Visualizzazione post con etichetta #MarineLitter. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #MarineLitter. Mostra tutti i post

Se nuotiamo in un mare di plastica



L’ambiente marino è altamente inquinato. Sono ancora allo studio le quantità di microplastiche e microfibre presenti negli oceani. Anche i cittadini possono giocare un ruolo fondamentale per salvare i nostri mari. Il contributo dell’approccio “citizen science”
È estate, la calura imperversa e l’unica salvezza, pensiamo in molti, non può essere che...

Mare, una risorsa in pericolo





















Marine litter, inquinamento, perdita di biodiversità: il Mediterraneo è sempre più in pericolo. A minacciare gli ecosistemi marini non solo la plastica ma anche le drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici





#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Oceano e clima, dieci murales per la tutela degli ecosistemi marini

 

Da Milano a Bari, passando per Chioggia, Marina di Ravenna, Firenze, Malfa e Golfo Aranci: dieci opere di street art hanno inaugurato una campagna di comunicazione a supporto di mari ed oceani del Pianeta. Un primo passo verso un Mar Mediterraneo sempre più protetto.


Ancora una volta, l’arte diviene protagonista nella comunicazione ambientale. In occasione della Giornata Mondiale degli Oceani dell’8 giugno, l’onlus Worldrise ha svelato i 10 murales frutto del progetto ‘Oceano e Clima’. Da Nord a Sud, le dieci opere sono state realizzate in tutta Italia con vernici ecologiche, ma la vera novità in termini comunicativi è che ogni singolo murales è stato associato a un talk divulgativo finalizzato a sensibilizzare riguardo il ruolo della tutela dell’ambiente marino nel fronteggiare la crisi climatica. Dalla fauna tipica al rapporto indissolubile uomo-oceano, le opere raffigurano le bellezze del mondo marino e altre forme evocative in grado di suscitare interesse e far riflettere. 


Alcuni esempi dei murales della campagna. Qui tutte le foto: Oceano e Clima


L’iniziativa si colloca all’interno della campagna 30×30 nata per puntare i riflettori sull’importanza degli ecosistemi marini del Pianeta. “Il mare – scrivono i promotori nella sezione “conoscenza” – genera tra il 50 e l’80% dell’ossigeno che respiriamo, rappresentando il polmone blu del nostro Pianeta, e assorbe un terzo del biossido di carbonio (CO₂) emesso nell’atmosfera”. Questo prezioso comparto della Terra è però in pericolo, ricordano nella sezione “consapevolezza” dove suggeriscono diverse sfide necessarie da affrontare per salvaguardarlo. Ma le potenziali soluzioni non mancano: nella sezione “rispetto”, infatti, sono diverse le possibilità elencate che potremmo adottare per proteggere mari ed oceani del Pianeta. A partire dalle Aree Marine Protette. L’iniziativa, non a caso, contribuisce ad uno sforzo internazionale indirizzato alla protezione di almeno il 30% dell’oceano entro il 2030. “La campagna – scrive Worldrise – punta ad applicare questo target nelle acque italiane, un obiettivo tanto grande quanto necessario a garantire la funzionalità e produttività del Mare nostrum, il Mar Mediterraneo”.

Una campagna a 360 gradi, ben fatta in termini grafici ed esaustiva a livello di contenuti. Promossa da un video dal forte impatto emotivo e corredata di tutte le informazioni utili per facilitare, anche a chi privo di un background scientifico, la comprensione dell’importanza dei nostri mari, nonché per capirne le problematiche e, di conseguenza, trovare il coraggio di agire. Inoltre, ha una marcia in più: non che il solo fine di sensibilizzare sia meno nobile, tuttavia, rispetto ad altre campagne, 30×30 si prefigge di dare seguito a degli obiettivi ecologici indispensabili, quali quelli stabiliti dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), oltreché ai nuovi target del Global Biodiversity Framework e della Eu biodiversity strategy.




fonte: www.envi.info


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Riciclo di PET in Indonesia

Indorama costruirà un nuovo impianto sull'isola di Giava per contribuire alla riduzione del marine litter.



Il produttore thailandese di poliestere Indorama Ventures ha in programma di avviare un nuovo impianto di riciclo a Karawang, nell'isola di Giava, capace di trattare ogni anno due miliardi di bottiglie PET, supportando il piano lanciato dal governo indonesiano per ridurre l'inquinamento degli oceani.

L'infrastruttura sarà avviata nel 2023 creando 217 nuovi posti di lavoro. L'impianto tratterà le bottiglie post-consumo fornendo materiale in scaglie che, una volta rigenerato, sarà utilizzato dalla stessa Indorama per applicazioni a contatto con alimenti.

Il piano nazionale avviato dal governo indonesiano per contrastare il marine litter punta a ridurre del 70% i rifiuti in plastica dispersi nell'ambiente rispetto ai livelli 2017.

Indorama è presente nel paese con sei impianti produttivi. Il gruppo thailandese si è impegnato, a livello mondiale, a riciclare almeno 750.000 tonnellate annue di PET entro il 2025, investendo in questo programma fino a 1,5 miliardi di dollari. A maggio, la società aveva annunciato interventi per potenziare il riciclo di PET in India e negli Stati Uniti (leggi articolo)

fonte: www.polimerica.it



#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Rifiuti marini, il Parlamento UE chiede un piano per ripulire i fiumi

Per i deputati europei ridurre l’impiego della plastica e aumentare il riciclo nel settore della pesca, sono due strumenti irrinunciabile per eliminare il marine litter



L’Unione europea ha bisogno di un piano dedicato alla pulizia dei fiumi dai macro e micro rifiuti che vi confluiscono. Ma anche di alzare gli obiettivi di riciclo e upcycling quando si parla di pesca ed acquacoltura. Questa la posizione del Parlamento europeo i tema di marine litter. Gli eurodeputati hanno votato ieri la risoluzione di Catherine Chabaud (Renew, FR) con cui si chiede di migliorare e rendere più efficaci quadro legislativo e governance in materia di rifiuti marini. E allo stesso di tempo di incrementare ricerca e conosce sul tema accelerando lo sviluppo dell’economia circolare nel settore ittico.

L’attenzione al comparto è fondamentale. Ogni giorno 730 tonnellate di rifiuti vengono scaricati direttamente nel Mediterraneo, a cui si aggiungono annualmente altre 11.200 tonnellate arrivate in mare per vie traverse. Di questi il 27% è costituto da rifiuti della pesca e dell’acquacoltura. Basti pensare alle grandi quantità di attrezzature marine che vengono quotidianamente abbandonate, persi, o buttati in mare, dove “rimangono intatte per mesi o addirittura anni”. Queste cosiddette reti fantasma “hanno un impatto indiscriminato su tutta la fauna marina, compresi gli stock ittici”.

