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Move Up 2021

Per il Memorandum No Profit on People and Planet la pandemia non è una calamità naturale e la geoingegneria non è la soluzione per il ripristino del buon funzionamento dei sistemi naturali. Inutile attendere soluzioni dal G20. Sta ai movimenti, alle associazioni e alle persone comuni prendersi cura insieme, ovunque e in tanti modi diversi, di ogni forma di vita, a cominciare dalla rigenerazione dei suoli degradati e dall’agroecologia. Ha scritto Vandana Shiva: “La pandemia è conseguenza della guerra che abbiamo ingaggiato contro la vita”

Tratta da unsplash.com

Bene fa il Memorandum* No Profit on People and Planet – G20-Memorandum_IT-3 – a non considerare la pandemia da Sars-CoV-2 un incidente di percorso e nemmeno una calamità naturale piovuta dal cielo. Ha scritto Vandana Shiva: “La pandemia è conseguenza della guerra che abbiamo ingaggiato contro la vita”. La pandemia è il boomerang che torna indietro. É una delle tante prevedibili reazioni della natura agli sconvolgimenti arrecati dalle attività umane sconsiderate. Esattamente come lo è – con ricadute su altre matrici ambientali – il riscaldamento globale causato dalla emissione di gas climalteranti. Quando si distruggono sistematicamente gli habitat naturali ancora incontaminati (come le foreste primarie, le zone artiche, le lagune, le savane, i boschi e le praterie) non si crea “solo” l’estinzione di massa delle specie viventi (biocidio), ma si creano anche le condizioni affinché virus animali potenzialmente patogeni compiano vari “salti di specie” (spillover) fino a giungere a noi, passando per gli allevamenti intensivi, per i mattatoi e per i mercati di animali selvatici. Una eventualità, questa, ampiamente prevista e inutilmente segnalata dagli scienziati. Ha scritto un virologo: “Perturbare gli ecosistemi è come aprire autostrade ai virus verso il salto di specie”.

Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente il 75 per cento dell’ambiente terrestre e il 65 per cento di quello marino sono stati gravemente alterati da attività antropiche. Per rimanere a casa nostra, pensiamo solo al “consumo di suolo”: quattordici ettari al giorni vengono asfaltati, cementificati, inertizzati.

La correlazione tra distruzione della biodiversità e malattie di origine zoonotica è conosciuta. Ha scritto in modo esemplare il Giuseppe Ippolito, Direttore scientifico dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive dell’Ospedale Spallanzani di Roma:

“Non è possibile separare la salute degli uomini da quella degli animali e dall’ambiente. L’esperienza di questi anni, con l’emergere di continue zoonosi, ci ricorda che siamo ospiti e non padroni di questo pianeta che ci impone di creare il giusto equilibrio tra le esigenze delle specie umana e della altre specie animali e vegetali che viaggiano insieme a noi in questa arca di Noè chiamata Terra”.

Ben vengano quindi i vaccini, le terapie geniche, le più raffinate cure farmacologiche, i presidi medici. Ma non rimuoviamo dalla nostra mente né le cause primarie di gran parte delle malattie virali, né le interrelazioni biologiche con le condizioni sociali e ambientali che aggravano la vulnerabilità delle persone. Pensiamo all’inquinamento dell’aria e dell’acqua, alla cattiva alimentazione, alle stressanti condizioni di vita e di lavoro che provocano disturbi cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, diabete, obesità e altre alterazioni psicofisiche.

