Visualizzazione post con etichetta #Consumatori. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Consumatori. Mostra tutti i post

Gli ostacoli alla riduzione della plastica

Uno studio tedesco ha indagato sulle abitudini dei consumatori nel rapporto con gli imballaggi in plastica.
















L'Institute for Advanced Sustainability Studies (IASS) ha condotto un'estesa ricerca presso i consumatori tedeschi sull'impiego di imballaggi in plastica, per poi trarre conclusioni sull'approccio più efficace alla riduzione dei rifiuti. Dalla ricerca emerge che sono necessari cambiamenti radicali nelle infrastrutture, ma soprattutto negli stili di vita, il che richiede un cambio di paradigma culturale ed economico.

Secondo l'indagine, il 96% dei consumatori tedeschi ritiene importante ridurre i rifiuti di imballaggio, tuttavia il loro consumo, in Germania, è cresciuto in modo costante fino a toccare 3,2 milioni di tonnellate nel 2018, con un raddoppio dei rifiuti generati rispetto al 1997. Con 228 chilogrammi pro capite, il consumo di imballaggi in Germania risulta molto superiore alla media europea, pari a 174 chili pro capite.

I ricercatori hanno identificato 12 ostacoli alla riduzione di rifiuti da imballaggio e packaging in plastica:

Abitudini d'acquisto: i partecipanti al focus group fanno la spesa principalmente nei supermercati o nei discount piuttosto che nei mercati o nei negozi a rifiuti zero e la maggior parte non porta le proprie borse da casa. Inoltre, gli alimenti confezionati sono popolari.
Scarsa informazione: i ricercatori hanno osservato che i consumatori intervistati erano spesso incerti su quali tipi di imballaggi fossero più sostenibili di altri.
Igiene: molti partecipanti nutrono riserve sulle proprietà igieniche degli espositori di merci non imballate a libero accesso, sull'uso di contenitori portati da casa e, più in generale, sulle soluzioni di imballaggio riutilizzabile.
Proprietà del materiale: i partecipanti spesso preferiscono gli imballaggi in plastica a causa delle loro proprietà, come leggerezza, infrangibilità e resistenza.
Priorità: secondo alcuni partecipanti al focus group, gli sforzi per utilizzare meno imballaggi in plastica si scontrano con altre priorità della loro vita quotidiana, ad esempio i genitori non vogliono appesantire gli zaini scolastici dei figli e, di conseguenza, preferiscono usare la plastica invece delle bottiglie di vetro.
Prezzo: in generale, gli alimenti confezionati nella plastica sono più convenienti di quelli imballati con altri materiali.


Disponibilità: la maggior parte dei generi alimentari venduti nei supermercati e nei discount sono disponibili solo in imballaggi di plastica e, quindi, spesso non c'è molta scelta.
Percezione della responsabilità: secondo i partecipanti, sia gli individui che l'industria hanno la responsabilità di risolvere il "problema della plastica": da un lato, poiché l'industria è responsabile del fatto che così tanti prodotti sono confezionati in plastica, dovrebbe offrire soluzioni. Tuttavia, viene anche sottolineato che i consumatori dovrebbero acquistare in modo più consapevole.
Prossimità e infrastrutture: i partecipanti hanno sottolineato che negozi a rifiuti zero o mercati rionali sono spesso difficili da raggiungere e richiedono più tempo e sforzi per accedervi rispetto a supermercati o discount locali.
Tempo: questa è un'altra barriera cruciale per uno shopping più sostenibile. L'accesso a negozi e mercati a "rifiuti zero" richiederebbe più tempo per la maggior parte delle persone. I partecipanti hanno sottolineato che anche per la spesa servirebbe più tempo impiegando contenitori riutilizzabili, oltre alla pulizia degli stessi. Inoltre, la preparazione di alimenti non trasformati richiede anch'essa un maggor dispendio di tempo.
Comodità: i partecipanti trovano anche scomodo portare i propri contenitori da casa, se hanno altre incombenze da sbrigare o fanno la spesa dopo il lavoro.
Cultura: i consumatori intervistati non attribuiscono molta importanza alla disponibilità di una "vasta gamma di prodotti" durante gli acquisti. Tuttavia, molti sottolineano l'importanza di trovare prodotti specifici nei punti vendita. Ciò si traduce in una domanda indiretta di un'ampia gamma di prodotti di largo consumo, difficile da implementare in negozi "a zero rifiuti" o a basso contenuto di plastica. Le discussioni nei focus group hanno anche mostrato che la cultura del consumo spontaneo e in movimento rende difficile ridurre gli imballaggi. Molti partecipanti all'indagine non si rendono conto che gli alimenti non regionali e non stagionali, consumati tutti i giorni, devono essere per forza confezionati per garantire la conservazione e la freschezza durante il trasporto e lo stoccaggio.
“I risultati dello studio mostrano che attualmente sono necessari molti sforzi e una maggiore informazione affinché i consumatori riducano l'utilizzo di imballaggi in plastica - spiega Katharina Beyerl, coautrice della ricerca -. Se vogliamo rendere le merci a basso tasso di spreco e senza imballaggi monouso in plastica l'opzione più economica e conveniente, dobbiamo modificare le infrastrutture, gli incentivi economici e le condizioni di contorno, non basta chiedere ai consumatori di fare acquisti solo nei negozi a rifiuti zero".


fonte: www.polimerica.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Auto elettriche e disabili, le colonnine di ricarica sono ancora poco accessibili

Emerge un nuovo limite al pieno sviluppo delle auto elettriche: una ricerca inglese ha rilevato le criticità denunciate dagli automobilisti con disabilità.



Per la piena affermazione delle auto elettriche sono centrali i nodi dei costi per l’acquisto, dell’autonomia delle batterie e del numero delle infrastrutture di ricarica. Ma proprio rispetto all’ultimo elemento, una ricerca inglese evidenzia un altro aspetto problematico: quello dell’accessibilità delle persone disabili alle colonnine pubbliche. Lo studio, pubblicato dal Research institute for disabled consumers e commissionato da Urban Foresight – fornitore di colonnine urbane che fuoriescono dalla sede stradale al momento dell’uso – ha rivelato le preoccupazioni dei conducenti con mobilità ridotta rispetto alla ricarica dei mezzi al 100 per cento elettrici.


Propensi all’acquisto di auto elettriche ma preoccupati

Secondo l’indagine, la maggior parte dei conducenti disabili è propensa all’acquisto di auto elettriche, ma lo farà solo se le colonnine e i sistemi di collegamento fra i mezzi e la rete saranno resi più accessibili; nella forma attuale, infatti, oltre due intervistati su tre considerano la ricarica “difficile o molto difficile da effettuare”, un particolare che finisce per scoraggiarli. Vari aspetti del consueto processo di ricarica sono stati identificati come potenzialmente problematici, in particolare la rimozione del cavo dall’auto, l’inserimento dello spinotto e gli spostamenti tra il mezzo e la colonnina.


