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Riciclo delle mascherine, in Australia diventano strade

Riciclo delle mascherine monouso in una nuova tipologia di asfalto, più elastico, resistente e stabile: la sperimentazione australiana.



Una nuova idea per il riciclo delle mascherine usa e getta che da più di un anno sono entrare a far parte del quotidiano, protagoniste della protezione della salute contro l’azione del Covid19.

L’incredibile produzione imposta dagli eventi e il relativo utilizzo di massa hanno favorito una presenza spropositata di articoli monouso, spesso abbandonati per strada e non adeguatamente gettati. Un team di esperti della Royal Melbourne Institute of Technology ha deciso di riutilizzarle mescolandole a un altro elemento di scarto, ovvero l’aggregato di calcestruzzo riciclato.

Un’idea davvero singolare nata da una continua sperimentazione e che presto potrebbe trasformarsi in una nuova forma di asfalto stradale. Una soluzione che potrebbe contenere e prevenire tonnellate di rifiuti, al contempo favorire la realizzazione di una tipologia di manto stradale più forte, flessibile e conforme agli standard di sicurezza.

Mascherine monouso, una presenza inquinante

La diffusione del Covid-19 ha prodotto una problematica collaterale non di poco conto, ovvero la presenza delle mascherine monouso difficilmente riciclabili. Se abbandonate nell’ambiente possono impiegare anche 450 anni a decomporsi, un’enormità preoccupate. Intaccando gli ecosistemi con la loro presenza, in particolare se non adeguatamente stoccate o gettate nell’immondizia.

Tanto da trasformarsi in parte attiva dei rifiuti che drammaticamente ogni anno finiscono in mare, interferendo con l’esistenza degli abitanti marini. Molti rimangono imprigionati all’interno delle stesse mascherine altri li scambiano per meduse finendo per inghiottirle, aumentando così la quantità di microplastiche nei nostri piatti.

Riciclo delle mascherine, l’idea australiana

L’idea vincente di riciclo della RMIT University potrebbe cambiare le sorti del Pianeta grazie a questa nuova tipologia di asfalto, composto da mascherine triturate e macerie di calcestruzzo demolito.

La sperimentazione è ancora in corso ed è portata avanti dal miglior polo universitario australiano di arte e design, che ha così verificato l’efficacia del singolare mix in grado di rendere il manto stradale più elastico e resistente agli agenti esterni quali acqua e acidi. Lo studio verrà pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment. Queste le parole di Mohammad Saberian, autore della sperimentazione:

Questo studio iniziale ha esaminato la fattibilità del riciclaggio di maschere facciali monouso nelle strade e siamo stati entusiasti di scoprire che non solo funziona, ma offre anche vantaggi ingegneristici reali.

Ci auguriamo che questo apra la porta per ulteriori ricerche, per elaborare modi di gestire i rischi per la salute e la sicurezza su larga scala e indagare se altri tipi di DPI [dispositivi di protezione individuale] siano adatti al riciclaggio.

Fonte: World Highways


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Mascherine negli oceani: 450 anni per decomporsi

Le mascherine negli oceani richiederanno 450 anni per decomporsi: i cittadini appaiono troppo disinteressati al corretto smaltimento.



Le mascherine finite negli oceani potrebbero richiedere addirittura 450 anni per decomporsi completamente. È questa la preoccupazione espressa da numerosi gruppi ambientalisti del Regno Unito, in particolare da Waste Free Oceans. Senza un intervento di contenzione immediato, e una maggiore sensibilizzazione dei cittadini, il mare rischia di soffocare a causa della plastica.

La pandemia da coronavirus ha reso evidente l’utilità dei dispositivi di protezione monouso: le mascherine rappresentano infatti degli alleati irrinunciabili per ridurre la possibilità di contagio. Allo stesso tempo, devono però essere smaltite correttamente per evitare gravissimi danni ambientali.

Mascherine e ambiente: troppo disinteresse

Mentre sull’uso diffuso delle mascherine le autorità sono riuscite a convincere un numero sufficiente di cittadini, così non è stato per lo smaltimento. La gran parte delle persone sembra incline ad abbandonare mascherine e guanti dove capita, del tutto ignara – o forse disinteressata – alle sorti dell’ambiente. Eppure questi dispositivi vengono trasportati dal vento e dalle correnti nei corsi d’acqua, giungono nel mare e uccidono la flora e la fauna locale. Le tartarughe le ingoiano, ad esempio, scambiandole per prede come le meduse. Gli uccelli marini vi rimangono impigliati, altri soffocano poiché strangolati dalle cordicelle. E non è tutto, poiché le mascherine rilasciano nel tempo microplastiche di difficile eliminazione.

Diversi gruppi di volontariato britannici, impegnati nella pulizia delle spiagge, hanno confermato come il tasso di dispositivi trascinati dalle onde sia velocemente aumentato nelle ultime settimane. Tanto che le operazioni di pulizia e raccolta faticano a stare al passo con l’incredibile quantità di dispositivi non smaltiti correttamente. Si stima che oggi siano circa 194 miliardi le mascherine che vengono prodotte e utilizzare ogni mese nel mondo, solo una piccola parte finisce correttamente negli impianti di raccolta, recupero e smaltimento.

Così come spiega Waste Free Oceans, il PPE di cui sono fatte le mascherine non può essere riciclato, poiché considerato rifiuto contaminato per ragioni mediche. Per questo motivo è ancora più urgente procedere al corretto smaltimento, affinché possa essere raccolto e stoccato in luoghi sicuri, il più lontano possibile dai corsi d’acqua.

Fonte: SkyNews


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Zero Waste Italy, lettera aperta a Conte: 'Mascherine usa e getta a scuola decisione scellerata e diseducativa'

Scrive l'organizzazione ambientalista: "Che la scuola venga inondata di 11 milioni di mascherine usa e getta al giorno, è quanto di più scellerato, inquinante, malsano, diseducativo che si potesse leggere"




Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta che Zero Waste Italy ha scritto al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in merito alla decisione del governo di imporre l'uso di mascherine chirurgiche usa e getta ai ragazzi che ritorneranno sui banchi di scuola.

Da quest'anno l'obbligo scolastico si accompagnerà all'obbligo per docenti, personale ed alunni di indossare le mascherine a partire dall'età di sei anni.
Come era prevedibile, in assenza di soluzioni per debellare il virus, il rischio contagio rimane alto per cui l'uso delle mascherine si prefigura come una di quelle precauzioni a cui non potremo rinunciare almeno nel breve periodo.

Che la scuola si faccia carico della tutela della Salute e della responsabilità giornaliera di consegnare la mascherina perfettamente pulita e ritirare la mascherina usata, riteniamo che sia la cosa più saggia e sicura da fare, evitando di delegare una questione così delicata alla gestione famigliare e mettere a repentaglio la sicurezza.
Che la scuola venga inondata di 11 milioni di mascherine usa e getta al giorno, è quanto di più scellerato, inquinante, malsano, diseducativo che si potesse leggere.
Il punto non è la tipologia della mascherina - chirurgica o di stoffa ? - ma la salvaguardia della Salute.

A questo proposito, appare semplicemente inconcepibile come la migliore pensata per tutelare la Salute, nella fattispecie del Covid-19 che aggredisce i polmoni, sia un boom di produzione di migliaia di tonnellate di rifiuti indifferenziati da bruciare negli inceneritori.

Lo scorso Giugno come Zero Waste Italy abbiamo siglato un Protocollo di intesa con una cooperativa Bolognese che offre l'alternativa concreta sotto ogni punto di vista:
"Eta Beta cooperativa sociale"
Ci sono voluti mesi di ricerche ma ad oggi il sistema industriale è pronto ed Eta Beta è in grado di offrire un servizio improntato alla sostenibilità ed al tanto citato 'green deal' che invochiamo in nome di un urgente cambio di passo:
- noleggio di mascherine certificate e prodotte in Italia (Eta Beta noleggia e lava sia DM che DPI compresi camici, copricapo e copriscarpe)
- lavaggio con procedura certificata con uso di detersivi ecolabel e con lavatrici attente al consumo di acqua
- consegna e ritiro a cura della cooperativa, garantendo sacchi ed ambienti sterili
Un progetto che coniuga creazione di occupazione ed economia locale, una modalità di azione tracciabile, certificata ed a garanzia di tutti i soggetti coinvolti, il risparmio di quegli 11 milioni di mascherine usa e getta al giorno e che finalmente trasmette alle nuove generazione una visione rispettosa e compatibile con il Pianeta.

