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L’omicidio è reato, ma non il biocidio : lo stato dell’arte nell’era della transizione ecologica.

 

In questi giorni mi scrivono per comunicarmi indignazione e rabbia per un uso vigliacco di prodotti agricoli che causano la morte degli esseri viventi.

“Cosa sta facendo!” un’amica carissima dalla provincia di Bari mi racconta l’ennesimo teatro innaturale. Un vicino sta vaporizzando del veleno su un ciglio del suo campo, ciglio che confina con il suo.
“Sto disseccando, ma non si preoccupi: lo faccio qui mica nel suo terreno.”
“Ma è un pesticida!”
“No, è un disseccante” ribatte costui. Se la cortesia precede l’arguzia, la mia amica si auto-colloca nella riserva dei panda.

Quell’enclave di cittadini consapevoli che non accettano un futuro già segnato e non possono più capire l’ottusa routine dell’agricoltura moderna.

Veniamo al punto. Pochi giorni fa la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha definitivamente vietato l’uso dei neonicotinoidi.
Si tratta di un momento storico, considerando che la battaglia legale è durata 8 anni.
Per capire questa posizione definitiva dobbiamo risalire ad un altra sentenza, del 30 novembre 2020, in cui la Corte dei conti europea obbliga l’EFSA ad esprimere pareri chiari in merito all’uso dei pesticidi e all’applicazione del principio di precauzione ma sopratutto obbliga la Commissione Europea a rispettare il parere dell’EFSA ed approvare l’uso dei formulati in agricoltura solo se se sicuri. Dalla storia recente degli ultimi 5 anni, più del 50% dei formulati sono stati approvati con procedure di emergenza.

Come apicoltore ricordo bene la storia delle decisioni dei governi italiani in questi ultimi 10 anni in merito all’uso di pesticidi tra cui erbicidi, disseccanti, fungicidi, acaricidi, talpicidi, battericidi, nematocidi, insetticidi, molluschicidi ed altre categorie.

L’italia è uno dei paesi europei che usa maggiormente i pesticidi, secondo ISPRA erbicidi insetticidi e fungicidi sono disciolti nel 67% dei campioni delle acque superficiali e nel 33% di quelle sotterranee. L’Europa è anche forte nell’Export di pesticidi nei paesi extra UE che producono poi i cibi che ritornano in Italia.

Questo movimento, che nutre e costituisce l’ossatura del mercato libero globale, è fatto di pesticidi.

Pesticidi che si muovono tra nazioni, veleni che scorrono nelle arterie delle nostre regioni e finiscono nel mare.
I danni si possono sintetizzare in 3 tipi. Danni irreversibili al suolo e al mare. Significa dover dipendere da altra chimica, inseguendo per sempre soluzioni inefficaci per ‘correggere’ la terra, essendo incapace di nutrire. Danni alla salute degli esseri viventi. Significa far cadere la sanità pubblica, a causa di malattie gravi anche letali, il cui nesso pesticida-malattia sta emergendo sotto traccia grazie alla ricerca scientifica. Danni al comparto agricolo e all’export italiano. Significa infine ridisegnare la geografia agricola, nella prospettiva peggiore in cui perdere l’identità della produzione italiana.

Sostenere di voler rispettare le regole di buon vicinato pensando che il disseccante agisca solo nel proprio fondo, è quasi ironico.
Analizzando le api nell’astigiano, grazie all’ultimo servizio pubblicato su LAPIS (aprile/maggio 2021) scopriamo un apicoltore professionista si è dedicato a sue spese ad effettuare le analisi del miele che produceva. In questi anni ha rilevato presenze di Flonicamid in concentrazione di 129 ppb in ambiente frutticolo (il quale esplica una tossicità acuta già a 53,3 milionesimi di grammo per ape). Poi la Cipermetrina a una concentrazione pari a 1153 ppb in ambiente vinicolo (che esplica una tossicità acuta già a 0,4592 milioni di grammo per ape). Come fungicida ha rilevato Folpet e Phtalimide che hanno superato insieme i 34’000 ppm (tali formulati esplicano una tossicità acuta già a 10 microgrammi per ape).
Ma venendo al glifosato dalle analisi effettuate ha riscontrato una concentrazione pari a 792 ppb. L’apicoltore ha affermato di aver trovato tracce di glifosato anche nel miele di alveari a più di 900 metri s.l.m.
Tutto questo deve farci riflettere, al netto delle centinaia di campagne sull’ambiente, sul fatto che il veleno che viene applicato nelle nostre campagne non resta mai confinato nel perimetro della propria parcella ma corre e lo fa velocemente.

Vietare imidacloprid, clothianidin e thiamethoxam, una categoria di veleni certamente la più abusata e pericolosa, è una parziale vittoria.
Considerando che ci sono voluti molti anni per una sentenza come questa, a fronte di sospensioni (e quasi mai divieti) dei rispettivi stati membri Italia compresa, ci troviamo davanti ad una sfida ancora più grande.

E’ una sfida culturale, rivolta a noi tutti. Non possiamo aspettare altri dieci o vent’anni per veder vietare altre 3 molecole, rispetto alle centinaia di formulati che vengono immessi nel mercato, di cui bastano pochi microgrammi per creare danni incalcolabili.
Se non vogliamo perdere la nostra campagna e il primato della nostra identità, e se vogliamo stare in salute non possiamo sperare in ulteriori divieti.

Dobbiamo cambiare a monte il problema. E cioè cambiare il modo di fare agricoltura.

C’è una moltitudine di persone in Europa che ci crede, e dobbiamo prendere questa sentenza come un segnale forte, incontrovertibile di una possibilità di farcela. Contro i poteri forti e le lobbies della produzione agricola intensiva e contro le politiche che garantiscono ai contadini solo debiti e fatiche, il 2021 segna un punto a favore della terra e della sovranità alimentare.

La sfida è culturale perchè istituzioni, scuole, famiglie devono riaffermare le competenze e lo spirito di coltivare la terra senza scorciatoie perchè -lo ha detto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea- le scorciatoie uccidono.