I problemi di accessibilità scoraggiano la maggior parte degli intervistati © Pixabay

Quelli che per molti sono considerati gesti di routine, diventano scogli insormontabili per persone anziane e disabili, compresi coloro che soffrono di artrite, malattie muscolari o controllo motorio compromesso, oppure che si stanno riprendendo da un ictus. Il 54 per cento ha affermato che sollevare il cavo di ricarica dal bagagliaio e poi collegarlo può essere un’operazione molto complessa; il 41 per cento teme di dover faticare troppo per portare il cavo al caricabatterie, a cui si aggiunge un 66 per cento che esprime preoccupazioni sui pericoli di inciampo sulle barriere attorno la colonnina.

Il rischio di escludere fasce consistenti di consumatori

Altre questioni emerse includono la preoccupazione per il collegamento di cavi pesanti e punti di connessione di ricarica fuori portata, quindi inutilizzabili per gli utenti in sedia a rotelle. Il risultato, a fronte di oltre due terzi degli intervistati che esprime il desiderio di possedere un veicolo elettrico, è una certa ritrosia a sposare in pieno la mobilità sostenibile.


Le colonnine per le auto elettriche non sono pensate per le persone con disabilità © Matt Cardy/Getty Images

Oppure, come nel caso di Mike Jones – un utilizzatore di sedia a rotelle di 52 anni e proprietario di un’auto elettrica – un’insoddisfazione successiva all’acquisto: “Volevo un modello a batteria poiché sono ansioso di fare la mia parte per proteggere l’ambiente, dato che faccio principalmente piccoli viaggi. Sono rimasto deluso, tuttavia, dalla mancanza di punti di ricarica pubblici vicino a dove vivo e dal fatto che le strutture di ricarica non sono progettate per gli utenti su sedia a rotelle, perché di solito non c’è molto spazio per manovrare”. Anche rispetto al grande tema della mobilità del futuro, in sostanza, c’è il rischio concreto di immettere sul mercato prodotti o servizi non pensati per tutti. Con il risultato di tagliare fuori fasce consistenti di consumatori che sarebbero pronte a fornire il proprio contributo, a vantaggio di tutti.

fonte: www.lifegate.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

Diciamo stop allo spreco alimentare dando al cibo il giusto valore.










Per combattere lo spreco alimentare, è fondamentale ridare il giusto valore al cibo, coinvolgendo i consumatori nel cambiamento di paradigma. Un tema al centro del webinar di MDC Perugia raccontato da Sabrina Bergamini in un articolo su HelpConsumatori, che vi proponiamo.


Il cibo è salute. Ci sono dunque delle cose che non possiamo più permetterci di fare. Non possiamo più permetterci di sprecare cibo, di buttarlo via, perché ormai un terzo di quello prodotto in tutto il mondo viene sprecato – come dicono i dati della Fao. E fra le cause dello spreco alimentare da parte dei consumatori ci sono scarsa consapevolezza ma anche grande abbondanza di cibo. Bisogna dunque ridargli valore, per contenere lo spreco con l’obiettivo di azzerarlo.

Non possiamo più permetterci di riempire le nostre case di imballaggi di ogni tipo, spesso monouso, spesso fonti di pericolo per la sicurezza alimentare. Perché le alternative ci sono: contenitori riutilizzabili per la spesa sfusa, retine e barattoli da riutilizzare, prodotti alternativi che permettono di superare il ricorso alla plastica. Packaging e spreco alimentare sono stati i due grandi temi approfonditi dal webinar “Scarti alimentari, come ridurli e come gestirli”, organizzato da MDC Perugia sabato 6 marzo nell’ambito del progetto “Il cibo è salute”, realizzato all’interno del programma generale di intervento della Regione Umbria con l’uso dei fondi Mise.

Il focus sullo spreco alimentare mette bene in luce quali siano le dimensioni planetarie del fenomeno. Che ha tante cause e rimanda al rapporto della società intera e degli individui col cibo, in un contesto fatto di paradossi. Nel cibo si riproducono infatti disuguaglianze e uso non ottimale delle risorse alimentari. Per non parlare del fatto che, oltre alla malnutrizione e alla cattiva nutrizione, una delle pandemie mondiali più diffuse è quella dell’obesità. 


Lo spreco alimentare è un fenomeno che chiama in causa il rapporto della società e delle persone con il cibo

A fare il punto sullo spreco alimentare è stato, nell’ambito del webinar organizzato da MDC Perugia, il professor Luca Falasconi, Dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari dell’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna. La valorizzazione del cibo come salute si porta dietro il grande tema dello spreco alimentare. “È un fenomeno che non ha una definizione univoca al mondo – ha detto il professor Falasconi – e chiama in causa il rapporto della società e delle persone col cibo”.

Nonché i paradossi in cui si muove il cibo. Uno è fondato sulla disuguaglianza: il 5% della popolazione mondiale usa un terzo delle risorse alimentari dell’intero pianeta. Un altro riguarda il contrasto fra denutrizione e obesità, problema particolarmente sentito non solo in Italia ma anche in Paesi come Nigeria, Uganda, Messico, Egitto. Un altro ancora riguarda l’impiego non ottimale delle risorse alimentari. “Un terzo della produzione alimentare vegetale del pianeta viene destinata all’allevamento animale”, sottolinea Falasconi. Questo però porta a degli squilibri.

Un ettaro di terreno coltivato a patate, racconta l’esperto, può sfamare 22 persone in un anno; un ettaro di terreno a riso può sfamare 19 persone l’anno; un ettaro coltivato a foraggio per allevare bovini oppure ovini può sfamare una o due persone l’anno. E dal 1967 a oggi la produzione animale è esplosa: l’allevamento del pollame è aumentato del 700%, quello dei suini del 300%, quello di ovini e bovini del 200%. Altra distorsione deriva dalla produzione di biocarburanti: un ettaro di terreno coltivato a mais può sfamare una persona per un anno o fare un “pieno” al serbatoio, per una volta sola.

Il cibo non è distribuito in modo equo. La Fao stima che un terzo di quanto prodotto al mondo venga sprecato. Lo spreco alimentare rimanda dunque, spiega Falasconi, all’insieme dei prodotti scartati o perduti lungo tutta la filiera agroalimentare. È tuto il cibo che ha perso valore commerciale ma non caratteristica di cibo. Sono i prodotti utilizzabili ma non più vendibili, che perdono la caratteristica di merce, ma non quella di alimento. A quanto ammonta dunque questo spreco?

A livello planetario viene sprecato il 45% della frutta e della verdura prodotte

A livello planetario sono sprecati o persi il 30% del pesce, il 20% della carne, il 45% di frutta e verdura, il 30% dei cereali. Solo alla voce pesce, è l’equivalente di 3 miliardi di salmoni. In Europa gli sprechi alimentari si concentrano per il 43% nel consumo domestico. In Italia si spreca qualcosa come 2 milioni e mezzo di tonnellate di cibo a livello domestico.

