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COP25 sul clima: l’ONU annuncia la roadmap

Nel corso del 2019, e prima della COP25, i rappresentanti degli Stati membri saranno coinvolti in alcuni eventi chiave, che puntano a raddoppiare gli impegni e le ambizioni a livello nazionale e ad assicurare l’inclusione di diversi gruppi nel processo di azione per il clima

















Il 2019 sarà un anno critico per l’azione climatica per questo le Nazioni Unite, in vista della COP25, in programma per il prossimo settembre in Cile, annunciano una roadmap per arrivare preparati a uno degli eventi più importanti sul clima a livello globale. Il Presidente dell’Assemblea Generale dell’ONU, Maria Fernanda Espinosa, ha dichiarato che, con l’imminente scadenza del raggiungimento dei primi obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, che per il Segretario Generale António Guterres è “il piano delle Nazioni Unite per la pace, la giustizia e la prosperità su un pianeta sano”, il mondo si trova a un bivio. Due terzi di questi obiettivi, ha riferito la Espinosa, dipendono dagli obiettivi climatici e ambientali ed è necessario che gli impegni per raggiungere quanto stabilito dagli Accordi di Parigi del 2015 su gestione delle emissioni di gas a effetto serra, mitigazione, adattamento e finanziamento, che entreranno in vigore nel 2020, vengano almeno quintuplicati.

Nel corso del 2019, e prima della COP25, i rappresentanti degli Stati membri saranno coinvolti in alcuni eventi chiave, che puntano tutti a raddoppiare gli impegni e le ambizioni a livello nazionale e assicurare l’inclusione di diversi gruppi nel processo di azione per il clima. Il 28 marzo si svolgerà l’Assemblea generale ad alto livello sul clima e lo sviluppo sostenibile per tutti, che intende consolidare il successo della COP24 di Katowice e il regolamento stabilito in quella sede per segnalare le emissioni e i progressi compiuti nel loro taglio, ogni anno a partire dal 2024; l’incontro accoglierà i rappresentanti del settore privato, della società civile e dei giovani, gruppo, quest’ultimo, per la Espinosa ricco di entusiasmo e che sarà maggiormente colpito da un mondo in riscaldamento. Il 30 giugno, invece, è in programma un evento di “inventario” ad Abu Dhabi, seguito da un forum politico di alto livello, durante il quale si procederà a un riesame dei progressi compiuti nella realizzazione dell’obiettivo di sviluppo sostenibile 13 (“azione urgente per combattere i cambiamenti climatici e il suo impatto”). L’anno sarà completato dalla Conferenza sul clima COP25 del 2019, che si svolgerà in Cile. 

Come sostenuto dalla Espinosa, il multilateralismo è l’unico strumento efficace per combattere il cambiamento climatico, che è una delle principali sfide del mondo e può essere superato solo con contributi costruttivi da parte di tutti. “Se vuoi andare veloce – ha detto la Espinosa, concludendo con un proverbio – vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme. Viaggiamo insieme su questa strada”.

L’ambasciatore Luis Alfonso de Alba, l’inviato speciale dell’ONU che fornirà leadership, guida e direzione strategica al vertice sul clima 2019 e coinvolgerà i leader strategici dei cambiamenti climatici, inclusi i governi e le coalizioni, per stimolare l’azione climatica in vista dell’evento, ha aggiunto che il mondo sta cadendo ben al di sotto degli obiettivi di lotta al cambiamento climatico, con solo circa un terzo del lavoro necessario attualmente completato, e ha chiesto un aumento delle ambizioni, ricordando ai delegati che sono rimasti solo tra 10 e 12 anni per raggiungere gli obiettivi. L’inviato speciale ha aggiunto che, nonostante le sfide, deve essere dato un segnale ottimistico: è possibile contrastare il cambiamento climatico, godere della crescita economica e sradicare la povertà.

fonte: www.rinnovabili.it

Piccoli attivisti crescono: “Il mondo lo salveremo noi”

