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Move Up 2021

Per il Memorandum No Profit on People and Planet la pandemia non è una calamità naturale e la geoingegneria non è la soluzione per il ripristino del buon funzionamento dei sistemi naturali. Inutile attendere soluzioni dal G20. Sta ai movimenti, alle associazioni e alle persone comuni prendersi cura insieme, ovunque e in tanti modi diversi, di ogni forma di vita, a cominciare dalla rigenerazione dei suoli degradati e dall’agroecologia. Ha scritto Vandana Shiva: “La pandemia è conseguenza della guerra che abbiamo ingaggiato contro la vita”

Tratta da unsplash.com

Bene fa il Memorandum* No Profit on People and Planet – G20-Memorandum_IT-3 – a non considerare la pandemia da Sars-CoV-2 un incidente di percorso e nemmeno una calamità naturale piovuta dal cielo. Ha scritto Vandana Shiva: “La pandemia è conseguenza della guerra che abbiamo ingaggiato contro la vita”. La pandemia è il boomerang che torna indietro. É una delle tante prevedibili reazioni della natura agli sconvolgimenti arrecati dalle attività umane sconsiderate. Esattamente come lo è – con ricadute su altre matrici ambientali – il riscaldamento globale causato dalla emissione di gas climalteranti. Quando si distruggono sistematicamente gli habitat naturali ancora incontaminati (come le foreste primarie, le zone artiche, le lagune, le savane, i boschi e le praterie) non si crea “solo” l’estinzione di massa delle specie viventi (biocidio), ma si creano anche le condizioni affinché virus animali potenzialmente patogeni compiano vari “salti di specie” (spillover) fino a giungere a noi, passando per gli allevamenti intensivi, per i mattatoi e per i mercati di animali selvatici. Una eventualità, questa, ampiamente prevista e inutilmente segnalata dagli scienziati. Ha scritto un virologo: “Perturbare gli ecosistemi è come aprire autostrade ai virus verso il salto di specie”.

Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente il 75 per cento dell’ambiente terrestre e il 65 per cento di quello marino sono stati gravemente alterati da attività antropiche. Per rimanere a casa nostra, pensiamo solo al “consumo di suolo”: quattordici ettari al giorni vengono asfaltati, cementificati, inertizzati.

La correlazione tra distruzione della biodiversità e malattie di origine zoonotica è conosciuta. Ha scritto in modo esemplare il Giuseppe Ippolito, Direttore scientifico dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive dell’Ospedale Spallanzani di Roma:

“Non è possibile separare la salute degli uomini da quella degli animali e dall’ambiente. L’esperienza di questi anni, con l’emergere di continue zoonosi, ci ricorda che siamo ospiti e non padroni di questo pianeta che ci impone di creare il giusto equilibrio tra le esigenze delle specie umana e della altre specie animali e vegetali che viaggiano insieme a noi in questa arca di Noè chiamata Terra”.

Ben vengano quindi i vaccini, le terapie geniche, le più raffinate cure farmacologiche, i presidi medici. Ma non rimuoviamo dalla nostra mente né le cause primarie di gran parte delle malattie virali, né le interrelazioni biologiche con le condizioni sociali e ambientali che aggravano la vulnerabilità delle persone. Pensiamo all’inquinamento dell’aria e dell’acqua, alla cattiva alimentazione, alle stressanti condizioni di vita e di lavoro che provocano disturbi cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, diabete, obesità e altre alterazioni psicofisiche.

Quest’anno è l’anno della COP 26, che si tiene con un anno di ritardo a Glasgow e a Milano. Una conferenza decisiva se si vogliono raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (2015) di contenimento dell’aumento della temperatura di 1,5 gradi. Quest’anno si svolgerà in Cina anche la 15° Conferenza sulla salvaguardia della diversità biologica. Il ripristino del buon funzionamento dei sistemi naturali, la rigenerazione dei suoli degradati, l’agroecologia sarebbero la soluzione ideale, perché basata sulla natura, anche per riassorbire al suolo l’anidride carbonica. É stato calcolato che risanare il 30 per cento di praterie, zone umide e savane, lasciando che la natura si riprenda i propri spazi, salverebbe il 70 per cento degli animali a rischio di estinzioni e consentirebbe di assorbire la metà delle emissioni la metà delle emissioni di CO2 accumulate nell’atmosfera dall’inizio della rivoluzione industriale. Ma le soluzioni più semplici ed economiche non sono gradite dalle oligarchie mondiali che dominano l’economia che preferiscono giocare al dottor Frankenstein avanzando prepotentemente soluzioni azzardate di geoingegneria come lo sono le tecniche di cattura, confinamento, stoccaggio nel sottosuolo dell’anidride carbonica emessa dalle centrali termoelettriche e dai grandi impianti industriali. Un trucco e un diversivo per non cambiare nulla e per guadagnarci pure.

Attenzione dunque alle furbizie semantiche che si nascondono dietro un mare di retorica “green”. Dire “emissioni zero” (entro, se non prima del 2050) è diverso da “neutralità climatica” o da “emissioni nette negative”. Un conto è smettere di bruciare combustibili fossili, un altro paio di maniche è nascondere sotto terra un gas tossico e corrosivo come la CO2. L’Eni (industria di stato) vuole creare sotto l’Adriatico un gigantesco stoccaggio di anidride carbonica liquefatta. Un pericolo enorme, una bomba ecologica ad orologeria che, per di più, pregiudica le strategie di una vera decarbonizzazione.

Confesso che spesso colgo anche nelle persone più coscienti e impegnate un senso di sconforto e di impotenza. Quali altri disastri devono ancora accadere perché possano saltare quei “lucchetti” (indicati dal Memorandum) che impediscono il cambiamento? Cosa possiamo fare noi, se non sono bastati gli scienziati del clima, i medici, i biologi? Se non è bastata un’enciclica rivoluzionaria come la Ludato si’? Se non sono bastate le parole puree e indignate di una ragazzina che si chiama Greta?

Forse, quel che manca ancora, siamo proprio noi. É la capacità dei movimenti, delle associazioni, dei gruppi della cittadinanza attiva di mettersi assieme e diventare popolo della Terra. Cittadine e cittadini planetari, ma con i piedi ben radicati per terra. Capaci di prendersi cura dei nostri simili e di ogni forma di vita di questo meraviglioso mondo.

*La proposta del “Memorandum dei cittadini” è stata fatta inizialmente dall’Agorà degli Abitanti della Terra (AAT, rete internazionale promossa tra gli altri da Riccardo Petrella) in vista del Vertice Mondiale della Salute del G20 in Italia, e sostenuta da transform.it e transform.eu. Grazie al loro sostegno è stata costituita una piattaforma collaborativa, l’Iniziativa Move UP 2021, cui hanno aderito altre associazioni quali Medicina democratica, la Società della cura, Laboratorio Sud, The Last 20… Il “Memorandum” è stato sottoscritto da circa quaranta persone e associazioni. La redazione finale del documento ha beneficiato di vari contributi individuali e di gruppo in Italia (tra cui quelli di Paolo Cacciari e del Monastero del Bene Comune) e in altre regioni del mondo.

Paolo Cacciari


fonte: comune-info.net/


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Soluzioni globali per la sfida climatica



