Le cause dello spreco alimentare sono molteplici, ma alcune colpiscono in modo particolare – anche per la loro diffusione a livello casalingo e domestico. C’è ad esempio l’assenza di consapevolezza dei consumatori che, quando fanno la spesa, evitano di comprare i prodotti con imballaggio rovinato. Sono prodotti che verranno buttati via dai punti vendita per il solo fatto di avere, ad esempio, il cartone di un rivestimento strappato.

Altre cause, spiega Falasconi, sono “la straordinaria abbondanza di cibo, la straordinaria accessibilità, la straordinaria economicità”. Brutalmente: “possiamo permetterci di buttare via cibo”. Allo stesso tempo, possiamo anche invertire la rotta, almeno a livello di consumo domestico.

“È vero che il consumatore è la pecora nera dello spreco alimentare lungo la filiera, ma se tutti noi consumatori decidessimo di essere più attenti e ridurre a zero lo spreco, il 40% dello spreco alimentare verrebbe risolto”. E questo dà un grande ruolo ai consumatori nella lotta allo spreco di cibo. L’imperativo è dunque uno: “Ridare valore al cibo”.


Le nuove tecnologie hanno permesso di sviluppare strumenti digitali per contribuire a ridurre lo spreco alimentare

Le pratiche virtuose nella riduzione dello spreco non mancano, anche via app e con le nuove tecnologie. Due su tutte. Una è quella dell’app Too Good To Go, che mette in contatto gli esercizi al dettaglio con gli utenti quando ci sono prodotti invenduti a fine giornata, specialmente cibo fresco. I consumatori ritirano una magic box a sorpresa e hanno cibo “troppo buono per essere gettato via”, venduto a un terzo del suo prezzo. A livello globale, è un’esperienza che ha permesso di salvare 50 milioni di pasti, 2 milioni in Italia.

L’altra esperienza virtuosa è quella di Regusto, piattaforma blockchain per la gestione delle eccedenze e degli stock. Attraverso Regusto le aziende possono vendere o donare i propri prodotti a enti non profit e associazioni convenzionate. La piattaforma traccia le transazioni in blockchain e calcola la riduzione di impatto ambientale generata, nonché le persone raggiunte dai beni donati o venduti. In media all’interno di Regusto vengono donate e vendute più di 25 tonnellate di beni al mese.

Sabrina Bergamini – HelpConsumatori

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

Facciamo Circolare, la prima survey nazionale sulle buone pratiche di sensibilizzazione dei cittadini sull’economia circolare

 

ISPRA, in convenzione con il MISE – Ministero dello sviluppo economico e in collaborazione con ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, lancia la prima survey nazionale sulle buone pratiche di sensibilizzazione dei cittadini sull’economia circolare. La survey è il primo passo della campagna che vede coinvolti i tre enti in azioni di informazione, comunicazione, sensibilizzazione e formazione rivolte ad imprese, associazioni, media, scuole, cittadini e consumatori.

Possono partecipare e promuovere la loro buona pratica tutti i soggetti che hanno realizzato azioni concrete di sensibilizzazione dei cittadini e dei consumatori.
Nella scheda trovate tutte le informazioni utili.

fonte: www.snpambiente.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

In cauda venenum


Il confinamento pandemico ci ha proibito le grandi e belle tavolate, ma c’è da augurarsi che almeno nell’intimità i pranzi e le cene natalizi non siano mancati. Molte saranno le persone preoccupate per le sentenze che generalmente dopo le feste emettono le bilance. Almeno altrettanto dovrebbero esserlo, però, per la quantità di pesticidi assunti, quasi sempre a fine pasto, soprattutto con la frutta: il veleno è nella coda, con puntuale riferimento all’incolpevole scorpione, recita una nota locuzione latina. Non si tratta, naturalmente, di colpevolizzare chi mangia qualche mandarino di troppo ma di segnalare, ancora una volta, le responsabilità del modello imperante di agricoltura intensiva e di ricordare, per fare solo un esempio, che l’Italia ha incredibilmente posticipato la messa al bando del glifosato al 2022. I dati che ha reso noti nei giorni scorsi la campagna Stop Pesticidi di Legambiente sono pessimi: solo il 52% dei campioni analizzati sono privi di tracce di pesticidi e i numeri peggiori riguardano proprio la frutta. L’89,2% dell’uva da tavola e l’85,9% delle pere contiene almeno uno di quei residui che, cumulati, possono favorire l’insorgere di asma allergica e di altre malattie respiratorie che possono creare un quadro nefasto sempre, ma particolarmente rischioso in periodi come questi. Liberare l’agricoltura dalla dipendenza della chimica è più necessario e urgente che mai

foto tratta da Pixabay

Il dossier Stop Pesticidi, elaborato da Legambiente e presentato questa mattina nella diretta streaming trasmessa su www.legambiente.it, http://agricoltura.legambiente.it, www.lanuovaecologia.it e sui rispettivi canali social e realizzato in collaborazione con Alce Nero, ci dice che i pesticidi più diffusi negli alimenti in Italia sono Boscalid, Dimethomorph, Fludioxonil, Acetamiprid, Pyraclostrobin, Tebuconazole, Azoxystrobin, Metalaxyl, Methoxyfenozide, Chlorpyrifos, Imidacloprid, Pirimiphos-methyl e Metrafenone. Sono per la maggior parte fungicidi e insetticidi utilizzati in agricoltura che arrivano sulle nostre tavole e che, giorno dopo giorno, mettono a repentaglio la nostra salute. I consumatori stanno chiedendo prodotti sempre più sani e sostenibili ma il business dell’agricoltura intensiva sembra non voler cedere il passo. L’edizione 2020 del rapporto dell’associazione ambientalista fotografa una situazione che vede risultare regolare e privo di residui di pesticidi solo il 52% dei campioni analizzati. Senza dubbio, un risultato non positivo e che lascia spazio a molti timori in merito alla presenza di prodotti fitosanitari negli alimenti e nell’ambiente. Analizzando nel dettaglio i dati negativi, si apprende che i campioni fuorilegge non superano l’1,2% del totale ma che il 46,8% di campioni regolari presentano uno o più residui di pesticidi.

Cattive notizie anche in merito alla quantità di residui derivanti dall’impiego di prodotti fitosanitari in agricoltura: i laboratori pubblici regionali ne hanno trovato traccia in campioni di ortofrutta e prodotti trasformati in elevata quantità. Preoccupanti inoltre i dati del multiresiduo, che – è bene ricordarlo – la legislazione europea non considera non conforme a meno che ogni singolo livello di residuo non superi il limite massimo consentito, benché sia noto da anni che le interazioni di più e diversi principi attivi tra loro possano provocare effetti additivi o addirittura sinergici a scapito dell’organismo umano. Proprio il multiresiduo risulta essere più frequente del monoresiduo, essendo stato rintracciato nel 27,6% del totale dei campioni analizzati, rispetto al 17,3% dei campioni con un solo residuo.