Dalla plastica al clima, scendono in campo i giovanissimi paladini dell’ambiente. Che accusano: “Voi adulti non avete scuse, noi non abbiamo più tempo”
















Loro non aspettano. Né di crescere né tanto meno che siano gli adulti a prendere in mano il loro futuro. Sono tutti giovanissimi, alcuni ancora bambini, ma hanno già le idee chiare su come salvare il mondo. Sono i piccoli grandi eco guerrieri del Pianeta, adolescenti di ogni latitudine che combattono con messaggi e idee concrete per proteggere l’ambiente, perché come ha detto una di loro, la quindicenne Greta Thunberg parlando davanti ai delegati Onu, «non si è mai troppo piccoli per fare la differenza».

Lo sa bene Nadia Sparkes, 13 anni, inglese della zona di Norfolk. Ogni mattina esce di casa un’ora prima della campanella e inforca la sua bici rossa pedalando lenta verso la scuola: a ogni rifiuto incontrato per terra si ferma per raccoglierlo nel suo cestino. Sta attenta soprattutto alla plastica, ai monouso, ai palloncini, che come scrive sui social «poi finiscono in mare e contribuiscono alla morte degli animali». Non è stato facile per lei: i compagni di scuola hanno iniziato a chiamarla trash girl (ragazza spazzatura), bullizzandola. Lei li ha vinti: ha trasformato quel soprannome nel suo simbolo, con tanto di fumetto, e creato una comunità di 4000 ambientalisti che la affianca. Oggi è ambasciatrice del Wwf.


Piccoli attivisti crescono: “Il mondo lo salveremo noi”
Josè Adolfo Quisocala

Anche il piccolo José Adolfo Quisocala, ora 13enne, era vittima delle prese in giro dei compagni. A sette anni il peruviano di Arequipa sognava in grande, preferendo lo sviluppo delle sue idee ai giochi di gruppo. Voleva trovare un sistema per aiutare gli altri bambini e anche l’ambiente: lo ha scovato a 10 anni quando ha fondato il Banco dell’Estudiante. La sua banca ha come moneta corrente i rifiuti riciclabili: i piccoli fra i 10 e i 18 anni raccolgono bottiglie di plastica e altro materiale e alla consegna in cambio vengono versati soldi sui loro conti correnti da usare per l’istruzione futura. «Noi bambini possiamo realizzare il grande cambiamento di cui l’ambiente necessita», ha detto Josè quando ha vinto il Children’s Climate Prize 2018.


Piccoli attivisti crescono: “Il mondo lo salveremo noi”
Felix Finkbeiner

Un cambiamento che è già visibile in 15 miliardi di alberi. Sono quelli nati grazie al progetto di Felix Finkbeiner, tedesco, oggi ventunenne. Quando aveva appena 9 anni rimase così affascinato dalla descrizione degli alberi e della fotosintesi che decise di piantarne uno nel giardino della scuola. Da allora non si è mai fermato, ha creato il movimento Plant for de Planet e incoraggiato i cittadini del mondo a piantare alberi in tutta la Terra. «Adesso puntiamo a piantarne 1000 miliardi. Sono convinto che entro il 2020 possiamo riuscirci. Se ognuno di noi ne piantasse uno al giorno grazie all’assorbimento di CO2 si aiuterebbe il Pianeta contro il global warming. Lo stiamo chiedendo ai cittadini, alle multinazionali, ma soprattutto lo insegniamo ai bambini: è da lì che parte la rivoluzione».

Carter e Olivia Ries invece volevano piantare il seme della speranza. Oggi sono quasi maggiorenni ma allora, nel 2009, ad appena otto anni, questi due fratelli americani fondarono l’associazione One More Generation per sensibilizzare i ragazzi (e non solo) a proteggere le specie a rischio estinzione. Ora la nuova attenzione è per i mari ostruiti dalla plastica e con “One Less Straw” cercano di convincere gli americani a trovare alternative ai 500 milioni di cannucce di plastica consumate ogni giorno negli States. In Italia sono i testimonial della campagna anti plastica dell’Area marina protetta di Gaiola, nel napoletano.