Non stiamo parlando di utopie ma di realtà già attiva, visitabile e disponibile a mettere a disposizione il proprio know-how affinchè il lava-nolo si possa replicare in ogni Regione.
In questo momento la facoltà di ingegneria civile, chimica, ambientale e dei materiali di Bologna, nelle persone di Francesco Violante e Cristiana Boi, in collaborazione con la medicina del lavoro all'interno dell'ospedale del S.Orsola di Bologna, con la finalità di pubblicare uno studio scientifico stanno eseguendo ulteriori ricerche per dimostrare come la carica virale del virus venga abbattuta tramite il lavaggio.

Come "Zero Waste Italy" il nostro impegno nella diffusione di buone pratiche per un mondo senza rifiuti possibile se aboliamo l'usa e getta e ci decidiamo ad accettare che le alternative stanno proprio sotto il nostro naso, invitiamo il Ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina ed a tutto il Governo, ad un netto ravvedimento ed auspichiamo un confronto responsabile e chirificatore mettendo sul tavolo benefici e costi, non solo economici ma anche ambientali e sociali.

Rossano Ercolini, presidente di Zero Waste Italy
Laura Lo Presti, coordinatrice del progetto Europeo "transitioning to a wero waste Europe"



fonte: www.ecodallecitta.it

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Mascherine. Cavallo (ad ERICA): a scuola si possono usare quelle lavabili. Una proposta per il loro avvio a riciclo

Roberto Cavallo, amministratore delegato di ERICA, intervistato da Eco dalle Città: “C'è chi ha iniziato a produrre mascherine in monomateriale biodegradabile compostabile. Ma non possono essere riciclate”. L'amministratore delegato di ERICA ha avanzato una proposta al Ministero dell'Ambiente per superare questa criticità



“La mascherina è uno strumento fondamentale di protezione e di prevenzione. Così come lo sono il casco e la cintura di sicurezza in ambito stradale. Detto questo, occorre ricordare che ci sono diversi tipi di mascherine”. E' quanto sottolinea Roberto Cavallo, amministratore delegato di ERICA, interpellato da Eco dalle Città sul tema “mascherine”.

In questi giorni il dibattito sull'utilizzo di questi dispositivi è legato in modo particolare alla ripresa delle scuole, prevista per il 14 settembre 2020. A questo proposito Roberto Cavallo sottolinea: “Visto che stiamo parlando di scuola, dove i soggetti in questione, i bambini, più che per il rischio di ammalarsi, sono ritenuti potenziali vettori del virus, possono indossare mascherine lavabili e riutilizzabili, piuttosto che quelle chirurgiche usa e getta (queste invece sarebbero da utilizzare in casa laddove i bambini stiano insieme ai nonni). I ragazzi sono a scuola per imparare, se gli spieghiamo che le mascherine si possono lavare e sterilizzare possono imparare ad usare correttamente questi dispositivi. Con le dovute accortezze e un serio protocollo, la mascherina lavabile è quindi da preferire sia per la tipologia di popolazione che per il tipo di luogo”.

Un secondo aspetto invece è più tecnico e riguarda il conferimento di questi dispositivi. Non esiste un codice CER specifico per questi rifiuti. “Allo stato attuale se butto una mascherina nell'indifferenziato, questa non può essere avviata a riciclo” ha spiegato Roberto Cavallo. “C'è chi ha iniziato a produrre mascherine in monomateriale biodegradabile compostabile. Ma non possono essere riciclate. Ci sono anche gli impianti di selezione della plastica che si ritrovano le mascherine all'interno dei loro flussi. Ma sono uno scarto che non sanno come gestire perché manca il codice di rifiuto per questi dispositivi”.

L'amministratore delegato di ERICA ha avanzato una proposta al Ministero dell'Ambiente per superare questa criticità: “Raccogliamo separatamente questa frazione, come avviene con l'indifferenziato. Portiamo poi questi materiali ad un impianto di selezione autorizzato per trattare RUR, dove viene riclassificato così come avviene con altre frazioni riciclabili conferite nell'indifferenziato. La mascherine potrebbero così uscire da un impianto di selezione con un nuovo codice CER per essere avviato a riciclo. Occorre - ha concluso Roberto Cavallo - che i ministeri interessati (Ambiente, Sanità e anche Istruzione) si mettano d'accordo per avviare una procedura che permetta di avviare a riciclo le mascherine dando così uno sbocco alle raccolte differenziate di questi dispositivi”.

fonte: www.ecodallecitta.it


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Mascherine protettive dai filtri di sigaretta. Un brevetto torinese

L’idea è nata per riciclare questo rifiuto inquinante nel settore tessile. Dopo essere stata igienizzata, la fibra di cellulosa subisce trattamento simile alla cardatura della lana



Dai mozziconi alle mascherine. C’è una seconda vita per i filtri delle sigarette, che non nuoce gravemente alla salute. Anzi, la protegge. Si chiama Isabel, il brevetto dell’energy manager torinese Antonio Fischetto realizzato con l’aiuto di tre giovani collaboratori: Alessandro Guastella, Denis Brasola e Nicholas Carbone. Il prototipo è stato depositato alla Camera di Commercio il 16 marzo e messo subito a disposizione «gratuitamente di chi produce mascherine». L’idea, tutta made in Italy, è nata per riciclare questo rifiuto inquinante nel settore tessile. «Siamo partiti con le imbottiture dei giubbotti, al posto della piuma d’oca, e con l’interno delle cucce per animali domestici — racconta Antonio Fischetto — ma vogliamo fare la nostra parte in questa emergenza sanitaria da Coronavirus e così abbiamo lavorato per trasformare il materiale di recupero delle sigarette in dispositivi di protezione individuale».


Dopo essere stata igienizzata, la fibra di cellulosa contenuta nei filtri subisce un secondo trattamento. «Un processo simile alla cardatura della lana, che trasforma questo tessuto rendendolo morbido quasi come il cotone — continuano gli inventori di Isabel — e perfetto per diventare mascherina medica o industriale, o imbottitura di modelli chirurgici già confezionati».

In Piemonte c’è già chi ha deciso di prendere spunto da questo brevetto. E’ la Vercalmodel di Beinasco, nella prima cintura torinese, azienda che «ha riconvertito la produzione interna passando dalla produzione di sedili per auto a quella di dispositivi individuali di protezione — continua l’energy manager — e siamo in contatto con alcuni sindaci delle comunità montane locali per capire se e come aiutarli a produrre mascherine visto l’attuale difficoltà nel recuperarne». Immaginare, trovare e realizzare soluzioni utili «per superare l’emergenza da Covid-19 è una passione che travolge» rivela Fischetto. Che ha scritto e inviato una lettera al Ministero Dello Sviluppo Economico proponendo all’ente pubblico di poter coinvolgere, nella produzione di protezioni ottenute dai mozziconi di sigaretta, «i detenuti delle carceri italiane che hanno settori interni di lavorazione tessile».

fonte: https://torino.corriere.it/


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Mascherine dalle reti da pesca riciclate: il progetto in Thailandia

Mascherine ricavate dalle reti da pesca abbandonate negli oceani: è questo l'importante progetto di riciclo avviato in Thailandia.



Mascherine ricavate dal riciclo delle reti da pesca, uno dei rifiuti più diffusi negli oceani. È questo il singolare progetto che proviene dalla Thailandia, dove alcune organizzazioni locali si sono unite per un duplice scopo. Proteggere i residenti dal coronavirus e, contestualmente, tentare di pulire il mare dalla plastiche che ne soffoca gli abitanti.