Ovviamente non è solo la spazzatura di grandi dimensioni a preoccupare. Oggi le micro e nano plastiche costituiscono uno degli allarmi ambientali più diffusi. Rappresentano una grave minaccia per molte specie di fauna marina e di conseguenza anche per i consumatori. Oramai non c’è acqua al mondo che risulti non contaminata e il passaggio dal mare al piatto è più rapido di quanto si possa pensare. Si stima che consumatore medio di molluschi del Mediterraneo, spiega Strasburgo in una nota stampa – ingerisca in media 11.000 pezzi di plastica all’anno.

Per contrastare il fenomeno dei piccoli e grandi rifiuti marini, i deputati UE propongono di accelerare lo sviluppo di un’economia circolare nel settore ittico, eliminando gradualmente gli imballaggi in polistirolo espanso e migliorando i canali di raccolta e riciclo. Inoltre, sottolineano l’importanza di identificare nuovi materiali nella progettazione ecocompatibile degli attrezzi da pesca.

La risoluzione esorta gli Stati membri a istituire un “fondo speciale per la pulizia dei mari”, gestito tramite il nuovo Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (FEAMPA) o altre linee di finanziamento pertinenti, al fine di finanziare una serie di azioni:
la raccolta dei rifiuti marini da parte dei pescherecci;
la fornitura di adeguate strutture di stoccaggio dei rifiuti a bordo e il monitoraggio di quelli pescati passivamente; il rafforzamento della formazione destinata agli operatori;
il finanziamento dei costi del trattamento dei rifiuti e del personale necessario;
investimenti intesi a predisporre nei porti strutture adeguate adibite al deposito e allo stoccaggio della raccolta.

Non solo. I deputati chiedono alla Commissione e ai Paesi UE di adottare le linee guida volontarie dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura per la marcatura degli attrezzi da pesca. Assieme ad un piano d’azione comunitario per ridurre sostanzialmente l’uso della plastica e per affrontare l’inquinamento di fiumi, corsi d’acqua e coste.

“I rifiuti marini – spiega Chabaud – sono una questione trasversale che deve essere affrontata in modo olistico. La lotta contro i rifiuti marini non inizia in mare, ma deve coinvolgere una visione a monte che comprende l’intero ciclo di vita di un prodotto. Ogni rifiuto che finisce in mare è un prodotto uscito dal ciclo dell’economia circolare. Per combattere l’inquinamento, dobbiamo continuare a promuovere modelli di business virtuosi e integrare nuovi settori come la pesca e l’acquacoltura in questi sforzi globali. Non c’è pesca sostenibile senza un oceano sano”.

fonte: www.rinnovabili.it

 

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

Una flotta contro il marine litter

Il Ministero dell'Ambiente affida al Consorzio Castalia un nuovo servizio antinquinamento che prevede anche la mappatura e raccolta di rifiuti galleggianti.











Poco prima di Natale, il Ministero dell'Ambiente ha affidato al Consorzio Castalia un nuovo servizio antinquinamento marino basato su una flotta di 32 unità navali a noleggio specializzate nel contenimento e recupero di idrocarburi, sostanze derivate, olii minerali e rifiuti plastici galleggianti lungo le coste italiane.
In particolare, la raccolta di rifiuti marini galleggianti avverrà sia nelle aree marine protette che in quelle antistanti le foci dei fiumi.

Il contratto, della durata di due anni - affidato a seguito di gara comunitaria - consentirà di mappare la presenza, la quantità e la qualità dei rifiuti marini galleggianti e della plastica raccolti in mare, anche al fine di valutare idonee iniziative di contrasto in linea con gli impegni internazionali assunti dal nostro Paese (convenzione di Barcellona, strategia marina, ecc.).

In questa attività, il ministero è affiancato dal consorzio Corepla con il quale è stato sottoscritto l’estate scorsa un accordo per un progetto sperimentale di riciclo del materiale plastico recuperato dalla flotta di imbarcazioni.

fonte: www.polimerica.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Quali soluzioni per i rifiuti marini in Adriatico? Approfondimenti Arpa FVG a ESOF2020




Si è concluso ESOF2020, l’importante forum scientifico europeo dedicato alla ricerca scientifica e all’innovazione che si è tenuto a Trieste dal 2 al 6 settembre.

Di rifiuti marini si è parlato, venerdì 4 settembre, nel corso della tavola rotonda “The marine litter problem: sources, dispersion and impacts” proposta da Arpa FVG.

I rifiuti marini sono un problema riconducibile a un non corretto smaltimento dei beni giunti a fine vita, soprattutto quelli plastici. La questione è letteralmente esplosa negli ultimi anni diventando in breve tempo un problema ambientale emergente e di non facile soluzione. Le aree interessate sono sia quelle di costa che le ampie superfici in mare aperto, non sempre soggette alla giurisdizione di singole entità statali. I metodi d’intervento possono pertanto differire nei diversi territori rendendo ancora più complessa la ricerca di una soluzione a questa emergenza ambientale.

La questione deve essere pertanto affrontata adottando un approccio a più livelli, quello locale, per gli effetti a ridosso delle coste, e quello del confronto internazionale per definire metodologie di intervento comuni.

La tavola rotonda è stata un’occasione per avviare un confronto su questo tema con l’intera comunità scientifica alla ricerca di soluzioni adeguate in un’ottica di sostenibilità.

Alla tavola rotonda hanno partecipato qualificati relatori di Italia, Croazia e Slovenia, che hanno analizzato lo stato dei rifiuti marini nell’ambito del bacino Adriatico sotto molteplici punti di vista, biologico, chimico, ecologico, senza tralasciare la comunicazione del rischio. Ampio spazio è stato dato alla verifica e al confronto dei metodi di monitoraggio attualmente adottati in Alto Adriatico e alla modellizzazione della dispersione degli inquinanti in mare.

Nel corso dell’incontro è stata posta particolare attenzione ai rifiuti sul fondo del mare. Sui fondali marini si depositano, infatti, la maggior parte di questi rifiuti, che sono, in peso e volume, molto superiori a quelli presenti sulle spiagge o sulla superficie del mare.

Infine, sono state proposte delle soluzioni al problema dei rifiuti marini, indagando sia gli aspetti della loro produzione, sia le buone pratiche e i possibili approcci educativi.

L’organizzazione di questo qualificato incontro scientifico in ambito ESOF2020 ha rappresentato per Arpa FVG un importante momento di crescita. Da un lato la possibilità di consolidare le relazioni con enti omologhi operanti in stati contermini, dall’altro la possibilità di fungere da “antenna” su questo argomento con l’intero Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA).

Il convegno sui rifiuti marini non è stato tuttavia l’unico evento ad impegnare Arpa nel contesto delle iniziative proposte da ESOF2020. Si sono aggiunti infatti gli eventi proposti dal Laboratorio di educazione ambientale (Larea) di Arpa FVG in collaborazione con Area Marina Protetta (AMP) di Miramare, quali:
i PressTour dedicati ai giornalisti accreditati, che hanno potuto così scoprire, con l’aiuto degli esperti Arpa e dell’Area Protetta Marina di Miramare, le bellezze nascoste del Golfo di Trieste;
i laboratori “Plastiche a-mare” con attività per famiglie sul tema delle “Marine litter” e dell’impatto di plastiche e microplastiche sull’ambiente marino;
i “bluebliz”, uscite in snorkeling per scoprire le attività scientifiche di censimento e monitoraggio di specie marine.