Piccoli attivisti crescono: “Il mondo lo salveremo noi”
Greta Thunberg

E poi c’è Greta Thunberg. Da settembre la quindicenne svedese fa lo sciopero della scuola contro le scarse politiche anti cambiamento climatico. Il suo discorso durante il Cop24 in Polonia oggi è virale, condiviso da milioni di persone e le sue parole, di una teenager che si rivolge agli adulti, sono il perfetto simbolo di tutti i piccoli eco guerrieri.
«Nel 2078 - dice - festeggerò il mio settantacinquesimo compleanno. Se avrò dei bambini probabilmente un giorno mi faranno domande su di voi. Forse mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando era ancora il tempo di agire... Voi non avete più scuse e noi abbiamo poco tempo».


fonte: www.repubblica.it

Cop24, Greenpeace: 'Il summit si conclude senza impegni chiari ad aumentare le azioni sul clima'

"Un anno di disastri climatici e il terribile monito lanciato dai migliori climatologi dovevano condurre a risultati molto più incisivi" afferma Jennifer Morgan, Direttrice Esecutiva di Greenpeace International "Invece i governi hanno deluso i cittadini e ignorato la scienza e i rischi che corrono le popolazioni"




















Nonostante solo due mesi fa l’IPCC abbia lanciato un chiaro allarme, affermando che restano a disposizione solo dodici anni per salvare il clima del Pianeta, la COP24 di Katowice si è conclusa oggi senza nessun chiaro impegno a migliorare le azioni da intraprendere contro i cambiamenti climatici.
 Se è vero che la COP24 ha approvato un regolamento relativo all’applicazione dell’accordo di Parigi, a dispetto delle attese non è stato raggiunto alcun impegno collettivo chiaro per migliorare gli obiettivi di azione sul clima, i cosiddetti Nationally Determined Contributions (NDC).
«Un anno di disastri climatici e il terribile monito lanciato dai migliori climatologi dovevano condurre a risultati molto più incisivi», afferma Jennifer Morgan, Direttrice Esecutiva di Greenpeace International. «Invece i governi hanno deluso i cittadini e ignorato la scienza e i rischi che corrono le popolazioni più vulnerabili. Riconoscere l'urgenza di un aumento delle ambizioni, e adottare una serie di regole per l'azione per il clima, non è neanche lontanamente sufficiente allorquando intere nazioni rischiano di sparire».

Greenpeace esorta i governi ad accelerare immediatamente le azioni volte a ridurre le emissioni di gas serra e a dimostrare di aver ascoltato le richieste che arrivano dalla società. Il rapporto del IPCC è un campanello d’allarme che richiede azioni urgenti all’altezza delle minacce.


«Senza un'azione immediata, anche le regole più forti non ci porteranno da nessuna parte», continua Morgan. «Le persone si aspettavano azioni concrete da questa COP24, ma non è quello che emerge da quanto hanno deciso i governi. Ciò è moralmente inaccettabile e ora i leader globali dovranno farsi carico dell’indignazione delle persone e presentarsi al summit del Segretario generale delle Nazioni Unite, nel 2019, con obiettivi più ambiziosi sul clima».

Secondo l’organizzazione ambientalista, questa COP ha confermato l’irresponsabile distanza tra i Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici e coloro che continuano a bloccare un’azione decisa per il clima o che vergognosamente stanno agendo con lentezza.

Tra le poche note positive di questo summit c’è, per Greenpeace, l’adozione di una serie di regole (il cosiddetto “rulebook”) che se supportato da ambizioni adeguate può contribuire alla difesa del clima.