Le condizioni delle acque lungo le coste della Thailandia sono sempre più drammatiche. La plastica ha ricoperto quasi completamente i fondali e le spiagge sono ormai delle discariche a cielo aperto. Sono gli stessi pescatori locali a confermarlo, così come spiega un rappresentante – Anand Jaitang – ai microfoni di Al Jazeera:


Le barche di pescatori più piccole sono responsabili di gran parte dei rifiuti. Ma anche le grandi navi da pesca scaricano molti rifiuti negli oceani, poiché manca un sistema efficiente di gestione degli scarti. Anche i turisti lasciano molta plastica sulle spiagge.

L’Environmental Justice Foundation, un’organizzazione locale per il recupero delle risorse marine, ha avuto quindi un’idea brillante. Quella di recuperare le reti da pesca, uno dei rifiuti più diffusi in mare, affinché la plastica possa essere recuperata per produrre mascherine. Così spiega Ingpat Pakchairatchakul:


Stiamo formando i pescatori locali a raccogliere le reti da pesca, affinché possiamo poi consegnarle alle società di riciclo per trasformarle in nuovi prodotti, come le mascherine.

Una di queste società ha già creato mascherine, guanti e schermi protettivi per il viso, tutti utilizzando plastica riciclata. E sebbene la probabilità che questi oggetti finiscano nuovamente in mare sia elevata, rimane un cauto ottimismo. È quanto conferma Thosaphol Suppametheekulwat, di Qualy Design:


Se la plastica non è infetta, la possiamo riciclare all’infinito. Ma cerco comunque di convincere le persone a non utilizzare plastica monouso.

I dispositivi di protezione ricavati da reti riciclate si sono rivelati ugualmente protettivi rispetto a quelli di nuova produzione.

Fonte: Al Jazeera



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Indagine Beach Litter: 654 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia

Sulle spiagge italiane troppa plastica, guanti e mascherine usa e getta, cicche di sigarette e rifiuti edili




Il bilancio dell’indagine Beach Litter 2020, condotta dai Circoli di Legambiente, realizzata grazie al contributo di E.ON e Novamont e raccontata da Goletta Verde, è tutt’altro che incoraggiante: «Rifiuti a ogni passo: 654 quelli rinvenuti, in media, ogni cento metri percorsi lungo le spiagge monitorate da Legambiente. Dagli intramontabili mozziconi di sigaretta a contenitori per bevande e alimenti e stoviglie in plastica usa e getta, dal materiale da costruzione ai “nuovi arrivati” come guanti e mascherine, i cumuli di spazzatura trovati sono frutto d’incuria, maleducazione, mancata depurazione e cattiva gestione dei rifiuti sulla terraferma che, attraverso corsi d’acqua e scarichi, arrivano in mare e sui litorali».

Iniziata nel 2014 sulle spiagge del Mediterraneo, l’indagine Beach Litter di Legambiente rappresenta una delle più grandi esperienze di citizen science a livello internazionale. Il protocollo utilizzato è sviluppato nell’ambito dell’iniziativa Marine Litter Watch dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, cui diverse associazioni comunicano i dati raccolti, con l’obiettivo di creare uno dei più ampi database sui rifiuti spiaggiati costruiti dai volontari a livello europeo.

I volontari di Legambiente, protagonisti della prima attività associativa nazionale in presenza organizzata nel post-lockdown hanno monitorato 43 le spiagge – 1 in Basilicata; 2 in Calabria; 10 in Campania; 2 in Emilia-Romagna; 2 in Friuli Venezia Giulia; 3 nel Lazio; 1 in Liguria; 1 nelle Marche; 5 in Puglia; 8 in Sardegna; 4o in Sicilia; 3 in Veneto; 1 in Umbria (sul lago Trasimeno) – per un totale di 28.137 rifiuti censiti in un’area di 189.000 m2 e dicono che «Su circa la metà delle spiagge campionate, la percentuale di plastica eguaglia o supera il 90% del totale dei rifiuti, mentre in una spiaggia su tre sono stati rinvenuti guanti, mascherine e altri oggetti riconducibili all’emergenza sanitaria. Sebbene il numero di rifiuti rilevati sia in lieve calo rispetto allo scorso anno – complice il sostanziale stop di ogni attività durante il lockdown – il Covid-19 rischia di rendere meno efficaci i passi avanti fatti proprio nella riduzione della plastica e dell’usa e getta».

Legambiente spiega che «Complessivamente l’80% dei rifiuti rinvenuti sulle spiagge nel 2020 è in plastica, la quale si attesta al primo posto tra i materiali censiti, seguita da vetro/ceramica (10%), metallo (3%), carta/cartone (2%), gomma (2%), legno lavorato (1%). Il restante 2% è costituito da altri materiali. A farla da padrone per i polimeri artificiali sono per lo più frammenti di plastica e polistirolo con dimensioni comprese tra 2,5 e 50 cm, mozziconi di sigaretta, tappi e coperchi per bevande. Vetro e ceramica si ritrovano soprattutto in forma di frammenti e di materiale da costruzione come tegole, mattonelle, calcinacci».

Il Cigno Verde definisce «Allarmante la quantità elevata, e in alcuni casi incalcolabile, di materiale da costruzione rinvenuta sulle spiagge del Baraccone a Bari, del Caterpillar a Salerno e di Romagnolo a Palermo, diventate vere e proprie discariche abusive. Il metallo è rappresentato soprattutto da lattine, tappi e linguette, mentre carta e cartone si ritrovano in frammenti, ma in misura importante anche come pacchetti di sigarette».

La principale fonte di questi rifiuti è classificabile come indefinita, frammenti che non possono cioè essere associati a oggetti o riconosciuti (40%), seguita da fonti varie (20%), dagli imballaggi, non solo per alimenti e in vari materiali (15%), e dai rifiuti derivanti da abitudini dei fumatori, principalmente mozziconi di sigaretta, ma anche accendini, pacchetti di sigarette e loro imballaggi (15%). Chiudono la lista, i rifiuti legati al consumo di cibo, come stoviglie, tappi, cannucce (10%). Oltre la metà (il 67%) dei rifiuti registrati è costituita da sole dieci tipologie di oggetto.

Legambiente ha anche fatto la top ten dei rifiuti in spiaggia: tra le prime dieci tipologie di oggetti rinvenuti nel monitoraggio di Legambiente troviamo, in ordine di classifica, pezzi di plastica (14%); mozziconi di sigaretta (14%); pezzi di polistirolo (12%); tappi e coperchi (7%); materiale da costruzione (5%), tra cui calcinacci e mattonelle, tubi di silicone e materiale isolante; pezzi di vetro o ceramica non identificabili (4%); bottiglie e contenitori di bevande (3%); stoviglie usa e getta, tra cui bicchieri, cannucce, posate e piatti di plastica (3%); cotton fioc in plastica (3%); buste, sacchetti e manici (2%).

Da Beach Litter 2020 viene fuori che «Il 42% di tutti i rifiuti monitorati da Legambiente riguarda i prodotti usa e getta al centro della direttiva europea che vieta e limita gli oggetti in plastica monouso. Tra questi, le bottiglie e i contenitori di bevande (inclusi tappi e anelli), ritrovati in più di 3 mila pezzi da Legambiente; i mozziconi di sigaretta (onnipresenti sulle spiagge europee), rinvenuti con una media di uno a ogni passo; le reti e gli attrezzi da pesca e acquacoltura in plastica, per il 28% calze per la coltivazione dei mitili; i contenitori per alimenti e i bicchieri in plastica, che rappresentano rispettivamente il 49% e il 26% dei rifiuti derivanti da consumo di cibi da asporto censiti da Legambiente, ma per i quali attualmente è stato posto solo un obiettivo di riduzione nel consumo; i cotton fioc in plastica, anch’essi ritrovati con una media di uno per ogni passo sulla sabbia. Al centro di una recente battaglia di Legambiente che ha contribuito alla loro messa bando in Italia dal gennaio 2019 (in anticipo sul divieto di commercializzazione contenuto nella proposta della direttiva Ue), i bastoncini cotonati sono anche simbolo della cattiva abitudine di buttare i rifiuti nel wc e della mala depurazione per cui ciò che viene gettato negli scarichi di casa arriva a inquinare l’ambiente marino».

