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Il glifosato danneggia il sistema immunitario degli insetti. La scoperta dei ricercatori americani



Il glifosato danneggia direttamente il sistema immunitario degli insetti. Questo potrebbe spiegare perché il suo impiego è associato a catastrofiche morìe di api e non solo, e perché potrebbe avere conseguenze anche su specie pericolose per l’uomo. Il nesso tra scomparsa di insetti utili e uso di glifosato è stato dimostrato da tempo, ma finora c’erano state pochissime ricerche sul meccanismo attraverso il quale si esplicherebbe questo tipo di tossicità. Ora però uno studio pubblicato su PLoS Biology dai ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora dimostra che cosa succede, almeno su due specie di insetti il cui destino è strettamente intrecciato con quello dell’uomo: la tarma della cera Galleria mellonella, detta anche camola del miele, e la zanzara Anopheles gambiae, vettore del plasmodio della malaria.

Entrambi utilizzano, per difendersi dai parassiti, una reazione chiamata di melanizzazione, mediata appunto dalla melanina, sostanza che protegge gli esseri umani dalle radiazioni solari. Negli insetti, invece, la melanina circonda i patogeni, mentre le specie chimiche altamente reattive che si formano durante la sua produzione causano la morte di batteri, funghi e parassiti di vario tipo. In presenza di glifosato, però, la sintesi di melanina è notevolmente diminuita, e questo rende l’insetto molto più vulnerabile. Inoltre l’erbicida altera pesantemente il microbiota degli insetti, indebolendoli ulteriormente.


Secondo lo studio dei ricercatori americani, il glifosato danneggia il sistema immunitario degli insetti, interferendo con un meccanismo di difesa basato sulla melanina

Nelle due specie studiate gli effetti sono immediati. L’Anopheles gambiae, infatti, diventa molto più suscettibile ai plasmodi. Di conseguenza potrebbe essere più pericolosa quando punge una persona, perché potrebbe veicolare molti più parassiti. Questo effetto, mai descritto prima, potrebbe essere molto grave, se si considera che i Paesi dove la malaria è endemica sono anche quelli dove sta aumentando l’impiego di glifosato, anziché diminuirlo.

La tarma della cera, invece, diventa più vulnerabile alle infezioni da Cryptococcus neoformans, un lievito che compromette la salute dell’insetto e che può infettare anche l’uomo, causando infezioni polmonari potenzialmente mortali. La melanizzazione è anche il sistema di difesa delle api, e ciò lascia intuire che, con ogni probabilità, le conseguenze sulla capacità di difendersi dai parassiti (per esempio dalla varroa) colpiscano anche loro.

I test sono stati compiuti sia con il principio attivo glifosato che con il suo principale metabolita, l’Ampa: non sembrano dunque esserci dubbi sul responsabile del danno al sistema immunitario. Per questi motivi gli autori si augurano che il glifosato faccia la fine del DDT, cioè sia presto vietato in tutto il mondo. I danni a esso associati, infatti, riguardano tutto l’ecosistema, esseri umani compresi, e potrebbero peggiorare in conseguenza dell’aumento della temperatura terrestre e della diffusione di alcune specie di insetti, come le zanzare Anopheles.

fonte: www.ilfattoquotidiano.it


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L’omicidio è reato, ma non il biocidio : lo stato dell’arte nell’era della transizione ecologica.

 

In questi giorni mi scrivono per comunicarmi indignazione e rabbia per un uso vigliacco di prodotti agricoli che causano la morte degli esseri viventi.

“Cosa sta facendo!” un’amica carissima dalla provincia di Bari mi racconta l’ennesimo teatro innaturale. Un vicino sta vaporizzando del veleno su un ciglio del suo campo, ciglio che confina con il suo.
“Sto disseccando, ma non si preoccupi: lo faccio qui mica nel suo terreno.”
“Ma è un pesticida!”
“No, è un disseccante” ribatte costui. Se la cortesia precede l’arguzia, la mia amica si auto-colloca nella riserva dei panda.

Quell’enclave di cittadini consapevoli che non accettano un futuro già segnato e non possono più capire l’ottusa routine dell’agricoltura moderna.

Veniamo al punto. Pochi giorni fa la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha definitivamente vietato l’uso dei neonicotinoidi.
Si tratta di un momento storico, considerando che la battaglia legale è durata 8 anni.
Per capire questa posizione definitiva dobbiamo risalire ad un altra sentenza, del 30 novembre 2020, in cui la Corte dei conti europea obbliga l’EFSA ad esprimere pareri chiari in merito all’uso dei pesticidi e all’applicazione del principio di precauzione ma sopratutto obbliga la Commissione Europea a rispettare il parere dell’EFSA ed approvare l’uso dei formulati in agricoltura solo se se sicuri. Dalla storia recente degli ultimi 5 anni, più del 50% dei formulati sono stati approvati con procedure di emergenza.

Come apicoltore ricordo bene la storia delle decisioni dei governi italiani in questi ultimi 10 anni in merito all’uso di pesticidi tra cui erbicidi, disseccanti, fungicidi, acaricidi, talpicidi, battericidi, nematocidi, insetticidi, molluschicidi ed altre categorie.