«Se Parigi ha dettato la strada, il rulebook adottato da questa COP è la tabella di marcia per arrivarci», dichiara Li Shuo di Greenpeace East Asia. «Ora disponiamo di una guida con regole comuni vincolanti per la trasparenza e la revisione degli obiettivi, utili per garantire che le azioni sul clima possano essere confrontate e per tener conto delle preoccupazioni dei Paesi vulnerabili. Completare il regolamento non solo dimostra la volontà delle grandi economie emergenti di fare di più, ma fornisce un palese sostegno al multilateralismo. Un segnale chiaro che definire regole comuni è ancora possibile nonostante la turbolenta situazione geopolitica. Queste regole forniscono ora una spina dorsale all'accordo di Parigi», conclude Shuo.

fonte: www.ecodallecitta.it

COP 24 sul clima: A Katowice si rincorre Parigi

In chiusura la prima settima di negoziati dell’UNFCCC: si lavora sul testo da presentare ai responsabili politici ma i temi finanziari rallentano i colloqui



















Giovedì 6 dicembre è ricorso un anniversario importante:  la giornata ha segnato i 30 anni da quando l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la sua prima risoluzione sui cambiamenti climatici, con cui è stata approvata l’istituzione del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (UNFCCC) La preoccupazione che emerge dal quel primo documento sulla “protezione del clima globale per le generazioni presenti e future dell’umanità” è la stessa che si respira oggi nell’International Conference Centre di Katowice, in Polonia, dove fino al 14 dicembre si tiene la 24esima Conferenza della Parti (COP24) sui cambiamenti climatici.

Da lunedì i delegati di quasi 200 Paesi sono a lavoro sul regolamento per l’attuazione del Paris Agreement, vale a dire un insieme di norme tecniche che ne garantisca l’entrata in vigore dal 2020. Si va dalle disposizioni riguardanti la trasparenza, la contabilità e la conformità degli impegni all’uso di meccanismi basati sul mercato, passando per la valutazione periodica dei progressi collettivi.
I negoziatori stanno finalizzando i vari contributi con l’obiettivo di ottenere un primo testo entro domani e riassumere il tutto in un documento di 300 pagine per i responsabili politici che affronteranno la seconda settimana del summit. Far convergere gli interessi di ogni parte in una posizione comune richiede un delicato gioco di equilibri, soprattutto se si pensa alle posizioni di potenze come Arabia Saudita, Stati Uniti e Brasile.
Anche per questo motivo, nei primi sei giorni di COP 24 i progressi negoziali sono molti ma lenti. Ora ad esempio, c’è una prima bozza su quello che dovrebbe esserci nei piani d’impegno climatico, i cosiddetti contributi determinati a livello nazionale (NDC): 9 pagine con 188 parentesi quadre (che indicano aree di disaccordo) che riportano ad oggi le principali caratteristiche degli NDC e il sistema di contabilizzazione, stando allanalisi di Carbon Brief. Manca invece un nuovo testo sui “tempi comuni” per gli impegni dei Paesi.

A frenare la spinta negoziale è però, in modo particolare, il tema della finanza climatica come spiega bene Climate Home News. Il problema principale è sempre lo stesso: gli aiuti ai Paesi poveri. L’originale testo di 19 pagine e 408 parentesi quadre è stato convertito in due distinte bozze di progetto per un totale di 11 pagine e 185 parentesi, con molti punti lasciati in sospeso.
La cosa certa è che le economie più ricche dovranno versare 100 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima, pubblici e privati, ​​a partire dal 2020. Quello che ancora non è chiaro è come gestire e rendicontare questo obbligo. Se da un lato alcuni dei Paesi in via di sviluppo vorrebbero che i fondi fossero stanziati assieme ai piani nazionali per il taglio delle emissioni, per gli Stati dell’Unione Europea e il resto delle economie sviluppate legare il proprio bilancio nazionale al diritto internazionale rimane un problema non da poco. Ma come ha ricordato ieri Gebru Jember Endalew, presidente delle delegazioni dei Paesi meno sviluppati “Rappresentiamo quasi un miliardo di persone, quelle meno responsabili dei cambiamenti climatici, ma tra le più vulnerabili ai suoi effetti. Più le nazioni povere dovranno aspettare il sostegno finanziario, maggiore sarà il costo”.

