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Ecospiagge: 12 consigli per stabilimenti balneari sostenibili, accessibili e circolari

Siete tra coloro che d'estate preferite il mare? Ecco allora una serie di suggerimenti per individuare i lidi più ecologici. Si tratta di una serie accorgimenti- dalla mobilità sostenibile ai rifiuti inutili allo spreco d'acqua - per una stagione che possa essere circolare a partire dalle scelte individuali





Negli ultimi giorni l’estate ci è scoppiata addosso. E, come ripetono in tanti, il 2021 sarà un anno fondamentale per capire se torneremo a una normalità pre-pandemica o se impareremo a convivere con il Covid. Intanto, però, tra le lezioni apprese dal coronavirus c’è anche quella della sostenibilità. Il caldo afoso di queste ore è un ulteriore elemento che ci fa comprendere che non si può più prescindere dalle pratiche ambientali virtuose. Ecco allora una serie di consigli da seguire in spiaggia, e in special modo nei lidi dove andremo a trascorrere ampie parti delle nostre giornate.

Raccolta differenziata

Al giorno d’oggi disporre di un contenitore per la raccolta differenziata appare semplice eppure non dovremmo considerarla una cosa così scontata. Anche il loro numero e la dislocazione aiuta le persone a non buttare tutto a casaccio. In un eco-lido è buona norma poi apporre un cartello che spieghi come differenziare i vari rifiuti. Le regole, infatti, possono cambiare da Comune a Comune così come possono essere diversi i colori di riferimento. Guidare le persone nel corretto conferimento degli avanzi di un pranzo o di una lattina vuota sarà molto utile in un’ottica di stabilimento circolare.

Favorire la mobilità sostenibile

Come posso arrivare al lido? Questa è una di quelle domande che non devono essere sottovalutate specialmente nel caso di strutture scelte soprattutto da turisti che non conoscono il territorio. Se la spiaggia è raggiungibile facilmente con i mezzi pubblici o a piedi sarà utile indicarlo sui canali social e sul sito internet. Porre una rastrelliera (meglio se all’ombra) favorirà gli spostamenti in bicicletta o con strumenti di micro mobilità elettrica come i monopattini. Che ne dite poi di installare delle colonnine per la ricarica elettrica delle e-cars?

Tutta la forza del sole

Andiamo in spiaggia proprio per lui: il sole. Un eco-lido solitamente sfrutta questa risorsa non solo come attrattiva per la clientela, ma, soprattutto, installando pannelli solari-termici che consentiranno di avere gratuitamente acqua calda (perfetta per le docce) sfruttando l’energia pulita della stella del nostro sistema solare. Per soddisfare i fabbisogni elettrici potranno poi essere installati pannelli fotovoltaici. Cosa accade quando lo stabilimento è chiuso? L’energia prodotta finirà nella rete pubblica consentendo di contribuire al raggiungimento della transizione energetica.

Efficienza energetica

Anche se l’elettricità viene prodotta da fonti rinnovabili bisogna sempre ricordare che la prima forma di energia pulita è quella che non viene prodotta: l’efficienza. Dagli impianti di illuminazione agli apparecchi elettrici ed elettronici, ricordate sempre di scegliere prodotti che abbiano una classe energetica pari o superiore ad A.

Acqua piovana oro blu dal cielo

Uno stabilimento a vocazione verde cerca spesso di realizzare angoli con giardini o alberi che possano creare un’ombra naturale. Ove possibile, realizzare dei sistemi di raccolta delle acque piovane permetterà di garantire alle piante una fonte di approvvigionamento idrico.

Sprecare l’acqua? No grazie

Forse non tutti sanno che un modo per ridurre il fabbisogno idrico può essere ottenuto riutilizzando le acque grigie come quelle delle docce. Raccolte e opportunamente filtrate e trattate, potranno essere riutilizzate. Come? Ad esempio per riempire gli scarichi dei wc. Un perfetto esempio di economia circolare del ciclo delle acque. Inoltre, per ridurre gli sprechi sarà utile e opportuno installare docce e rubinetti a tempo.

Ecodetergenti, ecosaponi e creme solari

Negli stabilimenti – in particolar modo ai tempi del Covid – la pulizia è un’attività continua. Esistono molteplici detergenti in commercio il cui l’ “inci”, ovverosia la composizione, ottiene il semaforo verde (su Ecobiocontrol potrete facilmente controllare l’impatto ambientale degli ingredienti). Qualora non siate ferrati in chimica, saranno un valido aiuto le certificazioni come, ad esempio, l’Ecolabel (come recita il disciplinare europeo “tutte le sostanze tensioattive utilizzate nel prodotto devono essere biodegradabili in condizioni anaerobiche”) o quelle che vengono conferite ai prodotti ottenuti con ingredienti biologici. In ogni caso anche ridurre le dosi dei detersivi usati – dei quali troppo spesso viene fatto un abuso – potrà essere di per sé un primo importante passo.

Lo stesso discorso è valido per i saponi e le creme solari spesso in vendita negli store dei lidi. Bisogna ricordare che, quando entriamo in acqua, potrebbero essere rilasciate sostanze chimiche nocive per la flora e la fauna marina. Considerate che in luoghi incantevoli come le Hawaii o la Micronesia sono vietate le protezioni che non siano biodegradabili. Shampoo e bagnoschiuma poi, specie se vengono dispersi nell’ambiente (come nel caso di docce all’aperto), debbono essere banditi: per lavar via la salsedine sarà sufficiente un po’ d’acqua.

Lotta alla plastica monouso e ai rifiuti inutili

Acqua e bevande in vetro o lattina, contenitori monouso biodegrabili e compostabili, possibilità di utilizzo di piatti, bicchieri e tazzine riutilizzabili in ceramica: sono solo alcune delle soluzioni plastic free che si possono adottare nei lidi. Basta fare un bagno in mare per ricordarci che queste scelte sono essenziali. Su alcuni lungomari oggi si trovano anche le cosiddette casette dell’acqua: basta una borraccia e ci si può dissetare senza dover acquistare acqua imbottigliata (spesso in contenitori di plastica).