La direttiva Ue (Single Use Plastics), si concentra su 10 prodotti in plastica monouso e sulle reti e gli attrezzi da pesca e acquacoltura, in quanto tutti insieme rappresentano il 70% dei rifiuti maggiormente rilevati sulle spiagge europee. Il testo propone che il divieto di utilizzo (a partire dal 2021) dei prodotti per i quali esistono alternative (posate, piatti, bastoncini cotonati, cannucce, mescolatori per bevande e aste dei palloncini) venga esteso anche ai prodotti di plastica oxodegradabile e ai contenitori per cibo da asporto in polistirene espanso. Per i prodotti monouso per cui, invece, non ci sono alternative, gli Stati membri dovranno mettere a punto misure per ridurne significativamente l’utilizzo, mentre per altri sono stati definiti obiettivi di riciclo, raccolta e revisione della progettazione del prodotto.

Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, evidenzia che «Quasi la metà dei rifiuti monitorati riguarda proprio i prodotti al centro della direttiva europea sulla plastica monouso: anche alla luce di questi risultati l’Italia deve recepirla prima della scadenza del luglio 2021 –Dopo la messa al bando dei cotton fioc non biodegradabili e delle microplastiche nei cosmetici, cui abbiamo contribuito con le nostre instancabili denunce, diverse delibere comunali hanno anticipato il bando delle stoviglie usa e getta, mentre intere catene di supermercati ne hanno abolito la vendita: non possiamo vanificare gli sforzi fatti verso l’adeguamento alla direttiva, che vieterà alcuni prodotti monouso sul territorio nazionale e indicherà forti limitazioni e la responsabilità estesa dei produttori ad altri prodotti. Alla luce dell’ipotesi di varare una tassa europea sulla plastica per cofinanziare il Recovery Fund, ribadiamo la nostra richiesta di non prorogare ulteriormente, oltre l’1 gennaio 2021, l’avvio della plastic tax varata con la legge di bilancio a dicembre. Si deve poi arrivare, al più presto, all’approvazione della legge SalvaMare che consentirebbe ai pescatori di riportare a terra i rifiuti pescati accidentalmente: il disegno di legge, approvato a ottobre alla Camera, è completamente fermo al Senato, in Commissione ambiente, sottraendo tempo prezioso al recupero dei rifiuti affondati, il 70% di quelli che finiscono in mare, con danni alla biodiversità e all’economia della pesca. Servono passi avanti nella leadership normativa in contrasto al marine litter. Importante includere anche i bicchieri di plastica nel bando nazionale, che la direttiva europea prevede solo di limitare, e consentire l’uso di oggetti sostitutivi fatti con materiali biodegradabili e compostabili non derivanti dal petrolio, così da potenziare la filiera del compostaggio dei rifiuti organici in cui l’Italia è leader in Europa. Misure utili ad accompagnare la transizione».

Legambiente ricorda che «Per combattere l’emergenza globale dei rifiuti in mare, occorrono leggi e indirizzi dei Governi, la riconversione industriale verso l’economia circolare, ma anche l’impegno di cittadini e consumatori nel prevenire la produzione di rifiuti. Pertanto, l’associazione sollecita a non disperdere nell’ambiente oggetti inquinanti di quotidiano utilizzo e smaltirli correttamente. L’emergenza Covid-19, in particolare, sta alimentando il falso mito che dall’utilizzo di dispositivi usa e getta derivi una migliore prevenzione del contagio, nonostante non vi siano motivazioni scientifiche o epidemiologiche a supporto». Per questo il Cigno Verde invita a scegliere, ad esempio, mascherine lavabili e riutilizzabili per preservare risorse e ambiente in modo decisivo e chiede ai cittadini partecipare alla sfida social dell’estate, la #GolettaChallenge: a chi aderirà sarà chiesto di ripulire dai rifiuti un pezzetto di spiaggia e di condividere la foto sui social, sfidando tre o più amici a fare altrettanto e includendo nel post il tag di Legambiente e l’hashtag #GolettaChallenge»,

Di fronte alle illegalità sempre in agguato, Legambiente punta a non abbassare la guardia: «Come dimostra l’episodio di dispersione in mare di oltre 130 milioni di filtri provenienti dal depuratore di Capaccio-Paestum che nel 2018 hanno inquinato tutto il Mar Tirreno, con ritrovamenti persino in Francia e Spagna. Da subito l’associazione ha denunciato la vicenda, chiedendo venisse applicata la legge sugli ecoreati e intraprendendo un’azione di pulizia straordinaria delle spiagge: adesso, arriva la notizia dell’inizio del procedimento penale in cui Legambiente Campania è stata riconosciuta come persona offesa e che a ottobre vedrà sul banco degli imputati i dirigenti della multinazionale Veolia Water Technologies, funzionari del Comune di Capaccio e tecnici. Sono accusati di avere prodotto l’esondazione dei reflui dall’impianto, con conseguente dispersione in mare dei dischetti, tramite una condotta “abusiva negligente, imperita e imprudente, commissiva e omissiva”».

fonte: www.greenreport.it


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Il grande ritorno della plastica: dai guanti alla verdura preconfezionata, la pandemia rischia di azzoppare il movimento plastic free

















Pensavamo che la plastica monouso avesse le ore contate. Poi è arrivata la pandemia, e con essa il ritorno in grande stile della plastica. Dai guanti usa e getta ai contenitori per la consegna di cibo a domicilio, dalle mascherine chirurgiche alle vaschette di frutta e verdura, l’emergenza coronavirus e la paura del contagio sembrano aver relegato in un angolo la spinosa questione delle monumentali quantità di plastica usa e getta che produciamo e non siamo in grado di riciclare. Per non parlare del problema delle microplastiche, che ormai si trovano un po’ ovunque le si vadano a cercare.

Si stima che se in Italia tutti usassimo mascherine chirurgiche monouso, ogni giorno produrremmo (e dovremmo smaltire) circa 120 tonnellate di rifiuti plastici. A questi vanno sommati quelli relativi a camici, grembiuli, tute e cuffie monouso, senza dimenticare occhiali e visiere per proteggere gli occhi. Già, perché questi dispositivi di protezione – chi più e chi meno – contengono materiali plastici. Ed essendo contaminati non possono essere riciclati e devono essere conferiti in discarica o negli inceneritori, quando non vengono gettate per strada da persone poco attente all’ambiente (per usare un 
eufemismo).


Sono spesso in plastica anche i contenitori per il cibo da asporto e per la consegna a domicilio, le uniche attività di ristorazione consentite fino a poco fa

Altro tasto dolente è quello dei guanti monouso. Molte attività commerciali li mettono a disposizione dei clienti, altre non consentono l’ingresso a chi non li indossa. In alcuni luoghi, come in Lombardia, sono obbligatori addirittura sui mezzi pubblici. Così, finiscono per riempire i cestini fuori dai supermercati e per essere disseminati per strada. Eppure, come ha ribadito recentemente l’Oms (ma lo diceva già a marzo) e come sostenevano molti esperti, per il comune cittadino i guanti monouso non sono utili, anzi possono essere dannosi perché possono dare un falso senso di sicurezza. Molto meglio lavarsi le mani spesso o igienizzarle con un gel disinfettante. Secondo l’Istituto superiore di sanità, i guanti monouso dovrebbero essere usati solo dal personale sanitario e dai lavoratori di alcuni settori, come gli addetti alla pulizia, alla ristorazione o quelli che manipolano alimenti.

Ma se il grande ritorno della plastica sotto forma di dispositivi di protezione tutto sommato può essere giustificata (esagerazioni escluse), c’è stato un boom anche nel settore alimentare. Durante il periodo di lockdown, infatti, l’unica attività consentita (e neanche dappertutto) per la ristorazione è stata la consegna a domicilio, poi l’asporto, ed entrambe comportano l’uso di contenitori per alimenti. E quelli più economici e alla portata di chi ha dovuto organizzarsi in fretta e furia spesso sono proprio di plastica (nonostante esistano da tempo alternative).