*Guido Cortese . Apicoltore

fonte: vociperlaterra.it


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In cauda venenum


Il confinamento pandemico ci ha proibito le grandi e belle tavolate, ma c’è da augurarsi che almeno nell’intimità i pranzi e le cene natalizi non siano mancati. Molte saranno le persone preoccupate per le sentenze che generalmente dopo le feste emettono le bilance. Almeno altrettanto dovrebbero esserlo, però, per la quantità di pesticidi assunti, quasi sempre a fine pasto, soprattutto con la frutta: il veleno è nella coda, con puntuale riferimento all’incolpevole scorpione, recita una nota locuzione latina. Non si tratta, naturalmente, di colpevolizzare chi mangia qualche mandarino di troppo ma di segnalare, ancora una volta, le responsabilità del modello imperante di agricoltura intensiva e di ricordare, per fare solo un esempio, che l’Italia ha incredibilmente posticipato la messa al bando del glifosato al 2022. I dati che ha reso noti nei giorni scorsi la campagna Stop Pesticidi di Legambiente sono pessimi: solo il 52% dei campioni analizzati sono privi di tracce di pesticidi e i numeri peggiori riguardano proprio la frutta. L’89,2% dell’uva da tavola e l’85,9% delle pere contiene almeno uno di quei residui che, cumulati, possono favorire l’insorgere di asma allergica e di altre malattie respiratorie che possono creare un quadro nefasto sempre, ma particolarmente rischioso in periodi come questi. Liberare l’agricoltura dalla dipendenza della chimica è più necessario e urgente che mai

foto tratta da Pixabay

Il dossier Stop Pesticidi, elaborato da Legambiente e presentato questa mattina nella diretta streaming trasmessa su www.legambiente.it, http://agricoltura.legambiente.it, www.lanuovaecologia.it e sui rispettivi canali social e realizzato in collaborazione con Alce Nero, ci dice che i pesticidi più diffusi negli alimenti in Italia sono Boscalid, Dimethomorph, Fludioxonil, Acetamiprid, Pyraclostrobin, Tebuconazole, Azoxystrobin, Metalaxyl, Methoxyfenozide, Chlorpyrifos, Imidacloprid, Pirimiphos-methyl e Metrafenone. Sono per la maggior parte fungicidi e insetticidi utilizzati in agricoltura che arrivano sulle nostre tavole e che, giorno dopo giorno, mettono a repentaglio la nostra salute. I consumatori stanno chiedendo prodotti sempre più sani e sostenibili ma il business dell’agricoltura intensiva sembra non voler cedere il passo. L’edizione 2020 del rapporto dell’associazione ambientalista fotografa una situazione che vede risultare regolare e privo di residui di pesticidi solo il 52% dei campioni analizzati. Senza dubbio, un risultato non positivo e che lascia spazio a molti timori in merito alla presenza di prodotti fitosanitari negli alimenti e nell’ambiente. Analizzando nel dettaglio i dati negativi, si apprende che i campioni fuorilegge non superano l’1,2% del totale ma che il 46,8% di campioni regolari presentano uno o più residui di pesticidi.

Cattive notizie anche in merito alla quantità di residui derivanti dall’impiego di prodotti fitosanitari in agricoltura: i laboratori pubblici regionali ne hanno trovato traccia in campioni di ortofrutta e prodotti trasformati in elevata quantità. Preoccupanti inoltre i dati del multiresiduo, che – è bene ricordarlo – la legislazione europea non considera non conforme a meno che ogni singolo livello di residuo non superi il limite massimo consentito, benché sia noto da anni che le interazioni di più e diversi principi attivi tra loro possano provocare effetti additivi o addirittura sinergici a scapito dell’organismo umano. Proprio il multiresiduo risulta essere più frequente del monoresiduo, essendo stato rintracciato nel 27,6% del totale dei campioni analizzati, rispetto al 17,3% dei campioni con un solo residuo.

Pixabay

Come negli anni passati, la frutta è la categoria in cui si concentra la percentuale maggiore di campioni regolari multiresiduo. Ad essere privo di residui di pesticidi è solo il 28,5% dei campioni analizzati, mentre l’1,3% è irregolare e oltre il 70%, nonostante sia considerato regolare, presenta uno o più residui chimici. L’89,2% dell’uva da tavola, l’85,9% delle pere, e l’83,5% delle pesche sono campioni regolari con almeno un residuo. Le mele spiccano con il 75,9% di campioni regolari con residui e registrano l’1,8% di campioni irregolari. Alcuni campioni di pere presentano inoltre fino a 11 residui contemporaneamente. Situazione analoga per il pompelmo rosso e per le bacche di goji che raggiungono quota 10 residui. Diverso il quadro per la verdura: se, da una parte, si registra un incoraggiante 64,1% di campioni senza alcun residuo, dall’altro fanno preoccupare le significative percentuali di irregolarità in alcuni prodotti come i peperoni in cui si registra l’8,1% di irregolarità, il 6,3% negli ortaggi da fusto e oltre il 4% nei legumi. Tali dati, se analizzati in riferimento alla media degli irregolari per gli ortaggi, che è dell’1,6%, destano preoccupazione. Ad accomunare la gran parte delle irregolarità è il superamento dei limiti massimi di residuo consentiti per i pesticidi (54,4%) ma non mancano casi in cui è stato rintracciato l’utilizzo di sostanze non consentite per la coltura (17,6%). Nel 19,1% dei casi, poi, sono presenti entrambe le circostanze. Le sostanze attive che più hanno determinato l’irregolarità sono l’organofosforico Chlorpyrifos nell’11% dei casi e il neonicotinoide Acetamiprid nell’8% dei casi. Altro dato da sottolineare è la presenza di oltre 165 sostanze attive nei campioni analizzati. L’uva da tavola e i pomodori risultano quelli che ne contengono la maggior varietà, mostrando rispettivamente 51 e 65 miscele differenti.

