gli impegni di Parigi per scongiurare un aumento medio della temperatura globale che secondo le proiezioni potrebbe superare i 3 gradi.
Fao, 100 miliardi Green Climate Fund non bastano. "I cento miliardi previsti per il Green Climate Fund istituito dall'Onu non saranno sufficienti per finanziare tutte le attività di adattamento e mitigazione necessarie a raggiungere l'obiettivo di mantenere sotto i 2 gradi l'innalzamento della temperatura fissato durante la COP21 di Parigi". Lo ha detto il direttore generale aggiunto della Fao, Renè Castro Salazar, intervenendo a Frosinone al tredicesimo Forum internazionale dell'Informazione ambientale, organizzato dall'associazione Greenaccord che si è aperto stamattina. Un appuntamento che doveva svolgersi a Rieti, ma è stato spostato nel capoluogo ciociaro dopo l'allerta terremoto causata dall'ultima forte scossa dei giorni scorsi tra Umbria e Marche. "Al momento - ha aggiunto Castro - sono stati stanziati solo 10 miliardi delle risorse previste". L'obiettivo era di arrivare a 100 entro il 2020. "Per questo - ha proseguito - la Fao cercherà di fare da tramite tra i diversi Paesi, il Green Climate Fund e le banche di sviluppo regionali per essere certi che le risorse vengano utilizzate in modo efficace. Altrimenti ripeteremo gli errori di protocollo di Kyoto che ha escluso i piccoli attori dal sistema".
Fao, entro 2100 smaltire 30 gigatonnellate CO2. "Quella che stiamo affrontando è una sfida nei confronti della vita umana visto che entro il 2100 avremo bisogno di smaltire 30 Gigatonnellate di CO2, l'equivalente di una tonnellata per abitante". Lo ha detto il direttore generale aggiunto della Fao, René Castro Salazar, parlando a Frosinone al tredicesimo Forum sull'informazione ambientale. "Non bastano - ha proseguito - i 100 miliardi previsti per il Green Climate Fund istituito dall'Onu per finanziare tutte le attività di adattamento e mitigazione necessarie a raggiungere l'obiettivo di mantenere sotto i 2 gradi centigradi l'innalzamento della temperatura", considerando anche che allo stato attuale sono stati stanziati solo 10 mld di dollari. La Fao si farà portavoce delle istanze degli oltre 800 milioni di piccoli agricoltori che debbono essere inclusi in queste nuove forme di agricoltura". Anche Riccardo Valentini (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) ha evidenziato i punti critici dell'accordo di Parigi. "L'accordo - ha sottolineato - va troppo lentamente, anche se è stato utile aver incluso tutti i Paesi. Fino al 2020 l'accordo è ancora in fase negoziabile ed è dimostrato che gli impegni volontari portano il riscaldamento globale alla soglia dei 3 gradi, ben al di sopra dei 2 che rappresentano l'ambizione minima di Parigi".

fonte: www.ansa.it

Dalla terra alla tavola, identikit in sei fasi dello spreco alimentare

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Imperfezioni estetiche, errori nella conservazione, scarsa attenzione ed educazione alimentare: le problematiche che compongono gli assurdi numeri dello spreco alimentare sono molteplici, e sono da ricercare lungo l’intera filiera di produzione, distribuzione e (mancato) consumo di cibo.

Un terzo della produzione di cibo nel mondo. Secondo la FAO, questo è l’assurdo numero di un altrettanto assurda distorsione del sistema chiamata spreco alimentare. Mentre ci si chiede come nutrire in futuro una popolazione globale in continua crescita non tralasciando soluzioni come ogm da un lato e il ricorso alle specie più svariate di insetti dall’altro, si stima che negli Stati Uniti, ad esempio, circa il 40% del cibo coltivato, processato, trasportato e distribuito non venga in realtà consumato.
Quali le ragioni di un tale paradosso e in quali punti della filiera avviene una così ampia e radicata dispersione? Complici motivazioni puramente estetiche, una cattiva gestione e una mancata educazione alimentare che sconfina in uno scarso rispetto per il cibo, dalla terra alla tavola nessuno snodo della catena della produzione e distribuzione alimentare è al sicuro da sprechi. Una interessante disamina pubblicata dal quotidiano The Guardian propone un identikit dello spreco in sei tappe, che si riferisce nei numeri al sistema statunitense ma trova agevolmente corrispondenze con mercati a noi più vicini.