La forte risposta al Covid-19 ha dimostrato che i risultati possono essere notevoli se l’umanità agisce unita dando ascolto agli scienziati, ha dichiarato l’attivista Greta Thunberg. Con il mondo in pausa, gli animali sono tornati a popolare acque nuovamente limpide nella laguna di Venezia. La riduzione dell’inquinamento ha cambiato il colore dei cieli di Europa, Cina e Stati Uniti, e si stima un calo annuale delle emissioni di CO2 del 5%. Il periodo successivo all’emergenza sanitaria avrà importanti conseguenze per un’altra sfida dalle dimensioni altrettanto globali, quella climatica. Quando tutto sarà finito, l’umanità proseguirà su un percorso ambientalmente sostenibile o farà ritorno alla crescita sfrenata, al business as usual?
Secondo Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club, e G.B. Zorzoli, presidente del coordinamento FREE, autori del libro Le trappole del clima, non c’è più tempo da perdere per avviare un processo di transizione mondiale verso una società verde. La riduzione delle emissioni infatti, nei prossimi anni dovrà mantenere un ritmo costante per impedire di rendere irreversibili fenomeni, come la fusione delle calotte polari, che comporterebbero un aumento del riscaldamento globale anche a seguito di un arresto della produzione di gas climalteranti. Per limitarla esiste già la possibilità di intervenire con tecnologie disruptive, come le rinnovabili e l’efficienza energetica, i processi di produzione alimentari sostenibili come l’agroecologia, la mobilità elettrica, le nuove modalità di fruizione dei beni e gli approcci di sistema come l’economia circolare, ma ammesso che queste fossero adottate su larga scala, sarebbero significative solo se accompagnate da una radicale trasformazione degli stili di vita e di consumo, nel nome di sobrietà e sufficienza.
E anche se l’Europa è sulla buona strada con la pianificazione del suo Green Deal, una serie di misure che saranno messe in atto nei prossimi decenni per rendere più sostenibile la produzione di energia e lo stile di vita dei cittadini, secondo i due esperti non sarà sufficiente a contrastare l’allarmante aumento delle temperature. Per affrontare una crisi planetaria infatti, è necessario un nuovo Global Deal, che svolga il difficile compito di spingere verso la transizione anche quei paesi che vivono in condizioni di povertà e aspirano a replicare il modello di sviluppo occidentale, sebbene “ai loro occhi rischiamo di assomigliare a chi in gioventù si è tolto tutte le soddisfazioni, lecite o meno che fossero, e da vecchio, essendo ormai malandato per via degli stravizi negli anni verdi, ammonisce gli adolescenti, invitandoli a non gozzovigliare”. Le trappole del clima guida il lettore attraverso un sentiero difficile e scivoloso, pieno di insidie, lungo cui si muovono le politiche e le strategie volte a unire un’umanità divisa dalle disuguaglianze per combattere l’emergenza climatica, una crisi planetaria, non solo ambientale, ma anche sociale ed economica.

fonte: http://www.puntosostenibile.it


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Dopo gli Ogm ci nutriranno i big data

Negli anni Novanta ci dicevano che gli Ogm avrebbero assicurato la crescita di cibo ovunque, compresi i deserti e le discariche di materiali tossici. Oggi sono rimaste solo due applicazioni degli Ogm, la resistenza agli erbicidi e le colture Bt, ma le multinazionali non smettono di imporre le proprie ricette. Un completo fallimento costato miliardi e veleni. Intanto sono ancora i piccoli contadini a produrre il 70 per cento del cibo globale. L’ultima notizia delle multinazionali è che i «big data» ci nutriranno. Monsanto parla di «agricoltura digitale» basata sui «big data» e sull’«intelligenza artificiale» e prefigura un’agricoltura senza contadini. In realtà, spiega Vandana Shiva, l’unica strada resta quella del “rinnovamento del pianeta grazie all’agroecologia, al ripristino della biodiversità, al rispetto del suolo, dell’acqua e delle piccole unità agricole, affinché tutti nel mondo possano avere accesso a un’alimentazione sana”
















In materia di cibo e agricoltura, il futuro può prendere due strade opposte. Una porta a un pianeta morto: spargimento di veleni e diffusione di monocolture chimiche; indebitamento per l’acquisto di sementi e fitofarmaci, causa di suicidi di massa fra gli agricoltori; bambini che muoiono per mancanza di cibo; aumento delle malattie croniche e dei decessi dovuti alle carenze nutrizionali e alle sostanze avvelenate vendute come cibo; devastazione climatica che mina le condizioni stesse della vita sulla Terra. La seconda strada è quella del rinnovamento del pianeta grazie all’agroecologia, al ripristino della biodiversità, al rispetto del suolo, dell’acqua e delle piccole unità agricole, affinché tutti nel mondo possano avere accesso a un’alimentazione sana.
La prima strada è quella industriale, ed è stata tracciata dal cartello dei veleni. Dopo le due guerre mondiali, le compagnie trasformarono le loro armi chimiche in sostanze agrochimiche, come pesticidi e fertilizzanti. E convinsero il mondo che senza questi veleni non era possibile ottenere raccolti e produrre cibo.
Nel 1990 ci dicevano che gli Ogm avrebbero annullato tutti i limiti imposti dall’ambiente, permettendo la crescita di cibo dovunque, compresi i deserti e le discariche di materiali tossici. Oggi ci sono solo due applicazioni degli Ogm: la resistenza agli erbicidi e le colture Bt. La prima applicazione è stata decantata come metodo per il controllo delle erbe infestanti – in realtà ne ha create di super resistenti; quanto alle colture Bt, si supponeva che sarebbero riuscite a tenere a bada i parassiti, quando in realtà ne hanno sviluppati di super-resistenti.
L’ultima grande notizia è che i «big data» ci nutriranno. Monsanto parla di «agricoltura digitale» basata sui «big data» e sull’«intelligenza artificiale». Prefigura anche un’agricoltura senza agricoltori. Non sorprende che l’epidemia di suicidi fra i contadini indiani e in generale la crisi degli agricoltori in tutto il mondo non abbiano suscitato le dovute risposte da parte dei governi: questi ultimi sono così tenacemente e ciecamente intenti a costruire il prossimo tratto dell’autostrada verso la morte da ignorare l’intelligenza dei semi viventi, delle piante, degli organismi del suolo, dei batteri del nostro intestino, dei contadini e delle montagne di esperienza e saggezza costruite nei millenni. I piccoli contadini producono il 70 per cento del cibo globale usando il 30 per cento delle risorse totali destinate all’agricoltura.




L’agricoltura industriale invece usa il 70 per cento delle risorse, generando il 40 per cento delle emissioni di gas serra, per produrre il 30 per cento soltanto del cibo che mangiamo. Climate Corporation, la più grande compagnia al mondo per i dati sul clima, e Solum Inc., la più grande compagnia al mondo per i dati sul suolo, sono oggi di proprietà di Monsanto. Queste due compagnie vendono solo dati. Ma i dati non sono conoscenza. Sono solo un’altra merce destinata a rendere l’agricoltore ancora più dipendente.
Non possiamo affrontare i cambiamenti climatici e le loro reali ed effettive conseguenze senza riconoscere il ruolo centrale del sistema alimentare industrializzato e globalizzato, che genera fino al 40 per cento delle emissioni di gas climalteranti a causa dei seguenti fattori: deforestazione, allevamenti intensivi, imballaggi per alimentari in plastica e alluminio, trasporti su lunghe distanze e spreco di cibo.
Non possiamo risolvere i cambiamenti climatici senza l’agricoltura ecologica e su piccola scala, basata sulla biodiversità, sui semi viventi, sui suoli vitali e sui sistemi alimentari locali, riducendo al minimo i trasporti di derrate alimentari ed eliminando gli imballaggi in plastica.

Vandana Shiva

fonte: https://comune-info.net/

Biometano: una filiera agroenergetica nelle zone terremotate

Confragricoltura: “Biometano è occasione di crescita per le aziende agricole”. Benefici da sfruttare a pieno anche nelle aree terremotate

















Il biometano potrebbe rappresentare l’oro italiano. Solo lo scorso anno l’utilizzo del gas naturale per autotrazione al posto dei carburanti tradizionali ha permesso di risparmiare quasi 2 miliardi di euro in Italia, evitando emissioni di CO2 pari a quasi 1 milione e mezzo di tonnellate (dati dello studio “Vantaggi economici ed ecologici del metano per autotrazione nel 2016). Renderlo “bio” significherebbe moltiplicare ulteriormente questi benefici in un’ottica di economia circolare a tutto tondo.

A parlare di vantaggi e potenzialità della filiera agroenergetica italiana è stato il recente convegno “Gas naturale e biometano: eccellenze nazionali per la sostenibilità”, organizzato da Econometrica, in collaborazione con Confagricoltura, Cib, Anfia, Fca, Iveco, Snam. Un appuntamento che, quasi in contemporanea con il G7 Ambiente, ha messo a fuoco uno degli strumenti nostrani per la decarbonizzazione su larga scala. “Con il biometano – ha osservato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansantiè stata individuata una soluzione tutta italiana (in termini di filiera della produzione, distribuzione ed utilizzo del carburante per autotrazione) per la diminuzione delle emissioni di CO2 che permette anche, alle aziende agricole, percorsi virtuosi di utilizzo delle biomasse in un’ottica di smart farming e di economia circolare”.

