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Le fibre chimiche sono davvero sempre più inquinanti per l’ambiente e meno salubri per le persone?

Gli scienziati avevano fino a oggi sempre poco considerato il polietilene, un materiale comunemente usato per i sacchetti di plastica e più conosciuto con il nome PET (polietilene tereftalato). Si tratta di una materia sintetica appartenente alla famiglia dei poliesteri che viene realizzato con petrolio, gas naturale o talvolta anche con materie prime vegetali










Siamo per consuetudine abituati a ritenere che le fibre tessili di origine naturale (lana, cotone, seta, ecc.) siano migliori per le loro prestazioni, per la salute delle persone e soprattutto per la tutela dell’ambiente in quanto “naturali” e rinnovabili e che invece le fibre chimiche anche conosciute come “man made”, seppur molto pratiche e di facile manutenzione siano non sostenibili in quanto molto inquinanti per la loro origine da polimeri di sintesi non biodegradabili.

Tuttavia, l’evoluzione green che l’industria della moda sta vivendo ha reso il mercato delle fibre tessili sempre più dinamico e innovativo con l’introduzione di nuove o vecchie fibre “ingegnerizzate”, che rappresentano valide alternative per ridurre l’impatto ambientale e dare una nuova svolta al comparto tessile.

Gli scienziati avevano fino a oggi sempre poco considerato il polietilene, un materiale comunemente usato per i sacchetti di plastica e più conosciuto con il nome PET (polietilene tereftalato). Si tratta di una materia sintetica appartenente alla famiglia dei poliesteri che viene realizzato con petrolio, gas naturale o talvolta anche con materie prime vegetali.

Il Politecnico di Torino e il Massachusetts Institute of Technology (MIT), hanno recentemente pubblicato su Nature Sustainability (una delle più antiche e importanti riviste scientifiche) una ricerca sui tessuti in fibra di polietilene dal titolo: “Sustainable polyethylene fabrics with engineered moisture transport for passive cooling” –“Sostenibilità dei tessuti in polietilene con trasporto dell'umidità ingegnerizzato per il raffreddamento passivo”. La ricerca si è concentrata sull’ingegnerizzazione delle proprietà di trasporto dell’acqua nel tessuto e si è data l’obiettivo di creare un nuovo filato tecnico sostenibile ottenuto dal polietilene, con una particolare attenzione alla sua impronta ecologica.

Lo studio del Politecnico di Torino e del MIT ha dimostrato che il polietilene è un buon materiale alternativo alle fibre naturali in termini di sostenibilità e proprietà: presenta un basso impatto ambientale e la sua struttura permette di modificarne qualitativamente le caratteristiche meccaniche, termiche e ottiche in modo da acquisire performance molto mirate.

Appare evidente pertanto che la usuale classificazione “per origine” delle fibre tessili in funzione dell’impatto ambientale dei materiali, non è più corretta, come dimostra questa ricerca che rivela che le fibre man made non sempre risultano meno sostenibili di quelle naturali. Inoltre gli studi del Politecnico e del MIT evidenziano che i materiali tessili man made hanno il vantaggio di poter essere programmati su misura in funzione delle specifiche applicazioni a cui sono destinati.

A differenza di quanto accade per le fibre naturali, contraddistinte da componenti chimico-fisiche non controllabili, le microfibre dei tessuti tecnici permettono infatti interventi di ingegnerizzazione mirati alla modellazione delle loro caratteristiche, consentendo la realizzazione di tessuti assai performanti.

Come mostra la ricerca del MIT e del Politecnico, modificando le caratteristiche chimiche superficiali delle fibre e modellandole, è possibile impostare ab origine le caratteristiche legate all’idrorepellenza e anche le proprietà finali del tessuto, come la sua capacità di assorbire e trasportare un fluido al suo interno.

Gli scienziati che hanno partecipato a questa ricerca hanno testato la capacità di traspirazione di questo nuovo tessuto e lo hanno confrontato con molti altri tessuti prodotti con altre fibre, naturali e sintetiche. In tutti i test effettuati i tessuti in polietilene hanno assorbito e fatto evaporare l’acqua più velocemente non solo dei tessuti realizzati in cotone ma anche di quelli in nylon e in poliestere.