Non bisogna poi dimenticare frutta e verdura preconfezionate in vaschette e sacchetti di plastica. A onor del vero, questi prodotti già stavano vivendo un periodo positivo: nel 2019 i consumatori avevano speso il 3,2% in più rispetto all’anno precedente per comprare confezioni di frutta e verdura già pronte. Praticità e rapidità erano i motivi che spingevano alla scelta di questi prodotti, a cui oggi, senza dubbio, si va ad aggiungere il maggior senso di sicurezza conferito dall’involucro di plastica per il consumatore e una semplificazione delle operazioni di preparazione delle spese online per il supermercato. Con buona pace del movimento plastic free e dell’ambiente.

fonte: www.ilfattoalimentare.it

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Presentata la campagna del Ministero dell'Ambiente sullo smaltimento corretto di mascherine e guanti

Protagonista dello spot l’attore Brignano. Il ministro Costa: “Oggi è il momento di agire, non possiamo stare a guardare”




Gettare mascherine e guanti nell’indifferenziato, servirsi il più possibile di quelli riutilizzabili, non buttarli a terra per evitare gravi danni all’ambiente. Si concentra su questi tre punti la campagna di comunicazione del ministero dell’Ambiente, in collaborazione con la Guardia Costiera, Ispra, Iss, Enea e la commissione Colao, presentata il 30 giugno 2020 in conferenza stampa – la prima in presenza post-Covid – dal ministro Sergio Costa, a Roma nella sede del Comando generale della Guardia Costiera.

“Ricordati: mascherine e guanti vanno nell’indifferenziata. Oh, lo faccio anche io, eh!” – dice l’attore Enrico Brignano nello spot video realizzato dal ministero insieme con la Guardia Costiera. Disponibile da oggi, sarà trasmesso anche dalla Rai. Si ispira a quello realizzato da Nino Manfredi: Brignano eredita la sua empatia mostrando le conseguenze dell’abbandono di guanti e mascherine.

Oltre a questo spot, parte una campagna social “Alla natura non serve”, con meme e video emozionali dall’hastag #buttalibene. Il concept muove da una delle foto simbolo della pandemia: un uccellino trovato intrappolato in una mascherina, che ovviamente agli animali non serve, così come non serve alle strade, alla natura, ai mari. Un messaggio per tutti, soprattutto per chi abbandona questi rifiuti, forse inconsapevole del danno ambientale che sta causando.

“Mascherine e guanti monouso – ha osservato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – sono diventati un problema per l’ambiente, in Italia e nel resto del mondo. Da qui è nata la campagna istituzionale del ministero, affidata al carisma di Enrico Brignano, che con il suo potere di persuasione orienterà i comportamenti dei cittadini italiani nell’ottica di prestare attenzione all’ambiente. Anche tramite i social vogliamo raggiungere un pubblico vasto, soprattutto i più giovani. Perché oggi è il momento di agire per difendere la natura e il nostro pianeta dall’inquinamento. Non possiamo stare a guardare”.

“Una collaborazione, quella tra il Comando generale della Guardia costiera e il ministero dell’Ambiente, iniziata già lo scorso anno con il progetto di comunicazione e di educazione ambientale plasticfree, voluto per contrastare la dispersione delle microplastiche in mare e proseguita con la campagna ‘reti fantasma’ che vede impegnati i nostri nuclei subacquei nel recupero delle reti da pesca abbandonate nei fondali, che rappresentano un pericolo per la vita dell’ecosistema marino e per la sicurezza di bagnanti e subacquei” - ha dichiarato il Comandante generale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, l’ammiraglio Giovanni Pettorino. “Quest’anno il nostro impegno a fianco del Ministro Costa si è rinnovato attraverso un’intensa attività di monitoraggio ambientale volta a ‘fotografare’ lo stato de mare durante il periodo di lockdown e nella fase immediatamente successiva e oggi, in particolare, per sostenere questa importante campagna del ministero dell’Ambiente e lanciare un messaggio a coloro che sceglieranno le coste italiane per loro vacanze”.

“L’Ispra e il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente” – ha affermato il presidente Ispra e Snpa, Stefano Laporta – aderiscono a questa campagna che si appella principalmente al senso civico di ciascuno di noi. I numeri parlano chiaro: in Italia si ha una produzione giornaliera di rifiuti da mascherine pari a circa 410 tonnellate, con un valore medio per la fine del 2020 di 100.000 tonnellate di rifiuti; la produzione di rifiuti da guanti sino a fine anno sarà di un valore medio di 200.000 tonnellate. Questi numeri devono necessariamente indurci a comportamenti virtuosi nei confronti dell’ambiente”.

“Questa iniziativa – ha scritto in un messaggio istituzionale il presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro – è un ottimo esempio di come il contrasto alla pandemia coinvolga tutti gli aspetti della nostra convivenza e richieda uno sforzo comune e coordinato. Anche in questa fase della pandemia è importante che tutti agiamo nelle prospettive dell’agenda per lo sviluppo sostenibile dove il tema ambiente, insieme a quello della salute, siano centrali”.

Inoltre, sul sito del ministero dell’Ambiente è stata creata una pagina ad hoc, “All’ambiente non servono”, nella quale ci sono alcune domande e risposte sullo smaltimento corretto di guanti e mascherine e sulle modalità di uso delle mascherine riutilizzabili: https://www.minambiente.it/all-ambiente-non-servono

fonte: www.ecodallecitta.it




fonte video: www.ansa.it



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Presto nel Mediterraneo ci saranno più mascherine che meduse: le immagini dei fondali della Costa Azzurra



















Nel Mediterraneo presto ci saranno più mascherine che meduse. E’ l’allarme lanciato da un’organizzazione ecologista francese che ha denunciato la comparsa di questi rifiuti sulle coste e i fondali del paese.

Le immagini che arrivano dalla Francia sono davvero terribili. A scattarle e a diffonderle è stata l’organizzazione Opération Mer Propre che durante diverse operazioni di pulizia effettuate ad Antibes e nella baia del Golfe-Juan, situata sulla Costa Azzurra, ha raccolto dai fondali un gran numero di mascherine e guanti in lattice.


“Li stavamo aspettando, sono arrivati, ma non nel posto giusto… Le prime maschere sono apparse nel Mediterraneo” si legge nel post pubblicato sulla pagina Facebook dell’associazione.

Purtroppo quanto si temeva da tempo sta accadendo. Proprio di recente, un’analisi dell’Ispra ha messo in luce che il fabbisogno giornaliero di mascherine della cosiddetta Fase 2 si aggirrà intorno ai 35/40 milioni di pezzi. Di conseguenza la produzione di rifiuti giornaliera in Italia sarà tra 250 e 720 tonnellate.


“Utilizzando il peso medio di 11 grammi (che prende in considerazione tutte le tipologie di mascherine) e un fabbisogno intermedio di 37,5 milioni, si avrebbe una produzione giornaliera di circa 410 tonnellate. La produzione calcolata sino a fine 2020 (circa 240 giorni) si attesterebbe, pertanto, tra le 60.000 e le 175.000 tonnellate di rifiuti, con un valore sulla media di circa 100.000 tonnellate”

Purtroppo tali rifiuti stanno contribuendo in maniera esponenziale all’aumento del marine littering, come mostrano le immagini pubblicate da Opération Mer Propre. Secondo l’associazione, i dispositivi di protezione individuale usati contro il coronavirus popolano il fondo marino insieme a materie plastiche e lattine, aumentando il problema della contaminazione delle acque.

Nelle immagini scattate dal fondatore dell’associazione, Laurent Lombard, si può vedere coi propri occhi lo scempio e il degrado presente nei mari francesi.




©Opération Mer Propre


©Opération Mer Propre


©Opération Mer Propre


©Opération Mer Propre

Il fondatore dell’associazione, Laurent Lombard, ha spiegato che sapendo che ne sono state acquistate più di 2 miliardi di mascherine, presto ci saranno più mascherine che meduse nelle acque del Mediterraneo.