Tra i campioni esteri, la Cina presenta il tasso di irregolarità maggiore (38%), seguita da Turchia (23%) e Argentina (15%). In alcuni di questi alimenti non solo sono presenti sostanze attive irregolari, ma anche un cospicuo numero di multiresiduo. È il caso, ad esempio, di un campione di bacca di goji (10 residui) e di uno di tè verde (7 residui), entrambi provenienti dalla Cina. Degno di nota è anche un campione di foglie di curry proveniente dalla Malesia nel quale, su 5 residui individuati, 3 sono irregolari. Sul fronte dell’agricoltura biologica, su 359 campioni analizzati 353 risultano regolari e senza residui, ad eccezione di un solo campione di olive, di cui però non si conosce l’origine. Non è quindi possibile, allo stato attuale, sapere se l’irregolarità è da imputare a una contaminazione accidentale, all’effetto deriva o a un uso illegale di fitofarmaci. L’ottimo risultato è ottenuto, tra le altre cose, grazie all’applicazione di ampie rotazioni colturali e pratiche agronomiche preventive, che contribuiscono a contrastare lo sviluppo di malattie e a potenziare la lotta biologica tramite insetti utili nel campo coltivato.

foto Pixabay

“Serve una drastica diminuzione dell’utilizzo delle molecole di sintesi in ambito agricolo, grazie a un’azione responsabile di cui essere tutti protagonisti – ha dichiarato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente -. Per capire l’urgenza di questa transizione, si pensi alla questione del glifosato, l’erbicida consentito fino al 2022, nonostante il 48% degli Stati membri dell’Ue abbia deciso di limitarne o bandirne l’impiego per la sua pericolosità; l’Italia inizi dalla sua messa al bando. Inoltre, per diminuire la chimica che ci arriva nel piatto è necessario adeguare la normativa sull’uso dei neonicotinoidi, seguendo l’esempio della Francia che da anni ha messo al bando i 5 composti consentiti dall’Ue, e approvare al più presto il nuovo Piano di Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari”.

“Occorre liberare l’agricoltura dalla dipendenza dalla chimica – ha aggiunto il presidente di Legambiente Stefano Ciafani – per diminuire i carichi emissivi e favorire un nuovo modello, che sposi pienamente la sostenibilità ecologica come asse portante dell’economia made in Italy, diventando un settore strategico per il contrasto della crisi climatica. Riteniamo anche necessaria una svolta radicale delle politiche agricole dell’Unione, con una revisione della Politica Agricola Comune che superi la logica dei finanziamenti a pioggia e per ettaro per trasformarsi in sostegno all’agroecologia e a chi pratica agricoltura sostenibile e biologica. Le risorse europee, comprese quelle del piano nazionale di ripresa e resilienza, vanno indirizzate all’agroecologia, in modo da accelerare la transizione verso una concreta diminuzione della dipendenza dalle molecole pericolose di sintesi, promuovendo la sostenibilità nell’agricoltura integrata e in quella biologica come apripista del modello agricolo nazionale, con l’obiettivo di giungere in Italia al 40 % di superficie coltivata a biologico entro il 2030”.

Legambiente torna a chiedere che l’Italia allinei le sue politiche al Green deal e a quanto previsto dalle strategie europee Farm to fork e Biodiversità che ambiscono a ridurre entro il 2030 del 50% l’impiego di pesticidi, del 20% di fertilizzanti, del 50% di antibiotici per gli allevamenti, destinando una percentuale minima del 10% di superficie agricola ad habitat naturali. Ritiene, inoltre, strategico approvare la legge sull’agricoltura biologica, ferma al Senato della Repubblica, come strumento per sostenere il settore. Altro aspetto da non trascurare è quello dell’etica del cibo e della legalità: se gli alimenti devono essere sani, lo deve essere anche il lavoro che li produce così come sono rilevanti i rischi per la salute dei braccianti non regolarizzati derivanti dall’esposizione diretta ai pesticidi, in assenza dei più elementari dispositivi di protezione individuale previsti dalla normativa vigente. Per questo è importante attuare misure specifiche rispetto al fenomeno del caporalato, sia attraverso politiche di prevenzione che di controllo e vigilanza e di assistenza, reintegrazione e inserimento socio-lavorativo dei braccianti sfruttati e approvare con la massima urgenza la normativa contro le aste al doppio ribasso di prodotti agroalimentari da parte della grande distribuzione.

Nota metodologica dossier Stop pesticidi

Il dossier di Legambiente Stop Pesticidi riporta i dati elaborati nel 2019 dai laboratori pubblici italiani accreditati per il controllo ufficiale dei residui di prodotti fitosanitari negli alimenti. Tali strutture hanno inviato i risultati di 5.835 campioni di alimenti di origine vegetale, di provenienza italiana ed estera, genericamente etichettati dai laboratori come campioni da agricoltura non biologica. L’elaborazione dei dati prevede la loro distinzione in frutta, verdura, trasformati e altre matrici.

fonte: comune-info.net


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Non solo api: i neonicotinoidi danneggiano anche crostacei e molluschi. I risultati di due studi australiani


Non solo le api e gli insetti impollinatori. I neonicotinoidi, insetticidi ancora molto usati, sebbene sotto accusa e già sospesi o vietati in diversi paesi, fanno danni anche in un ambito insospettabile: quello degli allevamenti di crostacei e di molluschi, nello specifico di gamberoni e ostriche. Il motivo, per i crostacei, va ricercato nell’appartenenza allo stesso phylum evoluzionistico degli insetti. La conseguenza è che la struttura del sistema nervoso è simile nei due gruppi, e ciò che danneggia quello degli insetti è molto pericoloso anche per i crostacei. Per quanto riguarda i molluschi, invece, il danno deriva dall’attività di filtraggio dell’acqua, che causa accumuli, intossicando l’animale, con alterazioni molto evidenti.

La dimostrazione del fatto che la presenza dei neonicotinoidi comporta effetti ad ampio raggio arriva da due studi condotti dallo stesso gruppo di ricerca, quello del National Marine Science Center della Southern Cross University di Coffs Harbour, in Australia, pubblicati insieme a un articolo riassuntivo sulle conoscenze attuali su tre riviste diverse.


Gli insettici neonicotinoidi sarebbero in grado danneggiare i crostacei, attaccando il loro sistema nervoso, come quello degli insetti

Il primo, uscito su Ecotoxicology and Environmental Safety, analizza l’effetto dell’imidacloprid, neonicotinoide ancora molto usato ma vietato all’aperto in Italia e in Europa, sui gamberi giganti indopacifici (Penaeus monodon) in specifici test condotti in laboratorio. I gamberoni sono stati esposti a due concentrazioni non letali di imidaclorprid sciolto nell’acqua (5 e 30 microgrammi per litro) o nel mangime (12,5 o 75 microgrammi per grammo), e poi analizzati dal punto di vista dell’accumulo nei tessuti e delle conseguenze sul loro benessere e sviluppo. Dopo soli quattro giorni i crostacei avevano accumulato fino a 0,350 microgrammi per grammo di peso da entrambe le fonti e, in seguito all’esposizione cronica, è stato registrato un calo ponderale e una riduzione dei grassi corporei, cambiati anche nelle proporzioni tra i diversi tipi, rispetto ai gamberoni di controllo.