I tessuti realizzati con il polietilene offrono resistenza alle macchie, raffreddamento passivo, asciugatura rapida e soprattutto riciclabilità. Risultano inoltre particolarmente igienici grazie ai tempi di asciugatura rapidi. Ciò non solo previene l’insorgenza di batteri, ma ne consente il lavaggio e l’asciugatura con trattamenti a bassa temperatura e di breve durata.

La ricerca ha evidenziato inoltre che le fibre naturali come il cotone, il lino o la seta, comunemente percepite come eco-sostenibili, celano un alto impatto ambientale, riscontrabile solo analizzando l’intero ciclo di vita del tessuto che va dalla coltivazione e produzione della fibra, alla filatura, alla tintura del filato ed infine alla tessitura e che l’industria tessile ha diversi parametri da tenere in considerazione rispetto alla sostenibilità.

Le fibre naturali implicano grandi consumi di acqua, l’utilizzo di pesticidi, la necessità di realizzare degli spazi di coltivazione dove magari prima c’erano foreste, senza trascurare infine l’impatto sull’ambiente delle sostanze chimiche e coloranti utilizzati nei processi di tintura.

Come ha osservato Svetlana Boriskina, coordinatrice della ricerca presso il MIT, “Tenendo conto delle proprietà fisiche del polimero e dei processi necessari per realizzare e tingere i tessuti, secondo questa ricerca sarebbe necessaria meno acqua e meno energia rispetto all’impiego di poliestere o cotone con un impatto ambientale inferiore del 60% rispetto a quelli, per esempio del cotone”. La tintura delle fibre naturali avviene infatti dopo la filatura della fibra con processi ad umido ancora abbastanza inquinanti.

“Il polietilene inoltre si presta facilmente ad un processo di separazione e riciclaggio industriale: ciò consente di creare nuovi capi anche da materiale riciclato, con un grande potenziale di economia circolare”.

I ricercatori che hanno lavorato a questo studio congiunto sperano che i risultati ottenuti possano fornire un incentivo a recuperare e riciclare buste di plastica, bottiglie di PET e altri prodotti in polietilene per trasformarli in tessuti indossabili, felpe, scarpe da ginnastica, dando così un senso alla sostenibilità di questo materiale. A tal fine, il MIT nei prossimi mesi creerà una start-up per produrre questo nuovo tessuto e sta lavorando con l'esercito degli Stati Uniti, la NASA e il produttore di abbigliamento sportivo New Balance sulle applicazioni dei tessuti in polietilene. L’ingegnerizzazione delle fibre man made presenta quindi grandi possibilità di sviluppo e si può prevedere che il nostro abbigliamento del futuro sarà realizzato con materiali innovativi e sempre più performanti.

L’unico aspetto a cui non mi sembra si accenni nella ricerca è quello legato al lavaggio degli indumenti sintetici in lavatrice. Infatti, ogni ciclo di lavaggio in lavatrice di tali tessuti è fonte di inquinamento, a causa delle microfibre plastiche che sono rilasciate nelle acque. Come mostrato da uno studio del 2016, pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology, più di un grammo di microplastiche viene rilasciato ogni volta che vengono lavate giacche sintetiche e fino al 40 per cento delle stesse finisce inevitabilmente nei corpi idrici . Dobbiamo quindi confidare che questi materiali di ultima generazione e con caratteristiche studiate e mirate ab origine siano in grado di risolvere anche questa problematica.

fonte: www.agi.it



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I primi cittadini ‘prosumer’ nella comunità energetica a Magliano Alpi

Presentazione del nuovo modello basato su produzione e consumo sostenibile di energia da fonti rinnovabili, vicino a Cuneo. Il comico fondatore del M5s approva in pieno: “L’energia è intelligenza, e voi siete un Comune intelligente. Da oggi siete un Comune elevato”. Per il presidente della commissione Industria a Palazzo Madama, Gianni Girotto, questa è “la pietra miliare della rivoluzione in atto”



“L’energia è intelligenza, e voi siete un Comune intelligente”. In questo modo Beppe Grillo – intervenuto in collegamento telefonico – mette la firma e offre la sua ‘benedizione’ alla presentazione di quella che viene definita “la prima comunità energetica realizzata in Italia”, al Comune di Magliano Alpi, a Cuneo, in Piemonte. Il M5s si sente infatti responsabile di questa trasformazione che – il presidente della commissione Industria a Palazzo Madama Gianni Girotto – definisce, in questo caso riferendosi al Comune di Magliano Alpi, “la pietra miliare della rivoluzione in atto”.