Gli eventi proposti da Arpa FVG proseguiranno fino a fine anno nell’ambito del Science in the city festival con un ricco programma di iniziative.

fonte: https://www.snpambiente.it


RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Contro la "Plastica Connection" urge una cooperazione globale















L'enorme quantità di rifiuti di plastica generata dal mondo ha aperto le porte alle reti criminali. Un nuovo rapporto INTERPOL rivela, infatti, l'aumento della criminalità nella gestione globale dei rifiuti di plastica: si tratta di commercio illegale e trattamento illegale dei rifiuti.
Il Rapporto di Analisi Strategica sulle "Tendenze criminali emergenti nel mercato globale dei rifiuti di plastica da gennaio 2018" ha rivelato l’esistenza di spedizioni illegali lungo rotte commerciali di rifiuti di plastica transregionali e intraregionali e l’allarme è tale per cui il WWF chiede con urgenza che sia messa in campo un'azione globale da parte di governi, forze dell'ordine, imprese e consumatori.

L'INTERPOL ha evidenziato l'infiltrazione di reti criminali nel commercio dei rifiuti di plastica, una vera e propria 'Plastica connection’ che ha agito sia dirottando illegalmente le spedizioni sia gestendo in modo non autorizzato i rifiuti stessi. La dimensione di questa gestione illegale di rifiuti di plastica è molto ampia e coinvolge almeno 52 delle 257 rotte commerciali analizzate dall'INTERPOL.

“La presenza di attività criminali relative ai rifiuti è una minaccia crescente che getta le sue radici in un problema più profondo: l'incapacità di gestire sia l’utilizzo che la nostra produzione di plastica – ha dichiarato Isabella Pratesi, direttore conservazione di WWF Italia -. A fianco del crescente e pervasivo inquinamento da plastica sugli ecosistemi marini e gli studi che dimostrano l’esposizione degli organismi viventi, compresi noi umani, a nano e microplastiche che pervadono ogni angolo del pianeta, ora assistiamo anche alle sue implicazioni criminali. L’unica soluzione per affrontare questa crisi che ormai trascende i confini nazionali è un cambiamento dell’intero sistema e una maggiore responsabilità. Dobbiamo essere consapevoli che i rifiuti di plastica sono un vero e proprio business criminale, che mette a rischio la salute del pianeta, partendo da quella del mare. Il WWF chiede ai leader mondiali di unirsi per un trattato globale che affronti l'inquinamento marino da plastica”.

Per decenni, la Cina ha rappresentato una soluzione ‘facile’, ricevendo la metà dei rifiuti di plastica del mondo, Europa compresa. Nel 2018, a seguito della sua azione per limitare le importazioni di rifiuti di plastica, il traffico è stato reindirizzato e ha travolto paesi alternativi aprendo così le porte alla criminalità opportunistica.
Nel mirino dei trafficanti ci sono i paesi asiatici in via di sviluppo, in particolare quelli con capacità limitate di gestione e applicazione delle normative sui rifiuti.
Nel maggio 2020, la Malesia ha avviato il costoso e vasto processo di “rimpatrio” di 3.737 tonnellate di rifiuti di plastica verso 13 diversi paesi da dove provenivano, equivalenti a 150 container.
Dal 2021 si dovrebbero adottare a livello mondiale misure internazionali sul commercio internazionale di rifiuti di plastica, secondo la Convenzione di Basilea. Tuttavia, l’INTERPOL ha evidenziato la necessità di aumentare il controllo sull’applicazioni delle leggi sui rifiuti visto che i criminali hanno mostrato negli ultimi due anni di essere in molto in grado di sfruttare la situazione a proprio vantaggio.

"L'inquinamento globale da plastica è oggi una delle minacce ambientali più pervasive per il pianeta e la sua corretta regolamentazione e gestione è di fondamentale importanza per la sicurezza ambientale globale", ha affermato il presidente del Comitato consultivo per la conformità e l'applicazione dell'ambiente di INTERPOL, Calum MacDonald, anche direttore esecutivo della Scottish Environmental Protection Agency (SEPA).

A seguito della richiesta di INTERPOL per una maggiore cooperazione internazionale e tra le forze dell'ordine, il WWF ha delineato una serie di ulteriori raccomandazioni richieste per una risposta internazionale da parte dei governi.

a) Accelerare i negoziati per un accordo globale legalmente vincolante con piani d'azione e regolamenti nazionali chiari, compreso il supporto per la gestione dei rifiuti nei paesi a basso reddito.
b) Rafforzare i meccanismi esistenti come l'eliminazione graduale della plastica monouso, il miglioramento della capacità di riciclaggio domestico nei mercati sviluppati e la risoluzione delle lacune nella gestione dei rifiuti nelle economie in via di sviluppo.
c) Innovare e ampliare le alternative alla plastica rispettose dell'ambiente.
d) Investire nella ricerca e nello sviluppo di capacità per migliorare il monitoraggio e l'applicazione delle norme sui rifiuti di plastica.

Intanto sta crescendo la spinta per un quadro globale completo che affronti l'inquinamento da plastica alla fonte. Circa 2 milioni di persone in tutto il mondo hanno firmato una petizione del WWF che esorta i propri governi a stabilire un trattato globale legalmente vincolante per affrontare l'inquinamento marino da plastica e 133 paesi hanno già espresso il loro sostegno ad esplorare l'opzione di un accordo globale.
In Italia, nell’ambito della Campagna GenerAzioneMare, il WWF ha promosso ad agosto una nuova community “Con WWF per un mondo Plastic Free”, che in pochi giorni ha raggiunto oltre 1.000 iscritti da tutta Italia, molti dei quali hanno risposto anche all’appello svolgendo la propria azione di pulizia dei litorali in un inedito “Self Tour Plastic Free”. A settembre verranno resi noti i risultati del Tour e le curiosità di questa iniziativa.

fonte: www.wwf.it



RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

KEEP CLEAN AND RUN 2020















Dopo aver attraversato l’Italia da Nord a Sud di corsa e in bicicletta, raccolto qualche centinaio di tonnellate di rifiuti abbandonati e incontrato e sensibilizzato migliaia di persone, soprattutto scuole, sul tema del littering: ecco l’edizione 2020 del Keep Clean and Run. Il messaggio che il KCR vuole lanciare è chiaro: il littering, che uccide i nostri mari, va contrastato nei suoi luoghi d’origine, ovvero nell’entroterra. KCR for peace è il titolo dell’edizione 2020 del Keep Clean and Run.
Il percorso prevede la partenza il 4 settembre da Cortina per arrivare il 10 a Trieste passando per Tolmezzo – Kobarid– Gorizia correndo sui luoghi della prima guerra mondiale e si concluderà al molo degli Audaci (Trieste). L’evento, inizialmente previsto ad aprile, è stato rimandato a causa dell’epidemia del Covid19.