fonte: www.rinnovabili.it

COP 24: ecco il decalogo dell’ONU

Le Nazioni Unite hanno elaborato un utile decalogo su tutto quello che è necessario sapere sulla COP24, la Conferenza ONU sui cambiamenti climatici in programma a Katowice dal 2 al 14 dicembre


















Le Nazioni Unite hanno dato inizio alla COP 24, due settimane di negoziazioni per individuare e definire l’azione collettiva per contrastare i cambiamenti climatici, che si tiene all’International Congress Centre di Katowice fino al 14 dicembre 2018. Migliaia di leader mondiali, esperti, attivisti e rappresentanti del settore privato e della comunità locale si riuniranno in Polonia per elaborare un piano d’azione capace di realizzare gli impegni presi tre anni fa a Parigi da tutti i paesi del mondo. Per capire quale è la posta in gioco e cosa è importante sapere, le Nazioni Unite hanno elaborato un utile decalogo che vi riproponiamo.

1- Le basi: UNFCCC, UNEP, WMO, IPCC, COP 24, Protocollo di Kyoto, Accordo di Parigi…facciamo un po’ di chiarezza
Questi acronimi e i nomi rappresentano organismi e strumenti internazionali creati sotto la guida dell’ONU per contribuire a far progredire l’azione per il clima a livello globale, ognuno con un ruolo specifico e diverso, ma tutti focalizzati sul raggiungimento della sostenibilità ambientale. Nel 1992, le Nazioni Unite organizzarono un grande evento a Rio de Janeiro chiamato Vertice della Terra, nel quale fu adottata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). In questo trattato, le nazioni hanno accettato di “stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera” per prevenire pericolose interferenze da attività umane sul sistema climatico. Oggi il trattato ha 197 firmatari e tuutti gli anni, da quando è entrato in vigore nel 1994, si tiene una “conferenza delle parti”, la COP appunto, per discutere su come andare avanti. Finora ci sono state 23 COP; quella di Katowice, dunque, sarà la COP 24. Poiché l’UNFCCC aveva limiti non vincolanti per le emissioni di gas serra per i singoli paesi e nessun meccanismo di applicazione, sono state negoziate varie “estensioni” a questo trattato durante le diverse COP, tra cui il Protocollo di Kyoto del 1997, che definiva i limiti di emissione per le nazioni sviluppate da raggiungere entro il 2012, e l’accordo di Parigiadottato nel 2015, in cui tutti i paesi del mondo hanno concordato di intensificare gli sforzi per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto alle temperature preindustriali, e di promuovere finanziamenti per l’azione climatica. Due agenzie sostengono il lavoro scientifico delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici: il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e la World Meteorological Organization (WMO), che insieme, nel 1988, hanno creato l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), composto da centinaia di esperti impegnati nella valutazione dei dati e nell’individuazione di prove scientifiche affidabili per i negoziati sull’azione per il clima, compresi i prossimi di Katowice.

2- Ci sono state numerose conferenze ONU sull’argomento, ma quante hanno prodotto effettivi risultati?
Sono stati tutti incontri fondamentali per trovare un consenso globale su un problema che richiede una soluzione globale. Sebbene i progressi siano stati molto più lenti del necessario, il processo, tanto impegnativo quanto ambizioso, ha lavorato per portare tutti i paesi in circostanze molto diverse, insieme. I progressi sono stati fatti e alcune delle azioni concrete intraprese finora dimostrano una cosa: l’azione per il clima ha un reale impatto positivo e può davvero aiutarci a prevenire il peggio. Tra i risultati conseguiti ci sono: 57 paesi che sono riusciti a ridurre le loro emissioni di gas serra ai livelli richiesti per frenare il riscaldamento globale; almeno 51 iniziative di “carbon pricing”, grazie alle quali coloro che emettono biossido di carbonio pagano per ogni tonnellata emessa; 18 paesi ad alto reddito impegnati a donare 100 miliardi di dollari l’anno per l’azione per il clima nei paesi in via di sviluppo, con oltre 70 miliardi di dollari mobilitati finora.