Il biometano e gli strumenti normativi

L’attesa è oggi tutta concentrata su il decreto Biometano Bis, ultimo tassello normativo necessario ad inaugurare la filiera nazionale. Secondo quanto riferito da Giovanni Perrella, dal Ministero dello Sviluppo Economico, il provvedimento potrebbe vedere la luce già all’inizio dell’estate 2017 ma non è il solo regolamento a cui è affidato il futuro del biometano. Come ha ricordato Aurelio Nervo, Presidente di ANFIA “È fondamentale che la Direttiva europea DAFI, che delinea a livello europeo un quadro comune di misure per la diffusione dei carburanti alternativicompresi gas naturale, biometano e GPL – tra cui l’implementazione della rete infrastrutturale, e che il nostro Paese ha recepito lo scorso gennaio, venga considerata il punto di partenza per lo sviluppo delle politiche nazionali e locali di mobilità sostenibile, nel rispetto del principio di neutralità tecnologica”.

Carburanti alternativi, il primato italiano

Il Bel Paese vanta il parco ad alimentazione alternativa più grande d’Europa ed è al primo posto anche per numero di veicoli a metano in circolazione e per disponibilità di distributori. Nel corso del convegno riconoscimenti sono andati all’Emilia Romagna, quale regione più virtuosa per l’uso del metano per autotrazione nel 2016, alla Lombardia, quale regione che tra il 2010 e il 2016 ha avuto la maggior crescita di distributori di gas naturale compresso e liquefatto, e alla Puglia, per il proprio piano di utilizzo del gas naturale per la decarbonizzazione delle sue industrie e per l’effettivo uso di questo combustibile per i trasporti.

Nonostante ciò la rete di distribuzione è ancora carente e, guardando al futuro, è immaginabile un rallentamento della diffusione del biometano da autotrazione senza incisive politiche di sviluppo infrastrutturale.
“Il biometano – ha proseguito il presidente di Confagricoltura – rappresenta un’ulteriore occasione di crescita per le aziende agricole, dopo lo sviluppo della cogenerazione da biogas che ha prodotto risultati estremamente importanti: più di 1400 impianti da effluenti zootecnici, attività agricole, sottoprodotti, con circa 1.100 MW, per un totale di 4,0 miliardi di Euro di investimenti effettuati nel settore”. A ciò va aggiunto il dato occupazionale: ben 12 mila nuovi posti di lavoro stabili creati dal comparto. “Il biometano permetterà anche di creare delle opportunità per le aziende agricole in alcune aree del Paese che altrimenti rischiano di divenire marginali dal punto di vista produttivo”. Il presidente Ginasanti ha fatto quindi una sottolineatura sulle difficoltà delle aree terremotate. “Queste zone potrebbero avere grandi opportunità proprio dallo sviluppo di una filiera agroenergetica per la produzione di biometano di fonte agricola”.

fonte: http://www.rinnovabili.it/

Puntata pro OGM a Presa Diretta. Perché l’agricoltura biologica è stata ignorata?

OGM PresaDiretta

Una inaspettata puntata pro OGM. E' quella andata in onda a Presa Diretta, con l’inchiesta ‘Chi ha paura degli OGM?’, lo scorso 28 febbraio su Rai 3, in cui è stata messa in luce soprattutto la normativa italiana che ne vieta la ricerca in pieno campo (ma non in laboratorio).
Il problema, secondo noi, consiste nel fatto che, all'interno della puntata, l’agricoltura biologica come alternativa alla coltivazione di varietà geneticamente modificate e le posizioni anti-OGM, seppur autorevoli, sono state del tutto ignorate. Ne è emersa una visione parziale e oseremmo dire 'di parte' sul tema degli Ogm. 
FederBio, AIAB e Associazione per l’Agricoltura Biodinamica avevano già manifestato il loro dissenso in un comunicato congiunto pubblicato prima della puntata, sulla base dei post pubblicati sulla pagina Facebook, dove attualmente compare quella che appare come una “difesa” dal titolo ‘Per la Precisione’, che riporta i documenti e i materiali usati per costruire i reportage. Ammesso e non  concesso che siano tutti quelli accreditati sulla difficile tematica.
Ora, a puntata avvenuta, possiamo parlare davvero di un vero e proprio spot pro-OGM. Ma quali sono state le omissioni e le contraddizioni più evidenti? Abbiamo contattato le associazioni del bio per farcelo spiegare.
Vincenzo Vizioli, Presidente di AIAB, che ha anche indirizzato una lettera a Presa Diretta, commenta:
[…] siamo davvero rimasti sconcertati guardando la puntata di Presa Diretta di ieri sera dal titolo’Chi ha paura degli OGM?’ […] Uno spot  pro OGM,  senza  se  e  senza ma. Nonostante  avessimo  chiesto  con  largo anticipo e attraverso varie forme di essere ascoltati. Nella  puntata  di  ieri  si  è  giocato  inoltre  molto  sulla  confusione.  Accettando affermazioni che nulla hanno a vedere con la scienza, come quella che gli OGM sono stati  prodotti  dalla  naturale  evoluzione  delle  specie,  e  anche  cadendo  in  continue contraddizioni.  
Ma  sono  tutti  matti  allora  i  cittadini/consumatori,  ambientalisti  e  produttori,  rappresentati  da  oltre  40  associazioni,    tra  cui  Coldiretti,  CIA, Slow  Food, Legambiente,  Wwf  ecc…  che  sono  contrari  agli  Ogm?  
Sono  tutti  “traditori  della scienza” i ricercatori che non  credono negli  organismi  geneticamente  modificati come  soluzione  per  sfamare  il mondo?  Sono  tutti  incoscienti  e  “affossatori”  della libera  ricerca  scientifica  i  politici  che  hanno  vietato  la  coltivazione  di OGM?  Sono tutti autolesionisti gli agricoltori che vogliono salvaguardare i loro terreni praticando metodi biologici e di tutela della biodiversità? É contro la scienza chi ricorda che il polline vola e contamina chi per norma non deve contenere OGM?
Come mai nessuno di questi agricoltori è stato interpellato? Eppure non è difficile trovarli. Come mai l’unico agricoltore biologico intervistato era americano? Gli USA, sul  biologico, si sa, non  hanno  le  nostre  garanzie e  le  nostre  tutele,  anzi  fanno saltare gli accordi commerciali se qualcuno osa chiedere l’inserimento dell’obbligo di dichiarazione in etichetta.
[…] il  biologico  e  l’agricoltura  sostenibile possono sfamare il mondo,  salvaguardando  l’ambiente  e  contrastando  i  cambiamenti  climatici senza aggredire  la  salute dei  consumatori. Perché  non ha  intervistato nessuno di questi scienziati? Anche  loro  sono  facili  da  trovare,  il  loro  indirizzo  email  è  su  internet  e rispondono subito. 
Lo sapete  che  la  fame non  è  causata dalla  scarsità di  cibo ma dalla difficoltà per  i poveri  di  accedervi,  proprio  perché  poche  multinazionali  controllano  tutto  il mercato mondiale? Insomma, i buchi di informazione e le contraddizioni sono stati davvero troppi. […].
OGM PresaDiretta1
Paolo Carnemolla, Presidente di FederBio, ci ha detto:
É stata una puntata a senso unico, che ha ignorato il fatto che se esistono normative stringenti di coesistenza e 19 Paesi UE che vietano la coltivazione a livello europeo non si tratta di preoccupazioni di tipo “oscurantista”, ma di evidenza di rischi per la biodiversità naturale e agricola per le coltivazioni che devono essere esenti da OGM per legge (biologico e tipico) con una coesistenza non gestibile nel contesto territoriale e produttivo tipico di un’agricoltura come quella italiana (piccole aziende e molto diversificate).
Gli OGM sono stati indicati come l’unica soluzione per ridurre l’utilizzo dei pesticidi, salvaguardare le produzioni tipiche e sfamare il Pianeta, non tenendo in alcun conto l’alternativa del modello agricolo e alimentare biologico, definito una “industria” al pari di quella alimentare convenzionale. Tutto questo non tenendo conto di quanto dicono le istituzioni internazionali come la FAO e del dibattito che si è tenuto in EXPO a Milano fino a pochi mesi fa.
La puntata ha evidenziato l’assurdità della situazione italiana: se è vero che è stata impedita la ricerca in pieno campo degli OGM (ma non in laboratorio, come si è visto anche nel servizio) non si può certo dire che nel contempo i Governi nazionali e regionali abbiano dirottato i fondi verso la ricerca in agroecologia e produzione biologica.
Non avere evidenziato questa follia, che ha bloccato il Paese su entrambi i versanti, anzichè porre  la politica di fronte alle sue vere “non scelte” ha trasformato la puntata solo in uno spot pro OGM, privo di contraddittorio e di utilità, ma solo finalizzato a attaccare il ministro Martina e il vasto fronte di organizzazioni e imprese che fanno ricerca e economia senza OGM.
La puntata di Presa Diretta del 28 febbraio è disponibile a questo link

Roberta De Carolis 

fonte: http://www.greenbiz.it/ 




Cascinet: a Milano l'innovazione agricolo-culturale

Cascinet è un gruppo di giovani che ha trasformato una cascina di Milano in un hub multiservizi di innovazione agricola, culturale, sociale.