Tutto ciò conferma che l’esposizione ai neonicotinoidi potrebbe avere effetti sull’alimentazione degli animali e, di conseguenza, sulle rese degli allevamenti, come spiegano gli stessi autori nell’articolo pubblicato su Chemosphere. Come sottolineano gli scienziati, inoltre, i neonicotinoidi, che arrivano ai crostacei da più fonti (mangimi, acque e sedimenti), possono essere assunti anche dagli esseri umani, e su questo non ci sono dati. Sarebbe invece quantomai opportuno effettuare studi specifici, vista la diffusione in tutto il mondo dei gamberoni di allevamento.


Secondo un altro studio sulle ostriche, i neoniconinoidi sono dannosi anche per i molluschi

Nello studio sulle ostriche, uscito su Science of the Total Environment, l’imidacloprid è stato somministrato alle ostriche (Saccostrea glomerata) coltivate in acque con due diverse concentrazioni di sale. Il risultato è stato che l’esposizione al neonicotinoide causa la modifica di molti parametri vitali, indipendentemente dal grado di salinità: sono ben 28 le proteine alterate, anche in questo caso con possibili effetti sul rendimento dell’allevamento, oltre che sulla salute umana.

L’ambito delle acquacolture si aggiunge insomma a quelli, già numerosi, minacciati o comunque danneggiati da queste sostanze, mentre mancano dati sul possibile accumulo negli esseri umani che tengano in considerazione anche questa possibile fonte.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Neonicotinoidi: tossici per le api e dannosi anche per le larve. Uno studio sulla pericolosità di questi pesticidi




I neonicotinoidi, gli insetticidi molto utilizzati ma anche in parte vietati o sospesi per la loro tossicità in particolare sul comportamento delle api, sono molto dannosi anche per le larve, e questo potrebbe contribuire a spiegare perché, laddove vengono impiegati, le popolazioni diminuiscono (spesso drasticamente). Per la prima volta infatti un team di ricercatori tedeschi, del Bee Research Institute of the Polytechnical Society dell’Università di Francoforte, è riuscito a documentare in diretta che cosa succede quando queste sostanze entrano in contatto diretto con i piccoli.
Per filmare ogni passaggio, i ricercatori hanno messo a punto quattro alveari con una parete trasparente su cui hanno appoggiato una telecamera specifica, che lavora con la luce infrarossa e quindi non disturba, e hanno studiato il comportamento delle nutrici alimentate con acqua zuccherata con o senza due tra i neonicotinoidi più usati, il Thiacloprid e il Clothianidin.
Di solito le uova vengono deposte dalla regina in spazi creati apposta e accuratamente puliti prima della deposizione. Una volta rilasciate, le uova sono nutrite da api nutrici per sei giorni. Alla fine di questa fase, le nutrici creano un tappo di cera che chiude il nido. Le larve, nutrite e al sicuro, possono così iniziare la metamorfosi, alla fine della quale avranno una testa, un corpo, delle zampe e delle ali: a tre settimane dalla deposizione sono pronte per uscire dal bozzolo e poi dai nidi, e sono diventate a tutti gli effetti api adulte.


neonicotinoidi api
In presenza di neonicotinoidi la metamorfosi rallenta

Come hanno raccontato e anche mostrato in un video (vedi sotto) gli autori su Scientific Reports, però, se nell’acqua zuccherata (che può essere paragonata al polline e al nettare di cui si nutrono normalmente le api) somministrata alla nutrice ci sono i neonicotinoidi, il comportamento di quest’ultima cambia: nell’arco della giornata nutre meno le larve e alla fine queste impiegano dieci ore di più, in media, per completare la metamorfosi. E questo intervallo potrebbe essere responsabile del mancato sviluppo di molte larve, perché permette al più temibile dei parassiti, la Varroa mite (e probabilmente non solo a questo) di svilupparsi molto più del solito, e di compromettere tutta la nuova generazione. La Varroa i fatti, come altri, se presente si trova nel nido prima della chiusura col il tappo; se tutto procede come previsto, e le uova impiegano i sei giorni standard, non riesce a fare danni troppo estesi. Se però il tempo a disposizione si allunga la situazione cambia e il parassita prolifera.
Oltre a ciò, poiché i neonicotinoidi agiscono direttamente su uno dei principali neurotrasmettitori del sistema nervoso, l’acetilcolina, interferiscono con il comportamento delle nutrici, e anche questo ha certamente un ruolo. In particolare, le nutrici fanno arrivare il nutrimento alle larve attraverso una gelatina che contiene anche acetilcolina: se ci sono i neonicotinoidi la concentrazione di acetilcolina cala molto, anche per piccole dosi di insetticidi, e ciò ha ripercussioni sullo sviluppo.
Gli autori non sanno dire quali di questi effetti sia predominate o se siano tutti quanti, insieme, a dare come esito finale un minor numero di api, ma di sicuro queste sostanze agiscono direttamente sulle 
nuove generazioni, decimandole.
 
fonte: www.ilfattoquotidiano.it 

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Slovenia: la storia di un successo nella difesa delle api grazie a un lungimirante piano del governo