L’italia è uno dei paesi europei che usa maggiormente i pesticidi, secondo ISPRA erbicidi insetticidi e fungicidi sono disciolti nel 67% dei campioni delle acque superficiali e nel 33% di quelle sotterranee. L’Europa è anche forte nell’Export di pesticidi nei paesi extra UE che producono poi i cibi che ritornano in Italia.

Questo movimento, che nutre e costituisce l’ossatura del mercato libero globale, è fatto di pesticidi.

Pesticidi che si muovono tra nazioni, veleni che scorrono nelle arterie delle nostre regioni e finiscono nel mare.
I danni si possono sintetizzare in 3 tipi. Danni irreversibili al suolo e al mare. Significa dover dipendere da altra chimica, inseguendo per sempre soluzioni inefficaci per ‘correggere’ la terra, essendo incapace di nutrire. Danni alla salute degli esseri viventi. Significa far cadere la sanità pubblica, a causa di malattie gravi anche letali, il cui nesso pesticida-malattia sta emergendo sotto traccia grazie alla ricerca scientifica. Danni al comparto agricolo e all’export italiano. Significa infine ridisegnare la geografia agricola, nella prospettiva peggiore in cui perdere l’identità della produzione italiana.

Sostenere di voler rispettare le regole di buon vicinato pensando che il disseccante agisca solo nel proprio fondo, è quasi ironico.
Analizzando le api nell’astigiano, grazie all’ultimo servizio pubblicato su LAPIS (aprile/maggio 2021) scopriamo un apicoltore professionista si è dedicato a sue spese ad effettuare le analisi del miele che produceva. In questi anni ha rilevato presenze di Flonicamid in concentrazione di 129 ppb in ambiente frutticolo (il quale esplica una tossicità acuta già a 53,3 milionesimi di grammo per ape). Poi la Cipermetrina a una concentrazione pari a 1153 ppb in ambiente vinicolo (che esplica una tossicità acuta già a 0,4592 milioni di grammo per ape). Come fungicida ha rilevato Folpet e Phtalimide che hanno superato insieme i 34’000 ppm (tali formulati esplicano una tossicità acuta già a 10 microgrammi per ape).
Ma venendo al glifosato dalle analisi effettuate ha riscontrato una concentrazione pari a 792 ppb. L’apicoltore ha affermato di aver trovato tracce di glifosato anche nel miele di alveari a più di 900 metri s.l.m.
Tutto questo deve farci riflettere, al netto delle centinaia di campagne sull’ambiente, sul fatto che il veleno che viene applicato nelle nostre campagne non resta mai confinato nel perimetro della propria parcella ma corre e lo fa velocemente.

Vietare imidacloprid, clothianidin e thiamethoxam, una categoria di veleni certamente la più abusata e pericolosa, è una parziale vittoria.
Considerando che ci sono voluti molti anni per una sentenza come questa, a fronte di sospensioni (e quasi mai divieti) dei rispettivi stati membri Italia compresa, ci troviamo davanti ad una sfida ancora più grande.

E’ una sfida culturale, rivolta a noi tutti. Non possiamo aspettare altri dieci o vent’anni per veder vietare altre 3 molecole, rispetto alle centinaia di formulati che vengono immessi nel mercato, di cui bastano pochi microgrammi per creare danni incalcolabili.
Se non vogliamo perdere la nostra campagna e il primato della nostra identità, e se vogliamo stare in salute non possiamo sperare in ulteriori divieti.

Dobbiamo cambiare a monte il problema. E cioè cambiare il modo di fare agricoltura.

C’è una moltitudine di persone in Europa che ci crede, e dobbiamo prendere questa sentenza come un segnale forte, incontrovertibile di una possibilità di farcela. Contro i poteri forti e le lobbies della produzione agricola intensiva e contro le politiche che garantiscono ai contadini solo debiti e fatiche, il 2021 segna un punto a favore della terra e della sovranità alimentare.

La sfida è culturale perchè istituzioni, scuole, famiglie devono riaffermare le competenze e lo spirito di coltivare la terra senza scorciatoie perchè -lo ha detto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea- le scorciatoie uccidono.

*Guido Cortese . Apicoltore

fonte: vociperlaterra.it


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L’uso degli erbicidi aumenta dell’85% il rischio melanoma

 










L’uso degli erbicidi è stato trovato associato ad un aumento dell’85% il rischio melanoma, a prescindere dal tipo di esposizione. A lanciare l’allarme è l’Intergruppo Melanoma Italiano (IMI) che ha condotto una meta-analisi su 184.389 persone arruolate in 9 studi indipendenti sul rischio di tumore della pelle. Scopo della ricerca: individuare un possibile collegamento tra il melanoma e l’esposizione ai pesticidi ed indagare l’eventuale classe di pesticidi maggiormente implicati. Visti i preoccupanti dati preliminari emersi, l’Associazione scientifica non-profit lancia un appello al mondo della ricerca sollecitando nuove indagini che valutino in maniera più mirata la correlazione.