Cascinet: a Milano l'innovazione agricolo-culturale
Convivialità, collaborazione, contaminazione sono i valori attorno ai quali  un gruppo di nove giovani, con poco meno di trentanni, si sono incontrati per realizzare un sogno: valorizzare, rivivere e restituire alla città di Milano il patrimonio artistico, culturale ed agricolo della cascina Sant'Ambrogio. Una delle cascine più vicine al centro della città, a tre minuti dal passante ferroviario dove ci sarà la Metro, con 2 ettari di terreno annessi.
Paolo Gorlini, presidente dell'Associazione, ne parla con entusiasmo.
“Mi ero messo in testa che volevo fare un progetto che comprendesse cultura, socialità, agricoltura, in questo luogo che i miei genitori avevano avuto in affitto per anni - racconta Paolo - altri ragazzi, invece, stavano cercando una cascina; ci siamo incontrati qui ed abbiamo iniziato a darle vita. Nel 2012 abbiamo costituito un'associazione ed abbiamo ottenuto la cascina in concessione dal Comune per tre anni; ora abbiamo costituito una società agricola impresa sociale CasciNet, che proprio in questi giorni ha ottenuto in affitto la cascina per 30 anni”. L'associazione l'anno scorso aveva poco più di 1600 soci, di cui una trentina membri attivi.
Un luogo d'incontro di persone e prassi per ricreare quella biodiversità umana che ha abitato la cascina nel corso del tempo, promuovendo convivialità, collaborazione, contaminazione. “Nella  Cascina ci sono 20 stanze grandi 4 per 5 metri, abitate nel corso del tempo da nuclei familiari diversi: padre madre e figli, fratello e sorella che non si erano mai sposati, la signora vedova, le ragazze diciassettenni che venivano a fare la stagione, c'era insomma una bella biodiversità umana” racconta Paolo. “Ora alcune stanze sono state recuperate ospitando delle persone, che le hanno sistemate al posto del  pagamento dell'affitto per un po' di mesi. In queste stanze vogliamo fare housing sociale, che potrebbe essere ospitare delle famiglie disagiate seguite dai Servizi Sociali. Abbiamo ospitato delle compagnie teatrali che hanno fatto uno spettacolo portato in giro per l'Italia, e ospitiamo gruppi scout”.
La cascina è nata sull'abside di una chiesa romanica e c'è l’antico affresco “L’incoronazione della Vergine tra angeli e Santi”, in corso di restauro grazie al progetto TocCARE, realizzato con la Soprintendenza e la collaborazione di altre associazioni e un liceo artistico del territorio.
Poi ci sono “gli orti artistici condivisi”, creati e coltivati con la prospettiva della permacultura per il recupero della terra. “Il processo è graduale - afferma Paolo - perché noi fondamentalmente siamo cittadini; sono un cittadino, che insieme ad altri ragazzi cittadini si sta lanciando in questa avventura, in maniera un po' folle, un po' con le risorse e il know how della città e un po' con la voglia di tornare alla terra, però con una chiave un po' particolare. Abbiamo tentato di adottare alcuni elementi dell'agricoltura sinergica ed abbiamo realizzato bancali a spirale concentrica, dove ogni segmento  di serpentone va in crescendo man mano che arrivano ortisti ed è coltivato da persone diverse. Si è partiti da un padre con un bambino che teneva a passargli una percezione dei tempi della terra diversi da quelli della città, da studenti di Agraria che coltivavano peperoncini e nel tempo si sono aggiunte mamme del quartiere e lavoratori di uffici presenti nelle vicinanze. Ad oggi sono coinvolte 60/80 persone: è una bella community ed abbiamo iniziato a tenere un corso sulla permacultura. La chiave più importante è promuovere contaminazione, l'incontro tra persone e culture diverse: ci sono lavoratori, ma anche gli scout, i minori stranieri non accompagnati, persone di cooperative ed altre associazioni. Zappando il proprio orticello che non ha barriere ci si può incontrare in un setting orizzontale, magari sedendosi poi anche a bere una birra insieme”. Con la stessa prospettiva è nata la collaborazione con un liceo artistico della zona; gli studenti partecipano a laboratori di installazioni artistiche temporanee. “Volevamo creare una collaborazione del tipo "artista adotta un ortista", portare i ragazzi a confrontarsi con chi dedica del tempo alla terra e nello stesso tempo raccontare con una chiave artistica, che cosa ci può essere in queste attività agricole. Abbiamo infatti qualche installazione artistica diffusa”.
“Accanto agli orti c'è l'azienda agricola che - prosegue Paolo -  ha  fondamentalmente due rami: una lombricoltura per produrre humus utile per  rigenerare e recuperare terreni e il progetto di una food forest. La food forest in sé è l'espressione naturale della contaminazione ed è sistema sinergico cioè la cascina come l'abbiamo sviluppata e la stiamo sviluppando; vorremmo che il processo stesso della progettazione, costruzione e gestione della food forest fosse un ulteriore motore di generatore di community, di contaminazione, di ritorno del territorio alla terra. Dentro la cascina, sempre nell'ottica di far incontrare persone diverse con pratiche diverse, c'è uno spazio di coworking, un luogo di incontro, lavoro e condivisione con 10 postazioni in una stanza coi  pavimenti in cotto antico, il soffitto a cassettoni: il vecchio ed il nuovo".
Paolo ci tiene a sottolineare che “l'idea non è un ritorno alla tradizione, ma una rivisitazione, un dare espressione alla zona margine nella quale la cascina si trova, che è tra città e campagna, tra passato e futuro; è un luogo dove si incontrano persone diverse e quindi si incontrano mondi diversi, cerchi diversi”.
Ad oggi c'è anche una cucina condivisa, ma con il contratto d'affitto l'idea è di avviare un ristorante che fornisca opportunità lavorativa per ragazzi a rischio di devianza, minori stranieri non accompagnati,  ragazzi provenienti dal centro dell'Istituto penale in collaborazione con una cooperativa che li gestisce. “Vorremmo poi fare un centro diurno per le stesse tipologie di ragazzi”.
Infine, ma non per importanza, i numerosi eventi musicali (una cinquantina di date), pranzi e cene condivise, Cascine Aperte, Ortica in Jazz 2014, la Festa dell’Uva-espressione della  cascina quale cuore pulsante di vita,  luogo di convivialità, di partecipazione.
Per maggiori informazioni il sito web www.cascinet.it e il profilo facebook, dove è possibile respirare l'entusiasmo, la passione, il desiderio di incontro e di partecipazione condivisa, l'apertura e le numerose opportunità che CasciNet offre al territorio, alla comunità, a chi in città cerca un luogo di festa, svago, convivialità, all'interno di un contesto storico ed agricolo.

fonte:http://www.terranuova.it/

Agricoltura biologica: l’unica risposta al riscaldamento globale

La Washington State University sostiene che l’agricoltura biologica sia il miglior sistema per nutrire il mondo afflitto dai cambiamenti climatici


Agricoltura biologica l’unica risposta al riscaldamento globale 6
Osteggiata, irrisa, oscurata e maltrattata da molta “scienza ufficiale” e dai colossi dell’agribusiness, l’agricoltura biologica è uno dei settori la cui crescita sembra inarrestabile. Ma c’è di più: secondo la ricerca più accurata mai condotta finora, è anche l’unico sistema in grado di nutrire il mondo afflitto dal riscaldamento globale.
Lo studio, pubblicato su Nature Plants, ha esaminato centinaia di studi pubblicati negli ultimi 40 anni. Le sue conclusioni non solo contrastano con le affermazioni delle lobby, ma contraddice la retorica di molti governi favorevoli all’agricoltura industriale. Inoltre, specialmente nei Paesi emergenti, il biologico «può essere il modello ideale per affrontare i cambiamenti climatici».