Nell’anno (o meglio nel biennio) del Covid è aumentato il numero delle persone che hanno deciso di utilizzare il bancomat per effettuare i pagamenti riducendo così ogni contatto interpersonale. Come riportato recentemente da SumUp, crescono anche i pagamenti effettuati sotto l’ombrellone tramite smartwatch. Utilizzando tali dispositivi mobili, lo scontrino viene sostituito da un sms e in questo modo otterremo un rifiuto (peraltro non riciclabile) in meno in spiaggia.

Un ecomenù del territorio

Spesso gli stabilimenti balneari offrono ai propri clienti la possibilità di mangiare: che sia un pasto veloce o sia servito in un vero e proprio ristorante, la struttura sostenibile dovrà servire prodotti locali e di stagione evitando l’offerta di cibi esotici o tipicamente invernali. Lasciatevi sedurre da sapori a km zero, meglio ancora se bio.

Accessibilità

Fortunatamente, la sostenibilità dei luoghi è sempre più intesa non solo in relazione all’impatto ambientale ma anche ai principi dell’inclusione e dell’accessibilità degli spazi. Sarà opportuno realizzare strutture che consentano a tutti l’accesso alla spiaggia. In tal senso sarà fondamentale predisporre e attrezzare le strutture tenendo conto delle esigenze delle persone con disabilità motoria e/o cognitivo-comportamentale, pensando anche agli anziani o alle famiglie con bambini.

Come trovare tali strutture? Ad esempio sul portale spiagge.it – selezionando i lidi con “spiagge accessibili a disabili” – che consente di prenotare il proprio lettino comodamente tramite una app, evitando anche di fare viaggi a vuoto.

Cicche in spiaggia no grazie

I filtri delle sigarette possono impiegare diversi anni prima di degradarsi e, nel frattempo, mozzicone dopo mozzicone, invadono le spiagge divenendo un pericolo per pesci e uccelli che possono scambiarli per cibo. Molti gestori balneari hanno dichiarato guerra a questi piccoli ma grandi pericoli e, in alcuni casi, è stato reso obbligatorio per i fumatori l’uso di posacenere tascabili.

In alcuni stabilimenti gli avventori che consegnano ai gestori un bicchiere pieno di cicche ottengono in regalo una birra fresca mentre in altri sono attivi sistemi come i “Cicca Goal” attraverso i quali – grazie a due contenitori dedicati ad altrettante squadre – i fumatori vengono invitati a gettare correttamente la sigaretta nel secchio indicando la squadra per la quale fanno il tifo per un sondaggio tra villeggianti sui colori del cuore.

Fare informazione ambientale e culturale

In ogni caso è opportuno che uno stabilimento che applica le buone pratiche dell’ecosostenibilità pubblicizzi le sue scelte dotandosi di cartelloni e sistemi di informazione che aiutino le persone a seguire le regole, ma anche a scoprire e rispettare l’ecosistema che le circonda. Ad esempio è buona regola invitare gli avventori a non portar via nulla dal mare – dalle stelle marine alle conchiglie – spiegandone le ragioni e facendo comprendere l’importanza di preservare i fragili equilibri dell’ecosistema.

Se poi si ha il privilegio dii trovarsi in un luogo dove avviene la nidificazione delle tartarughe, si potranno indicare le buone regole di una spiaggia tartafriendly per non danneggiare le uova (i cui nidi vengono spesso recintati dai volontari e dai centri di recupero di tartarughe marine) evitando ogni interazione con le tartarughe appena nate. Ricordate, infine, di fornire ai vostri ospiti informazioni sulle bellezze artistico-naturalistiche e sulle manifestazioni della zona, per promuovere un turismo di prossimità.

fonte: economiacircolare.com




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I mari e l’ambiente. Marevivo lancia la campagna “Adotta una spiaggia”

La spiaggia è il luogo dove la terra incontra il mare, segnando il confine fra due ambienti naturali straordinari, veri e propri scrigni di biodiversità, oggi sempre più minacciati dall’uomo














A trentasei anni dalla prima attività di pulizia di una spiaggia, Marevivo lancia la sua nuova campagna nazionale “Adotta una spiaggia”, attraverso la quale sarà possibile sostenere l’associazione nelle attività di pulizia, osservazione e valorizzazione di decine di spiagge in tutta Italia, dalla Liguria alla Sardegna, dal Friuli Venezia Giulia alla Sicilia.

Un ambiente naturale
Spesso non ci rendiamo conto che la spiaggia rappresenta un ambiente unico in natura, il cui delicato equilibrio può essere irrimediabilmente compromesso dai comportamenti dell’uomo. Alla spiaggia, infatti, appartengono i granelli di sabbia, le conchiglie, la vegetazione e le tante creature che vivono sul litorale e nelle acque vicino alla riva. Con la campagna “Adotta una spiaggia” Marevivo vuole dunque da un lato promuovere sul territorio azioni concrete per contribuire a contrastare alcune delle criticità generate dall’azione antropica, ma anche ricordare quanto sia una responsabilità collettiva avere cura costante di un ambiente così fragile e prezioso, al quale ancora oggi purtroppo siamo abituati a pensare solo in estate e in una misura “accessoria”.
L’Italia ha circa 8000 km di costa, il 50% circa è rappresentato da coste sabbiose, il 34% da coste rocciose e il 16% è occupato da infrastrutture di vario genere: porti, aree industriali, insediamenti turistici, aree agricole o commerciali. I litorali sabbiosi, le spiagge e le dune costiere sono tra gli habitat europei e nazionali con il peggiore stato di conservazione.