Pixabay

Come negli anni passati, la frutta è la categoria in cui si concentra la percentuale maggiore di campioni regolari multiresiduo. Ad essere privo di residui di pesticidi è solo il 28,5% dei campioni analizzati, mentre l’1,3% è irregolare e oltre il 70%, nonostante sia considerato regolare, presenta uno o più residui chimici. L’89,2% dell’uva da tavola, l’85,9% delle pere, e l’83,5% delle pesche sono campioni regolari con almeno un residuo. Le mele spiccano con il 75,9% di campioni regolari con residui e registrano l’1,8% di campioni irregolari. Alcuni campioni di pere presentano inoltre fino a 11 residui contemporaneamente. Situazione analoga per il pompelmo rosso e per le bacche di goji che raggiungono quota 10 residui. Diverso il quadro per la verdura: se, da una parte, si registra un incoraggiante 64,1% di campioni senza alcun residuo, dall’altro fanno preoccupare le significative percentuali di irregolarità in alcuni prodotti come i peperoni in cui si registra l’8,1% di irregolarità, il 6,3% negli ortaggi da fusto e oltre il 4% nei legumi. Tali dati, se analizzati in riferimento alla media degli irregolari per gli ortaggi, che è dell’1,6%, destano preoccupazione. Ad accomunare la gran parte delle irregolarità è il superamento dei limiti massimi di residuo consentiti per i pesticidi (54,4%) ma non mancano casi in cui è stato rintracciato l’utilizzo di sostanze non consentite per la coltura (17,6%). Nel 19,1% dei casi, poi, sono presenti entrambe le circostanze. Le sostanze attive che più hanno determinato l’irregolarità sono l’organofosforico Chlorpyrifos nell’11% dei casi e il neonicotinoide Acetamiprid nell’8% dei casi. Altro dato da sottolineare è la presenza di oltre 165 sostanze attive nei campioni analizzati. L’uva da tavola e i pomodori risultano quelli che ne contengono la maggior varietà, mostrando rispettivamente 51 e 65 miscele differenti.

Tra i campioni esteri, la Cina presenta il tasso di irregolarità maggiore (38%), seguita da Turchia (23%) e Argentina (15%). In alcuni di questi alimenti non solo sono presenti sostanze attive irregolari, ma anche un cospicuo numero di multiresiduo. È il caso, ad esempio, di un campione di bacca di goji (10 residui) e di uno di tè verde (7 residui), entrambi provenienti dalla Cina. Degno di nota è anche un campione di foglie di curry proveniente dalla Malesia nel quale, su 5 residui individuati, 3 sono irregolari. Sul fronte dell’agricoltura biologica, su 359 campioni analizzati 353 risultano regolari e senza residui, ad eccezione di un solo campione di olive, di cui però non si conosce l’origine. Non è quindi possibile, allo stato attuale, sapere se l’irregolarità è da imputare a una contaminazione accidentale, all’effetto deriva o a un uso illegale di fitofarmaci. L’ottimo risultato è ottenuto, tra le altre cose, grazie all’applicazione di ampie rotazioni colturali e pratiche agronomiche preventive, che contribuiscono a contrastare lo sviluppo di malattie e a potenziare la lotta biologica tramite insetti utili nel campo coltivato.

foto Pixabay

“Serve una drastica diminuzione dell’utilizzo delle molecole di sintesi in ambito agricolo, grazie a un’azione responsabile di cui essere tutti protagonisti – ha dichiarato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente -. Per capire l’urgenza di questa transizione, si pensi alla questione del glifosato, l’erbicida consentito fino al 2022, nonostante il 48% degli Stati membri dell’Ue abbia deciso di limitarne o bandirne l’impiego per la sua pericolosità; l’Italia inizi dalla sua messa al bando. Inoltre, per diminuire la chimica che ci arriva nel piatto è necessario adeguare la normativa sull’uso dei neonicotinoidi, seguendo l’esempio della Francia che da anni ha messo al bando i 5 composti consentiti dall’Ue, e approvare al più presto il nuovo Piano di Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari”.

“Occorre liberare l’agricoltura dalla dipendenza dalla chimica – ha aggiunto il presidente di Legambiente Stefano Ciafani – per diminuire i carichi emissivi e favorire un nuovo modello, che sposi pienamente la sostenibilità ecologica come asse portante dell’economia made in Italy, diventando un settore strategico per il contrasto della crisi climatica. Riteniamo anche necessaria una svolta radicale delle politiche agricole dell’Unione, con una revisione della Politica Agricola Comune che superi la logica dei finanziamenti a pioggia e per ettaro per trasformarsi in sostegno all’agroecologia e a chi pratica agricoltura sostenibile e biologica. Le risorse europee, comprese quelle del piano nazionale di ripresa e resilienza, vanno indirizzate all’agroecologia, in modo da accelerare la transizione verso una concreta diminuzione della dipendenza dalle molecole pericolose di sintesi, promuovendo la sostenibilità nell’agricoltura integrata e in quella biologica come apripista del modello agricolo nazionale, con l’obiettivo di giungere in Italia al 40 % di superficie coltivata a biologico entro il 2030”.

Legambiente torna a chiedere che l’Italia allinei le sue politiche al Green deal e a quanto previsto dalle strategie europee Farm to fork e Biodiversità che ambiscono a ridurre entro il 2030 del 50% l’impiego di pesticidi, del 20% di fertilizzanti, del 50% di antibiotici per gli allevamenti, destinando una percentuale minima del 10% di superficie agricola ad habitat naturali. Ritiene, inoltre, strategico approvare la legge sull’agricoltura biologica, ferma al Senato della Repubblica, come strumento per sostenere il settore. Altro aspetto da non trascurare è quello dell’etica del cibo e della legalità: se gli alimenti devono essere sani, lo deve essere anche il lavoro che li produce così come sono rilevanti i rischi per la salute dei braccianti non regolarizzati derivanti dall’esposizione diretta ai pesticidi, in assenza dei più elementari dispositivi di protezione individuale previsti dalla normativa vigente. Per questo è importante attuare misure specifiche rispetto al fenomeno del caporalato, sia attraverso politiche di prevenzione che di controllo e vigilanza e di assistenza, reintegrazione e inserimento socio-lavorativo dei braccianti sfruttati e approvare con la massima urgenza la normativa contro le aste al doppio ribasso di prodotti agroalimentari da parte della grande distribuzione.