Quest’anno è l’anno della COP 26, che si tiene con un anno di ritardo a Glasgow e a Milano. Una conferenza decisiva se si vogliono raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (2015) di contenimento dell’aumento della temperatura di 1,5 gradi. Quest’anno si svolgerà in Cina anche la 15° Conferenza sulla salvaguardia della diversità biologica. Il ripristino del buon funzionamento dei sistemi naturali, la rigenerazione dei suoli degradati, l’agroecologia sarebbero la soluzione ideale, perché basata sulla natura, anche per riassorbire al suolo l’anidride carbonica. É stato calcolato che risanare il 30 per cento di praterie, zone umide e savane, lasciando che la natura si riprenda i propri spazi, salverebbe il 70 per cento degli animali a rischio di estinzioni e consentirebbe di assorbire la metà delle emissioni la metà delle emissioni di CO2 accumulate nell’atmosfera dall’inizio della rivoluzione industriale. Ma le soluzioni più semplici ed economiche non sono gradite dalle oligarchie mondiali che dominano l’economia che preferiscono giocare al dottor Frankenstein avanzando prepotentemente soluzioni azzardate di geoingegneria come lo sono le tecniche di cattura, confinamento, stoccaggio nel sottosuolo dell’anidride carbonica emessa dalle centrali termoelettriche e dai grandi impianti industriali. Un trucco e un diversivo per non cambiare nulla e per guadagnarci pure.

Attenzione dunque alle furbizie semantiche che si nascondono dietro un mare di retorica “green”. Dire “emissioni zero” (entro, se non prima del 2050) è diverso da “neutralità climatica” o da “emissioni nette negative”. Un conto è smettere di bruciare combustibili fossili, un altro paio di maniche è nascondere sotto terra un gas tossico e corrosivo come la CO2. L’Eni (industria di stato) vuole creare sotto l’Adriatico un gigantesco stoccaggio di anidride carbonica liquefatta. Un pericolo enorme, una bomba ecologica ad orologeria che, per di più, pregiudica le strategie di una vera decarbonizzazione.

Confesso che spesso colgo anche nelle persone più coscienti e impegnate un senso di sconforto e di impotenza. Quali altri disastri devono ancora accadere perché possano saltare quei “lucchetti” (indicati dal Memorandum) che impediscono il cambiamento? Cosa possiamo fare noi, se non sono bastati gli scienziati del clima, i medici, i biologi? Se non è bastata un’enciclica rivoluzionaria come la Ludato si’? Se non sono bastate le parole puree e indignate di una ragazzina che si chiama Greta?

Forse, quel che manca ancora, siamo proprio noi. É la capacità dei movimenti, delle associazioni, dei gruppi della cittadinanza attiva di mettersi assieme e diventare popolo della Terra. Cittadine e cittadini planetari, ma con i piedi ben radicati per terra. Capaci di prendersi cura dei nostri simili e di ogni forma di vita di questo meraviglioso mondo.

*La proposta del “Memorandum dei cittadini” è stata fatta inizialmente dall’Agorà degli Abitanti della Terra (AAT, rete internazionale promossa tra gli altri da Riccardo Petrella) in vista del Vertice Mondiale della Salute del G20 in Italia, e sostenuta da transform.it e transform.eu. Grazie al loro sostegno è stata costituita una piattaforma collaborativa, l’Iniziativa Move UP 2021, cui hanno aderito altre associazioni quali Medicina democratica, la Società della cura, Laboratorio Sud, The Last 20… Il “Memorandum” è stato sottoscritto da circa quaranta persone e associazioni. La redazione finale del documento ha beneficiato di vari contributi individuali e di gruppo in Italia (tra cui quelli di Paolo Cacciari e del Monastero del Bene Comune) e in altre regioni del mondo.

Paolo Cacciari


fonte: comune-info.net/


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G20: firmato accordo quadro contro l’inquinamento da plastica negli oceani

Riuniti a Karuizawa, in Giappone, i 20 Ministri dell’Ambiente hanno sottoscritto un accordo internazionale non vincolante per condividere informazioni e misure di contenimento all’inquinamento nei mari




















Un nuovo accordo internazionale per combattere l’inquinamento da plastica negli oceani, condividere strategie e azioni vincenti in merito e ridurre i consumi: è il risultato della due giorni che ha visto riuniti i Ministri dell’Ambiente e dell’Energia del G20 a Karuizawa, nella Prefettura di Nagano, in Giappone.