Scopri il programma completo


fonte: https://keepcleanandrun.com


RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Plastica in mare: le tecnologie per raccoglierla non funzionano o sono poco efficaci

Non è così che si risolverà il problema del marine litter e della sua eredità a lungo termine



Il nuovo studio “The long-term legacy of plastic mass production”, pubblicato su Science of the Total Environment da un team di ricercatori del Leibniz-Zentrum für Marine Tropenforschung (ZMT), università di Exeter, Leibniz-Institut für Zoo-und Wildtierforschung (IZW), università Jacobs di Brema e Making Oceans Plastic Free, dimostra che «I dispositivi per la pulizia che raccolgono i rifiuti dalla superficie dell’oceano non risolveranno il problema dell’inquinamento da plastica».

I ricercatori tedeschi e britannici hanno confrontato le stime dei rifiuti di plastica attuali e future con la capacità dei dispositivi di pulizia galleggianti di raccoglierli e hanno scoperto che l’impatto di tali dispositivi è «molto modesto», ma – al contrario di alcuni esperti – dicono che «Le barriere fluviali potrebbero essere più efficaci e, sebbene non abbiano alcun impatto sulla plastica già negli oceani, potrebbero ridurre l’inquinamento in modo significativo se utilizzato in combinazione con la tecnologia di pulizia di superficie.

Visto che, a seconda delle dimensioni e della posizione, i rifiuti affondati sono difficili o impossibili da rimuovere, lo studio si concentra sulla plastica galleggiante e gli autori stimano che la quantità di plastica raggiungerà il picco nel 2029 e che entro il 2052 la plastica sulla superficie oceanica arriverà a più di 860.000 tonnellate, più del doppio delle attuali 399.000 tonnellate stimate, mentre una ricerca precedente suggeriva che il tasso di inquinamento da plastica prevede che a quel tempo si potrebbe arrivare allo zero inquinamento.

Uno degli autori dello studio, Jesse F. Abrams, del Global Systems Institute e dell’Institute of Data Science and Artificial Intelligence dell’università di Exeter e dell’IZW, sottolinea che «Il messaggio importante di questo documento è che non possiamo continuare a inquinare gli oceani e sperare che la tecnologia risolva il casino. Anche se potessimo raccogliere tutta la plastica negli oceani – cosa che non possiamo – è davvero difficile riciclarla, soprattutto se i frammenti di plastica galleggiano da molto tempo e sono stati degradati o contaminati biologicamente. Le altre soluzioni principali sono seppellirli o bruciarli, ma interrarli potrebbe contaminare il terreno e la combustione porta a emissioni di CO2 in più nell’atmosfera».

Lo studio pesa come un macigno sulle speranze sollevate da iniziative private che propongono di raccogliere la plastica dagli oceani e dai fiumi che hanno recentemente guadagnato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale.

Una di queste, Ocean Cleanup, punta a ripulire il “Pacific garbage patch” nei prossimi 20 anni utilizzando barriere galleggianti lunghe 600 metri per raccogliere la plastica per poi avviarla al riciclo o all’incenerimento. Il nuovo studio ha analizzato l’impatto della distribuzione di 200 di questi dispositivi e del loro funzionamento senza interruzioni per 130 anni, dal 2020 al 2150. Secondo i ricercatori, «In questo scenario, i detriti di plastica fluttuanti globali verrebbero ridotti di 44.900 tonnellate, poco più del 5% del totale globale stimato entro la fine di quel periodo».

Il principale autore dello studio, Sönke Hohn dello ZMT, evidenzia che «L’impatto previsto dei dispositivi di pulizia sia singoli che multipli è molto modesto rispetto alla quantità di plastica che entra costantemente nell’oceano. Questi dispositivi sono anche relativamente costosi da produrre e mantenere per unità di plastica rimossa».

Dato che la maggior parte della plastica entra negli oceani attraverso i fiumi, gli autori dello studio dicono che «UN “complete halt” di tale inquinamento che penetra nell’oceano utilizzando barriere fluviali – specialmente nei fiumi inquinanti chiave – potrebbe prevenire la maggior parte dell’inquinamento che altrimenti si prevede nei prossimi tre decenni», ma fanno notare che «Tuttavia, a causa dell’importanza dei grandi fiumi per la navigazione globale, è improbabile che tali barriere vengano installate su larga scala».

Agostino Merico, dello ZMT e della Jacobs, evidenzia che «Data la difficoltà del riciclaggio e gli effetti negativi del conferimento in discarica o dell’incenerimento della plastica, lo studio afferma che bisogna ridurre lo smaltimento e aumentare i tassi di riciclaggio sono cose essenziali per affrontare l’inquinamento degli oceani».

Roger Spranz, co-fondatore dell’ONG Making Oceans Plastic Free, conclude: «La plastica è un materiale estremamente versatile con una vasta gamma di applicazioni di consumo e industriali, ma dobbiamo cercare alternative più sostenibili e ripensare il modo in cui produciamo, consumiamo e smaltiamo la plastica. Abbiamo sviluppato esperienza nel cambiare comportamento per cambiare abitudini riguardo alla plastica e fermare l’inquinamento da plastica alla fonte. Siamo registrati in Germania ma il fulcro delle nostre attività e collaborazioni è in Indonesia, che è la seconda fonte di inquinamento marino da materie plastiche. Collaborando con partner locali, l’implementazione della nostra campagna Tasini in Indonesia ha finora contribuito a impedire che circa 20 milioni di sacchetti di plastica e 50.000 bottiglie di plastica finissero nelle aree costiere e nell’oceano».


fonte: www.greenreport.it




RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Controllo e riduzione dei rifiuti marini nell’Adriatico

E' partito il progetto MARLESS - MARine Litter cross-border awarenESS and innovation actions, che affronterà il problema dei rifiuti marini “marine litter” nell’Adriatico.





Si è svolto il 28 e 29 luglio il meeting online di avvio del progetto MARLESS – MARine Litter cross-border awarenESS and innovation actions, che affronterà il problema dei rifiuti marini “marine litter” nell’Adriatico, analizzando le cause ed individuando azioni operative per la gestione e riduzione di questa tipologia di rifiuti.

Tecnologie e approcci innovativi

I rifiuti marini sono costituiti per la maggior parte da plastica (75%) e molti provengono dalla terraferma. Nello sviluppo del progetto saranno utilizzate tecnologie e approcci innovativi e sostenibili per il controllo della marine litter coinvolgendo nell’attività rappresentanti del settore turistico e dell’acquacultura. Tra gli obiettivi la raccolta di 250.000 frammenti di microplastiche e 50 tonnellate di rifiuti marini attraverso l’utilizzo di seabin, droni, barriere fluviali ed azioni di “fishing for litter”. Il “seabin” è un apposito cestino che raccoglie i rifiuti che galleggiano in acqua e verrà utilizzato per la raccolta dei rifiuti nei porti. Droni acquatici saranno utilizzati per raccogliere plastiche di diametro superiore a 0.5 mm. Una parte dei rifiuti plastici raccolti sarà poi trattata in un apposito impianto per la trasformazione in combustibile.