3- Perché tutti parlano dell’Accordo di Parigi?
Il documento di Parigi, ratificato da 184 parti ed entrato in vigore a novembre 2016, è l’unica opzione valida per affrontare i cambiamenti climatici. Gli impegni in esso contenuti comprendono: limitare l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 °C e ambire a un aumento di 1,5 °C; aumentare i finanziamenti per l’azione per il clima, incluso l’obiettivo annuale di 100 miliardi di dollari dei paesi donatori per i paesi a basso reddito; sviluppare piani climatici nazionali entro il 2020; proteggere gli ecosistemi che assorbono i gas serra, comprese le foreste; rafforzare la resilienza e ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici; completare un programma di lavoro per attuare l’accordo nel 2018. Gli Stati Uniti hanno aderito all’accordo nel 2016 per poi annunciare nel luglio 2017 la propria intenzione di ritirarsi da esso; tuttavia rimangono una delle parti dell’accordo almeno fino al novembre 2020, data in cui potranno legalmente richiedere un ritiro.

4- Perché si dice che sarebbe meglio limitare l’aumento di temperatura a 1,5 °C?
Secondo l’ultimo report dell’IPCC, mantenere il riscaldamento globale a non oltre 1,5 °C di media globale rispetto ai livelli pre-industriali contribuirà a prevenire devastanti danni permanenti al pianeta e alla sua popolazione, tra cui la perdita irreversibile di habitat per gli animali nell’Artico e nell’Antartico, ondate di calore, la scarsità d’acqua per oltre 300 milioni di persone, la scomparsa delle barriere coralline, essenziali per intere comunità e per la vita marina, l’aumento del livello del mare, che sta minacciando il futuro e l’economia di intere nazioni insulari. Le stime parlano di 420 milioni di persone in meno che potrebbero essere colpite dal cambiamento climatico se riusciamo ad attenerci a un aumento di 1,5 °C anziché di 2 °C. Gli esperti dicono che potremmo farcela, ma che è un’opportunità da cogliere al volo e con urgenza, che richiederà cambiamenti senza precedenti in tutti gli aspetti della società.

5- Perché è importante la COP 24?
Perché il 2018 è la scadenza che i firmatari dell’accordo di Parigi hanno concordato per adottare un programma di lavoro di attuazione degli impegni presi a Parigi. Ciò richiede la fiducia tra tutti i paesi. Tra le questioni calde, quella dei finanziamenti a favore dell’azione per il clima in tutto il mondo: il tempo stringe ed è necessario concordare collettivamente una strategia audace, decisiva, ambiziosa e responsabile.

6- Quali prove scientifiche saranno utilizzate come base per la discussione alla COP 24?
Si tratta di documenti elaborati da esperti e raccolti nel corso degli anni. Tra questi: Report on Global Warming of 1.5 °C dell’IPCC, 2018 Emissions Gap Report dell’UNEP, 2018 Bulletin on greenhouse gas concentrations del WMO e 2018 Ozone Depletion Assessment elaborato congiuntamente dal WMO e dall’UNEP.

7- In che modo è possibile essere sempre aggiornati su quello che sta accadendo a Katowice?
Ci sono molti modi per seguire i lavori della COP 24: la newsletter delle Nazioni Unite “Climate change”, per ricevere aggiornamenti quotidiani; la pagina di copertura della COP 24 opportunamente predisposta dalle Nazioni Unite; l’hashtag #ClimateAction da seguire su Twitter.