L’accordo non vincolante prevede soprattutto la condivisione d’informazioni, piani, misure e best practice per combattere e ridurre l’inquinamento da plastica nei mari tra le 20 Nazioni firmatarie.
Allo stesso tempo, il quadro di collaborazione stipulato a Karuizawa chiama alla collaborazione internazionale in una serie di aree produttive collegate all’utilizzo di plastica e corresponsabili dell’inquinamento marino: in particolare, nel documento sottoscritto dai Ministri dell’Ambiente del G20 si fa menzione a un uso più efficiente delle risorse naturali, allo sviluppo di tecnologie e metodologie innovative nella gestione dei rifiuti e nel trattamento delle acque, e all’incentivazione di prodotti ecosostenibili.

L’accordo non fa diretto riferimento al divieto di particolari tipologie di prodotti in plastica monouso, sulla scorta di quanto approvato dall’Unione europea lo scorso marzo, ma invita comunque i Paesi firmatari ad impegnarsi per contenere la produzione di prodotti “non necessari.
Il G20 riunisce i rappresentati di Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Sud Corea, Turchia, Unione Europea: una comunità eterogenea con diversi livelli di sviluppo e benessere economico e sociale. Di qui la difficoltà di varare piani operativi che valgano per tutti i firmatari dell’accordo (che ricordiamo non è vincolante) e la scelta di fissare “solamente” obiettivi e standard comuni.

“Sono felice che, insieme a nazioni emergenti e in via di sviluppo, siamo riusciti a raggiungere un accordo quadro internazionale”, ha commentato il Ministro dell’Ambiente giapponese, Yoshiaki Harada.

“Nel documento finale del G20 c’è un impegno della comunità internazionale a lottare contro l’inquinamento da plastica nei mari – scrive in una nota stampa il Ministro dell’Ambiente italiano, Sergio Costa – È un buon risultato, un importante primo passo che adesso dovrà essere sostanziato da azioni concrete e da impegni sempre più stringenti. È arrivata l’ora di uscire dall’era del Plasticocene, (Plastic age) l’era dominata dalla plastica usa e getta e lo si può fare solo lavorando tutti insieme”.
L’accordo arriva a pochi giorni dall’annuncio del Giappone che, sulla scia di quanto fatto dal Regno Unito, ha fissato l’obiettivo di decarbonizzazione di industria e società entro la seconda metà del secolo. A fine mese, tra il 28 e il 29 giugno, la città di Osaka ospiterà i grandi del mondo, in una nuova riunione del G20, stavolta con la presenza dei Capi di Stato.

In un comunicato disgiunto, i Ministri dell’Energia riuniti a Karuizawa hanno lanciato un appello per garantire maggiore sicurezza agli approvvigionamenti energetici, tema particolarmente caldo dopo i recenti attacchi a due petroliere a largo dello Stretto di Hormuz, e soprattutto maggiori investimenti in fonti rinnovabili, idrogeno in particola modo (su cui il Giappone punta in particolar modo per ridurre la propria dipendenza da carburanti fossili).

Nessuna indicazione sul fronte dell’abbandono delle energie fossili: mentre i Ministri dell’Energia del G20 invitano ad aumentare l’utilizzo di gas naturale (che produce meno emissioni del carbone ma è tutt’altro che una fonte “pulita), gli unici riferimenti alla lotta alle emissioni sono arrivate dall’incentivo a sviluppare tecnologie di Cattura e Stoccaggio del Carbonio (CCS) e di Cattura e Utilizzo del Carbonio (CCU).
Entro la fine dell’anno, presumibilmente in autunno, i Ministri dell’Ambiente si dovrebbero riunire nuovamente, sempre in Giappone, per il G20 Resource Efficiency Dialogue: in quell’occasione dovrebbero essere presentate alcune delle azioni concrete frutto dell’accordo stipulato a Karuizawa.

fonte: www.rinnovabili.it

Sovvenzioni ai combustibili fossili, investitori al G20: “Stop entro 2020”

Sottoscritta da 9 grandi investitori una dichiarazione congiunta in cui si chiede ai leader mondiali riuniti al G20 lo stop, graduale, ma definitivo entro il 2020, alle sovvenzioni ai combustibili fossili, per evitare gravi rischi finanziari a livello globale
