Le minacce
Le principali minacce e pressioni su questi ambienti fragili sono l’inquinamento, la cementificazione delle coste, il turismo irresponsabile, le attività di vario genere che si svolgono nell’immediato entroterra, la distruzione delle praterie sommerse di posidonia, la presenza di specie aliene, la distruzione degli alvei dei fiumi.
Si stima che l’inquinamento delle spiagge colpisca più di 800 specie di fauna selvatica in tutto il mondo, e sono più di 100.000 gli uccelli, le tartarughe marine e i mammiferi marini che ogni anno muoiono a causa dei rifiuti di plastica abbandonati. Hanno la loro influenza anche fenomeni a scala globale come i cambiamenti climatici e l’aumento delle temperature medie del pianeta. A causa del disturbo e dell’eccessivo afflusso di bagnanti, animali come il fratino o la tartaruga marina Caretta caretta non riescono a trovare le condizioni adatte per la riproduzione, la deposizione e la schiusa delle uova o per lo sviluppo della prole.
La tipica vegetazione costiera è quasi ovunque scomparsa o fortemente compromessa e non riesce più a svolgere il suo ruolo di contrasto all’erosione. Specie tipiche dei litorali sabbiosi come il giglio di mare o la sfinge del pancrazio (una farfalla notturna il cui bruco si nutre esclusivamente delle foglie di questa pianta), stanno ormai diventando rare ovunque. Altra grave minaccia è rappresentata dall’erosione costiera, fenomeno particolarmente forte in Italia che negli ultimi 50 anni ha perso 40 milioni di metri quadrati di spiaggia e dove attualmente quasi il 50% delle coste sabbiose è soggetto a erosione ed è stato trasformato e urbanizzato distruggendo o modificando in maniera allarmante la morfologia naturale della costa e il paesaggio preesistente.

Le donazioni e le adozioni
A prendersi cura delle spiagge “adottate” saranno i volontari delle Delegazioni di Marevivo sul territorio, da anni impegnati costantemente a tutelarne l’integrità, il valore naturalistico e la bellezza. Le donazioni permetteranno quindi a centinaia di attivisti di Marevivo di avviare e sostenere nel tempo attività di pulizia e di sensibilizzazione della popolazione e delle istituzioni locali, anche attraverso l’installazione di pannelli informativi. Direttamente dal sito di Marevivo sarà possibile scegliere quale spiaggia “adottare”, optando per una a cui si è fortemente legati o piuttosto ad una lontana ma particolarmente preziosa dal punto di vista naturalistico.

Come proteggere i litorali
“Quando pensiamo alla spiaggia spesso non ci rendiamo conto che si tratta di un ecosistema complesso, habitat naturale di centinaia di animali e piante marine” ha dichiarato Raffaella Giugni, responsabile relazioni istituzionali di Marevivo. “Per proteggerla dobbiamo capirne il valore, guardarla con occhi diversi. Per questo abbiamo deciso di lanciare questa campagna e di chiedere a tutte le persone che amano il mare di aiutarci a preservare decine di spiagge in tutta Italia e gli animali che le abitano.”

fonte: www.e-gazette.it


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È il turismo il principale responsabile dei rifiuti marini che finiscono sulle spiagge delle isole del Mediterraneo

Il turismo produce l'80% dei rifiuti marini che si accumulano sulle spiagge delle isole del Mediterraneo in estate. La pandemia di Cobvid-19 è un'opportunità per ripensare il modello del turismo sostenibile




Lo studio “The generation of marine litter in Mediterranean island beaches as an effect of tourism and its mitigation”, pubblicato su Scientific Reports da Michaël Grelaud e Patrizia Zivieri dell’Institut de Ciència i Tecnologia Ambientals de la Universitat Autònoma de Barcelona (ICTA-UAB), mette in guardia sull’impatto che l’attuale modello turistico nelle isole del Mediterraneo ha sullo spiaggiamento di rifiuti marini e raccomanda di sfruttare la crisi del Covid.19 per ripensare a un nuovo modello di turismo più sostenibile.

Lo studio di mostra che «L’uso ricreativo delle spiagge delle isole del Mediterraneo durante l’estate è responsabile fino all’80% dei rifiuti marini che si accumulano su quelle spiagge e genera enormi quantità di microplastiche attraverso la frammentazione di grandi prodotti in plastic».

Lo studio internazionale ha analizzato negli ultimi 4 anni gli effetti dei rifiuti generati dal turismo su 24 spiagge, da siti remoti a siti altamente turistici, di 8 isole del Mediterraneo (Maiorca, Sicilia, Rab, Malta, Creta, Mykonos, Rodi e Cipro). All’ICTA-UAB ricordano che «I rifiuti marini, comprese le microplastiche, possono essere definiti come qualsiasi materiale solido persistente, prodotto o lavorato scartato, smaltito o abbandonato nell’ambiente marino e costiero. Derivano dall’attività umana e possono essere trovati in tutti gli oceani e i mari del mondo».

Grelaud sottolineano che «Questo problema ambientale sta minacciando la buona salute degli ecosistemi marini e può portare alla perdita di biodiversità. Può avere anche enormi impatti economici per le comunità costiere che dipendono dai servizi ecosistemici aumentando la spesa per la pulizia delle spiagge, la salute pubblica o lo smaltimento dei rifiuti».

La regione del Mediterraneo accoglie ogni anno circa un terzo del turismo mondiale ed è particolarmente colpita dall’inquinamento ambientale legato a questa industria che, come dicono spesso gli esperti, insieme a quella estrattiva è l’unica che “mangia” sé stessa. L’attrattività delle isole del Mediterraneo fa sì che la loro popolazione si moltiplichi fino a 20 volte durante l’alta stagione. I ricercatori evidenziano che «Si tratta di una sfida per i comuni costieri, che dipendono da questo settore ma devono adeguarsi e far fronte all’aumento dei rifiuti prodotti, anche sulle spiagge, dall’afflusso stagionale di turisti. Si prevede infatti che il turismo costiero sia una delle principali fonti di rifiuti marini terrestri».

Durante la bassa e alta stagione turistica del 2017, il team di ricerca ha condotto 147 indagini sui rifiuti marini nelle 8 isole e i risultati di mostrano che la stragrande maggioranza dei rifiuti raccolti sono di plastica, visto che rappresentano oltre il 94% dei rifiuti marini.