C’è un paese che sta vincendo la sua guerra in difesa delle api: la Slovenia. E la sua situazione, da questo punto di vista, è talmente positiva, rispetto al disastro generalizzato del resto del mondo, che da molte parti si studia il modello sloveno, anche con esperienze sul campo, e si cerca di mettere a punto piani nazionali che possano ottenere gli stessi risultati.
Oggi in Slovenia ci sono circa 10.000 apicoltori, cioè 5 ogni mille abitanti, contro, per esempio, un tasso di 0,4 per mille negli Stati Uniti: anche solo questo numero dimostra che le api si trovano a proprio agio, in quel paese. E c’è molto di più.
A raccontare in che cosa consista il segreto degli alveari sloveni è Civil Eats, che dopo aver premesso che il paese ha una lunga tradizione, testimoniata anche dal fatto che la prima giornata mondiale delle api, istituita quest’anno dalle Nazioni Unite, è stata fissata il 20 maggio, data di nascita di Anton Jansa, considerato il fondatore della moderna apicoltura (vissuto tra il 1734 e il 1773), riassume i punti essenziali del piano pro-api messi in campo fino dai primi anni duemila.
Eccoli:
1. Nel 2002 il governo ha dichiarato la specie locale, l’ape della Carnia, specie protetta, e ha vietato l’introduzione di altre specie provenienti dall’estero se non dietro strettissimi controlli. Ciò ha avuto immediate ripercussioni sulla sensibilità dei cittadini e sul benessere delle api.
2. Negli anni seguenti, con l’intento di incoraggiare la diffusione di alveari sui tetti, nei giardini e dovunque vi fossero le giuste condizioni, sempre le autorità hanno istituito corsi gratuiti per apicoltori, in modo che gli aspiranti tali fossero in grado di allevare correttamente le api e riconoscere tempestivamente infezioni come quella da Varroa che, se non controllata e fermata, si diffonde con estrema rapidità da un alveare all’altro.
api alveari miele apicoltura3. Per contenere parassiti e infezioni, sempre il Governo ha deciso di distribuire gratuitamente i farmaci, qualora necessari, e di dare vita a un fondo specifico per rimborsare chi perda l’alveare a causa di una malattia.
4. Anche se in Slovenia il Colony Collapse Disorder, la complessa sindrome multifattoriale che causa la morte degli alveari, è quasi sconosciuta, non lo sono una delle cause, ovvero i pesticidi e i fitofarmaci usati in agricoltura. Per questo il Governo, dopo la morte di alcuni alveari avvenuta nel 2011, ha vietato numerosi pesticidi potenzialmente pericolosi, soprattutto della famiglia dei neonicotinoidi.
5. Per far sì che la legge e i numerosi regolamenti specifici siano rispettati, ha istituito squadre di ispettori specializzati e stabilito multe e sanzioni.
6. L’allevamento di api, inoltre, non riguarda solo le campagne, ma anche città come la capitale Lubiana. Per favorire le api urbane e i loro allevatori, il Governo ha approvato una specifica legge impone ai residenti di insediare solo specie vegetali che producano nettare come il castagno, i girasoli, il lime, le erbe aromatiche e così via.
7. Per evitare che vi siano alveari privati troppo grandi e, viceversa, favorire la nascita di molti piccoli alveari diffusi, una norma impone che ogni sito non possa averne più di dieci, e che ciascuno sia a un raggio di 400 metri di distanza dal successivo.
8. Nel perimetro delle città, inoltre, sono vietati erbicidi e pesticidi, fatto che comporta più spese e la necessità di estirpare meccanicamente molte erbe infestanti, ma che ripaga con la buona salute delle api.
9. Poiché la situazione delle api slovene è ormai nota in tutto il mondo, il paese incoraggia poi l’apiturismo, ovvero visite guidate ad alveari e aziende di lavorazione, organizza corsi per stranieri e promuove iniziative legate alla storia millenaria del rapporto tra uomo e api.
10.È infine importante la consapevolezza della popolazione: per questo il Governo organizza e paga corsi in almeno 200 scuole, per far sì che le api slovene stiano bene anche in futuro.
Come dimostra tutto ciò, lo sforzo per proteggere le api, che solo negli Stati Uniti sostengono un mercato da 15 miliardi di dollari legato all’impollinazione delle piante, deve essere corale, poliedrico e promosso a ogni livello dalle autorità statali, affinché tutta la popolazione ne faccia parte.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

“La rivoluzione delle api”, il libro che racconta la storia di apicoltori e agricoltori che proteggono questi insetti preziosi


























Le api sono responsabili della maggior parte della frutta, della verdura e dei cereali che mettiamo in tavola: volando di fiore in fiore per raccogliere il nettare, questi preziosi insetti impollinano le piante. Tuttavia la loro sopravvivenza è minacciata dall’uso esteso di pesticidi letali per le api, come i neonicotinoidi, nell’agricoltura industriale.“La rivoluzione delle api. Come salvare l’alimentazione e l’agricoltura nel mondo” è un libro, scritto delle giornaliste Monica Pelliccia e Adelina Zarlenga con la prefazione di Vandana Shiva, che racconta la storia di chi invece cerca di salvaguardare questi insetti.
Il libro, edito da Nutrimenti, è un viaggio tra i progetti e le attività che alcuni apicoltori, agricoltori ed esperti hanno messo in campo – letteralmente – per tutelare le api, in Italia e nel resto del mondo. Le autrici ci portano tra i “pastori di api” che spostano gli alveari da un campo all’altro e da un frutteto all’altro, ma anche tra i coltivatori di mango indiani e tra le distese di mandorli californiani, dove il lavoro delle api è fondamentale per un buon raccolto, fino ad arrivare al cibo del futuro.
La rivoluzione delle api è frutto del progetto #Hunger4Bees, realizzato con il supporto del programma Innovation in development reporting grant del Centro europeo di giornalismo, insieme alla fotografa Daniela Frechero. All’interno di questo progetto è stato realizzato anche un reportage sulle api nella Terra dei Fuochi, dove sono protagoniste di un progetto di biomonitoraggio dei metalli pesanti, che potete trovare qui.
“La rivoluzione delle api. come salvare l’alimentazione e l’agricoltura nel mondo” di Monica Pelliccia e Adelina Zarlenga. 192 pagine. Casa editrice Nutrimenti.
fonte: https://ilfattoalimentare.it

Il glifosato danneggia il sistema immunitario delle api. In aumento la mortalità dell’insetto


