Evitare gravi rischi finanziari fissando al 2020 la scadenza per le sovvenzioni ai combustibili fossili. È questa la richiesta avanzata da un gruppo di investitori ai leader mondiali del G20, da domani fino a sabato 1 dicembre riuniti in Argentina, che, in una lettera congiunta, spiegano a quali gravi rischi è sottoposto il settore finanziario globale se tali sovvenzioni non vengono gradualmente, ma definitivamente eliminate, e invita i governi a stabilire un calendario rigoroso per porre fine a tutte le forme di sostegno statale ai combustibili fossili entro e non oltre il 2020.
Nella dichiarazione congiunta, firmata da 9 grandi investitori (Aviva, Glenmont Partners, Environment Agency Pension, FundCCLA Investment Management, Earth Capital, Joseph Rowntree Charitable trust, Sarasin & Partners, USS, WHEB Asset Management), si spiega come le continue sovvenzioni ai combustibili fossili aumentino il rischio di creare attività inutilizzate all’interno del settore energetico e diminuiscano la competitività di industrie chiave, compresa l’economia verde. Tali sostegni finanziari, inoltre, sono inefficienti dal punto di vista economico: “Creano un peso significativo sui bilanci pubblici – si legge nella lettera – perpetuano la disuguaglianza dei redditi avvantaggiando i consumatori più ricchi senza riuscire a soddisfare il fabbisogno energetico di coloro che non hanno accesso all’energia e danneggiano la salute pubblica aumentando l’inquinamento atmosferico”. Da qui la richiesta di scadenze concrete e ambiziose per riformare tutte le forme di sovvenzioni ai combustibili fossili, abbinate a una giusta transizione per i lavoratori nei settori dei combustibili fossili e allo sviluppo di uno scenario di decarbonizzazione allineato all’Accordo di Parigi.

I nove firmatari sono fermamente convinti che le azioni dei governi del G20 siano fondamentali per gli investitori che cercano di passare a un’economia a basse emissioni di carbonio e potrebbero aiutare a spingere gli investimenti privati verso l’energia pulita. Eliminare le sovvenzioni ai combustibili fossili ritengono che sia uno dei metodi più efficaci per ridurre le emissioni di gas serra e mobilitare gli investimenti verdi.

fonte: www.rinnovabili.it

Riscaldamento del pianeta, “minaccia per l’umanità mai così grave”

L’allarme è stato lanciato dalla responsabile Clima dell’Onu, Patricia Espinosa, in apertura conferenza Cop24 in Polonia















La minaccia per l’umanità che arriva dal riscaldamento del pianeta «non è mai stata così grave», e questo deve spingere a «fare molto di più». È il messaggio lanciato dalla responsabile Clima dell’Onu, Patricia Espinosa, all’apertura della conferenza Cop24 a Katowice, in Polonia. «Quest’anno sarà probabilmente uno dei quattro anni più caldi mai registrati. L’impatto del cambiamento climatico non è mai stato peggiore. Questa realtà ci dice che dobbiamo fare molto di più, la Cop24 deve renderlo possibile», ha sostenuto di fronte ai rappresentanti di 195 Paesi. 

Il summit sul clima ospitato in Polonia arriva in un momento cruciale, con i Paesi più poveri che fanno pressioni affinché quelli più ricchi e sviluppati onorino le promesse fatte a Parigi nel 2015 quando si impegnarono a mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, puntando a limitarlo a 1,5 C. Gli effetti del cambiamento climatico sono già visibili, con incendi letali, ondate di calore e uragani resi più distruttivi dall’innalzamento dei mari. 

I presidente delle precedenti conferenze hanno esortato gli Stati a intraprendere «un’azione decisa per affrontare queste minacce urgenti». «Gli impatti del cambiamento climatico stanno aumentando a un punto difficile da ignorare», ha sottolineato in un comunicato congiunto, chiedendo «profonde trasformazioni alle nostre economie e società». 