Un focus sulle microplastiche

Un focus specifico del progetto sarà dedicato alle microplastiche che, a livello mondiale, ammontano a circa 3 milioni di tonnellate/anno su un totale di 11 milioni di tonnellate/anno di plastiche disperse in mare. I partner di progetto individueranno azioni mirate alla prevenzione e al monitoraggio in mare, con particolare attenzione in corrispondenza delle foci fluviali. Tra queste l’attivazione di una rete di 12 punti di monitoraggio delle microplastiche in mare.
I partner di progetto

MARLESS, finanziato nell’ambito del programma INTERREG Italy – Croatia, coinvolge 13 partner: sette italiani (ARPAV come lead partner, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, Regione del Veneto, Università di Bologna, Fondazione Cetacea, Regione Emilia Romagna e Regione Puglia) e sei Croati (Ministero dell’Ambiente e dell’Energia, Agenzia di Sviluppo dell’area Dubrovnik-Neretva, Università di Dubrovnik, Istituto Ruder Boskovic, Regione dell’Istria e l’Agenzia per l’Energia Istriana).

Contrastare la marine litter: una strategia per l’Adriatico

ARPAV, in qualità di lead partner, si occuperà della gestione complessiva del progetto e del coordinamento delle attività, oltre a contribuire allo sviluppo di una strategia di monitoraggio condivisa fra le due sponde dell’Adriatico. Oggetto della strategia la marine litter nelle sue diverse forme: rifiuto spiaggiato, rifiuto in mare e microplastiche.
Il progetto durerà 30 mesi e si concluderà nel 2022.

fonte: https://www.snpambiente.it



#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Plastica in mare: nel 2040, la quantità di marine litter potrebbe triplicare

Una ricerca commissionata da The Pew Charitable Trusts mostra come ridurre dell’80% la quantità di rifiuti di plastica che potrebbe finire nell’oceano. Puntando tutto sulla “prevenzione”



Una ricerca commissionata da The Pew Charitable Trusts e SYSTEMIQ mostra che la quantità di marine litter legato alla plastica – il rifiuto più abbondante in mari e oceani – potrebbe triplicare nei prossimi 20 anni.

Secondo l’International Solid Waste Association, il consumo di plastica è aumentato durante la pandemia di coronavirus, soprattutto a causa dell’uso di maschere e guanti monouso, e molte discariche nel mondo hanno già raggiunto il proprio limite.

La ricerca, dal titolo Breaking the Plastic Wave, non solo mette in luce una delle più dettagliate timeline per arginare la crisi del marine litter, ma cerca di offrire anche delle soluzioni concrete per ridurre di oltre l’80% il volume di plastica che si prevede possa entrare negli oceani nei prossimi due decenni. “L’inquinamento da plastica è qualcosa che colpisce tutti. Non è un problema di un paese. È un problema di tutti“, ha dichiarato Winnie Lau, senior manager di The Pew Charitable Trusts.

Lo studio delinea quale potrebbe essere lo stato futuro del marine litter se nessuna azione dovesse essere intrapresa. In questo caso, la quantità di plastica che andrebbe in mare ogni anno potrebbe salire da 11 milioni di tonnellate a 29 milioni di tonnellate, lasciando un accumulo di 600 milioni di tonnellate nell’oceano entro il 2040. Si tratta di una quantità equivalente al peso di 3 milioni di balene.

La strategia definita nella ricerca include il reindirizzamento di centinaia di miliardi di dollari di investimenti dalla produzione di plastica alla produzione di materiali alternativi, oltre che impianti di riciclaggio ed espansione della raccolta dei rifiuti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

Ciò richiederebbe soprattutto un’inversione di marcia da parte dell’industria energetica, che sta rapidamente costruendo nuovi impianti chimici in tutto il mondo per incrementare la produzione di plastica come alternativa alla sua attività tradizionale nel settore dei carburanti, minacciata dalla presenza di fonti energetiche più pulite.

Dal dopoguerra ad oggi, la quantità di plastica prodotta ogni anno è cresciuta esponenzialmente. Si è passati dai 2 milioni di tonnellate nel 1950, ai 348 milioni di tonnellate nel 2017. Ma, cosa ancora più grave, si prevede che questo numero raddoppierà entro il 2040.

ExxonMobil, Dow e Chevron Phillips Chemical (i più grandi produttori di plastica a livello mondiale) hanno dichiarato di essere impegnati a combattere l’inquinamento da plastica. Ma i progetti che finanziano si concentrano soprattutto sulla raccolta differenziata, e non sulla “prevenzione” dei rifiuti.

Lo studio, dunque, raccomanda la definizione di leggi che siano in grado di scoraggiare la nuova produzione di plastica e fornire sussidi per alternative riutilizzabili. Questo significa, però, smettere di vedere nel riciclo l’unica soluzione possibile. Infatti, secondo la ricerca, gli impegni di aziende come Coca-Cola e Nestlé di aumentare l’uso di materie riciclate ridurranno la quantità di plastica che fluisce nell’oceano solo del 7% entro il 2040.

Di contro, per ridurre la quantità di marine litter drasticamente, sarebbero necessarie alternative compostabili alla plastica monouso e gli imballaggi dovrebbero essere ridisegnati per contenere più del doppio dell’attuale quota di materiale riciclabile. Lo studio, dunque, punta tutta sulla riduzione del rifiuto a monte, che eviterebbe anche il ricorso a tecniche di riciclaggio chimico e alla combustione dei rifiuti.

CLICCA QUI PER CONSULTARE “BREAKING THE PLASTIC WAVE”

fonte: www.rinnovabili.it


#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542
=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Indagine Beach Litter: 654 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia

Sulle spiagge italiane troppa plastica, guanti e mascherine usa e getta, cicche di sigarette e rifiuti edili




Il bilancio dell’indagine Beach Litter 2020, condotta dai Circoli di Legambiente, realizzata grazie al contributo di E.ON e Novamont e raccontata da Goletta Verde, è tutt’altro che incoraggiante: «Rifiuti a ogni passo: 654 quelli rinvenuti, in media, ogni cento metri percorsi lungo le spiagge monitorate da Legambiente. Dagli intramontabili mozziconi di sigaretta a contenitori per bevande e alimenti e stoviglie in plastica usa e getta, dal materiale da costruzione ai “nuovi arrivati” come guanti e mascherine, i cumuli di spazzatura trovati sono frutto d’incuria, maleducazione, mancata depurazione e cattiva gestione dei rifiuti sulla terraferma che, attraverso corsi d’acqua e scarichi, arrivano in mare e sui litorali».

Iniziata nel 2014 sulle spiagge del Mediterraneo, l’indagine Beach Litter di Legambiente rappresenta una delle più grandi esperienze di citizen science a livello internazionale. Il protocollo utilizzato è sviluppato nell’ambito dell’iniziativa Marine Litter Watch dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, cui diverse associazioni comunicano i dati raccolti, con l’obiettivo di creare uno dei più ampi database sui rifiuti spiaggiati costruiti dai volontari a livello europeo.