Nota metodologica dossier Stop pesticidi

Il dossier di Legambiente Stop Pesticidi riporta i dati elaborati nel 2019 dai laboratori pubblici italiani accreditati per il controllo ufficiale dei residui di prodotti fitosanitari negli alimenti. Tali strutture hanno inviato i risultati di 5.835 campioni di alimenti di origine vegetale, di provenienza italiana ed estera, genericamente etichettati dai laboratori come campioni da agricoltura non biologica. L’elaborazione dei dati prevede la loro distinzione in frutta, verdura, trasformati e altre matrici.

fonte: comune-info.net


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Il Massachusetts estende il diritto a riparare le auto. I produttori protestano

Con una schiacciante preferenza del 75%, gli elettori dello Stato del Nord-est degli Stati Uniti si sono pronunciati a favore della nuova legge che obbliga il settore automobilistico a dotare i propri modelli di una piattaforma dati standardizzata e aperta. Esultano le associazioni dei consumatori: "E' una questione di buon senso"











Le elezioni americane del 3 novembre hanno consegnato ai consumatori e proprietari di veicoli del Massachusetts un’importante vittoria che sta già portando marchi come Tesla a rivedere le proprie politiche in termini di trasparenza. Gli elettori dello Stato del Nord-est degli Stati Uniti sono infatti stati chiamati a pronunciarsi su un quesito riguardante il diritto alla riparazione. La schiacciante vittoria del sì con il 75 per cento delle preferenze implica che i produttori di veicoli equipaggiati con sistemi telematici, a partire dai modelli immessi sul mercato nel 2022, dovranno dotare le proprie auto di una piattaforma dati standardizzata e aperta, accessibile ai proprietari stessi e alle officine di riparazione indipendenti, che potranno così recuperare dati sulla meccanica ed eseguire la diagnostica tramite app.

Un’estensione della legge del 2012

La decisione espande la portata della legge sul diritto alla riparazione già in vigore nello Stato americano dal 2012, ma che finora non copriva i sistemi telematici. La nuova legge prevede che i meccanici avranno d’ora in poi accesso ai dati di riparazione inviati in modalità wireless, indipendentemente dal fatto che siano associati a un concessionario di automobili ufficiale o a un’officina indipendente. Finora accadeva che gli alert inviati dai sensori di un’auto arrivavano al produttore che a sua volta li comunicava al rivenditore locale, dando lavoro alle officine autorizzate a discapito di quelle locali non ‘marchiate’. La normativa del 2012 già richiedeva la condivisione dei dati, ma escludeva i dati trasmessi tramite sistemi wireless: il timore degli addetti ai lavori era che sempre più automobili montassero sistemi wireless proprio per aggirare la legge, il cui obiettivo ultimo è quello di allungare la vita potenziale dei veicoli e interrompere il monopolio sulle riparazioni detenuto dalle case automobilistiche.

I produttori contestano la tempistica…

La decisione del 3 novembre sta già facendo registrare le prime reazioni del settore automobilistico. In questi giorni Tesla, le cui auto notoriamente presentano una serie di problematiche per chi voglia ripararle al di fuori del circuito delle concessionarie ufficiali, ha iniziato con il concedere ai proprietari delle sue auto l’accesso ai manuali per la riparazione, alle informazioni sull’utilizzo, alla diagnostica e simili. Il tutto senza costi aggiuntivi. Di diverso tenore invece la reazione delle associazioni di produttori, che già due anni dopo l’approvazione della legge del 2012, avevano sottoscritto un Memorandum of Understanding, accordandosi per raggiungere i requisiti richiesti dal Massachussets in tutti gli stati dell’Unione. Tra i grandi marchi delle auto c’è anche tanto malcontento: l’industria automobilistica infatti contesta la tempistica, facendo notare che la progettazione e messa in produzione di un’auto tipicamente richiede diversi anni e che rispettare i nuovi requisiti nei modelli 2022 è praticamente impossibile.
…e fanno causa

Inoltre, i produttori sostengono che con le nuove norme proprietari della auto e officine avranno accesso a dati sensibili e che intervenire su tali informazioni richieda una formazione specifica che solo i detentori della tecnologia proprietaria possono fornire. Dando voce a queste critiche, a poche settimane dal voto, la Alliance for Automotive Innovation, di cui fanno parte General Motors, Toyota, Volkswagen e altri grandi marchi, ha intentato causa presso il tribunale distrettuale degli Stati Uniti per il Massachusetts sostenendo che la legge è inapplicabile perché in conflitto con la leggi federali e la Costituzione, dal momento che “rende i dati personali di guida disponibili a terzi senza garanzie di protezione delle funzioni principali del veicolo, delle informazioni private dei consumatori o della sicurezza fisica”.
Consumatori soddisfatti

Soddisfatte invece le associazioni di consumatori, la Repair Association e la Campaign for the Right to Repair che hanno sostenuto la campagna per il sì, anche se c’è chi, come Kyle Wiens, ceo di iFixit (una sorta di social network per le riparazioni), fa notare che non dovrebbe essere necessario avere leggi specifiche per ogni settore industriale, ma che serve invece la volontà politica di creare una legislazione più ampia per combattere le tattiche monopolistiche dei grandi marchi. “È una questione di buon senso – ha commentato Wiens –. Mi piace dire che tutti gli umani sono a favore del diritto alla riparazione, sono solo queste grandi società a non gradirlo”.

fonte: economiacircolare.com

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Rifiuti: una nuova sezione informativa nell’Atlante per il consumatore

Il sito ARERA, dedicato alle informazioni per i cittadini, aggiunge una quarta sezione dopo quelle dedicate ad acqua, luce e gas











L’Atlante per il consumatore, il sito internet di ARERA dedicato a fornire informazioni ai consumatori, si arricchisce con una nuova sezione di “domande e risposte” anche per il settore dei rifiuti domestici, l’ultimo arrivato tra i settori di competenza dell’Autorità. Le sezioni quindi diventano quattro – elettricità, gas, acqua e ora rifiuti -, presentate in una rinnovata veste grafica e raggiungibili dalla home page del sito www.arera.it.

In seguito all’approvazione da parte dell’Autorità dei testi integrati per il servizio rifiuti sul Metodo Tariffario e sulla trasparenza nei servizi e in considerazione dell’impatto di questi strumenti regolatori sugli utenti finali, le nuove 30 “domande e risposte” dedicate al settore forniscono ai cittadini le informazioni di maggiore interesse.

Le tematiche approfondite riguardano il servizio di gestione dei rifiuti domestici (Cos’è e come è organizzato, Come si svolge, Il ruolo dell’Autorità), il pagamento (Cosa si paga, Quanto si paga, Come si paga), diritti e tutele (Agevolazioni per disagio economico, Informazioni e segnalazioni, Reclami e controversie). I contenuti della nuova sezione Rifiuti saranno aggiornati e ampliati nel tempo anche in base alla normativa e ai provvedimenti approvati da ARERA.