I fattori di rischio ambientale

Ad oggi il melanoma ha una incidenza in costante aumento, soprattutto per quanto riguarda quelli sottili, ossia quelli nella prima fase di sviluppo.
“Ma se da un lato le persone si controllano di più, facendo registrare un l’incremento dei casi – spiega il presidente IMI, Ignazio Stanganelli, direttore della Skin Cancer Unit IRCCS IRST Romagna Cancer Institute – i numeri sono comunque troppo elevati per essere spiegati con una maggiore attenzione alla diagnosi precoce e i fattori di rischio ambientale attualmente noti.”

Sostanze cancerogene e melanoma

Lo Iarc (International Agency for Re-search on Cancer) ha stilato una lista di pesticidi che negli anni si sono dimostrati alla base dell’insorgenza di diverse forme di tumori maligni come quelli del sangue, del colon, della prostata. Questo è stato il motivo che ha portato ad analizzare anche il rischio tra tumori della pelle e l’esposizione a pesticidi, insetticidi ed erbicidi. È stata così condotta una revisione delle ricerche scientifiche fino a settembre 2018. Dallo studio, pubblicato su Journal of the European Academy of Dermatology and Venereology (JEADV), è emersa una chiara correlazione tra l’uso di qualsiasi tipo di erbicidi e l’incidenza del melanoma indipendente-mente dal tipo di esposizione.

“Qualunque uso di erbicidi – sottolinea Sara Gandini, direttrice dell’unità “Molecular and Pharmaco-Epidemiology” dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano – sembra associato ad un aumentato rischio di melanoma cutaneo con un SRR (Summary Relative Risk) di 1.85 indipendentemente dal tipo di esposizione, che corrisponde ad un 85% di rischio in più rispetto a chi non li usa. Questo risulto però andrà confermato da ulteriori studi che tengano presenti di tutte le possibili fonti di distorsione come ad esempio la quantificazione dell’esposizione solare”. Al contrario, non sembra esserci un aumento del rischio di questa forma di tumore della pelle e l’utilizzo di pesticidi o insetticidi. Le categorie più esposte sono agricoltori, vivaisti, appassionati di giardinaggio, tutti coloro che utilizzano questi prodotti per professione o nel tempo libero.

L’interazione con fattori ambientali

“Il meccanismo che conduce a questo tumore maligno altamente aggressivo – continua Stanganelli – non è ancora completamente noto, anche se è molto probabile che l’esposizione ai raggi UV possa associarsi o addirittura potenziare il ruolo di queste sostanze chimiche. Gli agricoltori passano molto tempo all’aperto e l’aumento della temperatura cutanea dovuta alla esposizione al sole potrebbe incrementare ulteriormente l’assorbimento di queste molecole attraverso la pelle. Tra l’altro ancora non è noto come tali sostanze possano venire alterate dall’esposizione ai raggi solari e dalla temperatura e se generano intermedi tossici che inducono il cancro.”

Il ruolo del biossido di titanio

Un altro aspetto da considerare è che alcuni filtri solari, contenenti biossido di titanio o l’ossido di zinco, aumenterebbero l’assorbimento attraverso la pelle del parathion, un insetticida altamente tossico anche per l’uomo. Alla base del meccanismo, ipotizzano gli esperti Imi, potrebbero esserci stress ossidativo, danno del Dna, aberrazione cromosomica e infiammazione cronica, così come avviene per le diverse categorie professionali a contatto con il benzene e suoi derivati, per i lavoratori nelle fabbriche di petrolati, nelle aziende di materiale elettrico o elettronico e i grafici; con la diossina per i lavoratori della carta o con il tricloroetilene per coloro che lavorano nelle industrie di chimica o metalli, personale biomedico. Per queste categorie è già stato riscontrato un aumentato rischio di melanoma cutaneo.

Servono ulteriori studi

Di qui l’auspicio della messa a punto di un sistema di sorveglianza e di prevenzione rivolta ai lavoratori esposti a pesticidi, erbicidi e insetticidi affinché siano posti dei programmi di prevenzione sanitaria, d’informazione professionale e di regolamentazione per l’uso di queste sostanze potenzialmente nocive. “Sono necessari ulteriori studi – conclude Stanganelli – che possano chiarire la correlazione tra fattori ambientali e alcune sostanze chimiche in relazione all’aumento dell’incidenza del melanoma.”

fonte: ilsalvagente.it


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Glifosato, la Francia cambia strategia. Fallita l’eliminazione entro il 2020, ora punta agli incentivi

 










La Francia cambia strategia, per dire addio al glifosato. Dopo il ritiro dal mercato di 36 prodotti che lo contengono e l’ammissione della sua agenzia per la sicurezza alimentare (Anses) che in molti casi non è ancora sostituibile per mancanza di alternative efficaci, prende atto dell’impossibilità di raggiungere l’obiettivo fissato da Emmanuel Macron nel 2017 di abbandonarlo totalmente entro il 2020, e punta sugli incentivi.