I volontari di Legambiente, protagonisti della prima attività associativa nazionale in presenza organizzata nel post-lockdown hanno monitorato 43 le spiagge – 1 in Basilicata; 2 in Calabria; 10 in Campania; 2 in Emilia-Romagna; 2 in Friuli Venezia Giulia; 3 nel Lazio; 1 in Liguria; 1 nelle Marche; 5 in Puglia; 8 in Sardegna; 4o in Sicilia; 3 in Veneto; 1 in Umbria (sul lago Trasimeno) – per un totale di 28.137 rifiuti censiti in un’area di 189.000 m2 e dicono che «Su circa la metà delle spiagge campionate, la percentuale di plastica eguaglia o supera il 90% del totale dei rifiuti, mentre in una spiaggia su tre sono stati rinvenuti guanti, mascherine e altri oggetti riconducibili all’emergenza sanitaria. Sebbene il numero di rifiuti rilevati sia in lieve calo rispetto allo scorso anno – complice il sostanziale stop di ogni attività durante il lockdown – il Covid-19 rischia di rendere meno efficaci i passi avanti fatti proprio nella riduzione della plastica e dell’usa e getta».

Legambiente spiega che «Complessivamente l’80% dei rifiuti rinvenuti sulle spiagge nel 2020 è in plastica, la quale si attesta al primo posto tra i materiali censiti, seguita da vetro/ceramica (10%), metallo (3%), carta/cartone (2%), gomma (2%), legno lavorato (1%). Il restante 2% è costituito da altri materiali. A farla da padrone per i polimeri artificiali sono per lo più frammenti di plastica e polistirolo con dimensioni comprese tra 2,5 e 50 cm, mozziconi di sigaretta, tappi e coperchi per bevande. Vetro e ceramica si ritrovano soprattutto in forma di frammenti e di materiale da costruzione come tegole, mattonelle, calcinacci».

Il Cigno Verde definisce «Allarmante la quantità elevata, e in alcuni casi incalcolabile, di materiale da costruzione rinvenuta sulle spiagge del Baraccone a Bari, del Caterpillar a Salerno e di Romagnolo a Palermo, diventate vere e proprie discariche abusive. Il metallo è rappresentato soprattutto da lattine, tappi e linguette, mentre carta e cartone si ritrovano in frammenti, ma in misura importante anche come pacchetti di sigarette».

La principale fonte di questi rifiuti è classificabile come indefinita, frammenti che non possono cioè essere associati a oggetti o riconosciuti (40%), seguita da fonti varie (20%), dagli imballaggi, non solo per alimenti e in vari materiali (15%), e dai rifiuti derivanti da abitudini dei fumatori, principalmente mozziconi di sigaretta, ma anche accendini, pacchetti di sigarette e loro imballaggi (15%). Chiudono la lista, i rifiuti legati al consumo di cibo, come stoviglie, tappi, cannucce (10%). Oltre la metà (il 67%) dei rifiuti registrati è costituita da sole dieci tipologie di oggetto.

Legambiente ha anche fatto la top ten dei rifiuti in spiaggia: tra le prime dieci tipologie di oggetti rinvenuti nel monitoraggio di Legambiente troviamo, in ordine di classifica, pezzi di plastica (14%); mozziconi di sigaretta (14%); pezzi di polistirolo (12%); tappi e coperchi (7%); materiale da costruzione (5%), tra cui calcinacci e mattonelle, tubi di silicone e materiale isolante; pezzi di vetro o ceramica non identificabili (4%); bottiglie e contenitori di bevande (3%); stoviglie usa e getta, tra cui bicchieri, cannucce, posate e piatti di plastica (3%); cotton fioc in plastica (3%); buste, sacchetti e manici (2%).

Da Beach Litter 2020 viene fuori che «Il 42% di tutti i rifiuti monitorati da Legambiente riguarda i prodotti usa e getta al centro della direttiva europea che vieta e limita gli oggetti in plastica monouso. Tra questi, le bottiglie e i contenitori di bevande (inclusi tappi e anelli), ritrovati in più di 3 mila pezzi da Legambiente; i mozziconi di sigaretta (onnipresenti sulle spiagge europee), rinvenuti con una media di uno a ogni passo; le reti e gli attrezzi da pesca e acquacoltura in plastica, per il 28% calze per la coltivazione dei mitili; i contenitori per alimenti e i bicchieri in plastica, che rappresentano rispettivamente il 49% e il 26% dei rifiuti derivanti da consumo di cibi da asporto censiti da Legambiente, ma per i quali attualmente è stato posto solo un obiettivo di riduzione nel consumo; i cotton fioc in plastica, anch’essi ritrovati con una media di uno per ogni passo sulla sabbia. Al centro di una recente battaglia di Legambiente che ha contribuito alla loro messa bando in Italia dal gennaio 2019 (in anticipo sul divieto di commercializzazione contenuto nella proposta della direttiva Ue), i bastoncini cotonati sono anche simbolo della cattiva abitudine di buttare i rifiuti nel wc e della mala depurazione per cui ciò che viene gettato negli scarichi di casa arriva a inquinare l’ambiente marino».

La direttiva Ue (Single Use Plastics), si concentra su 10 prodotti in plastica monouso e sulle reti e gli attrezzi da pesca e acquacoltura, in quanto tutti insieme rappresentano il 70% dei rifiuti maggiormente rilevati sulle spiagge europee. Il testo propone che il divieto di utilizzo (a partire dal 2021) dei prodotti per i quali esistono alternative (posate, piatti, bastoncini cotonati, cannucce, mescolatori per bevande e aste dei palloncini) venga esteso anche ai prodotti di plastica oxodegradabile e ai contenitori per cibo da asporto in polistirene espanso. Per i prodotti monouso per cui, invece, non ci sono alternative, gli Stati membri dovranno mettere a punto misure per ridurne significativamente l’utilizzo, mentre per altri sono stati definiti obiettivi di riciclo, raccolta e revisione della progettazione del prodotto.

Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, evidenzia che «Quasi la metà dei rifiuti monitorati riguarda proprio i prodotti al centro della direttiva europea sulla plastica monouso: anche alla luce di questi risultati l’Italia deve recepirla prima della scadenza del luglio 2021 –Dopo la messa al bando dei cotton fioc non biodegradabili e delle microplastiche nei cosmetici, cui abbiamo contribuito con le nostre instancabili denunce, diverse delibere comunali hanno anticipato il bando delle stoviglie usa e getta, mentre intere catene di supermercati ne hanno abolito la vendita: non possiamo vanificare gli sforzi fatti verso l’adeguamento alla direttiva, che vieterà alcuni prodotti monouso sul territorio nazionale e indicherà forti limitazioni e la responsabilità estesa dei produttori ad altri prodotti. Alla luce dell’ipotesi di varare una tassa europea sulla plastica per cofinanziare il Recovery Fund, ribadiamo la nostra richiesta di non prorogare ulteriormente, oltre l’1 gennaio 2021, l’avvio della plastic tax varata con la legge di bilancio a dicembre. Si deve poi arrivare, al più presto, all’approvazione della legge SalvaMare che consentirebbe ai pescatori di riportare a terra i rifiuti pescati accidentalmente: il disegno di legge, approvato a ottobre alla Camera, è completamente fermo al Senato, in Commissione ambiente, sottraendo tempo prezioso al recupero dei rifiuti affondati, il 70% di quelli che finiscono in mare, con danni alla biodiversità e all’economia della pesca. Servono passi avanti nella leadership normativa in contrasto al marine litter. Importante includere anche i bicchieri di plastica nel bando nazionale, che la direttiva europea prevede solo di limitare, e consentire l’uso di oggetti sostitutivi fatti con materiali biodegradabili e compostabili non derivanti dal petrolio, così da potenziare la filiera del compostaggio dei rifiuti organici in cui l’Italia è leader in Europa. Misure utili ad accompagnare la transizione».