L’Atlante per il consumatore è composto oggi di otto aree tematiche per elettricità e gas e di sei per il servizio idrico integrato. Ogni area contiene un numero variabile di macroargomenti dai quali si accede ai gruppi di domande e risposte più frequenti, per un totale di circa 300 domande. L’Atlante offre anche una selezione di parole-chiave per l’accesso a contenuti correlati e i link relativi ai correlati provvedimenti di ARERA.

fonte: www.rinnovabili.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Europarlamento: garantire il diritto alla riparazione ai consumatori europei

Consumo sostenibili e cultura del riutilizzo, migliorare la riparabilità e allungare la durata dei prodotti. Caricabatterie universale e cambiamenti sistematici per produzione, appalti pubblici, pubblicità e rifiuti












Secondo un sondaggio Eurobarometro, il 77 % dei cittadini dell’Unione europea preferirebbe riparare i propri dispositivi piuttosto che sostituirli; Il 79 % ritiene che dovrebbe vigere l’obbligo pei produttori di semplificare la riparazione dei dispositivi digitali o la sostituzione di singole parti. Andando incontro a queste richieste, a fine ottobre la Commissione per il mercato interno del Parlamento europeo aveva proposto una serie di misure per rafforzare la protezione dei consumatori e migliorare la sicurezza e la sostenibilità dei prodotti.

Ora, con la risoluzione non legislativa su un mercato unico più sostenibile, approvata ieri con 395 voti favorevoli, 94 voti contrari e 207 astensioni, il Parlamento europeo vuole «Rafforzare la sostenibilità promuovendo il riutilizzo e la riparazione e contrastando le pratiche che riducono la durata dei prodotti».

Gli eurodeputati hanno invitato la Commissione europea ad «assicurare ai consumatori il “diritto alla riparazione” rendendo le riparazioni più accessibili, sistematiche e vantaggiose, ad esempio estendendo la garanzia sulle parti di ricambio o garantendo un migliore accesso alle informazioni su riparazione e manutenzione».

I parlamentari europei hanno poi chiesto di «Sostenere maggiormente il mercato dei prodotti di seconda mano, incoraggiano la produzione sostenibile e chiedono misure per contrastare le pratiche volte a ridurre la durata dei prodotti». I deputati Ue hanno ribadito la loro richiesta di un caricabatterie universale per ridurre i rifiuti elettronici e vogliono l’etichettatura dei prodotti in base alla loro vita utile, ad esempio un contatore degli utilizzi e informazioni chiare sulla durata media di un prodotto.

Per incoraggiare scelte sostenibili da parte delle imprese e dei consumatori, l’Europarlamento ribadisce la necessità di «Appalti pubblici più sostenibili e su marketing e pubblicità responsabili. Nella pubblicità, ad esempio, sarebbe opportuno applicare criteri comuni per definire l’eco-compatibilità dei prodotti, in maniera simile a quanto avviene con la certificazione del marchio di qualità ecologica». La risoluzione invita anche a «Rafforzare il ruolo del marchio Ecolabel-UE, in modo da diffonderne l’utilizzo nel settore e sensibilizzare i consumatori».

Infine, il testo approvato presenta nuove regole per la gestione dei rifiuti e la rimozione degli ostacoli giuridici che impediscono la riparazione, la rivendita e il riutilizzo dei prodotti, a beneficio peraltro del mercato delle materie prime secondarie.

Il relatore, il verde francese David Cormand, ha concluso: «E’ giunto il momento di utilizzare gli obiettivi del Green Deal come fondamento di un mercato unico che promuova la concezione di prodotti e servizi durevoli. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo bisogno di una serie completa di regole che agevolino decisioni chiare e semplici anziché modifiche tecniche che mancano di coraggio politico e che confondono sia i consumatori che le imprese. Con l’adozione di questa relazione, il Parlamento europeo ha inviato un messaggio chiaro: etichettatura obbligatoria armonizzata che indichi la durabilità e lotta all’obsolescenza precoce a livello europeo sono le vie da seguire».

fonte: www.greenreport.it

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Comunicare la sostenibilità del packaging è importante?

Il packaging dei prodotti di largo consumo ha un impatto ambientale enorme. La corretta comunicazione in etichetta per lo smaltimento o una confezione sostenibile possono orientare le scelte del consumatore











Quasi tre milioni di tonnellate. Questo il peso del packaging dei prodotti di largo consumo in Italia nel 2019. 

Al momento i Fridays for Future di Greta Thunberg sono in stand-by, ma la sostenibilità ambientale e la salute del Pianeta sono questioni indifferibili, anche se al momento le emergenze principali sono legate alla pandemia.

Una eredità positiva dell’attuale emergenza pandemica è la crescita della sensibilità ambientale e della consapevolezza dello stretto legame tra la salute dell’uomo e quella del Pianeta. La prima spinta in questa direzione arriva dai consumatori, diventati più informati e più esigenti, disposti anche a pagare di più un prodotto con un packaging sostenibile (il 74% dei consumatori che hanno partecipato a un sondaggio di Environmetal Leader). Il packaging è uno dei problemi da affrontare, perché ogni prodotto ha un incarto o un imballaggio che sommandosi, come abbiamo detto in apertura, genera una mole di rifiuti immensa. Molte aziende, soprattutto quelle di grandi dimensioni che hanno più risorse da investire in ricerca, hanno cominciato a studiare packaging totalmente riciclabili sia per accresciuta sensibilità ambientale che per banale scelta di marketing (ma l’importante è il risultato…) e andare così incontro alle richieste dei consumatori.

In concreto a che punto siamo su sostenibilità del packaging e su informazioni per lo smaltimento? Dallo studio dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy vediamo che solo il 24,5% dei prodotti alimentari presenti sugli scaffali della grande distribuzione riporta sulla confezione le corrette indicazioni per lo smaltimento del packaging e solo il 6,2% è incartato con materiale completamente riciclabile. Ma proviamo a essere ottimisti. Food Packaging Forum ha pubblicato un’indagine di Markets and Markets secondo la quale il mercato del packaging sostenibile crescerà del 42,8% entro il 2025. Un’azienda italiana che investe molto sulla sostenibilità è Vitavigor, che produce snack e grissini: è in procinto di lanciare la nuova linea di prodotti VitaPop con packaging di carta 100% riciclabile. Per Federica Bigiogera, marketing manager di Vitavigor consumare green può essere utile all’ambiente, e anche «per i clienti è sempre più importante poter contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale anche nei piccoli gesti quotidiani, acquistando un prodotto con caratteristiche più sostenibili».

Stando ai dati di Osservatorio Immagino di GS1 Italy, l’acqua minerale è campione assoluto di riciclabilità del packaging dichiarato in etichetta (100%). La maglia nera è indossata dai piatti pronti (41,2%). «Comunicare al consumatore le informazioni sulla riciclabilità del packaging ne accresce la consapevolezza, ne orienta le scelte d’acquisto e aiuta nel corretto smaltimento dei rifiuti» sottolinea Samanta Correale, Business Intelligence Senior Manager di GS1 Italy.

fonte: www.rinnovabili.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Il Parlamento UE chiede per i consumatori il “diritto alla riparazione”

La Commissione per il mercato interno di Strasburgo ha proposto una serie di misure per rafforzare la protezione dei consumatori e migliorare sicurezza e sostenibilità dei prodotti




Un diritto alla riparazione dei prodotti, ma anche chiare date di scadenza e standard di sicurezza più alti. Queste le nuove richieste provenienti dal Parlamento Europeo e indirizzate a Bruxelles.