Il 2018 era stata allora indicata come scadenza per adottare un programma di lavoro per attuare gli impegni presi: da qui, la necessità in occasione della riunione a Katowice che i 183 paesi firmatari adottino una serie di regole accettabili per tutti. Un obiettivo lontano dall’essere raggiunto, anche alla luce dell’uscita unilaterale degli Stati Uniti dall’intesa. Una decisione che è stata ribadita ieri nel documento finale della riunione del G20 a Buenos Aires, nel quale tuttavia si è anche fatto riferimento all’accordo di Parigi come «irreversibile». 

Uno dei nodi principali è come finanziare la lotta al cambiamento climatico: i Paesi sviluppati si sono impegnati a mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per finanziare le politiche delle nazioni in via di sviluppo. Nonostante i flussi di denaro stiano aumentando secondo l’Ocse, molti Paesi del Sud chiedono impegni più chiari per mantenere questa promessa. 

fonte: https://www.lastampa.it

Eliminare i sussidi alle fossili salverebbe in Italia 3.200 vite ogni anno

L'eliminazione delle sovvenzioni ai combustibili fossili in Italia ridurrebbe del 10,8% le morti attualmente causate dall'inquinamento atmosferico. Da noi il costo sanitario legato alle fossili è di circa 10 mld di euro all’anno: 2,8 volte rispetto ai 3,5 mld spesi dallo Stato sotto forma di incentivi alle fossili.























L'eliminazione delle sovvenzioni ai combustibili fossili in Italia potrebbe ridurre del 10,8% le morti attualmente causate dall'inquinamento atmosferico.
È quanto emerge dal nuovo rapporto “Hidden Price Tags: come la fine dei sussidi per le fonti fossili beneficerebbe la nostra salute” (allegato in basso), pubblicato dall’Health and Environment Alliance (HEAL).
La combustione dei combustibili fossili, petrolio, carbone e gas, sta determinando non solo il cambiamento climatico con conseguenze disastrose a livello planetario, ma ha anche notevoli ripercussioni sulla nostra salute.
Ogni anno l'uso di fonti fossili accorcia la vita di circa 6,5 milioni di persone in tutto il mondo a causa di infezioni respiratorie, ictus, attacchi cardiaci, cancro ai polmoni e malattie polmonari croniche.
Secondo l'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), è la generazione di energia a carbone che provoca quasi la metà dell'inquinamento atmosferico ambientale; mentre la restante metà è attribuita a petrolio e gas.
Nonostante una crescente consapevolezza del danno ambientale e climatico causato dai combustibili fossili e degli impegni di alto livello necessari per guidare il mondo verso un percorso di decarbonizzazione, i governi continuano a erogare miliardi di fondi pubblici per sostenere la produzione di petrolio, gas e carbone (inclusi anche i sussidi al diesel).
Eppure già nel 2009, a Pittsburgh, i leader del G20, i venti paesi economicamente più potenti del mondo avevano accettato di porre fine alle sovvenzioni per i combustibili fossili e si erano impegnati a ridurli gradualmente, fino a eliminarli (QualEnergia.it, G20, sussidi pubblici alle fossili battono quelli per le rinnovabili 4 a 1).
In Italia nel 2013 erano 29.482 le morti premature attribuite all’inquinamento atmosferico (fonte: Narain, U. et al. - 2016. The cost of air pollution: Strengthening the case for economic action. A World Bank/Institute for Health Metrics and Evaluation report). Ridurre del 10,8% i decessi connessi all’inquinamento atmosferico significa quindi salvare quasi di 3.200 vite.