La Comunità è stata costituita il 18 dicembre 2020 con il supporto dell’Energy Center del Politecnico di Torino. Qualche giorno fa anche Legambiente aveva presentato una Comunità energetica (la ‘prima’), vicino Napoli, che viene anche richiamata dal comico fondatore del M5s.

“Oggi è una giornata storica, rovesciamo la piramide energetica. Ci sono sempre stati pochi operatori che servivano milioni di utenti, qui si rovescia tutto ed è il cittadino ad essere protagonista. In questi giorni la transizione ecologica è sulla bocca di tutti: questa è la vera transizione ecologica – osserva Gianni Girotto, presidente della commissione Industria a Palazzo Madama, intervenendo all’evento di inaugurazione – ci sono voluti anni per arrivare a questa situazione, ma alla fine ce l’abbiamo fatto. Si tratta di un modello che coniuga lavoro sostenibile e tutela dell’ambiente visto che produciamo energia rinnovabile con meno gas e meno petrolio. Facciamo questo per la tutela dei giovani e del loro futuro in Italia. Tutto questo avviene con un forte risparmio economico sulla bolletta energetica. In due mesi i progetti si possono realizzare, questo strumento è dei cittadini. Non ci saranno grandi imprese a dettare legge, le comunità sono a gestione del cittadino o dell’ente pubblico”.

Operativa da dicembre 2020, la Comunità di Magliano Alpi ‘auto-consuma’ in gran parte l’energia prodotta, garantendo a tutti i suoi membri un approvvigionamento energetico vantaggioso, e fornendo un contributo concreto alla lotta contro la povertà energetica.

“La transizione ecologica è anche transizione energetica: per questo motivo le competenze in materia di impianti da fonti di energia rinnovabile sono passate dal Mise al Mattm per creare il Mite – dice la sottosegretaria alla Transizione ecologica Ilaria Fontana – affinché avvenga però, non possiamo parlare soltanto di fonti di energia. Dobbiamo estendere il nostro punto di vista, includendo anche l’efficientamento energetico e il risparmio energetico”.

“Il termine ‘comunità’ è fondamentale per una nuova identità culturale nella quale la produzione e il consumo di energia sono una responsabilità da sentire propria, facendola diventare parte della quotidianità e alimentando così il sentimento verso maggiore sostenibilità – rileva Fontana – la comunità energetica estende il concetto di autoconsumo, spesso individuato oggi come qualcosa che possiamo fare soltanto da soli per le proprie case o in condominio. In realtà è assolutamente possibile sostenere una domanda locale di energia anche fuori dalle abitazioni consentendo una riduzione della domanda di energia dalla rete”.

L’idea alla base delle Comunità energetica è quella di tenere insieme le più recenti innovazioni tecnologiche, che stanno generando nuove opportunità di sviluppo industriale e nuova occupazione. Un nuovo modello basato su produzione ed uso sostenibile dell’energia, prodotta da fonti rinnovabili, per la creazione di valore e rilanciare il territorio dopo l’emergenza sanitaria. La normativa europea punta alla centralità dei cittadini che sono allo stesso tempo produttori e consumatori (in una parola ‘prosumer’).