L’aumento della mortalità delle colonie di api mellifere è stato attribuito a diversi fattori, ma non è stato ancora completamente compreso. Tra i principali accusati ci sono alcuni pesticidi neonicotinoidi, tre dei quali sono stati vietati dall’Unione europea. Sinora, tra i prodotti chimici usati in agricoltura nessuno aveva puntato l’attenzione sull’erbicida più venduto nel mondo e sotto accusa per i suoi possibili effetti cancerogeni, il glifosato. Infatti, sinora si era ritenuto che esso non fosse tossico per gli animali, dato che interferisce con un importante enzima presente solo nelle piante e nei microrganismi.  Ora, però, uno studio condotto negli Usa da ricercatori dell’Università di Austin indica che il glifosato ha anch’esso una responsabilità nel declino delle colonie di api, perché altera il loro microbioma intestinale, cioè l’ecosistema di batteri che vivono nel loro tratto digestivo, compresi quelli che lo proteggono dai batteri nocivi, esponendo le api ad un maggior rischio di infezioni.
Nel corso della ricerca, pubblicata dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, alcune api mellifere sono state esposte a livelli di glifosato analoghi a quelli usati nei campi coltivati e sui cigli stradali, dopo aver colorato il loro dorso per renderle riconoscibili e poterle riprendere. Tre giorni dopo, i ricercatori hanno osservato che l’erbicida riduceva significativamente il microbiota intestinale sano. Di otto specie dominanti di batteri benefici, nelle api esposte al glifosato quattro sono risultate essere meno abbondanti. La specie batterica più colpita è risultata essere la Snodgrassella alvi, un importante batterio che aiuta le api a metabolizzare il cibo e a difendersi dagli agenti patogeni. I ricercatori hanno rilevato che le api con microbiomi intestinali alterati avevano molte più probabilità di morire se esposte a un agente patogeno opportunistico, la Serratia marcescens, un agente patogeno diffuso che infetta le api in tutto il mondo. Circa la metà delle api con un microbioma sano era ancora in vita otto giorni dopo l’esposizione al patogeno, mentre solo circa un decimo delle api i cui microbiomi erano stati alterati dall’esposizione al glifosato erano ancora vive.
Secondo Erik Motta, che ha guidato la ricerca, c’è “bisogno di linee guida migliori per l’uso del glifosato, in particolare per quanto riguarda l’esposizione delle api, perché in questo momento le linee guida assumono le api non siano danneggiate dal diserbante. Il nostro studio dimostra che non è vero”. I risultati della ricerca sono contestati da Monsanto, che produce il RundUp a base di glifosato e che in un comunicato afferma che la ricerca dell’Università di Austin si basa su un numero relativamente piccolo di singole api e che “nessuno studio su larga scala ha mai trovato un collegamento tra il glifosato e problemi di salute delle api mellifere”. Monsanto contesta anche il fatto che il “gruppo di ricerca non ha discusso queste nuove scoperte alla luce del loro precedente lavoro, secondo cui gli antibiotici usati dagli apicoltori nei loro alveari sono la causa delle alterate comunità di microbi intestinali”.
fonte: https://ilfattoalimentare.it/

Moria di api in Friuli, 22 indagati per inquinamento ambientale





L'utilizzo di prodotti come insetticidi e antiparassitari nei campi di mais avrebbe causato uno spopolamento degli alveari. Lo rileva una indagine della Procura di Udine che ha portato al sequestro di 17 fondi agricoli
Diciasette fondi agricoli sequestrati e 22 indagati per inquinamento ambientale in Friuli Venezia Giulia. Nei campi di mais oggetto del provvedimento sarebbero infatti stati utilizzati prodotti vietati che avrebbero causato la moria di api e l'anomalo spopolamento degli alveari sul territorio.  

Le conseguenze dei prodotti fitosanitari vietati

L'indagine della Procura di Udine rivela che, alla base della moria di api e degli anomali spopolamenti degli alveari, a cui si assiste ormai da anni nelle campagne, italiane e internazionali, ci sarebbe l'utilizzo dei "neonicotinoidi", prodotti fitosanitari utilizzati in agricoltura come insetticidi e antiparassitari, vietati per concia delle sementi, cereali e colture che attraggono le api. I neonicotinoidi, infatti, farebbero perdere l'orientamento a questi insetti che, come conseguenza, non riuscirebbero più a trovare gli alveari. Nei giorni scorsi, anche l'Unione Europea ha messo al bando questi prodotti. Il divieto di utilizzo all'aperto sarà applicabile dalla fine del 2018.


L'indagine della Procura di Udine

Da marzo a giugno del 2016, la Procura di Udine ha monitorato un totale di 400 arnie vicine a campi di mais nella campagna friulana rilevando che la popolazione delle api da miele era calata da circa 60mila a 10-20mila unità. Secondo quanto accertato dagli inquirenti, le api riuscivano a stento a produrre il miele per il proprio sostentamento, causando un azzeramento della commercializzazione del prodotto. Per questa ragione, sarebbe stato necessario somministrare agli insetti apporti nutrizionali artificiali per evitarne la morte per denutrizione. L'attività d'indagine, coordinata dal pm Viviana Del Tedesco e delegata al Corpo forestale regionale Noava, avrebbe consentito di accertare l'impiego nelle colture di mais dei prodotti fitosanitari contenenti le sostanze vietate.

Le ipotesi di reato

Al termine delle indagini, il gip del tribunale di Udine, Daniele Faleschini Barnaba, ha disposto il sequestro dei terreni con l'inibizione a qualsiasi coltivazione che comportasse l'uso di neonicotinoidi vietati e la distruzione delle colture che le abbiano impiegate. In occasione delle notifiche dei provvedimenti, la Procura di Udine ha avviato anche ulteriori accertamenti per verificare l'impiego di un altro pesticida che provocherebbe la morte delle api. Anche in questo caso gli inquirenti ipotizzano l'inquinamento ambientale, ma al momento il fascicolo è a carico di ignoti.