1) Nei campi: le Nazioni Unite stimano che circa il 17% del cibo coltivato negli States va sprecato già entro i confini della fattoria o dell’azienda agricola.
2) Prima della spedizione: la fase immediatamente successiva al raccolto è critica per molti tipi di frutta. Un esempio calzante è costituito dalle fragole che, complici una rapidissima deperibilità e degli standard estetici altissimi volti all’omologazione formale, subiscono uno spreco prima della spedizione che le Nazioni Unite quantificano in una percentuale pari al 12%.
3) Durante il trasporto: viaggi lunghi (gli Stati Uniti, in questo caso più che in altri, sono emblematici vista la vastità del territorio), apparecchiature di conservazione non adeguate e imprevisti fanno sì che molto cibo vada sprecato, letteralmente, “per strada”.
4) Supermercati e ristoranti: a questo punto della catena, i criteri estetici e le preferenze dei consumatori la fanno da padrone, causando il rifiuto di tonnellate di cibo edibile (alcuni dati rivelano che circa il 16% degli alimenti del Nord America viene sprecato durante la processazione e la distribuzione) che, se non recuperato da specifiche organizzazioni e associazioni, finisce in discarica.
5) 6) A casa (nel frigo o a tavola): scarsa attenzione ed educazione alimentare, unita a un’etichettatura ingannevole perché non uniforme fanno sì che i cibi acquistati deperiscano, immangiati, nell’apparente sicurezza del frigo di casa o addirittura a tavola. Un esempio lampante? Il classico yogurt scaduto, o il pane avanzato e non recuperato.
In Europa e in Italia, la situazione appare purtroppo altrettanto drammatica. A fronte di ciò, è stata recentemente approvata in via definitiva dal Senato una legge apposita contro gli sprechi, con lo scopo dichiarato di recuperare 1 milione di tonnellate di cibo all’anno. Tutti i Paesi dell’Unione, peraltro, hanno sottoscritto l’impegno del nuovo target di sviluppo sostenibile dell’Onu, che prevede di combattere lo spreco alimentare dimezzandone le cifre entro il 2030: in ogni passaggio della filiera, senza eccezioni, dal campo alla tavola.

fonte: http://nonsoloambiente.it

Glifosato, Fao e Oms: “Improbabile che causi il cancro, conferma da unico studio”

Glifosato, Fao e Oms: “Improbabile che causi il cancro, conferma da unico studio”
Secondo Fao e Oms è “improbabile” che il glifosato causi il cancro. L’Organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’Organizzazione mondiale della sanità lo hanno sostenuto al termine di un meeting di un gruppo di esperti sui residui di pesticidi su cibo e ambiente. “La grande maggioranza delle prove scientifiche – scrivono Fao e Oms – indica che la somministrazione di glifosato e di prodotti derivati a dosi fino a 2000 milligrammi per chilo di peso per via orale, la più rilevante per l’esposizione con la dieta, non è associata ad effetti genotossici nella stragrande maggioranza degli studi condotti su mammiferi”.
Il parere contraddice quello degli esperti della International Agency for Research on Cancer con base a Lione e parte dell’Oms, che lo avevano classificato cancerogeno per gli esseri umani. Proprio questa settimana la Commissione europea deve decidere sul rinnovo della licenza per l’uso del glifosato per altri sette anni invece di quindici e di limitarne l’impiego solo ad attività professionali.
“Qualche studio – prosegue il documento delle due organizzazioni internazionali – ha evidenziato un’associazione positiva tra l’esposizione al glifosato e il rischio di linfoma non Hodgkin. Tuttavia l’unico studio, condotto con una grande coorte e di grande qualità, non ha trovato evidenza di una associazione per nessun livello di esposizione”. Anche l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (la Efsa) aveva sostenuto che è improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per l’uomo e propone nuovi livelli di sicurezza che renderanno più severo il controllo dei residui negli alimenti”.
Durante il meeting è stata revisionata anche la pericolosità del diazinone, un insetticida usato anche contro le zanzare Aedes aegipty, le cosiddette zanzare tigre portatrici tra gli altri del virus Zika, e di un altro insetticida, il malatione. In entrambi i casi la conclusione è stata che è “improbabile” che queste sostanze siano cancerogene.
Chiede chiarezza “al più presto” la Coldiretti, per far sì che siano tutelati cittadini e agricoltori “disorientati dal rincorrersi di annunci discordanti”. Nel rispetto del principio di precauzione – dice il presidente Roberto Moncalvo – servono valutazioni condivise a livello internazionale con comportamenti univoci in un mercato globale.