Ma il danno è anche di natura economica: la stima del costo sanitario legato alle fossili si aggira intorno ai 10 miliardi di dollari all’anno.
Ciò significa 2,8 volte rispetto ai 3,5 miliardi di $ spesi dallo Stato sotto forma di incentivi alle fossili nel 2014 (ultimo dato disponibile).
Sussidi che peraltro potevano essere utilizzati per altri scopi, dalla riconversione energetica dei nostri edifici pubblici e privati alla manutenzione del fragile paesaggio italiano, fino ad investire per migliorare le prestazioni sanitarie.
A livello internazionale però la situazione non è migliore. In Europa, dove i costi sanitari legati all’uso dei fossili sono stimati in quasi 300 miliardi di dollari, l’Italia è seconda alla Germania per morti collegate all’inquinamento atmosferico: 41.485 decessi e il 25% di questi si potrebbe evitare solo eliminando i sussidi e mettendo delle tasse correttive a carbone, gas e petrolio.
Nel Regno Unito i costi sanitari derivanti dall'inquinamento atmosferico con combustibile fossile sono quasi 5 volte superiori alle sovvenzioni pagate.
In Cina, le cifre sono ovviamente molte più alte: la stima è di 1.625.164 morti connesse all’inquinamento atmosferico; di queste, il 66% potrebbero essere evitate con un taglio totale ai sussidi alle fonte sporche. La perdita economica nel paese asiatico è stato calcolata in 1.785,4 miliardi di dollari, a fronte di 96,5 miliardi di $ sussidi: un danno di circa 19 volte la spesa iniziale per le sovvenzioni alle fonti fossili.
Solo i governi dei G20 hanno versato nel 2014 circa 444 miliardi di dollari in sovvenzioni pubbliche alle società di combustibili fossili, mentre l'utilizzo di combustibili fossili ha determinato costi sanitari stimati di almeno sei volte questo importo: 2.760 miliardi di dollari (2,6 mld di euro).
Nella tabella le stime rilevate dal rapporto di HEAL per i paesi del G20 (nell’ultima colonna le altre esternalità negative legate alle fonti fossili)






La questione è dunque pressante e attuale e i politici devono ancora passare dalle parole alle azioni. Le nazioni del G20 continuano a spendere preziosi soldi pubblici per la produzione di fonti fossili, ma persino per cercare nuovi giacimenti.
I cittadini stanno pagano quindi due volte: per le sovvenzioni, elargite con denaro pubblico, e per il danno arrecato alla loro salute.


fonte: www.qualenergia.it

I contributi alle fonti fossili minacciano l’Accordo di Parigi

Italia ottava in classifica: tra il 2013 e il 2015, 2,1 miliardi di dollari all'anno ai combustibili fossili




 