Lo riferisce la Reuters, specificando che a ogni coltivatore sarà proposto un credito d’imposta di 2.500 euro se abbandonerà l’erbicida nel 2021 o nel 2022, soprattutto nelle coltivazioni dove è più utilizzato, e cioè i cereali, le viti e i frutteti, coerentemente con il voto espresso nel 2017 contro il rinnovo della licenza (i voti contrari erano stati in tutto 9, i favorevoli 18 e le astensioni una). Allo stesso tempo, il Governo aumenterà fino a 215 milioni di euro i fondi per sostituire i macchinari agricoli.

Per un coltivatore, abbandonare la discussa sostanza significa perdere, per esempio, il 16% della produzione di cereali, con un aumento dei costi pari a 80 euro per ettaro (7 mila euro per 87 ettari, per esempio). Senza un’adeguata compensazione, è chiaro come sarebbero pochissimi i coltivatori che sceglierebbero di ricorrere ad altre strategie. La stessa Anses, nel suo documento dello scorso ottobre, indicava soluzioni non del tutto convincenti, quali il ricorso alle rotazioni o ad altre sostanze, qualora ve ne siano. Ma, appunto, non ve ne sono, se non in misura limitata e con un’efficacia che non sempre è paragonabile a quella del glifosato.

L’erbicida, negli ultimi anni, è stato oggetto di pronunciamenti controversi, che l’hanno indicato come cancerogeno, oppure, viceversa, scagionato da queste accuse. Ma gli indizi di una sua responsabilità in diversi ambiti sono piuttosto solidi, a cominciare dagli effetti sulle api, per continuare con quelli sulla salute umana. Nello scorso mese di giugno, la Bayer, l‘azienda che oggi lo produce dopo aver acquistato la Monsanto che l’aveva introdotto nel mercato negli anni Novanta, ha pagato 10,9 miliardi di dollari per chiudere oltre 100 mila cause negli Stati Uniti, tutte incentrate sulla sua responsabilità nel causare tumori ai ricorrenti.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Via dal glifosato: esistono alternative non chimiche al controverso pesticida? La valutazione dell’Anses

 










Dire addio al glifosato, o quantomeno farlo diventare una presenza quasi marginale, si può, anche se gradualmente e con eccezioni. In che modo lo illustra il comunicato dell’Agenzia per la sicurezza alimentare francese, l’Anses, che ha appena pubblicato un documento in cui spiega quali decisioni sono state prese e come ci si è arrivati. Il risultato è che nei prossimi mesi e anni l’uso del discusso erbicida calerà dell’80% nei terreni francesi.

Innanzitutto si spiega la base giuridica: un regolamento europeo, il CE 1107/2009, all’articolo 50.2 afferma che è possibile procedere a una comparazione di efficacia dei prodotti fitofarmaceutici “se esiste un metodo non chimico di prevenzione o di lotta per lo stesso impiego, e se è disponibile nei paesi UE”. Partendo da questo presupposto, nel 2018 l’agenzia ha effettuato un’analisi approfondita in quattro ambiti: la viticultura, i frutteti, le coltivazioni estensive e le foreste.


L’Anses ha valutato le alternative non chimiche al glifosato da adottare in vigneti, frutteti, colture estese e foreste

In generale, è emerso che ci sono già alternative ampiamente entrate in uso senza che vi sia stato un danno economico o la necessità di sconvolgere i sistemi produttivi. Resistono situazioni nelle quali è ancora difficile abbandonare il glifosato a causa della natura del terreno (per esempio su pendii scoscesi) o dell’indisponibilità, nel mercato francese, dei macchinari necessari per il diserbo in particolari condizioni, ma si tratta di una minoranza di casi rispetto a quelli nei quali si può andare oltre.

Nello specifico, nei vigneti è vietato usarlo, se è possibile ricorrere a sistemi meccanici o lasciare che l’erba cresca, mentre è permesso quando non ci sono alternative, come su terreni pietrosi o scoscesi o per particolari innesti. Anche quando si può utilizzare, la dose massima è 450 grammi per ettaro da applicare a non più del 20% del terreno: è una riduzione dell’80% rispetto alle dosi concesse fino a oggi.

Nei frutteti, è vietato tra i filari, si deve ricorrere ai sistemi meccanici. Quando ciò non è possibile (per esempio laddove il frutto richiede la raccolta a terra o quando la pianta è a cespuglio) è ancora possibile usarlo, ma anche in questo caso la dose massima consentita, 900 grammi per ettaro per un massimo del 40% della superficie, è inferiore del 60% rispetto ai quantitativi attuali.


Per le grandi colture estese è prevista una riduzione del 60% rispetto alla dose massima attualmente consentita per il glifosato

Per le colture estese, salvo eccezioni, è vietato usarlo quando il terreno è stato arato tra due raccolti, mentre è permesso nelle situazioni previste e regolamentate di lotta obbligatoria. Il dosaggio massimo è 1.080 grammi per ettaro all’anno, e in questo caso la diminuzione è del 60%.

Nelle foreste è vietato usarlo per devitalizzare le radici mentre è permesso quando si sta piantando, nei vivai forestali e nei frutteti da seme (dove i semi sono usati per il rimboschimento).