Legambiente ricorda che «Per combattere l’emergenza globale dei rifiuti in mare, occorrono leggi e indirizzi dei Governi, la riconversione industriale verso l’economia circolare, ma anche l’impegno di cittadini e consumatori nel prevenire la produzione di rifiuti. Pertanto, l’associazione sollecita a non disperdere nell’ambiente oggetti inquinanti di quotidiano utilizzo e smaltirli correttamente. L’emergenza Covid-19, in particolare, sta alimentando il falso mito che dall’utilizzo di dispositivi usa e getta derivi una migliore prevenzione del contagio, nonostante non vi siano motivazioni scientifiche o epidemiologiche a supporto». Per questo il Cigno Verde invita a scegliere, ad esempio, mascherine lavabili e riutilizzabili per preservare risorse e ambiente in modo decisivo e chiede ai cittadini partecipare alla sfida social dell’estate, la #GolettaChallenge: a chi aderirà sarà chiesto di ripulire dai rifiuti un pezzetto di spiaggia e di condividere la foto sui social, sfidando tre o più amici a fare altrettanto e includendo nel post il tag di Legambiente e l’hashtag #GolettaChallenge»,

Di fronte alle illegalità sempre in agguato, Legambiente punta a non abbassare la guardia: «Come dimostra l’episodio di dispersione in mare di oltre 130 milioni di filtri provenienti dal depuratore di Capaccio-Paestum che nel 2018 hanno inquinato tutto il Mar Tirreno, con ritrovamenti persino in Francia e Spagna. Da subito l’associazione ha denunciato la vicenda, chiedendo venisse applicata la legge sugli ecoreati e intraprendendo un’azione di pulizia straordinaria delle spiagge: adesso, arriva la notizia dell’inizio del procedimento penale in cui Legambiente Campania è stata riconosciuta come persona offesa e che a ottobre vedrà sul banco degli imputati i dirigenti della multinazionale Veolia Water Technologies, funzionari del Comune di Capaccio e tecnici. Sono accusati di avere prodotto l’esondazione dei reflui dall’impianto, con conseguente dispersione in mare dei dischetti, tramite una condotta “abusiva negligente, imperita e imprudente, commissiva e omissiva”».

fonte: www.greenreport.it


#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Mascherine in mare, è già allarme

Per ridurre al minimo quello che si prospetta come un inevitabile aumento dell’usa e getta, NaturaSì, l’azienda leader del bio in Italia, rende disponibili alla vendita le mascherine in cotone lavabili fino a 15 volte, realizzate dalla Cooperativa sociale Quid















Tutto il mondo è a caccia delle mascherine chirurgiche, aziende di ogni tipo stanno convertendo la loro produzione e si stanno preparando a sfornarne un numero sempre maggiore, i Comuni e la Protezione civile a distribuirle gratuitamente laddove mancano. Un dispositivo indispensabile per ridurre il rischio di contagio da Covid-19 che però rischia di tramutarsi in una vera e propria tragedia ambientale per i nostri mari e le specie che li abitano.

A lanciare l’allarme è Silvio Greco, biologo marino e dirigente di ricerca della Stazione Zoologica Anton Dohrn: “ci segnalano già adesso che siamo in un periodo di quarantena – afferma lo scienziato – la presenza di centinaia di mascherine sulle spiagge, così come sappiamo che altrettante ne vengono pescate in mare. Non oso immaginare cosa succederà quando, finita la quarantena, di mascherine ne circoleranno miliardi”.

Greco parla di una vera e propria tragedia per le tartarughe e i mammiferi marini che, scambiando le mascherine e i guanti per cibo, finiranno per mangiarli come già succede con gli altri rifiuti in plastica che arrivano in mare. “Da non sottovalutare il fatto – aggiunge- che si tratta di plastiche che, una volta sfaldate, si tramutano in micro e nano plastiche e vengono ingerite anche dai pesci fino a risalire la catena alimentare e arrivare all’uomo”. Già oggi nei nostri mari finiscono ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica, se a questo dato aggiungiamo uno scorretto smaltimento delle mascherine, così come dei guanti e degli altri dispositivi di sicurezza necessari per proteggere la nostra salute, arriviamo a numeri stratosferici. Ma tutto ciò evitabile? Ovviamente sì, partendo innanzitutto da comportamenti individuali responsabili fino ad arrivare a un corretto riciclo e smaltimento del rifiuto. Ancora meglio “sarebbe se mettessero in mercato mascherine e guanti mono-materiali e non, come oggi, poliaccoppiati (come la plastica utilizzata, fatta di polietilene e polipropilene) impossibili da differenziare e riciclare, o se si riducesse a monte il problema, eliminando il monouso e ricorrendo, per esempio, a mascherine in tessuto”, spiega il ricercatore del Dohrn.

Sono in molti che stanno comunque cercando di capire come orientarsi in quella che sembra essere una lunga fase di transizione in cui le mascherine e i guanti saranno obbligatori o almeno consigliati. Le multiutility si cominciano a interrogare sul come gestire 1 miliardo e 200 milioni di mascherine che si calcola verranno gettate da qui alla fine del 2020, assieme a un numero ancora non definitivo di guanti usa e getta che rischiano, appunto, di finire nella catena alimentare marina, aggravando la situazione di sofferenza già alta delle popolazioni di delfini, balene e tartarughe. La più grande azienda del biologico in Italia, NaturaSì, ha annunciato che nei propri punti vendita saranno disponibili mascherine in cotone lavabili fino a 15 volte, realizzate dalla Cooperativa sociale Quid di Verona. A certificarle è l’Istituto Superiore di Sanità che le classifica come maschera a uso medico di Tipo I. Le confezioni di mascherine lavabili saranno messe a disposizione di tutto il personale del Gruppo, compresi gli addetti ai negozi, oltre che vendute al pubblico.