Per questo insiste sul fatto che è responsabilità di tutti evitare che il mare venga ulteriormente inquinato:


“La crisi sanitaria ci ha permesso di vedere il meglio e il peggio in noi, se non facciamo nulla è la cosa peggiore che succederà mentre è semplicemente una questione di buon senso per evitare tutto questo. Direi solo che basta differenziare correttamente una maschera usa e getta, buttandola nella spazzatura come tutti gli altri rifiuti”.

fonte: www.greenme.it


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Da plastic free a free plastic

Una riflessione di Francesco Bertolini, anteprima Ecoscienza 3/2020.



In anteprima del numero 3/2020 di Ecoscienza, Francesco Bertolini (SDA Bocconi) ha pubblicato una riflessione sull’uso della plastica al tempo del Coronavirus.

“Sono passati solo pochi mesi, ma abbiamo invertito le parole; rischiamo di sacrificare decenni di impegno ambientale in poche settimane. Plastic free era il mantra pre-coronavirus; ora la plastica è tornata prepotente, colonizzando bar, ristoranti , supermercati e negozi come mai nella storia.

Un cambio di paradigma allarmante, in una retorica buonista e di sostenibilità ambientale che poi finanzia i monopattini elettrici come se fossero l’evoluzione naturale della mobilità urbana e non una simpatica modalità di una piccola nicchia di giovani in forma e che probabilmente non si muoverebbero comunque in automobile; il panico che è stato diffuso nel paese ha distrutto decenni di retorica, di incentivi e di investimenti miliardari nel trasporto pubblico, abbandonato per paura di un contagio ormai remoto, ma che influenzerà i comportamenti dei cittadini per anni.

In questo contesto impazzito la priorità è una sola; combattere il virus, senza pensare alle conseguenze, senza capire che igienizzare tutto e rendere il mondo un ambiente asettico è follia e la migliore premessa per una caduta della salubrità pubblica e per il ritorno di malattie probabilmente peggiori del coronavirus stesso.

I detergenti e i disinfettanti rappresentano una tra le fonti principali d’inquinamento per le acque dei fiumi e dei laghi, e di conseguenza dei nostri mari. Senza entrare nel caso spagnolo dove una disinfestazione di una spiaggia ha fatto strage di tutti gli esseri viventi che stavano tranquilli senza dar fastidio a nessuno, nessuno solleva il problema.

Ci si deve disinfettare le mani ovunque, si devono indossare guanti e mascherina, i negozianti e ristoratori sono tenuti a disinfettare tutto ogni volta che un cliente lascia il posto a un altro. Miliardi di guanti e miliardi di mascherine; cominciano già a uscire le prime immagini di spiagge invase da mascherine o dell’uccellino rimasto strangolato dai lacci della stessa.

Il sapere comune, prima ancora della scienza, sembra in questa fase storica andato a farsi benedire. È sapere comune che disinfettarsi in continuazione la pelle la danneggia, ma il buon senso non basta più, dobbiamo sanificare tutto in continuazione, senza renderci conto che le migliaia di tonnellate di queste sostanze da qualche parte finiscono, con il rischio di ritrovarci tra poco un ecosistema ulteriormente degradato da cui poi salterà fuori il prossimo virus che, infastidito e importunato da una umanità incapace di vedere oltre il proprio naso, si sentirà giustamente in diritto e in dovere di segnalare la sua presenza a chi pensa di essere il padrone del pianeta e che invece è un minuscola percentuale di tutto ciò che vive da molto più tempo e che sopravviverà anche dopo di noi.

Dalle antiche medicine orientali, dimenticate nell’ossessione consumista moderna, possiamo prendere l’insegnamento della centralità della prevenzione. Un approccio olistico, dove un ambiente sano è la premessa fondamentale di una buona salute è completamente dimenticato: bisogna curare il sintomo, evitare il contatto con qualsiasi agente potenzialmente patogeno. Non serve a niente segnalare che così facendo creiamo generazioni malate, incapaci di sviluppare un sistema immunitario in grado di far fronte naturalmente alla stragrande maggioranza dei problemi di salute che ci troviamo ad affrontare nella nostra vita.

Domina invece un’ossessione per un track record sanitario scandito da numeri, parametri, indicatori, e conseguenti terapie per tutti i cittadini. E’ un approccio diverso, un approccio che invece di investire nella prevenzione reale, creando una popolazione più sana in un ambiente più sano, preferisce medicalizzare tutto, rendendo la vita sempre più asettica e innaturale. Allontanarci dalla natura ci sta portando a catastrofi, ma le catastrofi sembrano sempre lontane, in altri tempi e in altri luoghi, com’era per il virus fino a pochi mesi fa.

La storia non insegna, purtroppo. Il rilancio sta gettando le basi per diventare un nuovo disastro ambientale, la Cina è già tornata a livelli di inquinamento superiori al pre-virus, il mondo si accinge a ricominciare come prima, peggio di prima, con le mani disinfettate, in guanti di plastica.”

fonte: https://www.snpambiente.it



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Da Enea l’idea di una filiera circolare e Made in Italy per le mascherine
















Una nuova filiera circolare, tutta italiana, per le mascherine ad uso civile, dalla produzione al riciclo. La proposta arriva da Enea – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile che ha ideato un progetto per rispondere a problematiche emergenti che vanno dalla necessità di approvvigionamento al rischio di abbandono nell’ambiente dei dispositivi oltre che alla necessità di offrire una spinta al sistema produttivo.


Economia circolare ed ecodesign le parole d’ordine. Claudia Brunori, responsabile della divisione Uso efficiente delle risorse e chiusura dei cicli, dipartimento Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali, descrive all’Adnkronos il “progetto per la filiera circolare delle mascherine ad uso civile: l’idea è quella di realizzare una filiera che va dalla progettazione alla produzione, dalla raccolta al riciclo fino alla re-immissione nel ciclo produttivo del materiale riciclato”.

“Si tratterebbe di una filiera completamente nuova ma necessaria sia per motivi sanitari sia ambientali, perché contribuirebbe ad evitare il rischio di dispersione di mascherine nell’ambiente. Oltre ad essere un’opportunità di buona pratica di lavoro e di riconversione delle attività produttive”, continua.

Primo step: pensare ai materiali e all’efficacia in termini di capacità di filtrazione e traspirabilità visto che vengono indossate anche per ore. “I materiali che di norma vengono utilizzati nelle mascherine chirurgiche sono dei polimeri plastici, polipropilene, poliestere, polietilene – spiega Brunori – Poi c’è l’elastico, il ferretto per stringere la mascherina sul naso. Quindi ci possono essere una serie di materiali che rendono il successivo riciclo economicamente non sostenibile. L’unica possibilità di smaltimento, stando pure a quelle che sono le indicazioni, è di conferire tutto nell’indifferenziato. Non è possibile una valorizzazione”.

Secondo elaborazioni Ispra, la produzione calcolata fino a fine 2020 si attesterebbe tra le 60mila e le 175mila tonnellate di rifiuti. “Stiamo parlando potenzialmente di 35-40 mln di mascherine – spiega – che devono essere conferite tutti i giorni nei rifiuti indifferenziati” e anche se c’è “la possibilità di smaltirli”, perché “a livello di peso non si tratta di una quantità elevata rispetto a quello che finisce normalmente nell’indifferenziata, l’obiettivo del progetto è però quello di trarre una opportunità sostenibile dall’attuale criticità”.

Da qui l’idea: “Si tratta di produrre dei filtri monouso, in grado di garantire le caratteristiche che attualmente hanno le mascherine chirurgiche, composti da un solo materiale, in particolare polipropilene che presenta le prestazioni migliori in termini di traspirabilità e filtrazione. I filtri andrebbero poi inseriti in mascherine lavabili e riutilizzabili. Quindi filtri senza elastico e nasello ma inseriti in una mascherina fissa, non usa e getta”.