Dallo studio è emerso che, durante l’estate, sulle frequentatissime spiagge turistiche si accumulano in media 330 rifiuti per 1.000 m2 al giorno, 5,7 volte in più rispetto alla bassa stagione e che oltre il 65% della quantità di rifiuti marini che si accumulano sulle spiagge più frequentate dai turisti e costituito da mozziconi di sigarette, cannucce, lattine e alter tipologie di imballaggi usa e getta. I ricercatori avvertono che «Questo può aumentare fino all’80% se vengono incluse le microplastiche di grandi dimensioni. Come suggerito dai risultati: durante l’estate, gli articoli in plastica lasciati sulla spiaggia subiranno una frammentazione per gli effetti combinati dell’irraggiamento solare e dell’attrito con la sabbia, accelerati dall’elevato volume dei visitatori». Un fenomeno osservato in tutte le isole del Mediterraneo,

Nel 2019, e dopo l’attuazione di campagne di sensibilizzazione dei cittadini, c’è stata una diminuzione di oltre il 50% dei rifiuti associati alla frequentazione delle spiagge da parte dei turisti.

La Zivieri conclude: «Questi risultati molto incoraggianti beneficiano probabilmente della crescente attenzione dell’opinione pubblica verso l’inquinamento da plastica negli oceani o verso le misure adottate dalla Commissione europea per ridurre i rifiuti marini, come la direttiva sulla plastica monouso. Inoltre ci ricordano che il confinamento da Covid-19 e la relativa riduzione drastica e temporanea del turismo ci offre un’opportunità per ripensare l’importanza fondamentale del turismo sostenibile per garantire un futuro sano per l’ambiente e, quindi, anche per le persone».

fonte: www.greenreport.it

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Bali, i monsoni sommergono le spiagge con la plastica

I rifiuti plastici sulle coste di Bali sono sempre di più: un fenomeno che si aggrava di anno in anno e che rischia di dare il colpo di grazia al turismo.



Un paradiso, sì, ma di plastica. In questo si stanno trasformando le spiagge di Bali, una delle mete esotiche più note e amate dai turisti di tutto il mondo. Secondo il quotidiano britannico The Guardian, negli ultimi giorni le piogge monsoniche e i venti che soffiano da ovest verso est avrebbero portato grandissime quantità di rifiuti plastici marini sulle principali spiagge dell’isola indonesiana, ovvero Kuta, Legian e Seminyak. A detta dell’agenzia per l’ambiente e i servizi igienico-sanitari della zona di Badung, una delle più turistiche di Bali, in soli tre giorni sarebbero state raccolte circa 90 tonnellate di plastica. Una ulteriore piaga per un settore, quello turistico, divenuto il principale motore dell’economia balinese e ora fermo causa pandemia di coronavirus.

Plastica sulle spiagge di Bali: una situazione non nuova

La situazione, certo, non è nuova: Denise Hardesty, ricercatrice dell’Agenzia nazionale delle scienze australiana (Csiro) ed esperta di inquinamento da plastica, ha tenuto a precisare che il problema del beach litter affligge l’arcipelago indonesiano da anni nel periodo monsonico. Tuttavia, nell’ultimo decennio il fenomeno ha visto un forte peggioramento, dovuto molto probabilmente all’aumento costante della quantità di plastica prodotta nel mondo e di rifiuti plastici dispersi nell’ambiente.


Basti solo ricordare che, se negli anni Sessanta venivano prodotte 15 milioni di tonnellate di questo materiale, oggi ne vengono realizzate oltre 300 milioni all’anno, di cui oltre otto milioni dispersi negli oceani del globo. La stima, secondo il Wwf, è che negli oceani del mondo vi siano oltre 150 milioni di tonnellate di plastica.


Sempre secondo il quotidiano britannico, a giocare un ruolo importante nell’inquinamento delle spiagge balinesi sono anche i cattivi sistemi di smaltimento locali. A detta degli esperti, infatti, molti dei rifiuti trovati sulle spiagge non provenivano da lontano. Per questo i gruppi ambientalisti indonesiani stanno lavorando per sensibilizzare la popolazione a un minore utilizzo della plastica. Inoltre, Csiro sta lavorando per implementare un sistema di monitoraggio con telecamere e intelligenza artificiale per tracciare i rifiuti e identificare i punti di provenienza.

Trovare soluzioni per far ripartire (anche) il turismo di Bali

Trovare una soluzione per ridurre il quantitativo di plastica sulle spiagge balinesi è d’obbligo anche per garantire una buona ripartenza del settore turistico alla fine della crisi: dal 2020, a causa della pandemia, sull’isola sono consentiti solo gli spostamenti interni. Bali è però una delle mete più gettonate al mondo – nel 2017 ha “vinto” il Travelers’ choice destinations awards della piattaforma per viaggiatori Tripadvisor e nel 2020 si è piazzata al quarto posto – ma è anche una di quelle prese maggiormente d’assalto dal turismo di massa.

Nel 2018 i turisti sono stati 5 milioni, una cifra di poco superiore al numero di abitanti totali dell’isola: una pressione seppur necessaria all’economia del paese, ormai poco sostenibile, con la progressiva distruzione degli habitat e l’aumento dell’inquinamento. Che il fermo causato dalla pandemia e il progressivo inquinamento delle coste siano il pretesto per ripensare al turismo sull’isola in chiave più sostenibile?

fonte: www.lifegate.it


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Spiaggia pulita? Solo se contiene meno di 20 rifiuti ogni 100 metri




Meno di 20 rifiuti marini ogni 100 metri lineari di costa per considerare una spiaggia in buono stato ambientale. E’ il valore soglia o il target di riferimento stabilito a livello europeo, e recentemente pubblicato dalla Commissione EU, per definire una spiaggia pulita.

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2020/09/coastline_litter_threshold_value_report_14_9_2020_final.pdf


Un traguardo ambizioso in particolare per i Paesi euro-mediterranei dove le concentrazioni di rifiuti spiaggiati risultano marcatamente più elevate rispetto a quelle di altri mari europei (Mediterraneo: 274 oggetti/100 m; Mar Baltico: 40 oggetti/100 m; Mar Nero: 104 oggetti/100 m). In Italia, i valori mediani nelle tre sottoregioni sono pari a 559 oggetti/100m nel Mar Adriatico, 421 oggetti/100m nel Mediterraneo occidentale e 271 oggetti/100 m nel Mar Ionio e Mediterraneo centrale.