“Da oggi siete un Comune elevato. Siete in quattro a farlo, siete ancora pochi ma questo non deve scoraggiare perché i più grandi cambiamenti della storia sono sempre stati portati avanti da piccoli gruppi – osserva Grillo citando anche la rivoluzione capitalista cinese messi in piedi alla fine degli anni ’70 da 20 famiglie – un piccolissimo Comune sta facendo una cosa grandissima: vi do la mia benedizione. Serve una nuova cultura energetica, un cambiamento di pensiero e di cultura. L’energia deve diventare il centro dell’intelligenza. Voi siete Comuni intelligenti. L’energia è intelligenza“.

fonte: www.rinnovabili.it


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Mercalli: “Che fine faranno le mascherine dopo l’uso? Rischiamo di avere una montagna di rifiuti, va organizzato riciclo”


Secondo il Politecnico di Torino, per garantire sicurezza occorreranno ogni mese un miliardo di mascherine, mezzo miliardo di guanti, 250mila cuffie per capelli e 9milioni di litri di gel. Che fine farà questo materiale dopo l’uso? “Rischiamo di avere una montagna di rifiuti di difficile gestione, probabilmente avviati all’incenerimento” spiega il climatologo Luca Mercalli, in un servizio di Sono le Venti, sul Nove. “E’ opportuno cominciare pensare già oggi come riusare e riciclare questi materiali”



fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it


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Ecco come dissalare l’acqua in modo economico e sostenibile

Un gruppo di giovani ingegneri del Politecnico di Torino ha ideato e brevettato un prototipo che funziona a energia solare. Una tecnologia innovativa che potrebbe fornire acqua a basso costo anche in situazioni d’emergenza











Secondo stime della FAO, entro il 2025 quasi 2 miliardi di persone potrebbero non avere abbastanza acqua potabile per le proprie necessità quotidiane. Una delle possibili soluzioni a questo problema è la dissalazione, ossia il trattamento dell’acqua di mare per renderla potabile.
Tuttavia, rimuovere il sale dall’acqua di mare richiede una quantità di energia da 10 a 1000 volte maggiore rispetto ai tradizionali metodi per rifornirsi di acqua dolce, ossia deviare l’acqua dei fiumi o pompare quella dei pozzi.
Partendo da questo problema, una squadra di ingegneri del Dipartimento Energia del Politecnico di Torino ha ideato un nuovo prototipo per dissalare l’acqua di mare in modo sostenibile e a basso costo, utilizzando l’energia del sole in modo più efficiente.
UNA TECNOLOGIA ISPIRATA ALLE PIANTE
Rispetto alle soluzioni precedenti, la tecnologia sviluppata è infatti in grado di raddoppiare la quantità di acqua prodotta a parità di energia solare impiegata, e si ritiene possa essere soggetta a significativi margini di miglioramento nel prossimo futuro. Il giovane gruppo di ricercatori che ha recentemente pubblicato questi risultati sulla prestigiosa rivista Nature Sustainability è composto da Eliodoro Chiavazzo, Matteo Morciano, Francesca Viglino, Matteo Fasano e Pietro Asinari.