''Le mascherine in cotone garantiscono la protezione richiesta ma con un impatto sull'ambiente ridotto di 15 volte. Una scelta in linea con quanto abbiamo fatto fino ad ora per ridurre il più possibile il ricorso all'usa e getta, e quindi la produzione di rifiuti, a partire dalla spesa'', spiega Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì. L'azienda è più volte intervenuta, negli ultimi due anni, per la riduzione dell’usa e getta, eliminando le bottiglie in plastica in quasi 60 negozi, dove sono stati installati degli erogatori per l'acqua, e introducendo la vendita di 22 prodotti secchi sfusi che prima venivano venduti solo in confezioni di plastica. Il lavaggio delle mascherine – fanno sapere dalla Cooperativa Quid - è semplice: basta immergerle in 1 litro di acqua con 5 grammi di candeggina, sciacquare con acqua corrente e fare asciugare all'aria per poi stirare a massima temperatura fino al quindicesimo utilizzo. Ma la strada per arginare le centinaia di milioni di presidi sanitari dispersi nell’ambiente è ancora in buona parte da esplorare.




fonte: www.lastampa.it


=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Una rete piena di gamberi e plastica: ecco cosa si pesca ogni giorno nei nostri mari











Una giornata con lo stesso peschereccio quattro anni fa e oggi: le immagini impressionanti dei rifiuti raccolti in mare in Salento. «Se continuiamo a inquinare così nel 2050 nuoteremo in un mare fatto dal 50% di pesci e 50% di plastica»
 - Iacopo Gori - Video di Francesco Sena /Corriere Tv



Una rete piena di gamberi rossi. E di plastica. Succede nei mari bellissimi del Salento ma è la realtà quotidiana in qualunque altro mare italiano o mediterraneo. I dati del Wwf secondo cui «ogni anno nel mar Mediterraneo sono 570mila le tonnellate di plastica che finiscono in acqua, l’equivalente di 34mila bottigliette al minuto» sono una drammatica realtà documentata in maniera chiara anche con queste immagini.

«Ho rifatto a fine gennaio la stessa giornata di pesca sullo stesso peschereccio quattro anni dopo. E ho messo a confronto i video che ho fatto le due volte, sono immagini impressionanti (qui il video integrale). Il problema della plastica in mare è diventato spaventoso. C’è una ricerca che dice che se continueremo con questo tasso di emissioni di rifiuti in mare entro il 2050 la plastica sarà uguale alla biomassa della fauna ittica: nuoteremo in un mare fatto dal 50% di pesci e 50% di plastica» dice Francesco Sena, 30 anni, apneista salentino che, oltre a raggiungere 50 metri di profondità senza bombole, sa usare bene anche video e social (è un influencer, anche se non vuole essere definito così). Sicuramente un esperto e appassionato di mare che documenta in diretta lo stato dei nostri mari. Un uomo che passa oltre 250 giorni l’anno nel Mediterraneo.

«Abbiamo rifatto quattro anni dopo la stessa giornata di pesca a bordo di un peschereccio, a 20 miglia dalla costa tra Gallipoli e Marina di Ugento. I pescatori stanno facendo un lavoro eccezionale: separano il pescato dalla plastica e grazie alla nuova normativa adesso possono riportare in porto la plastica raccolta in mare e mandarla a smaltire. Prima venivano multati se riportavano a terra i rifiuti raccolti durante la pesca perché per la legge diventavano loro stessi produttori di rifiuti».

«Sembra incredibile ma era così prima della legge Salvamare dell’ottobrePaolo D’Ambrosio 2019» dice Paolo D’Ambrosio, direttore dell’Area marina protetta di Porto Cesareo in Puglia, assai sensibile al tema dell’inquinamento da plastica e microplastica. «Noi come area marina protetta avevamo già iniziato due anni fa a fare accordi con i 150 pescatori della marineria di Porto Cesareo. Abbiamo realizzato un ecocentro recintato e videosorvegliato dove i pescatori possono e devono smaltire i rifiuti raccolti in mare. La regione Puglia sta facendo i sopralluoghi per creare presto un ecocentro in ogni porto. Stiamo pensando a una serie di incentivi per spingere i pescatori a raccogliere sempre di più la plastica. Ogni anno nel mondo produciamo 300 milioni di tonnellate di plastica: di queste 13 finiscono nel mare. Il 70% dei rifiuti vanno a finire in fondo al mare, quelli che rimangono in superfice sono il 25% circa. Nel Mediterraneo non si formano le isole di rifiuti come in Oceano ma il nostro è il mare più inquinato di plastica di tutti. Il sud dell’Adriatico è un’area predisposta per le correnti marine all’ accumulo di plastica galleggiante».

Quanto possono aiutare davvero i pescatori in questa lotta impari contro la plastica?
«I pescatori possono dare un contributo importantissimo anche se da solo ovviamente non può bastare: occorre cambiare le nostre abitudini e ognuno di noi, a ogni livello, dal diportista al pescatore dilettante al semplice turista in spiaggia, può fare la propria parte. Senza dimenticare il consumo consapevole: quando andiamo a comprare qualcosa siamo attratti dal prodotto meglio confezionato, ce lo dicono ricerche e studi. Ecco, noi dobbiamo essere più consapevoli quando facciamo la spesa: evitare utilizzo di plastica monouso, cercare di comprare prodotti con materiale riciclato, trovare prodotti con confezioni semplici invece di imballaggi complessi più difficili da riciclare. Se adottiamo tutti insieme questo modo di fare, possiamo cambiare anche le produzioni delle multinazionali. Loro fanno i prodotti che noi cerchiamo: se noi tutti da domani cerchiamo prodotti sostenibili, le multinazionali si metteranno a produrli. Non va dimenticato che siamo noi in massima parte che contribuiamo a inquinare».

Francesco Sena (Foto Virginia Salzedo) davanti Gallipoli - prosegue Francesco Sena - ho trovato un fiume di plastica. Sì, si nota anche a vista d’occhio l’aumento esponenziale della plastica e dei rifiuti: chiunque va in mare si trova davanti questa triste realtà. E bisogna fare tutti qualcosa al più presto prima che ci sia tanta plastica quanto pesce».

Sena ha iniziato a fare apnea molto presto. A 18 anni ha iniziato a girare per i centri diving di mezzo mondo: nel Mar Rosso una volta ha incontrato Umberto Pellizzari, atleta straordinario che ha stabilito record mondiali in tutte le discipline dell’apnea. Dopo un paio di anni, Pellizzari ha chiamato Francesco a lavorare con lui: oltre a diventare suo allievo e collaboratore (nonché amico), Sena è diventato lui stesso istruttore di apnea, ha fondato l’Apnea Salento e d’inverno gira il mondo a tenere corsi (l’ultimo a dicembre a Pechino).

Francesco è un uomo di mare, da sempre appassionato di apnea e pescaFrancesco Sena (Foto Virginia Salzedo) sportiva, di vela e navigazione che ora sta spostando un’altra volta la bussola della sua vita: «Se alcuni anni fa pensavo quasi solo a fare tuffi sempre più profondi e a pescare, poi a studiare e insegnare l’apnea che è una disciplina complessa e affascinante, sia fisica che psicologica, adesso - anche grazie ai video che posto sul mio canale Youtube o alle visite di tante persone sui miei profili social - ho capito che volevo e dovevo allargare l’orizzonte e divulgare quello di cui sento sempre più l’esigenza: l’amore e il rispetto per il mare e per l’ambiente».

fonte: www.corriere.it