Secondo i dati diffusi oggi dal rapporto internazionale “Talk is Cheap: How G20 Governments are Financing Climate Disaster”, al quale ha collaborato anche Legambiente per la parte dei dati italiani, «Nonostante gli Accordi sul clima di Parigi e gli impegni presi per contrastare i cambiamenti climatici, i Paesi del G20 continuano ad incentivare l’uso dei combustibili fossili fornendo quasi quattro volte più fondi pubblici a questo settore che alle energie rinnovabili». Il rapporto di Oil Change International, Friends of the Earth Usa, Sierra Club e Wwf european policy office, sottolinea che «Tra il 2013 e il 2015 i finanziamenti pubblici che gli Stati del G20 hanno destinato alle fonti fossili si attestano a 122,9 miliardi di dollari l’anno».
Legambiente  che anche l’Italia ha dato il suo contributo: «In tre anni (2013-2015) la Penisola attraverso SACE e CDP2 ha destinato con 21 progetti ben 2,1 miliardi di dollari medi annui ai combustibili fossili contro i 123 milioni di dollari l’anno destinati alle energie pulite, piazzandosi all’ottavo posto nella classifica per finanziamenti pubblici a sostengo dei combustibili fossili e risultando tra i paesi peggiori, insieme alla Germania, per la mancata corrispondenza tra lotta ai cambiamenti climatici ed i finanziamenti pubblici. In particolare l’Italia, sebbene nell’ambito della sua presidenza del G7 abbia promosso un’agenda per allineare la finanza bancaria multilaterale di sviluppo con gli obiettivi degli accordi di Parigi, ha dimostrato fino adesso scelte e fatti ben diversi».
Ma anche la Germania, che si atteggia a prima antagonista di Trump, tra il 2013 e il 2015 ha elargito 3,5 miliardi di dollari all’anno per i combustibili fossili contro i 2,4 miliardi di dollari all’anno per l’energia pulita. Nel 2016, il governo tedesco ha dichiarato che le banche multilaterali di sviluppo «dovrebbero chiaramente impegnarsi a concludere il finanziamento dei progetti di combustibili fossili», ma gli ambientalisti fanno notare che questo  non è ancora avvenuto. Per questo, in vista del G20 di Amburgo in programma nei prossimi giorni dove si discuterà anche della questione clima, Legambiente lancia oggi un appello chiedendo ai Paesi del G20 e, in particolar modo all’Italia, «massima trasparenza e azioni concreti per definire un’agenda ambientalista efficace che preveda, tra i primi interventi da attuare, l’eliminazione entro il 2020 di tutti i sussidi alle fonti fossili. Cambiare modello energetico per ridurre il consumo di petrolio, carbone, gas deve essere una assoluta priorità».
Per Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente, «E’ ora di dire basta alle ipocrisie e di cancellare i sussidi alle fonti fossili, spostando le risorse verso  l’innovazione ambientale e l’efficienza energetica – Al G20 di Amburgo i grandi della terra dimostrino con azioni concrete il loro impegno per il clima a partire dalla eliminazione entro il 2020 di tutti i sussidi alle fonti fossili per fermare la crescita delle emissioni di gas serra e contenere entro i 2°C l’aumento della temperatura globale. L’Italia, in questa partita faccia la sua parte, ben venga la conferma di uscire dal carbone entro il 2030, ma nella SEN si inserisca anche la cancellazione di tutti i sussidi alle fonti fossili – tema sorvolato dal documento – e si rilanci sempre di più, con strumenti concreti e puntuali, il settore delle energie rinnovabili. È inoltre importante promuovere l’efficienza energetica e replicare su tutto il territorio nazionale quelle buone pratiche promosse da comuni e aziende virtuose, che in questi anni hanno deciso di investire su modelli energetici sostenibili e innovativi consentendo alle famiglie di risparmiare anche in bolletta».
Il Cigno Verde ricorda che «Tutte le ricerche scientifiche mostrano un’urgente necessità di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5° C per evitare gravi ripercussioni su persone ed ecosistemi. Recenti analisi mostrano inoltre come anche soltanto continuando ad utilizzare le attuali risorse di petrolio e gas, negli impianti già in esercizio, e considerando l’estrazione del carbone completamente esaurita, il Pianeta si riscalderà ben oltre gli 1,5° C consigliati. Le potenziali emissioni di CO2 provenienti da tutti i combustibili fossili negli impianti e nelle miniere già operanti al mondo ci porterebbero infatti ben oltre i 2° C».
Dal rapporto emerge che il Giappone rimane il principale finanziatore per i combustibili fossili – petrolio, gas e carbone – con 16,5 miliardi di dollari l’anno stanziati tra il 2013 e il 2015 rispetto a 2,7 miliardi di dollari l’anno a sostegno dell’energia pulita. Al secondo posto, la Cina con 13,5 miliardi di dollari annui di fondi pubblici per i combustibili fossili rispetto a meno di 85 milioni di dollari ogni anno per le energie rinnovabili. Terza la Corea del sud  con 8,9 miliardi di dollari l’anno rispetto a soli 92 milioni di dollari ogni anno per le rinnovabili. Seguono gli Usa con 6 miliardi di dollari annui dal 2013 al 2015, rispetto ad 1,3 miliardi all’anno per l’energia pulita. Inoltre, nello stesso periodo le compagnie statunitensi hanno ricevuto 17,5 miliardi di dollari di finanziamenti per combustibili fossili provenienti da altri Paesi del G20. Poi ci sono  Germania e Canada , con 3 miliardi di dollari annui destinati a petrolio, gas e carbone rispetto ai soli 171 milioni di dollari l’anno per le rinnovabili, e il Brasile. L’Italia è all’ottavo posto, con i i progetti da fonti fossili sono SACE (Servizi assicurativi e finanziari per export e internazionalizzazione) e CDP (Cassa depositi e prestiti). «La prima  – evidenzia il Cigno Verde – entra nella Top10 dei maggiori finanziatori del G20, attraverso meccanismi di garanzia per un ammontare tra il 2013 e il 2015 di 6.622 milioni di euro».