fonte: tg24.sky.it

UN DECRETO DI VELENI IN PUGLIA A CIELO APERTO
















Nel centro-sud della Puglia stiamo vivendo momenti tragici dal punto di vista ambientale e salutare e abbiamo bisogno di far girare quanto sta avvenendo quaggiù perché solo così potremmo far cambiare le cose. A causa al Decreto Martina del 13.02.2018 a partire dal mese di maggio 2018, comincerà l'irrorazione FORZATA di insetticidi, a base di Neonicotinoidi, che si protrarrà da Maggio ad Agosto per 2 interventi più altri 2 fino a dicembre, per tutto il territorio agricolo compreso tra l'Adriatico e lo Ionio e da Martina F. Locorotondo e Fasano fino al Capo di Lecce, 4.2 Milioni di litri di insetticida x 700.000 Ettari circa di territorio. Sia l'aria che i prodotti alimentari Pugliesi saranno potenzialmente contaminati da insetticidi a base di Neonicotinoidi, neurotossici per insetti impollinatori, Molto tossici per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata (H410).
In più il decreto:  ( gazzettaufficiale.it/eli/gu/2018/04/06/80/sg/pdf ) obbliga a mezza regione Puglia, da Martina F. - Fasano a S. Maria di Leuca, l'aratura e/o diserbo, meccanico o chimico di tutti i campi urbani ed extra-urbani. Una misura del genere in un periodo di piena fioritura come Aprile, mese in cui le Api e Bombi fanno il "pieno" alimentare in vista della stagione secca e siccitosa estiva, provoca la sicura decimazione (o estinzione) dei pronubi in mezza Puglia, e della biodiversità delle piante selvatiche da cui provengono le verdure che oggi mangiamo.
Dal 2013 ad oggi ci sono una marea di situazioni incredibilmente paradossali ma forzate dai "Teatranti" (per es. le prove scientifiche prodotte dal CNR di Bari che dimostrano la correlazione di causalità tra batterio Xylella e Disseccamento Rapido in realtà dimostrano il contrario per imporre delle misure fortemente invasive. E' chiaro che il vero "regista " non si vede, ma in questo momento storico, in cui c'è un vero e proprio assalto alla diligenza Italia grazie all'avvento Neoliberista, è facile intuire quali multinazionali abbiano potuto creare il l'opera.
I danni causati dalle pratiche agricole imposte dal Decreto Martina, cioè l'uso indiscriminato di insetticidi nicotinoidi unito alle lavorazioni meccaniche (arature) e chimiche (erbicidi) in aprile causerebbero un danno incalcolabile e dalle conseguenze non prevedibili (come dice EFSA) in quanto la decimazione degli insetti impollinatori provocherebbe non solo il crollo di produzione di frutti di alberi, legumi e ortaggi allogami ma causerebbe l'estinzione delle piante Orwellianamente definite "infestanti" ma che costituiscono la fonte di biodiversità da cui deriva la nostra attuale alimentazione vegetale. Nel solo Sud Italia esiste il 30% di biodiverstà europea, oltre all'incalcolabile danno al turismo, che si troverebbe a villeggiare in mezzo alle irrorazioni di insetticidi e isole desertiche di ulivi eradicati a causa del provvedimento.
Comunque, anche se questa epidemia di Xylella fosse vera, diventa sicuramente di secondaria importanza rispetto al dramma di vivere in una regione "gasata" da insetticida "per Decreto", si tratta di un provvedimento davvero inquietante per il futuro Agricolo e Faunistico di questa regione. No, a queste misure nocive, perché saremo perduti se dimenticassimo che: "I frutti della Terra appartengono a tutti e la Terra non appartiene a nessuno. J.J.Rousseau"

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Pesticidi: UE approva bando permanente per tre killer delle api















L’UE ha messo al bando in via definitiva tre pesticidi neonicotinoidi killer delle api. Ad annunciarlo è Greenpeace, che ha espresso grande soddisfazione per il divieto permanente introdotto dall’Unione Europea e per il voto favorevole dell’Italia. Una giornata che segna un momento importante per quella che è l’agricolturacomunitaria secondo l’associazione.

Il bando permanente per i tre pesticidi neonicotinoidi(imidacloprid e clothianidin della Bayer, tiamethoxam della Syngenta) segue quello parziale già in vigore dal 2013. Il loro utilizzo verrà d’ora in poi consentito soltanto all’interno di serre permanenti. Hanno votato sì al divieto i seguenti Paesi (in rappresentanza del 76,1% della popolazione UE): Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Paesi Bassi, Austria, Svezia, Grecia, Portogallo, Irlanda, Slovenia, Estonia, Cipro, Lussemburgo, Malta. Contrari Romania, Repubblica Ceca, Ungheria e Danimarca, mentre si sono astenuti Polonia, Belgio, Slovacchia, Finlandia, Bulgaria, Croazia, Lettonia e Lituania.

Ulteriori pesticidi neonicotinoidi sono ancora consentiti nel territorio UE, sottolinea l’associazione. In particolare quattro di questi (acetamiprid, thiacloprid, sulfoxaflor e flupyradifurone) rappresentano, insieme ad altre sostanze tra cui cipermetrina, deltametrina e clorpirifos, ancora una minaccia per api e insetti benefici per l’agricoltura e l’ambiente. Come ha dichiarato Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia:
Questa è una notizia importante per le api, l’ambiente e tutti noi. Il voto a favore dell’Italia certifica l’attenzione dei cittadini italiani per la protezione degli impollinatori. I danni di questi neonicotinoidi sono ormai incontestabili. Bandire questi insetticidi è un passo necessario e importante, il primo verso una riduzione dell’uso di pesticidi sintetici e a sostegno della transizione verso metodi ecologici di controllo dei parassiti.

fonte: www.greenstyle.it 

MORIA DELLE API: STUDIO SHOCK DIMOSTRA CHE A PROVOCARLA SONO (ANCHE) I COMUNI FUNGICIDI

Moria delle api. E se lo spopolamento degli alveari, ma anche il declino dei bombi e degli insetti impollinatori in genere, dipendessero (anche) dall’uso smodato di fungicidi?


















È l’allarmante scoperta che arriva dagli Stati Uniti, dove gli esperti puntano il dito contro i più comuni fungicidi, in particolare contro il clorotalonil. Il modo in cui i fungicidi uccidano le api è ancora in fase di studio, ma gli studi fanno credere con molta probabilità che essi rendano ancora più aggressivo il parassita “nosema”, mortale per le api, o aggraveranno in ogni caso la tossicità di altri pesticidi.
Non si frena, dunque, il diffuso declino delle api e di altri impollinatori, estremamente preoccupante perché sono loro a fertilizzare circa il 75% di tutte le colture alimentari, con la metà delle impollinazioni effettuate da specie selvatiche. Pesticidi, distruzione dell'habitat, malattie e cambiamenti climatici sono tutti implicati nella moria delle api, ma sono state fatte relativamente poche ricerche sulla complessa questione dei fattori che causano il maggior danno.

Lo studio

Ora, la nuova ricerca pubblicata su Proceedings of the Royal Society ha analizzato – tramite metodi statistici di machine learning – il ruolo di 24 diversi fattori di possibile declino di quattro specie di bombi, rintracciati in 284 siti in 40 stati degli States. Questi includevano, tra gli altri, anche tipo di habitat, popolazione umana e uso di pesticidi.
Quel che è emerso è che in particolare il clorotalonil, il fungicida più utilizzato negli Stati Uniti (ma anche nel Regno Unito, dove è stato usato su 4,5 milioni di ettari di terreno solo nel 2016 - Fonte), era più fortemente legato al nosema, mentre l’uso generale di fungicidi era il miglior viatico di perdite di bombi.
Sono decisamente sorpreso – dichiara Scott McArt della Cornell University – perché i fungicidi finora sono stati praticamente trascurati”.
Eppure, alcuni studi dimostrano che i fungicidi possono rendere il nosema ancora più dannoso per le api, probabilmente uccidendo i microbi benefici dell’intestino.