8- Come si può partecipare alla discussione e contribuire all’azione per il clima?
Aderendo al Climate Action ActNow.bot sarà possibile essere informati sulle azioni quotidiane raccomandate per salvare il pianeta e avere un’idea sull’impatto dell’azione collettiva. Si può, poi, condividere i propri sforzi a favore del clima sui social e incoraggiare più persone ad agire nella stessa direzione. Inoltre, con l’iniziativa People’s Seat, lanciata dal Segretariato dell’UNFCCC, è possibile partecipare direttamente alla conversazione della COP 24: #TakeYourSeat e di’ la tua.

9- Quali sono alcuni esempi di iniziative che l’ONU sta sostenendo per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici?
L’ONU sta integrando la sostenibilità ambientale in tutti i suoi aspetti, con tante le iniziative sostenute dall’UNEP o dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP): nell’Europa rurale dell’Est, agricoltori e imprenditori possono tagliare le emissioni, una palude alla volta; nella regione del Lago Ciad sono state piantate decine di migliaia di alberi resistenti alla siccità; in Guatemala, la reintroduzione della produzione di cacao per i piccoli proprietari sta contribuendo a risolvere sia i problemi economici che quelli ambientali; in Bhutan, vengono sostenuti i mezzi di sostentamento e la conservazione della natura; a Timor Est, si sta costruendo una nuova generazione di infrastrutture verdi; nella Repubblica Democratica del Congo, i piccoli cambiamenti comportamentali stanno portando a grandi risultati.

10- Perché l’ONU sta anche programmando un vertice sul cambiamento climatico nel 2019?
Per sfruttare i risultati della COP 24 e rafforzare l’azione e l’ambizione per il clima ai massimi livelli possibili, il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha convocato un vertice sul cambiamento climatico il prossimo settembre. In previsione della scadenza del 2020 che hanno i paesi per finalizzare i loro piani climatici nazionali, il vertice si concentrerà su iniziative pratiche per limitare le emissioni e costruire resilienza e sarà incentrato su 6 aree tematiche: transizione verso le energie rinnovabili; finanziamento dell’azione per il clima e prezzi del carbonio; riduzione delle emissioni provenienti dal settore industriale; l’utilizzo della natura come soluzione; città sostenibili e azioni locali; resilienza ai cambiamenti climatici.

fonte: www.rinnovabili.it

Il clima e lo spazio vitale

La difesa dei territori è una rivoluzione, l’unica in grado di garantire vita e benessere alle comunità che li abitano, ma anche di segnalare le tante cose da fare per cambiare il mondo



















Nel giorno di apertura della Cop 24 di Katowice si può affermare che il clima è il grande assente dalle politiche dei governi di tutto il mondo. Non se ne parla mai, se non per registrare l’abbandono dell’accordo di Parigi da parte di un altro Stato. Neppure la verde Germania riesce a staccarsi dal suo carbone. Non è mancata la mobilitazione popolare che, anche di recente, ha visto a Londra e in varie città della Germania una forte partecipazione per imporre un cambio di rotta; una partecipazione scarsa, però, nei paesi dell’Europa mediterranea,nonostante che in Italia siano in corso tante vertenze ambientali e sociali tutte indirettamente legate al tema del clima: NoTav, NoTap, NoTriv, NoTerzovalico, Noautostrade, NoGrandinavi, NoMuos, ecc. Ciò che è invece presente in tutte le politiche governative e, ovviamente, nelle prossime elezioni europee, sull’onda di uno sciovinismo e di una xenofobia che stanno travolgendo il mondo, sono le migrazioni. Ci sono molti legami tra quella assenza e questa presenza: nessi che politica, economia e cultura non sanno o non vogliono cogliere.
Innanzitutto, nell’inconscio di ciascuna o ciascuno di noi, politici o “gente comune”, c’è la sensazione che con la globalizzazione il mondo non si sia allargato ma ristretto: non c’è più spazio per tutti; soprattutto se si pensa a quello che consideriamo il nostro spazio vitale, che in realtà è spazio ambientale: non solo casa, auto, fabbrica o ufficio, scuola, strade, aria, acqua, cibo e cure mediche; ma anche spiagge, campi da sci, seconde case, posti auto, vacanze, ecc. È una sensazione fondata, che spinge molti a stringere i cordoni della borsa: chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Caso mai c’è da darsi da fare per non essere il prossimo, o la prossima, a essere buttata fuori. Ben pochi si sforzano di capire quanto di sostenibile ci sia ancora in quel nostro spazio vitale e quanto se ne possa salvaguardare cambiando il modo di accedervi.