Ma perché questo valore? Per stabilire il valore soglia, gli esperti hanno analizzato il primo set di dati disponibile a livello europeo sui rifiuti rinvenuti lungo le spiagge del continente, riferito al periodo 2015-2016 e derivante dai programmi nazionali di monitoraggio realizzati seguendo metodologie condivise. Sono stati effettuati nel periodo di riferimento, in tutta Europa, 3069 rilevamenti da 331 diverse spiagge. In Italia le spiagge monitorate nel periodo in esame sono state 64. Il monitoraggio viene effettuato dalle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente ed è finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM). I dati così raccolti, elaborati da ISPRA e condivisi con gli altri Paesi europei, sono stati utilizzati per la definizione del valore soglia nell’ambito del gruppo tecnico comunitario sui rifiuti marini al quale partecipano esperti ISPRA.

Il valore di 20 rifiuti per 100 m di lunghezza della spiaggia corrisponde al 15° percentile dell’insieme dei dati dell’UE ed è un valore sufficientemente precauzionale, nonché un traguardo difficile, ma non impossibile da raggiungere con l’adozione di misure sostanziali e prolungate.

L’aver stabilito un valore soglia europeo per le spiagge pulite, spiegano gli esperti, rappresenta un passo importante poiché apre la strada alla definizione di altri target di riferimento come quello sui rifiuti del fondale marino, sulla microplastica e sull’impatto dei rifiuti sugli organismi marini.

Le attività di monitoraggio condotte nell’ambito della Direttiva Quadro europea sulla Strategia per l’Ambiente Marino di cui il MATTM è autorità competente con il supporto tecnico-scientifico di ISPRA, consentiranno di verificare l’efficacia delle misure nell’abbattimento del quantitativo dei rifiuti nei nostri mari e lungo le nostre spiagge a potranno fornire indicazioni sui tempi necessari per il raggiungimento dell’obiettivo comunitario da parte dell’Italia.

fonte: https://www.snpambiente.it/


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Plastic Free, insieme contro l'utilizzo della plastica

L'associazione Plastic Free Odv Onlus ha già raccolto 4.500 kg di rifiuti in plastica e si prepara a diverse campagne di sensibilizzazione in tutta Italia
















Sensibilizzare le persone a non utilizzare la plastica, portare i comuni italiani ad avere un orientamento plastic free, trasformare almeno 100 scuole in istituti plastic free. Sono solo alcuni degli obiettivi che l'associazione Plastic Free Odv Onlus intende perseguire nel 2020 con la sua attività sul territorio e le sue campagne informative e di raccolta. Un'attività che, l'associazione guidata da Luca De Gaetano, ha già registrato risultati importanti come la raccolta di oltre 4.500 chilogrammi di rifiuti in plastica in tutto il territorio nazionale e la campagna di sensibilizzazione contro guanti e mascherine gettati a terra, in questo periodo, e ripresa da diversi organi di stampa e da altre realtà attive nel settore ambientale.

Plastic Free, insieme contro l'utilizzo della plastica

Un'attività divenuta una vera e propria "missione", grazie al supporto dei tantissimi iscritti e attivisti dell'associazione che ogni giorno, in tutta Italia, su spiagge, strade, marciapiedi, piazze, insegue un unico obiettivo: "liberare il mondo dalla plastica". L'associazione Plastic Free Organizzazione di Volontari Onlus nasce infatti, il 26 luglio dello scorso anno, dalla volontà di un giovane imprenditore esperto di marketing, Luca De Gaetano, che ha deciso di utilizzare le sue competenze con l'obiettivo di informare e sensibilizzare più persone possibili sulla pericolosità della plastica. Per De Gaetano, infatti, se con il marketing si può vendere qualsiasi cosa, le stesse strategie applicate a finalità sociali possono generare numeri davvero impressionanti. Plastic Free, in pochi mesi, ha raggiunto con le proprie pubblicazioni 151 milioni di utenti sui canali social, 27 mila follower su Instagram e 200 mila fan nella pagina Facebook. 

Plastic Free, insieme contro l'utilizzo della plastica

"Bevevo oltre 5 litri d’acqua al giorno - racconta Luca De Gaetano -, ogni giorno erano dalle 4 alle 6 bottiglie d’acqua consumate che andavano a finire nella busta della plastica. Ho iniziato a pensare a quante bottiglie avessi utilizzato negli ultimi 5 anni, senza calcolare le bottigliette che spesso compravo in giro. Risultato? 9.125 bottiglie di plastica. Così ho iniziato a documentarmi sul tema dell'utilizzo della plastica rimanendo impressionato e spaventato". In quel preciso istante De Gaetano ha deciso di non rimanere a guardare. "Decisi che era il momento di intervenire - spiega -, ma cosa poteva fare un piccolo imprenditore appassionato di marketing? Potevo solo mettere in campo le mie competenze per iniziare un lungo processo di sensibilizzazione. Era il 30 marzo 2019 quando, insieme al mio grafico, abbiamo ideato il logo di Plastic Free, una tartaruga stilizzata. Tartaruga? Si, la tartaruga doveva essere il simbolo di questo movimento. Ogni anno migliaia di tartarughe muoiono per colpa della plastica, non poteva non essere il nostro riferimento primario. Il 4 aprile nascono le pagine social e studiata al meglio la nostra comunicazione, con l’obiettivo di arrivare ovunque, la pagina ha iniziato a prendere forma: per 3 mesi consecutivi raggiunge una media mensile di 22 milioni di utenti".