Agricoltura biologica l’unica risposta al riscaldamento globale 2 
L’agricoltura biologica è considerata dai suoi critici come «un approccio inefficiente per la sicurezza alimentare», «un sistema agricolo che diverrà meno rilevante nel futuro», un metodo «ideologico» e «con molti difetti» per il «maggior uso di terra al fine di produrre un’uguale quantità di cibo».
Ma il professor John Reganold della Washington State University, che ha scritto la ricerca, lascia parlare i numeri: le vendite mondiali del biologico sono aumentate di cinque volte a tra il 1999 e il 2013: oggi valgono 72 miliardi di dollari e si prevede un raddoppio entro il 2018. La pratica è certificata in 170 Paesi, e anche se i rendimenti sono più bassi rispetto all’agricoltura chimica, non si tratta di cifre molto inferiori. Per molte colture il deficit potrebbe essere più che dimezzato tramite una rotazione delle colture ed evitando le monocolture: per le leguminose come fagioli, piselli e lenticchie non vi è alcuna differenza tra convenzionale e biologico, con quest’ultimo definito «un’alternativa molto competitiva per l’agricoltura industriale».

Emissioni l’agricoltura supera la deforestazione

Ma la necessità di una agricoltura più naturale e senza la mediazione di colossi della chimica è resa più impellente dal peggioramento degli effetti dei cambiamenti climatici. Come sottolinea la nuova ricerca, «le aziende agricole gestite organicamente hanno spesso dimostrato di produrre rendimenti più elevati rispetto alle loro omologhe convenzionali» durante le siccità, perché i concimi che usano trattengono l’umidità nel terreno. I concimi organici, inoltre, accrescono la quantità di carbonio nel sottosuolo, mentre l’agricoltura intensiva non fa altro che aumentare l’erosione e ridurre la fertilità. Di recente l’Università di Sheffield ha certificato che l’agricoltura intensiva ha distrutto un terzo delle terre coltivabili del mondo.
Le tecniche biologiche, come anticipato, sono ancora più efficaci nei Paesi in via di sviluppo, dove la maggior parte degli agricoltori non può permettersi di comprare fertilizzanti artificiali o pesticidi. Un rapporto delle Nazioni Unite, che ha esaminato 114 progetti che coinvolgono quasi 2 milioni di aziende agricole africane, ha notato rendimenti più che raddoppiati.
Infine, al di là dei numeri, l’approccio agroecologico è più in armonia con la natura, la biodiversità e i diritti umani.

fonte:  www.rinnovabili.it

L'agricoltura contadina combatte il riscaldamento del pianeta

Clima e agricoltura











I contadini e le contadine di ogni angolo del mondo e chiunque ha a che fare direttamente con loro e con i loro prodotti si ricordano bene come sia sempre stato parte integrante della cultura rurale parlare del "clima". La sua imprevedibilità da sempre ha condizionato l'andamento delle coltivazioni e delle produzioni contadine infondendo quel senso di impotenza (a mio avviso salutare) nei confronti della generosità o della cattiveria di nostra Madre Terra.

Oggi questa imprevedibilità si è ingigantita fino a costituire un vero e proprio caos climatico a livello planetario.

Calamità originate dal clima questo anno sono state la causa, in tutto il pianeta, di molta fame, migrazioni e del peggioramento delle condizioni di vita di milioni di persone. I ghiacciai si stanno sciogliendo ad un ritmo allarmante, stanno scomparendo ogni giorno molte specie di piante e animali, isole e nazioni vengono invase dagli oceani, i suoli si stanno desertificando ed erodendo e i boschi incendiando, eventi catastrofici come uragani, tornado, alluvioni e fenomeni climatici estremi sono sempre all'ordine del giorno.

Anche nei nostri territori, tutti quanti noi che viviamo sulla terra e della terra, constatiamo un forte aumento delle difficoltà ad ottenere prodotti sufficienti alle nostre esigenze alimentari e alla realizzazione delle piccole economie a base locale che ci consentono di vivere. Ormai non possiamo dire che non ci sono più le mezze stagioni perché non ci sono più neanche quelle intere. Eppure, a parte chi viene colpito direttamente e in modo violento da un qualsiasi evento eccezionale di turno, sembra che la cosa non ci riguardi affatto, abbiamo tutti cose molto più importanti a cui pensare.

Tutta la comunità scientifica, anche quella meno "libera", concorda sul riconoscere che il "caos climatico" è provocato da un surplus di emissioni di gas serra derivanti da attività umane e che quindi non siamo in presenza di un clima impazzito ma della normale reazione del pianeta alla sollecitazione chiamata effetto serra.

Le cause di questo surplus di produzione di gas serra sono molte, tutte originate dall'uso indiscriminato di energia ottenuta da combustibili fossili. Energia impiegata per sostenere una industrializzazione tanto selvaggia e indiscriminata quanto inutile e dannosa che, in molti casi, produce enormi vantaggi solo per pochi e grandi svantaggi e rischi per tutti.

La produzione industriale del cibo è fra queste cause ed è la più importante. Questa ha una diretta responsabilità nella emissione di gas serra quindi nel riscaldamento globale e quindi nel caos climatico.
Ci sono studi che individuano che la produzione industriale del cibo è responsabile delle emissioni per una percentuale che va dal 47 al 55% delle emissioni totali (fonti Via Campesina-Grain).

Pochi soggetti transnazionali traggono enormi profitti a danno della maggior parte della popolazione mondiale mentre i governi, ormai non più "sovrani" sui propri territori, continuano a non fare l'interesse delle collettività che dovrebbero rappresentare e assecondano passivamente il volere di questi.

Appare in questo quadro molto importante la posizione del mondo agricolo in quanto è causa e può essere anche potenziale soluzione al problema del riscaldamento globale.
Il modello di agricoltura contadina agroecologica costituisce una alternativa concreta all'agricoltura industriale petrolifera senza contadini ed è già realizzata in molte zone del mondo.

L'agroindustria non lavora per produrre cibo ma profitti (per pochi), coltiva su grandi estensioni, pratica l'accentramento della proprietà della terra, dei mezzi di produzione e della distribuzione dei prodotti generando enormi problemi sociali.
L'agroindustria ancora oggi a livello mondiale produce solo il 30% di tutto il cibo globale utilizzando il 70% delle terre coltivabili. Consuma l'80% dei combustibili fossili utilizzati in agricoltura e il 70% dell'acqua irrigua (fonte ETC group).

I governi dei paesi industrializzati con le grosse imprese transnazionali che operano nei settori alimentare, chimico, farmaceutico e finanziario si sono sempre adattati alle richieste sociali ed ecologiche con strumenti ingannevoli e mistificatori che, garantendo la continuità dei profitti, hanno inibito le pressioni del dissenso. E' successo con la "rivoluzione verde" (chimica e meccanizzazione con la scusa di ottenere cibo per tutti) e con la "green economy" (finanziamenti pubblici alla tecnologia verde grazie alla quale salveremo il pianeta).

In pratica determinare un problema, proporsi per la sua soluzione continuando a drenare ricchezza alle popolazioni e dotarsi del così detto "volto umano" in enormi operazioni di marketing tanto ingannevoli quanto inconcludenti (EXPO nutrire il pianeta, COP21 di Parigi).

L'agricoltura contadina con pratiche agroecologiche oltre a contribuire al raffreddamento del pianeta spezza questa catena di potere che determina la stretta relazione fra crisi ambientale e crisi sociale in quanto è naturalmente portatrice sana di valori paralleli ad essa come l'autodeterminazione dei territori, il mantenimento o la ricostruzione di comunità territoriali che tendono all'autogoverno dal basso e il mutuo soccorso.

L'autodeterminazione alimentare attraverso l'agricoltura contadina è la vera soluzione alla crisi climatica globale.

fonte: http://www.zeroviolenza.it/

Patto con la terra. Pianteremo speranza

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Un appello per fermare la distruzione ecologica in corso, tra i promotori Vandana Shiva.

Un Patto tra cittadini per proteggersi e proteggere il Pianeta
L’umanità si trova sull’orlo di un abisso.
Abbiamo distrutto il pianeta, la sua biodiversità, il suolo e l’acqua. In appena duecento anni di era dei combustibili fossili, il cambiamento climatico minaccia il nostro presente e il nostro futuro. La distruzione ecologica e il saccheggio delle risorse stanno generando conflitti e violenze che si sono velocemente evolute in guerre in piena regola.
Un contesto di paura e di odio sta prendendo il sopravvento sull’immaginazione umana, lacerando il tessuto sociale costruito attraverso la diversità e la democrazia.
Abbiamo bisogno di coltivare i semi della pace con la Terra e tra di noi per una Democrazia della Terra fondata sulla comunità di una umanità e una Terra.
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1. Ci impegniamo a proteggere i nostri suoli e della biodiversità, perché è nel terreno vivente che si trova la prosperità e la sicurezza della civiltà.
2. I nostri semi e la biodiversità, i nostri suoli e la nostra acqua, la nostra aria, atmosfera e clima sono un bene comune. Non accettiamo l’appropriazione e la privatizzazione dei nostri beni comuni. Li reclameremo e recupereremo attraverso la cura, la cooperazione e la solidarietà.
3. I liberi semi e la biodiversità sono alla base della libertà alimentare e della resilienza climatica. Ci impegniamo a difendere la libertà dei semi come la libertà delle diverse specie di evolvere, nell’integrità, nell’auto-organizzazione e nella diversità.
4. Non accettiamo l’agricoltura industriale come una soluzione alla crisi climatica e alla fame. Noi rifiutiamo false soluzioni al mutamento climatico, come la geoingegneria, l’agricoltura “climate smart”, i semi “migliorati” con interventi di ingegneria genetica, o “intensificazione sostenibile”.