Una volta utilizzati “i filtri potrebbero essere conferiti in punti di raccolta come quelli dei farmaci scaduti magari presso farmacie o supermercati o in altri luoghi. Contenitori smart che siano in grado di riconoscere il filtro, sanificarlo e contabilizzarlo associandolo a chi lo ha conferito, affinché si possano elaborare anche forme di incentivazione per il corretto smaltimento rivolte al cittadino come, per esempio, bonus per l’acquisto di nuove mascherine”.

Infine: “Ci vuole il coinvolgimento del gestore rifiuti nella filiera, il tutto deve arrivare all’impianto di riciclo. Lo stesso polimero utilizzato per il filtro potrebbe essere riutilizzato per produrre altri filtri o altri materiali in tessuto non tessuto (Tnt) che rientrerebbero nel ciclo produttivo”.

Quali i tempi per una sua realizzazione? “Pochi mesi perché ci sono già tutti gli attori che ci stanno ragionando e si sono messi a sistema. In collaborazione con Radici Group, Enea vorrebbe partire da un primo pilota da realizzare nella zona di Bergamo-Brescia. La stessa tipologia di organizzazione potrebbe essere allargata ad altri territori o altre filiere. Il progetto deve essere finanziato ma nel momento in cui c’è volontà di partire a livello istituzionale si può realizzare in breve tempo”, conclude.

fonte: https://www.adnkronos.com/


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Arrivano le mascherine di canapa: riutilizzabili, lavabili e senza l’uso di sostanze chimiche

















Le mascherine sono indubbiamente utili a limitare i contagi da coronavirus ma, quelle usa e getta, sono molto inquinanti e stanno creando non pochi problemi a livello ambientale. Un’azienda italiana specializzata in tessuti naturali ha pensato allora di realizzare mascherine riutilizzabili in canapa.

Le mascherine, che sembra dovremo utilizzare a livello planetario ancora per molto, in versione usa e getta devono essere smaltite correttamente, altrimenti rischiano di aumentare il già pesante livello di inquinamento sostituendosi (o peggio unendosi) a quello derivato dalla plastica.

A questo proposito, vi avevamo segnalato i modi corretti per smaltire mascherine usa e getta ma anche guanti.

Esiste però un’altra possibilità, quella di dotarsi di mascherine in tessuto che si possono lavare e riutilizzare in modo da non pesare sull’ambiente. Tanti le propongono in cotone (si possono anche realizzare fai da te), ma c’è chi ha avuto l’idea di produrle utilizzando la canapa.

Si tratta di un’azienda italiana, la Maeko, specializzata in filati e tessuti naturali (non solo canapa ma anche soia, ortica e bamboo). Le mascherine da loro realizzate in fibra di canapa hanno un effetto naturalmente battericida (contro i batteri, non contro i virus) e sono state anche inviate in dono al policlinico di Cagliari.



Come specifica l’azienda, le mascherine che produce sono artigianali e made in Italy, realizzate esclusivamente con tessuti in fibre naturali e senza l’uso di alcuna sostanza chimica impermeabilizzante. Si possono utilizzare fino a che non si rompono e hanno la stessa valenza di quelle fatte in casa o chirurgiche in tessuto. Sono prodotte ai sensi dell’art. 16, comma 2, del D.L. 18/2020 “Cura Italia” del 17/03/2020.

Le possono usare tutte le persone a contatto con il pubblico, gli addetti alla vendita di alimentari e, in ogni caso, tutti i cittadini. Ma, ovviamente, non sono un presidio medico sanitario ma solo una protezione realizzata su più strati, che sfrutta in più anche le qualità antibatteriche delle fibre naturali.

Ve ne sono di varie tipologie, come è possibile vedere dal sito dell’azienda e dalla pagina Facebook.

Un modello è realizzato 100% Canapa con un interno 100% Nylon, un altro è 100% canapa e poi ve ne sono altre ancora in bamboo.

Le mascherine in canapa, realizzate da sarte nel numero di 200 al giorno, vanno letteralmente a ruba e spesso non sono disponibili sul sito dell’azienda che cerca comunque di rifornirle il più velocemente possibile.

Fonte di riferimento: Maeko tessuti/ Facebook

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Coronavirus, WWF: necessaria responsabilità nello smaltimento di mascherine e guanti


















“Così come i cittadini si sono dimostrati responsabili nel seguire le indicazioni del governo per contenere il contagio restando a casa, ora è necessario che si dimostrino altrettanto responsabili nella gestione dei dispostivi di protezione individuale che vanno smaltiti correttamente e non dispersi in natura”. A lanciare l’appello è la presidente del WWF Italia Donatella Bianchi.
Una stima del Politecnico di Torino dice che per la Fase 2, in cui verranno progressivamente riavviate attività produttive e sociali, serviranno 1 miliardo di mascherine e mezzo miliardo di guanti al mese. Si tratta di quantitativi molto elevati che impongono un’assunzione di responsabilità da parte di chi utilizzerà questi dispositivi di protezione: bisogna che ognuno di noi faccia uno sforzo per far sì che si proceda con uno smaltimento corretto e con il minor impatto possibile sulla natura.
Se anche solo l’1% delle mascherine venisse smaltito non correttamente e magari disperso in natura questo si tradurrebbe in ben 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente. Considerando che il peso di ogni mascherina è di circa 4 grammi questo comporterebbe la dispersione di oltre 40mila chilogrammi di plastica in natura: uno scenario pericoloso che va disinnescato.
“È necessario evitare che questi dispositivi, una volta diventati rifiuti, abbiano un impatto devastante sui nostri ambienti naturali e soprattutto sui nostri mari. Proprio per difendere il Mediterraneo che ogni anno già deve fare i conti con 570 mila tonnellate di plastica che finiscono nelle sue acque (è come se 33.800 bottigliette di plastica venissero gettate in mare ogni minuto) chiediamo alle istituzioni di predisporre opportuni raccoglitori per mascherine e guanti nei pressi dei porti dove i lavoratori saranno costretti ad usare queste protezioni per operare in sicurezza. Ma sarebbe opportuno che raccoglitori dedicati ai dispositivi di protezione fossero istallati anche anche nei parchi, nelle ville e nei pressi dei supermercati: si tratterebbe di un vantaggio per la nostra salute e per quella dell’ambiente” conclude Donatella Bianchi.

fonte: www.greencity.it


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Gestione rifiuti e Covid19: l'audizione del Ministro dell'Ambiente Sergio Costa in Commissione Ecomafie

Secondo il Ministro l'impiego mensile delle mascherine protettive si ridurrà a un terzo di quanto previsto grazie a quelle riutilizzabili. Costa ha anche fatto riferimento all'ipotesi di installare nelle aree urbane appositi contenitori per la raccolta di mascherine e guanti


