Il modo in cui gli esseri umani gestiscono il paesaggio sta mettendo a repentaglio la vita delle api e mentre pare si stiano facendo progressi verso un divieto totale di pesticidi – come gli insetticidi neonicotinoidi –, anche un fungicida molto comune potrebbe anche essere causa di declino delle api selvatiche. Servono quindi nuovi urgenti nuovi studi”, dice Matt Shardlow della associazione Buglife.
Pesticidi, fungicidi e più che ne ha più ne metta insomma. Oramai prove su prove dimostrano il grave danno alle api causato dai neonicotinoidi, mentre una nuova ricerca mostra che la combinazione di neonicotinoidi e la riduzione delle scorte alimentari riducono la sopravvivenza delle api del 50%.
Un altro studio mostra che i neonicotinoidi riducono la sopravvivenza delle regine dei bombi e il tempo necessario per fissare il loro nido, il che probabilmente danneggerà la sopravvivenza a lungo termine della colonia.
La Commissione europea dovrebbe votare il divieto totale dei neonicotinoidi nei campi, che sono una serie minaccia anche per altre creature, proprio in questi primi mesi del 2018.
fonte: www.greenme.it

Neonicotinoidi, storia degli insetticidi accusati della scomparsa delle api. Efsa e Epa vicine alla pubblicazione di nuovi rapporti su queste sostanze

















Saranno mesi decisivi per i neonicotinoidi, gli insetticidi tra i più usati ma anche sotto accusa da anni per la scomparsa delle api e non solo. Nelle prossime settimane l’Efsa completerà il suo ultimo rapporto e darà indicazioni sull’opportunità o meno di vietarne l’impiego, ed entro il 2018 la US Environmental Protection Agency farà lo stesso. A partire da inizio anno, inoltre, la Francia, che ha già deliberato in merito, non li impiegherà più, anche se sono previste eccezioni. Ma cosa effettivamente è stato dimostrato, e cosa resta da chiarire, al di là delle strumentalizzazioni e delle battaglie ideologiche? Per fare un po’ di chiarezza, Nature ha pubblicato un lungo articolo in cui riassume gli studi più importanti e i passaggi cruciali di una vicenda che sembra molto lontana dal trovare una sua risoluzione.
La storia ha inizio nei primi anni ottanta, quando il chimico della Bayer Tokushu Noyaku Seizo lavorando ai derivati della nitiazina, un insetticida introdotto una decina di anni prima in California, mette a punto l’imidacloprid. La sostanza, cento volte più potente della nitiazina stessa, viene lanciata sul mercato nei primi anni novanta. Il successo è istantaneo, e già nei primi anni duemila questa molecola e i suoi simili rappresentano un quarto dell’intero mercato dei pesticidi. In molti casi questi composti, che agiscono direttamente sul sistema nervoso degli insetti, vengono applicati direttamente sui semi, andando così a contaminare anche i terreni.
















In Francia, dove i neonicotinoidi sono molto usati sui semi di girasole, fin dal 1994 gli apicoltori denunciano problemi per le api
Nel giro di pochi anni, però, in Francia, dove l’imidacloprid è stato molto usato sui semi di girasole, gli apicoltori lanciano l’allarme: le loro api da miele non riescono più a costruire gli alveari, e questo accade soprattutto quando volano sui campi di girasole. È il 1994, e occorrono 5 anni prima che il governo emani un divieto specifico per queste piante, in base al principio di precauzione. Ma limitare l’uso dei neonici (questo l’altro nome con cui sono conosciuti nel mondo) non basta: la moria di api continua ovunque, anche in Francia.
Nel frattempo nella letteratura scientifica si moltiplicano le segnalazioni di intossicazioni mortali delle api entrate in contatto con dosi elevate di neonicotinoidi, e di comportamenti inusuali quali l’incapacità di alimentarsi, di riconoscere il profumo dei fiori o di rientrare all’alveare anche quando le dosi sono considerate basse. Nel 2010, in uno studio francese gli esperti dell’Istituto per le api di Avignone parlano esplicitamente di intossicazione da tiometoxam, mentre uno inglese dimostra che i neonici – e in particolare proprio l’imidacloprid – sono molto pericolosi anche per i bombi: una volta esposti, essi non riescono più a generare regine (ce ne sono l’85% in meno). I due lavori fanno scalpore, e spingono l’autore di quello sui bombi a fondare una Task Force on Systemic Pesticide, che raccoglie una trentina tra i massimi esperti mondiali e, dopo aver analizzato ben 800 studi, conclude che tutte le prove dimostrano la necessità urgente di regolamentare in maniera severa il settore.


















Uno studio recente ha dimostrato che il 75% del miele mondiale contiene insetticidi neonicotinoidi al di sotto dei limiti di legge
In seguito vengono pubblicati numerosi altri studi, tra i quali quello condotto nei campi di Ungheria, Germania e Gran Bretagna, che non porta a conclusioni univoche perché le api da miele, quelle domestiche e i bombi tedeschi hanno resistito bene ai neonicotinoidi, al contrario di quanto avvenuto negli altri paesi.
Nel frattempo, tra le cause della crisi delle api vengono prese in considerazione varie infezioni da parassiti, altri insetticidi dati in contemporanea ai neonici, il riscaldamento globale, l’inquinamento, la siccità e altri fattori ambientali e antropici, e molti dubitano dell’efficacia dei neonicotinoidi. Il dibattito pro e contro infuria senza esclusione di colpi, con accuse di complicità con le multinazionali (in primo luogo Bayer e Syngenta, i principali produttori), dati truccati e altre argomentazioni molto pesanti.
Secondo Nature ciò che è sicuramente tossico è il dibattito, che sarà ben difficile riportare su un piano di razionalità e di numeri credibili. Ma è indispensabile fare ogni sforzo per giungere a una verità condivisa, anche perché i neonicotinoidi sono ormai diffusi in tutto il mondo, come ha dimostrato uno studio pubblicato su Science poche settimane prima: tra il 2012 e il 2016, analizzando 198 campioni di miele provenienti da decine e decine di paesi per la presenza di cinque di essi – l’imidacloprid, l’acetamiprid, la clotiandina, il tiacloprid e il tiametoxan –, i ricercatori dell’Università di Neuchatel, in Svizzera, hanno dimostrato che il 75% del miele ne contiene almeno uno, il 45% due o più e il 10% quattro o cinque, anche se le concentrazioni rilevate sono generalmente al di sotto dei limiti di legge. Nello stesso periodo la catastrofe degli alveari è diventata realtà quasi ovunque: una strana coincidenza, troppo importante per essere ignorata.

fonte: www.ilfattoalimentare.it