Visualizza le organizzazioni sostenitrici

Visualizza le firme

5. Ci impegniamo a praticare e proteggere l’agricoltura ecologica su piccola scala, e sosterremo e creeremo sistemi alimentari locali in quanto questi possono nutrire il mondo e al contempo raffredare il pianeta.
6. Non accettiamo nuovi accordi commerciali di “libero” scambio basati sui diritti patrimoniali e sul principio della personalità delle corporations. Le corporations sono persone giuridiche a cui la società dà il permesso di esistere all’interno di limiti di responsabilità sociale, ambientale ed etica. Le corporations che hanno responsabilità per il cambiamento climatico sono soggette al Polluter Pays Principle (chi inquina, paga).
7. Le economie locali viventi proteggono la Terra, creano un lavoro significativo e pieno di senso e provvedono ai nostri bisogni e al nostro benessere. Noi non parteciperemo a sistemi di produzione e di consumo – compresa l’agricoltura industriale e il sistema alimenatre industriale – che distruggono i processi ecologici della Terra, il suo suolo e la biodiversità, e dislocano e sradicano milioni di persone dalla loro terra.
8. Ci impegniamo a creare vive democrazie partecipative e a resistere a tutti i tentativi di dirottare le nostre democrazie tramite potenti interessi. Ci organizzeremo sulla base di principi di condivisione, di inclusione, sulla diversità e sul dovere di prendersi cura l’un l’altro e del nostro pianeta.
9. Facciamo un patto per vivere consapevolmente come cittadini della Terra riconoscendo che la Comunità Terra comprende tutte le specie e di tutti i popoli nella loro diversità ricca e vibrante.
10. Pianteremo ovunque giardini di speranza, e coltiveremo i semi del cambiamento verso una nuova Cittadinanza Planetaria e per una nuova Democrazia della Terra basata sulla giustizia, la dignità, la sostenibilità e la pace.



fonte: http://comune-info.net

Fatti che generano speranza

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Dappertutto si va a caccia di alternative alla produzione industrial/mercantilistico/consumistica, visto che gli effetti sulle società e sulla natura si dimostrano sempre più disastrosi. Il caos climatico, l’erosione della biodiversità, la scarsità di acqua potabile, la penetrazione dei pesticidi negli alimenti e il riscaldamento globale sono i sintomi più rivelatori. Questo modo di produzione è ancora dominante, ma non è indenne da serie critiche.
In compenso, appaiono dappertutto forme alternative di produzione ecologica, come l’agricoltura organica, cooperative di alimenti biologici, agricoltura familiare, eco-cittadine e altre affini. La visione di un’economia della sufficienza ossia del “ben vivere e convivere” dà spessore al bioregionalismo. L’economia bioregionale si propone di soddisfare i bisogni umani (in contrasto con la soddisfazione dei desideri) e realizzare il ben vivere e convivere, rispettando le possibilità e i limiti di ogni eco-sistema locale.
Innanzitutto dobbiamo interrogarci sul senso della ricchezza e del suo uso. Invece di avere come obiettivo l’accumulazione materiale al di là di ciò che è necessario e decente, dobbiamo cercare un altro tipo di ricchezza, questa sì umana veramente, come il tempo per la famiglia e i figli, per gli amici, per sviluppare la creatività, per godersi incantati lo splendore della natura, per dedicarsi alla meditazione e al tempo libero. Il senso originario dell’economia non è l’accumulazione di capitale ma creazione e ri-creazione della vita. Essa è ordinata a soddisfare le nostre necessità materiali e a creare le condizioni per la realizzazione dei beni spirituali (non materiali) che non si trovano sul mercato, ma provengono dal cuore e da corretti rapporti con gli altri e con la natura, tipo la convivenza pacifica, il senso di giustizia, di solidarietà, di compassione, di amorizzazione e di cura per tutto quello che vive.
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Mettendo a fuoco la produzione bioregionale, abbiamo minimizzato le distanze che i prodotti devono affrontare, abbiamo economizzato energia e diminuito l’inquinamento. Quel che occorre per i nostri bisogni può essere fornito da industrie di piccola scala e con tecnologie sociali facilmente assorbite dalla comunità. I rifiuti possono essere maneggiati o trasformati in bio-energia. Gli operai si sentono legati a ciò che la natura locale produce e siccome operano in piccole fabbriche, considerano il loro lavoro più significativo. Qui risiede la singolarità dell’economia regionale, invece di adattare l’ambiente alle necessità umane, sono queste ultime che si adattano e si armonizzano con la natura e perciò assicurano l’equilibrio biologico. L’economia usa in grado minimo le risorse non rinnovabili e usa razionalmente le rinnovabili, dando alla Terra il tempo per il riposo e la rigenerazione. I cittadini si abituano a sentirsi parte della natura e suoi curatori.
Invece di creare posti di lavoro, si cerca di creare, come afferma la Carta della Terra, “modi sostenibili di vita” che siano produttivi e diano soddisfazione alle persone.
I computer e le moderne tecnologie di comunicazione permetteranno di lavorare in casa, come si faceva nell’era pre-industriale. La tecnologia serve non per aumentare la ricchezza, ma per liberarci e garantirci più tempo – come sempre enfatizza il leader nativo Ailton KrenaK – per la convivenza, per il riposo creativo, per il rilassamento, per la restaurazione della natura e per la celebrazione delle feste tribali.
L’economia bioregionale facilita l’abolizione della divisione del lavoro fondata sul sesso. Uomini e donne assumono insieme i lavori domestici e l’educazione dei figli e hanno cura della bellezza ambientale.
Questo rinnovamento economico favorisce anche un rinnovamento culturale. La cooperazione e la solidarietà diventano più realizzabili e le persone si abituano a un comportamento corretto tra di loro e con la natura perché è più evidente che questo fa parte dei suoi interessi come di quelli della comunità. La connessione con la Madre Terra e i suoi cicli suscita una coscienza di reciproca appartenenza e di un’etica della cura.
Il modello bioregionale, a partire dalla piccola città inglese Totnes è assunto oggi da circa 8.000 città, chiamate Transition Towns: passaggio verso il nuovo. Questi fatti generano speranza per il futuro.

*Leonardo Boff, scrittore, ecólogo, teologo. Traduzione di Romano Baraglia e Lidia Arato (https://leonardoboff.wordpress.com/
fonte: http://comune-info.net/
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Meccanica batte chimica in agricoltura? Ecco la sarchiatrice che abbatte l’uso di erbicidi