Plastic Free, insieme contro l'utilizzo della plastica

L'attività sul territorio prevede una particolare attenzione verso le foci di fiumi e mari, oltre alle spiagge, dove si concentra la maggiore quantità di rifiuti in plastica. "Tra i ritrovamenti – spiega De Gaetano – ‘vince’ la microplastica in spiaggia, seguita dalle bottiglie sempre in plastica e dal polistirolo. Frequente anche la raccolta di altre tipologie di rifiuti in plastica come confezioni e contenitori di alimenti”. 
Proprio per questo l'obiettivo per quest'anno dell'associazione è quello di realizzare 10 grandi eventi in tutt'Italia e tanti piccoli appuntamenti di raccolta. Tra i principali eventi spicca il "Progetto tartarughe" che è partito il 15 Giugno, in collaborazione con i centri di recupero tartarughe e cetacei, e che permetterà alle persone di adottare simbolicamente una tartaruga. Agli aderenti verrà rilasciato un certificato digitale di adozione che sarà aggiornato su tutte le fasi della tartaruga recuperata: cure, riabilitazione e rilascio in mare. Altro progetto è quello denominato "Comuni Plastic Free" che ha l'obiettivo di portare i Comuni ad un orientamento Plastic Free e nei quali verrà esposta la Bandiera Plastic Free. Per completare il progetto in Italia, inoltre, l'associazione è attiva nel reclutare Referenti in tutte le province.
fonte: www.lastampa.it

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Fase 2: da un brevetto ENEA distanziatori ecosostenibili per la spiaggia

Sarà possibile utilizzare la Posidonia oceanica, una pianta marina che si deposita in grandi quantitativi sugli arenili mediterranei, per realizzare barriere di sicurezza ecologiche.

















Dal mondo della ricerca una soluzione green per assicurare il corretto distanziamento sulle spiagge nella fase post-emergenza COVID-19. L’idea è di utilizzare la Posidonia oceanica, una pianta marina che si deposita in grandi quantitativi sugli arenili mediterranei, per realizzare barriere di sicurezza ecologiche.
L’innovazione - sviluppata da ENEA in collaborazione con l’azienda Ecofibra - consiste in pannelli divisori imbottiti con Posidonia, raccolta ed essiccata, per separare gli ombrelloni e creare dei percorsi di accesso all’acqua, in linea con l’attuale normativa sanitaria.  
“L’utilizzo durante la stagione estiva di questi dispositivi economici, facilmente riutilizzabili e che possono essere realizzati anche con materiali 100% naturali, consentirebbe di rendere fruibili in sicurezza superfici di costa altrimenti non balneabili e di ridurre la dispersione di aerosol a beneficio della ricettività turistica”, spiega Sergio Cappucci del Laboratorio ingegneria sismica e prevenzione dei rischi naturali ENEA, che ha inventato e brevettato il sistema utile anche per stuoie, sdraio, cuscini e altri arredi, in un’ottica di economia circolare, protezione dell'ambiente e tutela della biodiversità, offrendo nuove opportunità di sviluppo economico.”
Questi prototipi di “separè”, ecologici, alti circa 120 cm e larghi 200 cm, sono dotati di telai in acciaio e fodera in plastica riciclata o in materiali naturali; a fine stagione l’imbottitura può essere semplicemente svuotata sulla spiaggia dove torneranno a svolgere l’originaria funzione di protezione dall’azione erosiva provocata dalle onde.
Rendering pannelli in spiaggia i dispositivi rappresentano inoltre una soluzione al problema della corretta gestione della posidonia spiaggiata che occupa molta superficie di spiaggia, generando cattivi odori: se raccolte insieme ad altri rifiuti, infatti, i cumuli devono essere smaltiti, con costi ingenti per operatori e amministrazioni locali che devono provvedere alla loro rimozione.
La Posidonia oceanica è un importante indicatore dello stato di salute del mare in grado anche di ridurre i fenomeni di erosione costiera, produrre ossigeno, contribuire alla conservazione delle degli ecosistemi e della biodiversità. La loro rimozione, oltre a sottrarre quantità elevate di sabbia alle spiagge, privandole della naturale protezione dalle mareggiate, sottrae biomassa e nutrienti importanti per gli ecosistemi costieri, con conseguente impoverimento della biodiversità. Un recente studio ha calcolato che la rimozione meccanica di posidonia spiaggiata, la cosiddetta “banquette”, in 19 spiagge ha fatto perdere in 9 anni (2010-2018) un volume di sabbia di oltre 39.000 mc, equivalenti a circa 30.000 tonnellate di sabbia.


fonte: www.greencity.it

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Antartide e plastica, trent’anni di studi del British Antarctic Survey su spiagge, uccelli marini e rifiuti umani



















Packaging alimentare, materiale da pesca e rifiuti generici: tutti in plastica, e tutti capaci di navigare fino all’Antartide. La conferma di osservazioni già segnalate in modo sporadico negli ultimi anni arriva da due studi appena pubblicati su Environment International da un gruppo di ricercatori del British Antarctic Survey (missione che da molto tempo tiene sotto controllo la situazione con campionamenti regolari sul campo). La plastica ha dunque raggiunto anche le estreme terre del Sud, e anche se c’è qualche buona notizia, il panorama è preoccupante.

Gli studi affrontano aspetti diversi rispetto a quanto osservato in due punti di rilevazione attivi da oltre trent’anni. La Bird Island, nella Georgia del Sud (territorio britannico d’oltremare a circa mille km a est delle Falkland), e la Signy Island, nelle Orcadi del Sud (ancora più a Sud, a circa 1.300 km dalle Falkland, con temperature che, in inverno, raggiungono i 40°C sotto zero).

Nel primo caso sono stati analizzati i rifiuti raccolti nelle spiagge negli ultimi trent’anni. Nella Bird Island, sono stati raccolti oltre 10.100 campioni per un peso complessivo di oltre 100 kg, e si è visto che il 97,5% (pari all’89% del peso totale dei detriti raccolti) era costituito da plastiche, mentre il resto erano metalli, cartoni e altri materiali industriali. Nella seconda isola, la Signy Island, la situazione era simile: i rifiuti – oltre 1.300, per un peso di 268 kg – erano all’84% costituiti da plastiche (pari all’80% in peso).

In entrambi i casi, tutti i rifiuti erano di natura antropogenica e provenienti da imballaggi alimentari, da materiali per la pesca e da altre fonti. Nel tempo, però, dimensioni e quantità sono diminuite in tutti e due i siti: un segnale positivo, che secondo gli autori potrebbe essere un segno del successo, almeno in parte, di misure introdotte per evitare la dispersione di detriti di plastica nell’Oceano Antartico, soprattutto a partire dagli anni Duemila.