Esistono poi impieghi non strettamente agricoli: per esempio ai bordi dei binari ferroviari, in siti militari e industriali, negli aeroporti, nei siti archeologici e così via. In questi casi non è possibile sostituire il glifosato con alternative non chimiche, per ora, né fissare limiti rigidi. Le autorizzazioni vanno però concesse a seconda della situazione e sempre tenendo presente dell’evoluzione delle alternative.

Infine, c’è anche una stretta sulle autorizzazioni dei prodotti. Il 30 settembre ne sono state rinnovate tre e concesse due nuove, con limiti che tengono presente l’attuale normativa, da applicare al massimo entro sei mesi. Inoltre quattro prodotti sono stati ritirati o è stato negato loro il rinnovo, e sono quindi destinati a scomparire.

fonte: www.ilfattoalimentare.it

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L’Austria non vieta più il glifosato: sbagliata la procedura di notifica alla Commissione europea


















Il bando al glifosato in Austria non s’ha da fare (per ora). La Cancelliera Brigitte Bierlein ha annunciato che non firmerà la legge che avrebbe stabilito il primo divieto totale in un paese dell’Unione Europea per il controverso erbicida, sospettato di essere cancerogeno. A far infuriare le associazioni ambientaliste però è il motivo: non è stata seguita la giusta procedura di notifica alla Commissione europea. Un errore tecnico, quindi.
La decisione senza precedenti di vietare tutti gli utilizzi del glifosato sul suolo austriaco era arrivata nel luglio di quest’anno, anticipando tutti gli altri paesi europei e la stessa UE, che nel 2017 ha rinnovato per altri cinque anni l’autorizzazione all’uso dell’erbicida sul territorio dell’Unione. Ed era stato lo stesso esecutivo Bierlein, un governo di transizione, ad approvare il divieto che ora viene bloccato perché non è stata seguita la procedura di notifica esplicitamente citata nella legge come condizione per la sua entrata in vigore.
Secondo quanto riportato da Reuters, secondo i sondaggi, la maggioranza dei cittadini austriaci e dei membri del parlamento sono a favore del divieto: l’Austria, infatti, è il paese europeo con la più alta percentuale di superficie agricola dedicata al biologico, oltre a contare molto sui turisti che visitano le sue montagne.
Intanto, in Francia, l’Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare, ambientale e dei lavoratori (Anses) ha annunciato che entro il 2020 saranno ritirati dal commercio 36 prodotti a base di glifosato perché non sono stati forniti dati sufficienti per la valutazione del rischio. Entro la fine del prossimo anno, inoltre, sarà completata la revisione di tutti i prodotti che contengono l’erbicida, che saranno ritirati se esistono alternative e non ci sono prove adeguate della loro sicurezza.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Due studi individuano nuove alternative naturali al glifosato



















Dall’Università di Pisa e dalla collaborazione tra Austria, Svizzera e Alto Adige due nuove sperimentazioni potrebbero aprire la strada a un’agricoltura sostenibile e libera dall’uso di glifosato, dannoso per l’uomo e per l’ambiente.
In California, un giudice ha condannato la Monsanto a un maxi risarcimento di 289 milioni di dollari nei confronti di un giardiniere al quale l'uso del glifosato ha provocato il cancro. Intanto, anche in Europa il dibattito sulla possibilità di vietare questo diserbante si fa sempre più acceso.
Con l’accendersi della discussione, crescono anche le iniziative per trovare alternative all’uso di diserbanti nocivi per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Tra queste, il recente accordo tra il governo bavarese, austriaco ed altoatesino per una comune ricerca e sperimentazione in ambito agricolo e forestale con lo scopo di trovare una soluzione ecosostenibile per la sostituzione degli erbicidi.
Il progetto si fonda sulla possibilità di realizzare un telo biodegradabile per la pacciamatura, ovvero la pratica di ricoprire il terreno con uno strato di materiale adatto a prevenire la crescita di erbacce, a mantenere la giusta umidità del suolo e prevenire l’erosione. Un primo incontro tenutosi nella primavera di quest’anno ha permesso di identificare un obiettivo comune dal quale partire: la gestione delle piante infestanti senza il ricorso a prodotti erbicidi, coinvolgendo diversi istituti di ricerca.
 

Il telo pacciamante biodegradabile è stato sviluppato presso il Kompetenzzentrum für Nachwachsende Rohstoffe (“Centro di Competenza per le materie prime rinnovabili”) di Straubing (Baviera) ed è stato realizzato utilizzando esclusivamente materiali rinnovabili. Il telo viene sparso sul terreno in forma liquida e, una volta rappreso, si tramuta in un’efficiente copertura che impedisce la crescita delle infestanti.
Il telo costituisce il primo step pratico di una collaborazione destinata a farsi più stringente tra gli enti e che coinvolge anche il Centro di Sperimentazione Laimburg, al quale è stato affidato il compito di testare, in campi sperimentali, diverse possibilità di utilizzo in frutticoltura e viticoltura della soluzione sviluppata, per verificarne l’efficacia ed eventualmente effettuare interventi migliorativi.
Nel frattempo, un altro progetto per l’individuazione di alternative all’uso di glifosato è in corso nei laboratori dell’Università di Pisa e la soluzione potrebbe risiedere proprio in elementi da sempre sotto i nostri occhi. Quelle che vengono comunemente considerate “erbacce”, come l’achillea, l’assenzio annuale, l’assenzio dei fratelli Verlot, la santolina delle spiagge e la nappola, contengono oli essenziali capaci di bloccare la germinazione e inibire la crescita delle piantine infestanti.
Ai test condotti in laboratorio dovrà far seguito una sperimentazione più su ampia scala, ma le potenzialità di questa scoperta hanno già destato l’interesse internazionale, non solo nell’ambito dell’agricoltura sostenibile: la nebulizzazione di questi oli essenziali, infatti, potrebbe essere particolarmente utile (se sufficientemente efficace) ad esempio nelle aree urbane, dove le zone da diserbare sono spesso vicino a quelle abitate e frequentate da un elevato numero di persone.