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Una sarchiatrice in grado di  ridurre drasticamente l’utilizzo degli erbicidi nella coltura dei seminativi. Il prototipo è stato presentato nel corso del convegno “Malerbe? Un taglio alla chimica” organizzato dal Condifesa Treviso e Veneto Agricoltura ad Agripolis
Codifesa è convinta che questa tecnologia «Potrebbe rivoluzionare le pratiche di diserbo nella coltivazione dei seminativi, con possibili applicazioni anche nell’agricoltura biologica» e spiega che «Nasce dall’esperienza sul campo e da un attento lavoro di monitoraggio, l’idea del tecnico Oddino Bin di realizzare e sperimentare un prototipo disarchiatrice a 8 file capace di lavorare il terreno abbattendo drasticamente l’utilizzo della chimica nella gestione delle malerbe».
Non si tratta dell’invenzione di un singolo ma di un risultato raggiunto grazie ad una rete di collaborazioni che ha visto impegnati oltre al Condifesa Treviso, Veneto Agricoltura, Il CNR, TESAF dell’Università di Padova e le aziende Maschio Gaspardo, John Deere, Sergio Bassan, Barbaran Servizi, Dema di Mason Sergio & C per la preparazione del prototipo e le società agricole  Stalla Sociale di Monastier e Case Levi di Zenson di Piave opinion leader nel settore, che hanno messo a disposizione 20 ettari coltivati a mais per la sperimentazione.
Codifesa evidenzuia che «La chiave di volta del progetto è racchiusa nelle infinite possibilità che la tecnologia può oggi offrire all’agricoltura, infatti la sperimentazione è partita dall’agricoltura di precisione, allestendo la sarchiatrice con  un sistema di guida satellitare GPS/RTK con cui si è lavorato il terreno fin dalla semina, avvenuta il 20 e il 30 marzo scorsi, mappando l’intera superficie».
Il 13 e 14 maggio  sono stati effettuati gli interventi di sarchiatura e diserbo localizzato dove era stata rilevata una forte presenza di malerbe in particolare a foglia larga e graminacee e gli sperimentatori fanno notare che «Al contrario della tecnica tradizionale, non sono stati utilizzati 6kg di erbicida (4kg in pre-emergenza e 2kg in post-emergenza) ma solo 200g abbattendo così del 97% l’utilizzo di prodotti chimici sul campo. La sarchiatrice ha potuto lavorare oltre 4ha/h ad una velocità di 8km/h diserbando una fascia di 7-8 cm dalla pianta, solo tra pianta e pianta è stato irrorato l’erbicida grazie ad un nuovo sistema di ugelli incrociati che colpiscono la pianta lateralmente con un minore utilizzo di prodotto».
I risultati sembrano quindi molto interessanti e Codifesa conclude: «Nell’ipotesi di applicazione di questo sistema sull’agricoltura biologica, grazie alla lavorazione meccanica di precisione ottenuta con l’impiego delle più moderne tecnologie, è possibile immaginare la diffusione della pratica biologica anche su grandi estensioni di terreno, accettando  il possibile  sviluppo di infestanti su una superficie del 10% sul totale di quella coltivata. Perché dunque ricorrere alla chimica laddove è possibile arrivare con una “zappa elettronica”? Con questa sperimentazione l’innovazione tecnologica e la meccanica battono la chimica».



fonte: http://www.greenreport.it

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Mercatiamo, costruire la comunità




Mercatiamo, l'iniziativa temporanea ospitata all'ex Pasubio di via Palermo, e patrocinata dal Comune di Parma, torna venerdì prossimo, 18 dicembre, con il mercato dei produttori locali a km zero, con produzioni biologiche e naturali.
Sarà l'ultima occasione di acquisti prima della pausa natalizia.
Dalle 16 alle 19, nell'ala nord del Wopa, circa venti agricoltori offriranno le loro produzioni di stagione, frutta, verdura, ortaggi, miele, parmigiano, uova, olio di oliva, mozzarelle, carne, pane cotto a legna, focacce, torte di verdura.
Ma non sarà solo food.
Saranno presenti a Mercatiamo, ospiti della serata, il cestaio Ettore Gastini, che intreccerà bellissimi cesti, tradizione delle nostre campagne, con saggina, sanguinello, robinia, ginestra, ligustro, salice viminale, giunco, nocciolo, olmo, ricreando bellezza e idee per un regalo natalizio.
E, poi, la tessitrice Carla Campanini che collaborando con l’Associazione Agricoltori e Allevatori Custodi di Parma ha utilizzato la lana della pecora cornigliese per creare capi estrosi ed eleganti, cuscini, tappeti e accessori vari e ha iniziato a colorare i filati con prodotti vegetali naturali.
Mercatiamo è comunità, che si incontra e dialoga.
Così venerdì si svolgerà Aperitiamo, un aperitivo sostenibile con prodotti locali e vino biologico, offrendo la possibilità di conoscere da vicino i produttori, le loro storie e le loro passioni, la loro fatica e la loro sfida.
E intrecciare nuovi rapporti, nuove conoscenze, nuove amicizie.
Mercatiamo nasce per sostenere l'economia locale, ma non si ferma al solo aspetto economico, vuole provare a costruire un'idea di comunità dialogante, per costruire insieme un futuro migliore.

MercaTiAmo
via Palermo 6/ via Catania
43122 Parma
info 366 413 2958


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La sete degli orti urbani romani

L’iniziativa “Orti in Comune” è stata un primo passo  verso una serie di riflessioni collettive sulla buona pratica dell’agricoltura urbana a Roma
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Il 27 e il 28 novembre si è svolta presso la Casa del Giardinaggio il convegno Orti in Comune” una due giorni di studio e dibattiti, ma anche di festa e convivialità, per divulgare i contenuti della Delibera n. 38 del 17 luglio 2015. Una iniziativa voluta dalla rete degli orti e giardini condivisi di Roma insieme al progetto internazionale Gardeniser del Cemea del Mezzogiorno e dal progetto Sidigmed, entrambi coinvolti nell’analisi e nello sviluppo del fenomeno degli orti urbani. L’iniziativa si è svolta sotto il patrocinio di Roma Capitale.
Si sono affrontati i temi centrali che riguardano la pratica degli orti in città, partendo dalle esperienze riportate dalle varie realtà, attive ormai da alcuni anni. Per farlo sono stati invitati anche alcuni rappresentanti delle realtà ortiste più rappresentative di altre città come Milano, Bologna, Genova, Lampedusa. Le loro testimonianze hanno arricchito il dibattito fornendo interessanti spunti di riflessione. Ci sono stati momenti di approfondimento anche su temi specifici come quello del recupero dei frutti antichi a cura di Pietro Massimiliano Bianco dell’Ispra.
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Nei tre tavoli tematici si è parlato di accesso alle risorse, di sostenibilità e di fattibilità dei progetti, di gestione interna degli orti e auto-regolamentazione, verificando la congruità delle esigenze riportate con quanto previsto nella ordinanza. Dai tavoli è emerso che la delibera 38 offre importanti opportunità di sviluppo della pratica degli orti in città, ma presenta, allo stesso tempo, alcune criticità che potrebbero ridurre la portata di questo strumento, una su tutte l’accesso all’acqua. Non è previsto, infatti, alcun coinvolgimento delle amministrazioni territoriali nel garantire l’accesso ad una fonte idrica, neanche come parte terza per un eventuale ruolo di intermediazione fra associazioni e Acea. In questo senso, si è considerata la delibera come un primo passo per un work in progress che ha richiesto e richiederà il coinvolgimento di tutte le parti in causa: associazioni e istituzioni.
Per questo motivo è stato rivolto un invito a quei rappresentati istituzionali che hanno avuto un ruolo decisivo nel processo deliberatorio. Hanno partecipato: Estella Marino, già assessora all’ambiente sotto la precedente giunta comunale; Gianluca Peciola, già consigliere di Roma Capitale e capogruppo di Sel e Cristiana Avenali, consigliera del Partito democratico e della commissione ambiente della Regione Lazio. Con loro si è partecipato e condiviso il successo ottenuto, ma si è anche cercato il modo per superare insieme i limiti e le criticità della normativa.
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La consapevolezza della ridotta operatività dell’attuale quadro istituzionale e l’incertezza politico amministrativa che pesa sul futuro della città di Roma non hanno ridotto la ricchezza delle idee e il livello di coinvolgimento di tutti nel trovare soluzioni praticabili, anche attraverso la riapertura dei tavoli di confronto istituzionale. Seppur con alcune difficoltà, inoltre, è stata anche ipotizzata una possibile adozione della delibera su scala regionale.
Per tutti, la delibera rimane comunque una importante conquista che riconosce l’esistenza di quel mondo dell’associazionismo autorganizzato che da anni, senza clamore, ma con determinazione, si batte per recuperare pezzi importanti del territorio ad un uso ecologico e sociale.
fonte: http://comune-info.net


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Sabato 12 dicembre corso gratuito di compostaggio domestico a Panzano

Sulle orme della "Carta di Panzano": appuntamento presso la Limonaia. Dalle 10 alle 12

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PANZANO (GREVE IN CHIANTI) - Corso di compostaggio domestico, gratuito, a Panzano, alla Limonaia di Panzano sabato 12 dicembre.

Nasce sulle orme della "Carta di Panzano", sottoscritta nelle scorse settimane, per un’agricoltura a zero pesticidi di sintesi: si terrà dalle 10 alle 12.

E’ promosso da Medicina Democratica e dal Comitato Greve Rifiuti Zero, ed è tenuto dal dottor Federico Valerio, uno dei massimi esperti italiani del settore, che sull’argomento ha scritto un trattato giunto alla sesta edizione.