È di plastica la maggior parte dei rifiuti raccolti dai ricercatori in trent’anni di campionamenti in due isole nell’Oceano Antartico (©Waluda CM et al, 2020)

Nel secondo studio sono stati monitorati alcuni uccelli marini, come gli albatros e le procellarie. In questo caso il risultato è stato negativo, perché si è visto che il loro stomaco contiene molta più plastica rispetto ad anni fa, e che anche la composizione è cambiata. Oggi negli uccelli più grandi si trovano soprattutto involucri di alimenti consumati in Sud America in concentrazioni e numero di residui per individuo variabile da 6 a 14 volte rispetto a quella di venti anni fa. Gli uccelli di piccola taglia ingoiano più tappi di bottiglie e altri rifiuti di dimensioni inferiori originati nel Sud Est asiatico. La provenienza è quasi sempre chiara: si tratta di rifiuti alimentari scaricati in mare dalle città o dagli agglomerati urbani situati in prossimità delle coste, e anche dalle navi da pesca e da crociera. Gli uccelli sono considerati bioindicatori dell’inquinamento da plastica, e dimostrano che l’attenzione verso ciò che si scarica in mare è peggiorata, soprattutto per quanto riguarda gli alimenti.

La speranza è che le plastiche biodegradabili rimpiazzino sempre di più quelle tradizionali, e che il riciclo continui a fare passi in avanti in tutto il mondo.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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Mascherine in mare, è già allarme

Per ridurre al minimo quello che si prospetta come un inevitabile aumento dell’usa e getta, NaturaSì, l’azienda leader del bio in Italia, rende disponibili alla vendita le mascherine in cotone lavabili fino a 15 volte, realizzate dalla Cooperativa sociale Quid















Tutto il mondo è a caccia delle mascherine chirurgiche, aziende di ogni tipo stanno convertendo la loro produzione e si stanno preparando a sfornarne un numero sempre maggiore, i Comuni e la Protezione civile a distribuirle gratuitamente laddove mancano. Un dispositivo indispensabile per ridurre il rischio di contagio da Covid-19 che però rischia di tramutarsi in una vera e propria tragedia ambientale per i nostri mari e le specie che li abitano.

A lanciare l’allarme è Silvio Greco, biologo marino e dirigente di ricerca della Stazione Zoologica Anton Dohrn: “ci segnalano già adesso che siamo in un periodo di quarantena – afferma lo scienziato – la presenza di centinaia di mascherine sulle spiagge, così come sappiamo che altrettante ne vengono pescate in mare. Non oso immaginare cosa succederà quando, finita la quarantena, di mascherine ne circoleranno miliardi”.

Greco parla di una vera e propria tragedia per le tartarughe e i mammiferi marini che, scambiando le mascherine e i guanti per cibo, finiranno per mangiarli come già succede con gli altri rifiuti in plastica che arrivano in mare. “Da non sottovalutare il fatto – aggiunge- che si tratta di plastiche che, una volta sfaldate, si tramutano in micro e nano plastiche e vengono ingerite anche dai pesci fino a risalire la catena alimentare e arrivare all’uomo”. Già oggi nei nostri mari finiscono ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica, se a questo dato aggiungiamo uno scorretto smaltimento delle mascherine, così come dei guanti e degli altri dispositivi di sicurezza necessari per proteggere la nostra salute, arriviamo a numeri stratosferici. Ma tutto ciò evitabile? Ovviamente sì, partendo innanzitutto da comportamenti individuali responsabili fino ad arrivare a un corretto riciclo e smaltimento del rifiuto. Ancora meglio “sarebbe se mettessero in mercato mascherine e guanti mono-materiali e non, come oggi, poliaccoppiati (come la plastica utilizzata, fatta di polietilene e polipropilene) impossibili da differenziare e riciclare, o se si riducesse a monte il problema, eliminando il monouso e ricorrendo, per esempio, a mascherine in tessuto”, spiega il ricercatore del Dohrn.

Sono in molti che stanno comunque cercando di capire come orientarsi in quella che sembra essere una lunga fase di transizione in cui le mascherine e i guanti saranno obbligatori o almeno consigliati. Le multiutility si cominciano a interrogare sul come gestire 1 miliardo e 200 milioni di mascherine che si calcola verranno gettate da qui alla fine del 2020, assieme a un numero ancora non definitivo di guanti usa e getta che rischiano, appunto, di finire nella catena alimentare marina, aggravando la situazione di sofferenza già alta delle popolazioni di delfini, balene e tartarughe. La più grande azienda del biologico in Italia, NaturaSì, ha annunciato che nei propri punti vendita saranno disponibili mascherine in cotone lavabili fino a 15 volte, realizzate dalla Cooperativa sociale Quid di Verona. A certificarle è l’Istituto Superiore di Sanità che le classifica come maschera a uso medico di Tipo I. Le confezioni di mascherine lavabili saranno messe a disposizione di tutto il personale del Gruppo, compresi gli addetti ai negozi, oltre che vendute al pubblico.

''Le mascherine in cotone garantiscono la protezione richiesta ma con un impatto sull'ambiente ridotto di 15 volte. Una scelta in linea con quanto abbiamo fatto fino ad ora per ridurre il più possibile il ricorso all'usa e getta, e quindi la produzione di rifiuti, a partire dalla spesa'', spiega Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì. L'azienda è più volte intervenuta, negli ultimi due anni, per la riduzione dell’usa e getta, eliminando le bottiglie in plastica in quasi 60 negozi, dove sono stati installati degli erogatori per l'acqua, e introducendo la vendita di 22 prodotti secchi sfusi che prima venivano venduti solo in confezioni di plastica. Il lavaggio delle mascherine – fanno sapere dalla Cooperativa Quid - è semplice: basta immergerle in 1 litro di acqua con 5 grammi di candeggina, sciacquare con acqua corrente e fare asciugare all'aria per poi stirare a massima temperatura fino al quindicesimo utilizzo. Ma la strada per arginare le centinaia di milioni di presidi sanitari dispersi nell’ambiente è ancora in buona parte da esplorare.




fonte: www.lastampa.it


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Cos’è una spiaggia ecologica? Lo spiega Ispra in un nuovo cartoon

Rimandato il lancio della campagna di educazione ambientale nelle scuole del litorale romano, online il cartone animato dedicato alla Posidonia oceanica.



