fonte: https://www.nonsoloambiente.it

Brasile, un giudice sospende le autorizzazioni all’utilizzo del glifosato in attesa di una nuova valutazione sulla sua sicurezza



















In Brasile, un giudice ha disposto la sospensione dell’utilizzo dell’erbicida glifosato, stabilendo che non potranno essere registrati nuovi prodotti contenenti questa sostanza e che le autorizzazioni esistenti dovranno essere sospese entro 30 giorni. Il divieto, che riguarda anche l’insetticida abamectin e il fungicida thiram, resterà in vigore sino a che l’Agenzia brasiliana di vigilanza sanitaria (Anvisa) non avrà completato il riesame sulla sicurezza dei tre prodotti, iniziata nel 2008 e la cui conclusione è prevista entro la fine dell’anno.
La sentenza è destinata ad avere un forte impatto sull’agricoltura brasiliana, che è uno dei maggiori produttori mondiali di soia e di altri cereali geneticamente modificati proprio per essere resistenti al glifosato. Come riferisce l’agenzia Reuters, per la settimana prossima è prevista una pioggia di ricorsi contro il provvedimento del giudice di Brasilia, sia da parte delle aziende agrochimiche, sia da parte del governo e della stessa Anvisa.
In Brasile quasi tutti i coltivatori di soia praticano la piantagione diretta, cioè senza aratura, una tecnica sviluppata per ridurre l’erosione del terreno e mantenere l’umidità della terra. Per questo il ministro dell’Agricoltura brasiliano, Blairo Maggi ha sottolineato che “l’intero sistema della piantagione diretta si basa sul glifosato e sospenderlo rappresenterebbe un enorme passo indietro per l’ambiente”. Oltre che ministro dell’Agricoltura, Blairo Maggi è proprietario del gruppo Amaggi ed è il più grande produttore mondiale di soia.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Il declino delle api minaccia (anche) l’uomo: il 75% delle colture alimentari mondiali dipende dall’impollinazione

Fao: «Non possiamo continuare a concentrarci sull'aumento della produzione e della produttività basandoci sull'uso diffuso di pesticidi»














Oltre il 75% delle colture alimentari mondiali dipende in una certa misura dall’impollinazione per resa e qualità: gli impollinatori – come api, api selvatiche, uccelli, pipistrelli, farfalle e coleotteri – volano, saltano e strisciano sui fiori aiutando le piante a fertilizzarsi, e dunque successivamente a garantirci quei frutti della terra che sono parte indispensabile della nostra alimentazione. Cosa accadrebbe senza di loro? Secondo l’Onu l’assenza di api e di altri impollinatori eliminerebbe ad esempio la produzione di caffè, mele, mandorle, pomodori e cacao, per citare solo alcune delle colture che si basano sull’impollinazione. E non si tratta di un’ipotesi di scuola.
Il numero e la diversità degli impollinatori sono diminuiti negli ultimi decenni e le prove indicano che il declino è principalmente conseguenza delle attività umane, compreso il cambiamento climatico, che possono interrompere le stagioni di fioritura.
Le api risultano inoltre gravemente minacciate dall’agricoltura intensiva, dei pesticidi, della perdita di biodiversità e dell’inquinamento. Per questo «non possiamo continuare a concentrarci sull’aumento della produzione e della produttività basandoci sull’uso diffuso di pesticidi e di sostanze chimiche che minacciano le colture e gli impollinatori», come ha ricordato il direttore generale della Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) José Graziano da Silva, intervenendo in Slovenia alla vigilia della prima Giornata mondiale delle api, caduta ieri.
«Ognuno di noi ha una responsabilità individuale nei confronti della protezione delle api e dovremmo tutti fare scelte rispettose degli insetti impollinatori –  ha aggiunto Graziano da Silva – Anche la crescita dei fiori a casa per nutrire le api contribuisce a questo sforzo».
Ma soprattutto le pratiche agricole sostenibili e in particolare l’agro-ecologia, secondo la Fao, possono aiutare a proteggere le api riducendo l’esposizione ai pesticidi e contribuendo a diversificare il paesaggio agricolo: «Attraverso l’agro-ecologia, la Fao cerca di ottimizzare le interazioni tra piante, animali, esseri umani e ambiente. Le innovazioni sono necessarie e devono basarsi sulla creazione di conoscenza, dove la scienza si combini con le conoscenze e le esperienze locali, come un processo sociale», ha argomentato Graziano da Silva.
A tale proposito – insieme all’Organizzazione mondiale della sanità – la Fao ha anche sviluppato il Codice di condotta internazionale sulla gestione dei pesticidi: un quadro delle migliori pratiche che possono aiutare a ridurre l’esposizione degli impollinatori ai pesticidi.