"Vogliamo dare alla cittadinanza - dicono gli organizzatori - sia che si abbia a disposizione un balcone o un pezzetto di terra, l’opportunità di imparare a fare con soddisfazione il compost, senza spendere nulla".

"Il compostaggio domestico - spiegano - è uno snodo essenziale, sia per quanto riguarda la corretta gestione dei rifiuti solidi urbani sia per quanto riguarda l’agricoltura naturale, sia "per raffreddare" il pianeta. Una buona raccolta differenziata comincia dalla separazione ottimale della frazione umida dal resto: tramite una raccolta differenziata porta a porta, puntuale, si può ottenere del compost di qualità, con cui rivitalizzare i terreni agricoli".

"Nel territorio grevigiano questo non avviene - denunciano - perché esistono ancora i cassonetti stradali, perchè il sindaco di Greve ed  il gestore Quadrifoglio sono a vario titolo sostenitori dell’inceneritore di Firenze".

"D’altra parte - rilanciano - c’è da prendersi cura del terreno, ripristinando col compost di qualità  il contenuto di sostanza organica del suolo, la cui perdita è stata responsabile del 25%-40% dell’attuale eccesso di CO2 nell’atmosfera".

"Il cibo industriale - concludono - e l’agricoltura chimica sono fra i principali responsabili delle emissioni di gas serra. E’ necessario quindi tornare ad un’agricoltura naturale, che favorisca la biodiversità, che prescinda dalle sostanze chimiche che fanno ammalare, che hanno esaurito i terreni e reso i parassiti e le infestanti immuni agli insetticidi  ed erbicidi".

fonte: GAZZETTINO DEL CHIANTI


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Non si paga la verdura, si sostiene l’agricoltura


L’agricoltura civica si diffonde in buona parte del mondo, anche in Germania e in Italia. Alcuni esempi
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L’agricoltura civica si fonda sul benessere comune. Tutto il resto vien da sé: l’alto valore dell’alimentazione, l’economia sociale, l’utilizzo sostenibile del terreno, persone che agiscono in uno spazio e per un fine comuni, la partecipazione diretta alla coltivazione di frutta e ortaggi, all’allevamento non intensivo di animali e la filiera corta ristabiliscono il contatto con la natura, condizioni queste che la maggioranza dei venditori e dei distributori oggi non vuole offrire.
Il consumatore ritorna ad essere produttore. L’idea prende rapidamente piede in molti Paesi: in Giappone il Teikei (partenariato)  coinvolge già numerosi nuclei familiari; negli Stati Uniti la Csa (Community-supported agriculture, agricoltura sostenuta dalla comunità) è già da tempo realtà; in Francia l’idea si diffonde con il nome di Association pour le maintien de l’agriculture paysanne (Amap, associazione per il mantenimento dell’agricoltura rurale); in Germania la Solidarische Landwirtschaft (agricoltura civica o solidale) si diffonde a macchia d’olio, cosicché oggi la rete organizzativa dei diversi nuclei d’agricoltura civica presenti sul territorio conta almeno ottantotto gruppi, anche se pare che solo una quindicina di essi riesca ad autofinanziarsi completamente; in Italia questo tipo d’agricoltura è in parte collegata all’esperienza dei Gas (Gruppi di Acquisto Solidale) e il portale AiCARE (Agenzia Italiana per la Campagna e l’Agricoltura Responsabile e Etica) www.aicare.it riporta una mappa delle molteplici attività che la riguardano.
A Mannheim, nella primavera-estate del 2012, su iniziativa di Cinzia Fenoglio, si è costituito un primo gruppo di persone interessate a occuparsi di agricoltura civica in questa città. Cinzia, avendo già un’esperianza pluriennale con un’organizzazione di agricoltura civica nella Renania-Palatinato, era desiderosa di propagare l’idea solidale dell’agricoltura, laddove questa mancasse ancora. Nei primi incontri eravamo una decina, forse anche meno, e naturalmente agivamo su base teorica, in quanto non avevamo nessun(a) agricoltrice/agricoltore con la/il quale cooperare.
L’interesse era altissimo e l’efficacia del passaparola ha fatto sí che nell’estate del 2013 abbiamo stabilito un contatto con un agricoltore della zona disposto ad intraprendere un percorso comune. Il 13 marzo 2014 una ventina di soci ha fondato l’associazione Solidarische Landwirtschaft Mannheim-Ludwigshafen, che da allora in poi ha cercato di mettere in pratica nel migliore dei modi i princípi dell’agricoltura civica, civile o solidale, che dir si voglia. Oggi una novantina di soci e un nuovo agricoltore decidono  quotidianamente le sorti dei terreni, la cui certificazione è rigorosamente biologica (Bioland).
Il meccanismo è semplice: per coltivare ortaggi e alberi da frutto occorre annualmente una certa quantità di risorse (economiche e forza lavoro), che viene valutata entro la fine di un anno per l’anno successivo; si calcola cosí una quota di socio indicativa (i soci possono decidere liberamente di versare anche di piú o di meno); chi è disposto a prestare altre forme di supporto, oltre a quella economica, si assume uno o piú incarichi e in tal modo si formano dei gruppi di lavoro: volontari nei terreni, per gestire le finanze, i depositi nei quali avvengono le consegne (settimanali) di frutta e verdura, per creare e aggiornare il sito internet dell’associazione, per organizzare le riunioni, gli eventi, e chi piú ne ha piú ne metta.
In questo modo chiunque faccia parte della comunità influisce direttamente sul progetto. La difficoltà maggiore (lo è stato anche per me all’inizio) è comprendere che non stai sottoscrivendo un abbonamento settimanale alla cassetta di prodotti alimentari provenienti dalle parti piú disparate del mondo, bensí stai investendo nell’utilizzo che si fa dei terreni che tu coltivi: non si paga per la verdura, ma s’investe nell’agricoltura.
Chi volesse approfondire le informazioni sulla Solidarische Landwirtschaft può visitare il sito della nostra associazione di Mannheim-Ludwigshafen www.solawi-malu.de oppure andare sul sito della rete per la Germania www.solidarische-landwirtschaft.org. In Italia le esperienze di agricoltura civica sono raccolte da AiCARE www.aicare.it, che si definisce cosí: AiCARE è un network di tecnici e ricercatori attivi, motivati e con competenze nei settori dello sviluppo rurale, dell’agricoltura, dell’educazione/formazione e del welfare. Utilizzano metodi innovativi e stili di lavoro che si caratterizzano per leggerezza, praticità e concretezza. AiCARE offre a imprese, organizzazioni e cittadini strumenti per promuovere le conoscenze in materia di agricoltura sociale e agricoltura civica, assistenza tecnica, opportunità di formazione, visite sul campo e tour in Italia e all’estero, eventi, animazione e incontri. La maggior parte di questi strumenti è liberamente disponibile sul sito, che è anche progettato per essere il luogo in cui le pratiche di agricoltura sociale e civica possono presentarsi e raccontarsi direttamente. AiCARE offre anche servizi di assistenza e di orientamento per la Pubblica Amministrazione, nella convinzione che solo il sistema pubblico, in un’ottica di sussidiarietà, può fare qualcosa di nuovo nelle zone piú difficili, caratterizzate da una crescente fragilità, sfiducia e individualismo. AiCARE vuole essere un punto di riferimento per il mondo dell’agricoltura sociale e civica, offrendo a persone, comunità, associazioni, organizzazioni e enti pubblici la propria competenza ed esperienza.
Tra le varie realtà italiane di questo tipo troviamo il Codifas a Palermo (Consorzio di difesa dell’agricoltura siciliana), la cooperativa sociale Giovani in Vita a Sinopoli (Reggio Calabria), Comunione è vita a Casamassima (Bari), Terra & Libertà a Montella (Avellino), Friarielli Ribelli a Napoli, Amiata Responsabile a Castel del Piano (Grosseto), Caps – Comunità Agricola di Promozione Sociale a Pisa, Orti scolastici a Lucca, Terra rara a Prato, Folletti del Bosco – Castagneto di San Pellegrino a Firenzuola (Firenze), Arvaia a Bologna, Sole solidale a Viano (Reggio Emilia), Čibo.Sí a Trieste, Bio Rekk a Padova, Semi che crescono a Vicenza, Officine Corsare e Coefficiente Clorofilla a Torino.
A vedere le numerose iniziative, che si arricchiscono quotidianamente di nuovi progetti, viene da pensare che un altro mondo non solo sia possibile, ma addirittura necessario.

fonte: http://comune-info.net

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