fonte: www.ilfattoquotidiano.it

Cowspiracy e il segreto della sostenibilità

Risultati immagini per Cowspiracy: il trailer


Cowspiracy è un innovativo lungometraggio (di cui il post produttore è Leonardo Di Caprio) nel quale l’intrepido regista Kip Andersen, svela l’industria più distruttiva ed impattante del mondo contemporaneo, indagando a fondo i motivi per cui le principali organizzazioni ambientaliste mondiali hanno paura di parlarne.
Questo scioccante e allo stesso tempo ironico documentario, rivela il devastante impatto ambientale che l'allevamento di animali ha sul nostro Pianeta.
La Fao ha come obiettivo, entro il 2025, l’eradicazione della fame, assicurando il giusto accesso alle risorse alimentari per i 9.2 milioni abitanti previsti nel 2050.
Mentre si discute ancora sulle modalità di una equa redistribuzione delle risorse alimentari, i dati parlano: sulla Terra ci sono circa 6,5 miliardi di persone, ma solo il 20% può nutrirsi in modo adeguato ed ha regolare accesso alle risorse alimentari, mentre il 26% della superficie terrestre è invasa dagli allevamenti, ai quali è imputabile l’emissione del 18% dei gas serra, mentre l’uso dei veicoli ne produce il 14%.
Ciò determina una serie di danni inimmaginabili: il taglio delle foreste distrugge la biodiversità, toglie ossigeno, favorisce i fenomeni di desertificazione, aumenta l’emissione di gas prodotti dagli animali allevati in modo intensivo e ne sacrifica la vita a vantaggio di pochi, con un prezzo pagato invece da molti uomini, animali e natura tutta.
Gli animali destinati alla produzione alimentare generano ogni anno 32.000 milioni di tonnellate di CO2 e 1.050 miliardi di tonnellate di deiezioni.
Dal Rapporto FAO (Steinfeld et al., 2006, Rome FAO. Livestock’s long shadow – environmental issues and options) risulta che ben il 70% delle aree deforestate in Amazzonia sono occupate da pascoli, il resto da coltivazione di foraggio.
Occorrono più di 16 chili di foraggi per produrre un chilo di carne e in media, secondo i dati FAO, occorrono da 1.000 a 2.000 litri d’acqua per produrre un chilo di grano mentre da 13.000 a 15.000 litri per ottenere la stessa quantità di carne da bovini alimentati con cereali.
Una bistecca di carne di bovino di 250 g è quindi associata all'emissione di quasi 3,4 kg di CO2, l'equivalente delle emissioni di un'automobile di cilindrata medio-grande che percorre 16 km. La produzione dello stesso quantitativo di patate genera l'emissione di circa 0,06 kg di CO2, ben 57 volte inferiore a quella della bistecca.
Per queste ragioni, entro il 2050, il mondo intero andrà incontro a catastrofiche crisi alimentari, come ha ricordato in occasione della conferenza mondiale dell’acqua ad agosto 2013, il professor Malik Falkenmark dello Stockholm International Water Institute.
Ulteriori studi scientifici dimostrano inoltre le correlazioni evidenti tra il consumo di proteine animali e i cambiamenti climatici. In particolare il rapporto "Livestock – Climate Change’s Forgotten Sector Global Public Opinion on Meat and Dairy Consumption" di Rob Bailey, Antony Froggatt e Laura Wellesley sentenzia: “il consumo di carni, latte e derivati è una delle principali cause del cambiamento climatico. L’allevamento e la produzione animale sono causa di produzione di CO2 e di deforestazione. Le foreste sono abbattute per lasciar spazio alle coltivazioni per foraggi destinati agli animali e per gli allevamenti. Le foreste sono devastate dall’impatto causato dal bestiame.
In appena un’ora di tempo al mondo: più di 8 milioni di animali d’allevamento sono stati macellati e 114.153 tonnellate di grano sono state date da mangiare ad animali, mentre, nello stesso momento 354 bambini al mondo sono morti di fame.
Una persona che consuma una dieta completamente basata su prodotti vegetali produce l’equivalente del 50% in meno dell’anidride carbonica, consuma 1/11 del petrolio, 1/13 dell’acqua e 1/18 dei terreni in paragone ad una persona che basa la sua alimentazione sulla carne.
E’ quindi necessario comprendere che la vera rivoluzione del terzo millennio passa per i nostri piatti e che è doveroso, per la tutela del Pianeta e la salvezza di milioni di animali, riconsiderare le nostre abitudini alimentari a favore di una dieta vegetale.
Il 16 dicembre 2015 il Movimento 5 Stelle, in collaborazione con Essere Animali, ha organizzato la proiezione del documentario in Parlamento con successivo dibatto, potete trovarlo qui, mentre per vedere il film questa è la pagina italiana del documentario.


il trailer





fonte: http://www.beppegrillo.it/