L’ultime norme europee sull’ecodesign ha dato una vigorosa smossa alla sostenibilità del mercato, introducendo nuove etichette energetiche e criteri riparabilità. Peccato che i regolamenti in questione riguardassero solo 10 classi dieci di apparecchi elettrici ed elettronici. (leggi anche Ecodesign: 10 nuovi standard UE per ridurre le bollette energetiche) Per tutti gli altri beni e prodotti, si dovranno attendere i frutti del Piano d’azione per l’economia circolare UE. Parliamo del pacchetto di misure annunciato dalla Commissione Europea lo scorso 11 marzo. Il piano contiene una serie di interventi, anche legislativi, da attuare nei prossimi anni e inerenti l’intero ciclo di vita del prodotto; con l’obiettivo di migliorarne durabilità, riusabilità, riparabilità e sicurezza.

Sul tema sono tornati ieri gli eurodeputati della Commissione per il mercato interno. Il gruppo parlamentare ha votato una nuova risoluzione che chiede all’esecutivo UE precisi elementi da inserire nelle sue future politiche circolari. A cominciare dall’introduzione di un “diritto alla riparazione”: le aziende devono garantire ai consumatori l’acquisto di prodotti riparabili. Questo significa accessibili e dotati di pezzi di ricambio facilmente reperibili. “Per contrastare l’obsolescenza pianificata – si legge nella nota stampa del Parlamento UE – è necessario prendere in considerazione la limitazione delle pratiche che intenzionalmente riducono la durata di un prodotto”.

Chiedono inoltre a Bruxelles di considerare l’etichettatura di beni e servizi in base alla loro durata. Ad oggi questo elemento, se si esclude il comparto alimentare, è previsto unicamente per gli apparecchi elettrici ed elettroni e solo a partire dal prossimo anno. Ma per i deputati, estendere l’obbligo di etichettatura permetterebbe di sostenere i mercati di seconda mano, promuovendo pratiche di produzione più sostenibili. E per ridurre i rifiuti elettronici, i deputati insistono ancora su un sistema di ricarica comune per telefoni cellulari, tablet, lettori di e-book e altri dispositivi portatili.

Un occhio finisce anche sul mondo della pubblicità. Gli eurodeputati spingono su pratiche di marketing e pubblicità responsabili. Per ottenere ciò, l’UE dovrebbe adottare chiare linee guida per produttori che dichiarano di essere rispettosi dell’ambiente, assieme all’introduzione di uno specifico marchio certificato di “qualità ecologica” per i beni.

In una seconda risoluzione, gli europarlamentari hanno affrontato la questione dei prodotti non sicuri, in particolare quelli venduti sui mercati online. In questo contesto deputati chiedono le piattaforme e i mercati digitali adottino misure proattive per contrastare le pratiche fuorvianti; e che le norme comunitarie sulla sicurezza siano applicate in modo rigoroso.

fonte: www.rinnovabili.it

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!


=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Al via la campagna di Altroconsumo contro l’obsolescenza programmata

Parte oggi il progetto PROMPT con cui Altroconsumo vuole contribuire in maniera concreta ad arginare il fenomeno dell’obsolescenza precoce dei prodotti.
Si può partecipare attivamente all’iniziativa compilando il form presente su www.altroconsumo.it e segnalare apparecchi che sono diventati inutilizzabili troppo presto: i risultati serviranno a sensibilizzare le aziende a mettere in commercio prodotti più sostenibili.




Parte oggi il progetto PROMPT - Premature Obsolescence multi-stakeholder product testing programme – con cui Altroconsumo, insieme alle Organizzazioni di consumatori di Spagna, Belgio e Portogallo - prosegue la sua battaglia contro l’obsolescenza programmata dei prodotti. Un fenomeno che comporta elevati costi per l’ambiente, l’economia e le tasche dei consumatori.

A chi non è capitato di avere a che fare con una lavatrice che si è rotta troppo presto e che non conviene o è impossibile riparare? O uno smartphone con un sistema operativo impossibile da aggiornare dopo un anno? Il fenomeno dell’obsolescenza programmata è sotto gli occhi di tutti: Altroconsumo ricevi molti reclami da parte dei consumatori delusi da dispositivi elettronici che si usurano e cessano di funzionare troppo presto perché mal costruiti e difficili da riparare.

Per arginare questo fenomeno al link altroconsumo.it/obsolescenza-programmata è aperta una piattaforma online dove è possibile segnalare casi di questo tipo, inserendo dati e caratteristiche del prodotto malfunzionante: più alto sarà il numero di segnalazioni, maggiore sarà la forza delle azioni che saranno intraprese per tutelare i consumatori da questa pratica.


Rifiuti elettronici e malfunzionamenti:

Prodotti che funzionano male e che i consumatori si trovano a dover sostituire troppo presto, una tendenza che è confermata dai dati: la produzione di rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE) è aumentata infatti negli ultimi decenni con una crescita del 3-5% all’anno raggiungendo 12 milioni di tonnellate entro il 2020.

Per quanto riguarda invece le problematiche più frequenti che vengono riscontrate, secondo le nostre indagini, le parti più “deboli” di uno smartphone sono: batteria, touchscreen e caricatore. Per quanto riguarda invece i televisori, in questo caso i principali responsabili sono: telecomando, schermi e connettori. Per quanto riguarda i PC, ancora una volta sono le batterie a non funzionare al meglio, seguite da hard disk e dagli alimentatori.


Obsolescenza pianificata su scala europea

L'obiettivo del progetto PROMPT è proprio quello di sviluppare un programma di test indipendenti per valutare la longevità dei prodotti elettronici. Diversi membri del BEUC, la federazione europea di organizzazioni di consumatori, e tra queste Altroconsumo hanno aderito all’iniziativa che, oltre a stimolare i produttori, servirà anche a incentivare i consumatori ad utilizzare più a lungo i prodotti, a ripararli e ad accettare anche prodotti di seconda mano. I risultati dei test andranno anche a delineare i prodotti migliori per ciascuna categoria considerata.


La Direttiva dell’Unione Europea

Recentemente la Commissione ha adottato nuove regole per incoraggiare i produttori a progettare prodotti pensando alla rigenerazione, al recupero e al riciclo. E’ recente anche il nuovo regolamento Ecodesign adottato dalla Commissione europea[1], emanato proprio come misura per sostenere la riparabilità e la riciclabilità dei prodotti. Il pacchetto prevede una regolamentazione che rende obbligatorio mantenere sul mercato per almeno 7 anni alcuni pezzi di ricambio. Le 10 categorie di strumenti tecnologici coinvolti sono: frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie, display elettronici (televisori inclusi), motori elettrici, trasformatori, alimentatori, impianti di illuminazione, frigoriferi con funzioni di vendita e attrezzature per saldatura. Un provvedimento che contribuirà agli obiettivi di economia circolare, migliorando la durata della vita, la manutenzione e il riutilizzo degli apparecchi e al tempo stesso alleggerirà le spese delle famiglie. 


fonte: https://www.altroconsumo.it

Cibo e sprechi, i risultati di Life-Food Waste Stand Up















Più di 10mila aziende agroalimentari coinvolte, 12mila punti vendita sensibilizzati e 500mila consumatori raggiunti: sono questi i principali risultati del progetto LIFE–Food.Waste.StandUp, meno sprechi più solidarietà che si è concluso nei giorni scorsi con una conferenza alla quale hanno partecipato i promotori –Federalimentare (capofila), Federdistribuzione, Fondazione Banco Alimentare Onlus e Unione Nazionale Consumatori– e molti dei protagonisti di questi tre anni di campagne antispreco.