fonte: www.greenreport.it

G20: ancora mld di incentivi pubblici ai combustibili fossili

In vista del vertice di Amburgo, 4 ONG internazionali ricordano al mondo quanti finanziamenti pubblici si stanno ancora spendendo per l’energia sporca


















Ai combustibili fossili 4 volte gli incentivi delle rinnovabili

Una delle tensioni che accenderanno il prossimo G20 di Amburgo, riguarderà da vicino la questione climatica. Il ritiro degli USA dall’Accordo di Parigi, le prese di posizione  – più o meno ferme – delle altre potenze mondiali, gli ultimatum del mondo scientifico e le proteste della società civile stanno scaldando un clima già oggi  bollente. Ma a chi si aspetta un scontro “a due”, con le istanze di Donald Trump da un lato, l’impegno ambientale delle 19 potenze mondiali dall’altro è fuori strada. Dietro le altisonanti affermazioni di Merkel, Macron e Abe – solo per citare gli ultimi che hanno ribadito che sul Paris Agreement “non si torna indietro – c’è un gruppo di nazioni che continua a finanziare generosamente i combustibili fossili. Parliamo di miliardi e miliardi di incentivi pubblici.

Un nutrito gruppo di ong ambientali ha quantificato questi sussidi in un nuovo report in cui spiega: i governi del G20 stanno fornendo ai combustibili fossili quasi 4 volte i finanziamenti pubblici che oggi sostengono l’energia pulita. Dal 2013 al 2015 le venti potenze hanno fornito circa 71.8 miliardi di dollari l’anno nella produzione di energia “sporca”. C’è da dire che l’Accordo sul Clima è stato raggiunto solo a dicembre 2015 e ratificato l’anno successivo, ma da allora oggi sono pochi i cambiamenti apprezzabili.

Uno degli elementi più interessanti del report riguarda la spesa per le attività di esplorazione di nuove riserve di petrolio, gas e carbone, in media 13.5 miliardi di dollari all’anno. Chiara evidenza di una volontà a proseguire sulla stessa strada, nonostante i vari appelli del mondo scientifico a non toccare le nuove riserve fossili per evitare peggioramenti dei cambiamenti climatici.

I leader del G20 hanno la possibilità di parlare di clima, ma è chiaro che le loro parole non valgono nulla”, commenta Kate DeAngelis di Friends of the Earth Usa, una delle ONG che ha redatto il report. “Mentre da un lato lodando gli investimenti nelle energie rinnovabili nei propri confini nazionali, hanno miliardi di dollari investiti in progetti a base di combustibili fossili sporchi nei paesi in via di sviluppo”.

Quanto spende l’Italia per l’energia sporca?

Legambiente ha curato la parte dei dati italiani. Anche il Bel Paese ha dato il suo contributo: nello stesso lasso di tempo attraverso SACE e CDP abbiamo destinato ben 2,1 miliardi di dollari medi annui ai combustibili fossili contro i 123 milioni di dollari l’anno destinati alle energie pulite, piazzandoci all’ottavo posto in classifica.
“È ora di dire basta alle ipocrisie e di cancellare i sussidi alle fonti fossili, spostando le risorse verso  l’innovazione ambientale e l’efficienza energetica – dichiara Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – Al G20 di Amburgo i grandi della terra dimostrino con azioni concrete il loro impegno per il clima a partire dalla eliminazione entro il 2020 di tutti i sussidi alle fonti fossili per fermare la crescita delle emissioni di gas serra e contenere entro i 2°C l’aumento della temperatura globale. L’Italia, in questa partita faccia la sua parte, ben venga la conferma di uscire dal carbone entro il 2030, ma nella SEN si inserisca anche la cancellazione di tutti i sussidi alle fonti fossili – tema sorvolato dal documento – e si rilanci sempre di più, con strumenti concreti e puntuali, il settore delle energie rinnovabili”.

fonte: www.rinnovabili.it