La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (Commissione Ecomafie) ha audito oggi il Ministro dell'Ambiente Sergio Costa. L'audizione rientra nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione dei rifiuti collegata all'emergenza COVID-19.
L'audito ha fatto una panoramica dei diversi atti di Istituto Superiore di sanità (Iss), Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), Ministero dell'Ambiente e Commissione Europea concernenti la gestione dei rifiuti nell'emergenza COVID-19. Il Ministro ha inoltre richiamato le modifiche introdotte dalla legge di conversione del decreto legge «Cura Italia», che all'articolo 113-bis consente il deposito temporaneo di rifiuti fino ad un quantitativo massimo doppio rispetto a quanto previsto dal Testo unico ambientale, e con un limite temporale massimo di durata non superiore a 18 mesi.
Il Ministro ha riferito che negli impianti di incenerimento per rifiuti sanitari è al momento presente una capacità inutilizzata di 200mila tonnellate annue, mentre alcune aziende italiane avrebbero già messo a punto metodi di sanificazione per l'avvio al riciclo dei dispositivi di protezione individuale. Sempre secondo quanto riferito, l'impiego mensile delle mascherine si ridurrà a un terzo di quanto previsto grazie a quelle riutilizzabili. L’audito ha anche fatto riferimento all'ipotesi di installare nelle aree urbane appositi contenitori per la raccolta di mascherine e guanti.
Sempre sul fronte della gestione dei rifiuti collegata all’emergenza COVID-19, secondo quanto riferito dall'audito, il Ministero dell'Ambiente all'inizio dell'epidemia ha segnalato alla Commissione europea la chiusura delle frontiere da parte di alcuni Paesi membri a rifiuti italiani già trattati e pronti per l'avvio al riciclo. Il Ministro ha dichiarato che in risposta alla segnalazione la Commissione ha equiparato i rifiuti pronti per il riciclo a merci e ribadito l'impossibilità per gli stati europei di chiudere le frontiere ai flussi italiani. L’audito ha inoltre espresso la volontà di istituire un tavolo con rappresentanti di Ministero dell'Ambiente, Iss, Ispra e operatori del settore rifiuti, con l'obiettivo di monitorare i flussi di rifiuti indifferenziati, rifiuti da raccolta differenziata e rifiuti sanitari, elaborare eventuali nuove linee guida e attuare azioni di comunicazione.
L’audito ha inoltre riferito di aver attivato Ispra, le Arpa e le forze di polizia per i controlli di rispettiva competenza sulla gestione delle acque reflue e dei fanghi di depurazione. Sulle possibili correlazioni tra inquinamento atmosferico e contagi da COVID-19, il Ministro ha dichiarato di aver dato mandato all’Ispra di approfondire la questione.
«L’audizione del Ministro Costa rientra nell’inchiesta che la Commissione Ecomafie sta conducendo sulla gestione dei rifiuti correlata all’emergenza coronavirus. Il lavoro prosegue con altre audizioni e l’acquisizione di documenti. Vorrei intanto sottolineare l’importanza di una ripartenza sostenibile, a cominciare dai rifiuti. È auspicabile che la raccolta differenziata ricominci il prima possibile anche per gli italiani positivi al COVID-19: la stessa Commissione europea, nelle sue linee guida, non ne raccomanda infatti la sospensione come invece si è fatto in Italia», dichiara il Presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli. «Ancora più importante è il futuro: pur rispettando tutte le norme igieniche necessarie a evitare ogni possibile contagio, non dobbiamo esasperarle, altrimenti ci ritroveremo sommersi di rifiuti. Significa trovare soluzioni che, pur garantendo la massima protezione delle persone, evitino un proliferare senza criterio dell’usa e getta, visto che nella maggior parte dei casi non dà maggiori garanzie dei prodotti riutilizzabili. Questi ultimi rimangono sempre, ove possibile, da privilegiare, e la loro produzione va incentivata senza troppa burocrazia», conclude il Presidente Vignaroli.
Qui link alla registrazione: https://webtv.camera.it/evento/16158#
fonte: www.ecodallecitta.it


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Mascherine in mare, è già allarme

Per ridurre al minimo quello che si prospetta come un inevitabile aumento dell’usa e getta, NaturaSì, l’azienda leader del bio in Italia, rende disponibili alla vendita le mascherine in cotone lavabili fino a 15 volte, realizzate dalla Cooperativa sociale Quid















Tutto il mondo è a caccia delle mascherine chirurgiche, aziende di ogni tipo stanno convertendo la loro produzione e si stanno preparando a sfornarne un numero sempre maggiore, i Comuni e la Protezione civile a distribuirle gratuitamente laddove mancano. Un dispositivo indispensabile per ridurre il rischio di contagio da Covid-19 che però rischia di tramutarsi in una vera e propria tragedia ambientale per i nostri mari e le specie che li abitano.

A lanciare l’allarme è Silvio Greco, biologo marino e dirigente di ricerca della Stazione Zoologica Anton Dohrn: “ci segnalano già adesso che siamo in un periodo di quarantena – afferma lo scienziato – la presenza di centinaia di mascherine sulle spiagge, così come sappiamo che altrettante ne vengono pescate in mare. Non oso immaginare cosa succederà quando, finita la quarantena, di mascherine ne circoleranno miliardi”.

Greco parla di una vera e propria tragedia per le tartarughe e i mammiferi marini che, scambiando le mascherine e i guanti per cibo, finiranno per mangiarli come già succede con gli altri rifiuti in plastica che arrivano in mare. “Da non sottovalutare il fatto – aggiunge- che si tratta di plastiche che, una volta sfaldate, si tramutano in micro e nano plastiche e vengono ingerite anche dai pesci fino a risalire la catena alimentare e arrivare all’uomo”. Già oggi nei nostri mari finiscono ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica, se a questo dato aggiungiamo uno scorretto smaltimento delle mascherine, così come dei guanti e degli altri dispositivi di sicurezza necessari per proteggere la nostra salute, arriviamo a numeri stratosferici. Ma tutto ciò evitabile? Ovviamente sì, partendo innanzitutto da comportamenti individuali responsabili fino ad arrivare a un corretto riciclo e smaltimento del rifiuto. Ancora meglio “sarebbe se mettessero in mercato mascherine e guanti mono-materiali e non, come oggi, poliaccoppiati (come la plastica utilizzata, fatta di polietilene e polipropilene) impossibili da differenziare e riciclare, o se si riducesse a monte il problema, eliminando il monouso e ricorrendo, per esempio, a mascherine in tessuto”, spiega il ricercatore del Dohrn.

Sono in molti che stanno comunque cercando di capire come orientarsi in quella che sembra essere una lunga fase di transizione in cui le mascherine e i guanti saranno obbligatori o almeno consigliati. Le multiutility si cominciano a interrogare sul come gestire 1 miliardo e 200 milioni di mascherine che si calcola verranno gettate da qui alla fine del 2020, assieme a un numero ancora non definitivo di guanti usa e getta che rischiano, appunto, di finire nella catena alimentare marina, aggravando la situazione di sofferenza già alta delle popolazioni di delfini, balene e tartarughe. La più grande azienda del biologico in Italia, NaturaSì, ha annunciato che nei propri punti vendita saranno disponibili mascherine in cotone lavabili fino a 15 volte, realizzate dalla Cooperativa sociale Quid di Verona. A certificarle è l’Istituto Superiore di Sanità che le classifica come maschera a uso medico di Tipo I. Le confezioni di mascherine lavabili saranno messe a disposizione di tutto il personale del Gruppo, compresi gli addetti ai negozi, oltre che vendute al pubblico.

''Le mascherine in cotone garantiscono la protezione richiesta ma con un impatto sull'ambiente ridotto di 15 volte. Una scelta in linea con quanto abbiamo fatto fino ad ora per ridurre il più possibile il ricorso all'usa e getta, e quindi la produzione di rifiuti, a partire dalla spesa'', spiega Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì. L'azienda è più volte intervenuta, negli ultimi due anni, per la riduzione dell’usa e getta, eliminando le bottiglie in plastica in quasi 60 negozi, dove sono stati installati degli erogatori per l'acqua, e introducendo la vendita di 22 prodotti secchi sfusi che prima venivano venduti solo in confezioni di plastica. Il lavaggio delle mascherine – fanno sapere dalla Cooperativa Quid - è semplice: basta immergerle in 1 litro di acqua con 5 grammi di candeggina, sciacquare con acqua corrente e fare asciugare all'aria per poi stirare a massima temperatura fino al quindicesimo utilizzo. Ma la strada per arginare le centinaia di milioni di presidi sanitari dispersi nell’ambiente è ancora in buona parte da esplorare.




fonte: www.lastampa.it


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Mercalli: “Che fine faranno le mascherine dopo l’uso? Rischiamo di avere una montagna di rifiuti, va organizzato riciclo”


Secondo il Politecnico di Torino, per garantire sicurezza occorreranno ogni mese un miliardo di mascherine, mezzo miliardo di guanti, 250mila cuffie per capelli e 9milioni di litri di gel. Che fine farà questo materiale dopo l’uso? “Rischiamo di avere una montagna di rifiuti di difficile gestione, probabilmente avviati all’incenerimento” spiega il climatologo Luca Mercalli, in un servizio di Sono le Venti, sul Nove. “E’ opportuno cominciare pensare già oggi come riusare e riciclare questi materiali”



fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it


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