fonte: http://www.greenreport.it

Sul glifosato l’UE rischia la Corte di Giustizia

Il Parlamentino della Regione di Bruxelles-Capitale ha promosso un ricorso al tribunale supremo d’Europa contro il rinnovo dell’autorizzazione al glifosato

















La battaglia sul glifosato non è finita con il rinnovo dell’autorizzazione da parte della Commissione Europea. Sebbene sia stata una sconfitta per tutto il movimento ambientalista, che aveva investito molto sulla battaglia contro il modello agricolo industriale, il capitolo non è chiuso. Lo dimostra la nuova ondata di opinione sollevata dal ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che il Parlamento della Regione di Bruxelles-Capitale ha presentato qualche giorno fa.
Secondo il Parlamentino belga, la Commissione avrebbe violato il principio di precauzione. Nonostante il Belgio abbia votato contro il rinnovo della controversa sostanza chimica, a livello federale non ha voluto appellarsi al tribunale supremo dell’UE. Così, se n’è incaricata la regione di Bruxelles-Capitale, un fatto che potrebbe minare l’iniziativa, dato che la Corte di giustizia riconosce solo gli stati.
“Anche se la Regione di Bruxelles-Capitale non è un candidato privilegiato come gli stati membri, le argomentazioni dovrebbero dimostrare che il regolamento riguarda direttamente l’esercizio dei poteri della Regione di Bruxelles nel campo dell’ambiente”, ha affermato Stéphane Vanwijnsberghe, consigliere presso l’ufficio del Ministro dell’ambiente, Céline Fremault. Il governo regionale, a novembre, ha vietato sul suo territorio l’uso del glifosato, proseguendo una politica di tolleranza zero verso i pesticidi. L’attacco all’Europa si basa sul fatto che l’esecutivo comunitario non sembra aver rispettarto il principio di precauzione, che richiede, in caso di incertezza scientifica sui rischi per la salute o l’ambiente, l’adozione di un approccio precauzionale.

 

“Le valutazioni scientifiche su cui si basava il rinnovo hanno dato troppo peso alle analisi commissionate e fornite dall’industria, analisi spesso non pubblicate e riservate, e troppo poco agli studi universitari pubblicati su riviste sottoposte a revisione paritaria”, ha sottolineato il funzionario belga.
Insomma, dichiarando che il glifosato non può essere vietato finché il nesso causale con gli effetti dannosi non è provato al 100%, l’UE si sarebbe schierata contro il principio di precauzione e contro l’Agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità, che continua a classificare la sostanza come un probabilmente cancerogena per l’uomo.
Nello specifico Bruxelles, con il suo ricorso, vuole dimostrare che la decisione di rinnovare il glifosato non sia stata accompagnata da adeguate misure di attenuazione o riduzione del rischio. “La Commissione avrebbe potuto decidere di limitare l’approvazione solo agli agricoltori o solo a determinate colture. Avrebbe anche potuto pianificare un phasing-out. Nulla è stato fatto in questa direzione”, afferma il consigliere del Ministro dell’Ambiente

fonte: www.rinnovabili.it

Commissione speciale del Parlamento europeo sulla procedura di autorizzazione dei pesticidi. La decisione assunta dopo il caso del glifosato



















Il Parlamento europeo ha istituito una commissione speciale incaricata di esaminare la procedura di autorizzazione dell’Ue per i pesticidi. La creazione della commissione speciale è una risposta alle preoccupazioni sul sistema di valutazione dei rischi che hanno accompagnato il rinnovo per cinque anni dell’autorizzazione al commercio dell’erbicida glifosato, deciso dalla maggioranza degli Stati Ue e dalla Commissione europea lo scorso novembre.
La commissione speciale del Parlamento europeo avrà nove mesi di tempo per valutare eventuali carenze nel modo in cui le sostanze sono valutate scientificamente e approvate, il ruolo della Commissione europea nel rinnovo della licenza di glifosato ed eventuali conflitti di interesse nella procedura di approvazione, quello delle agenzie dell’Ue e se esse dispongono di personale e finanziamenti adeguati per adempiere al loro mandato.
Lo scorso ottobre il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione in cui affermava che la pubblicazione dei cosiddetti “Monsanto Papers”, i documenti interni della Monsanto, azienda proprietaria e produttrice del Roundup, di cui il glifosato è la principale sostanza attiva – ha fatto sorgere dubbi in merito alla credibilità di alcuni studi utilizzati dall’Ue ai fini della valutazione della sicurezza. La risoluzione affermava che la procedura di autorizzazione dell’Ue dovrebbe basarsi unicamente su studi pubblicati e indipendenti sottoposti a revisione paritaria e commissionati dalle autorità pubbliche competenti, e che le agenzie dell’Unione europea dovrebbero essere rafforzate per consentire loro di lavorare in questo modo.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Dopo gli Ogm ci nutriranno i big data