Foto di Riccardo Troisi
In secondo luogo, pochi si sono resi conto di quanto la globalizzazione, e soprattutto i cambiamenti climatici – che ne sono l’aspetto principale, più ancora di quanto lo sia l’unificazine dei mercati – abbiano dislocato i fronti del conflitto sociale: che è anch’esso mondiale. Da un lato, la cupola (l’1, o lo 0,01 per cento) dei signori di un capitalismo finanziario, estrattivo e predatorio che domina il pianeta. Dall’altro, la moltitudine sterminata dei popoli e delle comunità che ne subiscono le conseguenze; e di cui  profughi e migranti che cercano di varcare, da soli o in carovana, i confini di un mondo protetto non sono che un’avanguardia. Ma pochi hanno realizzato che, anche entro quei confini “protetti”, i settori che più lottano e meglio si organizzano, nonostante la condizioni di inferiorità in cui si trovano, come i lavoratori della logistica, includono quasi solo migranti: che condividono una continuità esistenziale sia con coloro che si trovano al di là di quei confini, o che li hanno appena varcati, sia con un esercito di precari “autoctoni”, giovani e non più giovani,  come i fattorini del cibo o le operatrici dei call-center schiave della gig economia: figure che hanno cominciato a costruire una loro rete internazionale là dove i sindacati non hanno costituito che rappresentanze burocratiche e collaborazioniste. Nel mezzo c’è un mondo di lavoratori autoctoni preoccupati “della fine del mese più che della fine del pianeta” perché ignorano i nessi tra queste due fini; su di loro, in mancanza di ogni prospettiva di emancipazione, fanno presa, in modi sempre più feroci, le sirene della paura e quelle di un “sovranismo” che, in qualsiasi forma si presenti, sconfina sempre in razzismo, esplicito o sottaciuto: “prima i nostri!”.
Ben pochi collegano le migrazioni ai cambiamenti climatici e ai conflitti creati da quel restringimento degli spazi vitali e ambientali; o la lotta ai cambiamenti climatici a una prospettiva di emancipazione per tutti: cittadine e cittadini autoctoni delle ex cittadelle del benessere e popoli affamati della Terra. Ma quel legame c’è, lo ha spiegato Naomi Klein: la difesa dei territori è una rivoluzione, l’unica in grado di garantire vita e benessere alle comunità che li abitano, ma anche di segnalare le tante “cose da fare” per cambiare il mondo. Con un lavoro più libero e più utile per tutti, nativi e migranti, nei campi di una inderogabile conversione eclogica degli assetti produttivi: energia, edilizia, agricoltura, alimentazione, mobilità, armi, assetti del territorio, salute, istruzione, cultura…Ma di tutto questo gli imprenditori “del fare” riuniti a Torino per imporre il Tav non sanno e non vogliono sapere niente.
Solo con una radicale conversione ecologica, diffusa su tutti i territori a partire da altrettante mobilitazioni locali – basate sul conflitto, ma soprattutto sulla sperimentazione di nuove forme di aggregazione e di gestione della propria quotidianità – si possono ricostituire spazi ambientali per tutti. Mentre una circolazione regolata di genti libere di venire, di tornare e ritornare, alla ricerca della   salvezza o di un futuro tra noi, ma che hanno lasciato famiglie e comunità nei territori devastati da cui provengono, è la sola cosa che possa fornire anche a quei paesi le forze, la cultura, le professionalità e i contatti per una rigenerazione dei loro habitat e dei loro governi. Cioè, di tutta la Terra.
Guido Viale
fonte: https://comune-info.net