Oltre alla collaborazione di tutti i soggetti della filiera, il progetto ha visto la partecipazione del mondo della scuola, della ristorazione, ma anche della politica considerato il supporto della legge 166/2016 anti-spreco alimentare (Legge Gadda dal nome dell’onorevole firmataria) in vigore da tre anni, grazie alla quale l’Italia è diventata il primo paese al mondo a dotarsi di una normativa che presenta un approccio strategico al problema dello spreco alimentare e un esempio virtuoso per tutta l’Europa.

La necessità di un progetto di questa portata era giustificata dai numeri: secondo la FAO, nel mondo 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vanno sprecate, per un valore di oltre 2000 miliardi di euro. Ciò significa che 1/3 della produzione mondiale di cibo finisce nella spazzatura. Solo in Italia, in particolare, ogni anno circa 5,1 milione di tonnellate di cibo diventa spreco alimentare, per un valore di circa 12,6 miliardi di euro (circa il 15,4% degli alimenti annualmente consumati).

Gli sprechi riguardano l’intera filiera: il 57 per cento delle eccedenze alimentari viene generato dagli attori economici (settore primario-trasformazione-distribuzione-ristorazione) e il restante 43 per cento dai consumatori che, nonostante negli ultimi anni abbiano sviluppato una particolare sensibilità ai temi del food non hanno ancora una diffusa consapevolezza sui temi legati allo spreco. Le motivazioni sono riconducibili, probabilmente, a scorrette abitudini alimentari e retaggi del boom economico che per anni hanno portato le famiglie a riempire i carrelli di prodotti fuori misura frutto di mode, pubblicità e canoni estetici dettati dal marketing.

Il contributo dell’Unione Nazionale Consumatori al progetto Life Food Waste stand Up si è mosso proprio in questa direzione con una serie di iniziative volte a sensibilizzare i consumatori verso corretti stili di vita e più consapevolezza sia nel fare la spesa che nel modo di conservare e cucinare gli alimenti: “l’abbiamo fatto – ha spiegato il Presidente di Unc Massimiliano Dona– parlando alla gente con incontri sul territorio, convention, pubblicazioni e materiali digitali, ma anche avvicinandoci al mondo della scuola con particolare riferimento agli Istituti alberghieri, in quanto luoghi di formazione per i professionisti del futuro che lavoreranno nei luoghi della ristorazione e dell’accoglienza, nei quali la gestione degli sprechi è fondamentale”.

La strada è ancora lunga: è importante avere il supporto delle Istituzioni (la legge Gadda segna un passo avanti epocale) e delle imprese per ridurre gli sprechi nell’intera filiera e promuovere l’attività di recupero delle eccedenze alimentari ai fini sociali.

Questi primi tre ani segnano dunque le fondamenta dell’impegno della filiera contro lo spreco, l’auspicio è che anche grazie al contributo di iniziative come questa promossa dalla Commissione Europea, il rispetto del cibo e la cultura del riciclo diventino capisaldi della nostra cultura


Guarda le foto Tre anni di LIFE – Food.Waste.StandUp: evento di chiusura.

fonte: https://www.consumatori.it/

Diritto alla riparazione e reperibilità dei ricambi. Ecco le norme contro la obsolescenza

Scongiurate le elezioni anticipate, il Senato riprenderà l'esame delle norme che contrastano la fine prematura dei prodotti. Il Consiglio dei consumatori potrà fare ispezioni negli stabilimenti produttivi e nei negozi

























Prodotti che invecchiano prima del tempo, che si rompono a orologeria. Prodotti che è difficile riparare perché i pezzi di ricambio, quando si trovano, costano carissimo. Prodotti che si è quasi costretti a buttare, per comprarne di nuovi. Il Parlamento sta provando a frenare questi meccanismi perversi grazie a un disegno di legge che vuole colpire la "obsolescenza programmata" dei beni di consumo.

CHE COS'E'. Il disegno di legge spiega, intanto, che questa "obsolescenza programmata" prende forma quando le tecniche di fabbricazione e i materiali favoriscono un "invecchiamento precoce" del prodotto; quando rendono molto difficile e costosa la riparazione; quando la sostituzione di un singolo pezzo porta con sé a cascata la sostituzione di altri componenti; quando gli aggiornamenti software finiscono con il peggiorare il funzionamento del bene.


I DIRITTI. L'articolo 2 del disegno di legge, se approvato introdurrà per i consumatori il diritto:
- a "riparazioni a costi accessibili dei prodotti e dei servizi" acquistati;
- all'assistenza tecnica per il tutto il periodo di commercializzazione del bene;
- e, in più, per un periodo ulteriore "pari alla durata della garanzia legale".

Una volta terminata la produzione di un dispositivo, i pezzi di ricambio saranno disponibili per almeno 5 anni. I pezzi di ricambio di valore superiore ai 60 euro - parliamo di elettrodomestici - saranno disponibili addirittura 7 anni. In generale, quasiasi pezzo di ricambio avrà un prezzo "congruo e proporzionato".

I GUASTI. Già oggi, nel caso il prodotto risulti difettoso, il consumatore ha diritto a chiedere la sua riparazione oppure la sostituzione, entro due anni dalla consegna del bene. Il disegno di legge, se approvato, porterà il termine a 5 anni (per gli elettrodomestici "di piccole dimensioni) e addirittura a 10 (per i grandi). 

INFORMAZIONI. Nel manuale di istruzioni del prodotto, saranno presenti informazioni precise sulla sua "durata di vita". 


LA VIGILANZA. IL Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti sarà la sentinella dei diritti dei consumatori. Potrà fare addirittura ispezioni "negli stabilimenti di produzione e confezionamento, nei magazzini di stoccaggio e magazzini di vendita". Realizzerà "controlli a campione sui beni". Avrà diritto di chiedere - "alle autorità competenti" - il ritiro e finanche la distruzione del prodotto non conforme alle regole.

LE SANZIONI. il produttore o il distributore di beni "e' punito con la reclusione fino a due anni e con una multa di 300.000 euro se ha ingannato o tentato di ingannare il consumatore". Questa multa può essere aumentata, "in modo proporzionale", sulla base del fatturato che il prodotto contestato ha garantito al produttore negli ultimi tre anni.


fonte: https://www.repubblica.it