Negli anni Novanta ci dicevano che gli Ogm avrebbero assicurato la crescita di cibo ovunque, compresi i deserti e le discariche di materiali tossici. Oggi sono rimaste solo due applicazioni degli Ogm, la resistenza agli erbicidi e le colture Bt, ma le multinazionali non smettono di imporre le proprie ricette. Un completo fallimento costato miliardi e veleni. Intanto sono ancora i piccoli contadini a produrre il 70 per cento del cibo globale. L’ultima notizia delle multinazionali è che i «big data» ci nutriranno. Monsanto parla di «agricoltura digitale» basata sui «big data» e sull’«intelligenza artificiale» e prefigura un’agricoltura senza contadini. In realtà, spiega Vandana Shiva, l’unica strada resta quella del “rinnovamento del pianeta grazie all’agroecologia, al ripristino della biodiversità, al rispetto del suolo, dell’acqua e delle piccole unità agricole, affinché tutti nel mondo possano avere accesso a un’alimentazione sana”
















In materia di cibo e agricoltura, il futuro può prendere due strade opposte. Una porta a un pianeta morto: spargimento di veleni e diffusione di monocolture chimiche; indebitamento per l’acquisto di sementi e fitofarmaci, causa di suicidi di massa fra gli agricoltori; bambini che muoiono per mancanza di cibo; aumento delle malattie croniche e dei decessi dovuti alle carenze nutrizionali e alle sostanze avvelenate vendute come cibo; devastazione climatica che mina le condizioni stesse della vita sulla Terra. La seconda strada è quella del rinnovamento del pianeta grazie all’agroecologia, al ripristino della biodiversità, al rispetto del suolo, dell’acqua e delle piccole unità agricole, affinché tutti nel mondo possano avere accesso a un’alimentazione sana.
La prima strada è quella industriale, ed è stata tracciata dal cartello dei veleni. Dopo le due guerre mondiali, le compagnie trasformarono le loro armi chimiche in sostanze agrochimiche, come pesticidi e fertilizzanti. E convinsero il mondo che senza questi veleni non era possibile ottenere raccolti e produrre cibo.
Nel 1990 ci dicevano che gli Ogm avrebbero annullato tutti i limiti imposti dall’ambiente, permettendo la crescita di cibo dovunque, compresi i deserti e le discariche di materiali tossici. Oggi ci sono solo due applicazioni degli Ogm: la resistenza agli erbicidi e le colture Bt. La prima applicazione è stata decantata come metodo per il controllo delle erbe infestanti – in realtà ne ha create di super resistenti; quanto alle colture Bt, si supponeva che sarebbero riuscite a tenere a bada i parassiti, quando in realtà ne hanno sviluppati di super-resistenti.
L’ultima grande notizia è che i «big data» ci nutriranno. Monsanto parla di «agricoltura digitale» basata sui «big data» e sull’«intelligenza artificiale». Prefigura anche un’agricoltura senza agricoltori. Non sorprende che l’epidemia di suicidi fra i contadini indiani e in generale la crisi degli agricoltori in tutto il mondo non abbiano suscitato le dovute risposte da parte dei governi: questi ultimi sono così tenacemente e ciecamente intenti a costruire il prossimo tratto dell’autostrada verso la morte da ignorare l’intelligenza dei semi viventi, delle piante, degli organismi del suolo, dei batteri del nostro intestino, dei contadini e delle montagne di esperienza e saggezza costruite nei millenni. I piccoli contadini producono il 70 per cento del cibo globale usando il 30 per cento delle risorse totali destinate all’agricoltura.




L’agricoltura industriale invece usa il 70 per cento delle risorse, generando il 40 per cento delle emissioni di gas serra, per produrre il 30 per cento soltanto del cibo che mangiamo. Climate Corporation, la più grande compagnia al mondo per i dati sul clima, e Solum Inc., la più grande compagnia al mondo per i dati sul suolo, sono oggi di proprietà di Monsanto. Queste due compagnie vendono solo dati. Ma i dati non sono conoscenza. Sono solo un’altra merce destinata a rendere l’agricoltore ancora più dipendente.
Non possiamo affrontare i cambiamenti climatici e le loro reali ed effettive conseguenze senza riconoscere il ruolo centrale del sistema alimentare industrializzato e globalizzato, che genera fino al 40 per cento delle emissioni di gas climalteranti a causa dei seguenti fattori: deforestazione, allevamenti intensivi, imballaggi per alimentari in plastica e alluminio, trasporti su lunghe distanze e spreco di cibo.
Non possiamo risolvere i cambiamenti climatici senza l’agricoltura ecologica e su piccola scala, basata sulla biodiversità, sui semi viventi, sui suoli vitali e sui sistemi alimentari locali, riducendo al minimo i trasporti di derrate alimentari ed eliminando gli imballaggi in plastica.

Vandana Shiva

fonte: https://comune-info.net/