Da rifiuto maleodorante a risorsa naturale. Parliamo delle cosiddette banquette di Posidonia oceanica, spesso rimosse dalle spiagge per rendere i litorali più puliti. Una pratica comune ma scorretta, che può seriamente compromettere l’integrità delle coste, privare le spiagge della loro naturale protezione dalle mareggiate e sottrarre importanti nutrienti agli arenili. Oltre a portar via grandi quantità di sabbia ogni anno.
L’idea di spiaggia ecologica lanciata da Ispra è quella di un habitat dove la Posidonia non viene immediatamente rimossa, ma trattata in modi alternativi. Per questo è stata lanciata la campagna di sensibilizzazione indirizzata agli amministrazioni locali, gestori dei litorali, studenti e residenti. Con l’obiettivo di sensibilizzare all’adozione di un modello alternativo di gestione che eviti il ricorso alla discarica. Nei casi in cui non sia possibile mantenerla in loco, prevederne il riuso nel rispetto degli ecosistemi costieri.
Il cartone animato dal titolo “Banquette alla riscossa!” intende spiegare ai più giovani, e non solo, l’importanza della Posidonia e il fondamentale ruolo ecologico che riveste all’interno degli habitat costieri. A causa della chiusura delle scuole per l’emergenza Covid-19, non è stato possibile lanciare la campagna, come previsto, nelle scuole medie inferiori nei litorali a nord di Roma nelle città di Sabaudia, Cerveteri e Ladispoli.



”BARGAIN” è il nome del progetto realizzato con il contributo della Regione Lazio, insieme all’Università di Tor Vergata e ad ENEA. Obiettivo della campagna è sensibilizzare all’adozione di un modello alternativo di gestione che eviti il ricorso alla discarica. Nei casi in cui non sia possibile mantenerla in loco, prevederne il riuso nel rispetto degli ecosistemi costieri.
Oltre a provocare danni all’equilibrio delle coste, la rimozione della Posidonia spiaggiata porta con sè anche la rimozione di tonnellate di sabbia. Un recente studio condotto nelle Isole Baleari, ha calcolato che per portare via la Posidonia da 19 spiaggie sono stati rimossi 39.000 m3 di sabbia in nove anni, equivalenti a circa 30.000 tonnellate.
fonte: https://www.snpambiente.it

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Il fotovoltaico integrato in ombrelloni e lettini da spiaggia prodotto dal Cnr

Il team di ricerca NewPV del Cnr-Imem di Parma ha messo a punto una serie di device fotovoltaici piccoli e flessibili che potrebbero essere montati su strutture preesistenti come tavoli, tende, ombrelloni o tettoie.














Piccoli, flessibili e già predisposti con porte USB e prese di alimentazione per ricaricare dispositivi elettrici a bassa potenza come smartphone o tablet: Il gruppo di ricerca ‘NewPV’dell’Istituto dei materiali per l’elettronica e il magnetismo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Imem) di Parma, ha sviluppato dei sistemi di alimentazione portatili basati sul fotovoltaico (PV) integrabili con lettini, ombrelloni e tende da sole o trasportabili sotto forma di piccoli pannelli per trasformare l’energia del sole direttamente in elettricità a zero emissioni.

“Il nostro sistema, chiamato NewPV-3, permette di utilizzare l’energia solare liberamente, in qualsiasi luogo ci si trovi, sfruttando un mini-modulo fotovoltaico opportunamente ingegnerizzato per caricare fino a 6 smartphone contemporaneamente, senza il bisogno di essere connessi alla rete elettrica, a costo zero ed a zero emissioni di CO2 – spiega Stefano Rampino del Cnr-Imem – I mini-moduli possono essere trasportati, installati e disinstallati facilmente, non necessitano di alcun tipo di manutenzione, sono resistenti all’acqua e a limitate deformazioni meccaniche. Ogni sistema è dotato di un mini-modulo solare collegato ad un’unità operativa, a cui si connettono i dispositivi da caricare mediante prese USB e accendisigari”.
Leggerezza, flessibilità e portabilità sono le chiavi dell’innovazione: con una dimensione massima di 50x60cm quadrati e un peso minimo fino a 1 decimo quello dei pannelli tradizionali, un mini modulo capace di ricaricare 6 dispositivi contemporaneamente pesa al massimo 400 grammi.

Le celle utilizzate sono flessibili e montate su supporti plastici o metallici che possono essere installati su superfici non perfettamente lisce o curve. Le ridotte dimensioni e il peso esiguo dei mini-moduli consentono un’istallazione veloce su qualsiasi superficie, anche verticale e non per forza rigida, senza il bisogno di utensili o di dispositivi di ancoraggio particolari. 

I mini-moduli sono interfacciati con un’unità operativa che gestisce la potenza in tempo reale: a seconda dei dispositivi da caricare e dell’irraggiamento solare, l’unità operativa elabora la migliore strategia per una ricarica veloce dei dispositivi. All’interno dell’unità operativa (che occupa uno spazio massimo di 15x15x6 cm cubici e ha un peso massimo di 900 grammi) sono installati dei dispositivi di storage che tamponano eventuali abbassamenti periodici di potenza (ad esempio in caso di annuvolamento) e allungano l’autonomia del sistema fino a 6 ore in assenza di luce solare.
Attualmente, 3 dei sistemi realizzati con il NewPV-3 sono installati presso la Piscina Baia Blu, all’interno del Campus Universitario di Parma, ma una tecnologia simile potrebbe essere facilmente integrata in maniera temporanea su tutta una serie di manufatti già esistenti, come pareti di edifici, tettoie, tendoni, tavoli.

I mini-moduli, inoltre, possono essere prodotti con un opportuno “camouflage” estetico per mimetizzarsi nell’ambiente in cui sono installati senza deturpare il decoro architettonico e contemporaneamente essere messi in rete tra loro tramite l’applicazione “Solar Network” che offre la possibilità di formare un network di dispositivi NewPV-3 delocalizzati in varie zone di un grande ambiente (ad es. quartieri urbani, piazze, piscine) che riescono a parlare tra di loro mediante una rete Wi-Fi dedicata, per scambiarsi informazioni senza la necessità di essere allacciati a una rete elettrica.

fonte: www.rinnovabili.it