Il processo di funzionamento, spiegano Matteo Fasano e Matteo Morciano, è molto semplice: «Ispirandosi alle piante, che trasportano l’acqua dalle radici alle foglie per capillarità e traspirazione, il nostro dispositivo galleggiante è in grado di raccogliere l’acqua marina utilizzando un semplice materiale poroso, evitando dunque l’impiego di costose e ingombranti pompe. L’acqua di mare raccolta viene quindi riscaldata dall’energia solare, innescando così un processo di separazione del sale dall’acqua per effetto evaporativo. Il tutto è facilitato da una membrana inserita tra l’acqua contaminata e quella potabile per evitare un loro rimescolamento, con una strategia simile a quella di alcune piante in grado di sopravvivere in ambienti marini, ad esempio le mangrovie».
SEMPLICE DA INSTALLARE E DA RIPARARE E A BASSO COSTO
Mentre le tecnologie di dissalazione convenzionali “attive” necessitano di costose parti meccaniche o elettriche (ad esempio pompe, ventilatori e sistemi di controllo) e richiedono tecnici specializzati per l’installazione e manutenzione, la tecnologia di dissalazione proposta dal Politecnico si basa su processi spontanei che avvengono senza l’ausilio di particolari macchinari accessori, e sono dunque classificabili come “passivi”. In questo modo, il dispositivo risulta semplice da installare e riparare, oltre che a basso costo, caratteristiche particolarmente appetibili in regioni costiere che soffrono una cronica scarsità d’acqua potabile ma sono rimaste finora dimenticate da infrastrutture centralizzate e investimenti.
EFFICIENZA ENERGETICA
Uno dei principali svantaggi di simili tecnologie “passive” per la dissalazione era però la minore efficienza energetica rispetto alle tecnologie “attive”. I ricercatori del Politecnico di Torino hanno affrontato questo ostacolo con creatività: «Mentre i precedenti studi si erano concentrati su come ottimizzare l’assorbimento dell’energia solare, noi abbiamo spostato l’attenzione su come sfruttare al massimo l’energia solare assorbita. Così facendo, siamo riusciti a raggiungere valori record di produttività: fino a 20 litri al giorno di acqua potabile prodotta per ogni metro quadrato esposto al sole. La chiave di questo aumento di prestazioni è il riciclo del calore solare in più con processi di evaporazione a cascata, seguendo la filosofia del fare di più, con meno. Le tecnologie basate su questo processo vengono definite ad effetto multiplo, ed è la prima volta che questa strategia viene impiegata in tecnologie di dissalazione passive».
Dopo aver messo a punto il prototipo per più di due anni e averlo testato direttamente nel mare della Liguria (a Varazze), gli ingegneri del Politecnico sostengono che questa tecnologia potrebbe avere un impatto in località costiere isolate con poca acqua potabile ma molta energia solare, specialmente in Paesi in via di sviluppo. Inoltre, la tecnologia è particolarmente adatta a fornire acqua potabile e a basso costo in situazioni di emergenza, ad esempio in aree colpite da inondazioni o tsunami e rimaste isolate per giorni o settimane dalla rete elettrica e dall’acquedotto. Un’ulteriore applicazione è la realizzazione di orti galleggianti per la produzione di cibo, opzione futuribile soprattutto in aree sovrappopolate.
I ricercatori, che continuano a lavorare su questo tema all’interno del Clean Water Center al Politecnico di Torino, sono ora in cerca di possibili partner industriali per rendere più duraturo, scalabile e versatile il prototipo. Ad esempio, una versione ingegnerizzata del dispositivo potrebbe fornire acqua dolce alle aree costiere dove il sovra sfruttamento delle falde causa intrusioni saline (problema particolarmente grave in alcune zone della Puglia), o trattare acque inquinate da impianti industriali o minerari.

fonte: www.lastampa.it

Sistemi di accumulo e competitività industria Ue: il progetto Battery2030+ e il ruolo dell’Enea

Anche Politecnico di Torino ed Enea nel progetto europeo per un'aggregazione tra industria, centri di ricerca e università a livello europeo Obiettivo: contrastare il predominio asiatico nello storage



















Questo l’obiettivo del progetto Battery2030+, che rientra nell’ambito della strategia europea sui sistemi di accumulo di ultima generazione per mobilità e reti elettriche, e punta a mettere a confronto player e ricercatori europei.
Lo spiega una nota stampa dell’Enea che, in linea con quanto richiesto dal progetto e su richiesta del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero della Ricerca, ha creato un  gruppo di lavoro che coinvolge Università, gruppi di ricerca e player industriali per fornire alla Commissione europea degli input nazionali, “che consentono di creare un’aggregazione a livello europeo per contrastare il predominio dei player asiatici nello sviluppo del mercato dello storage energetico”.
Il Politecnico di Torino ed Enea partecipano a Battery2030+ per l’Italia rispettivamente nel “core board” e tra le “supporting organisations” e durante l’evento di presentazione, che si è tenuto a Roma lo scorso 27 giugno, hanno riunito, sotto l’egida della Ricerca di Sistema, i principali protagonisti del settore, tra cui Commissione europea, Confindustria, CNR, Enel, FCA, RSE e Terna.
Il contesto
Attualmente  – approfondisce l’Agenzia nazionale – la tecnologia di riferimento per la produzione dei sistemi accumulo si basa sul litio un settore però in cui la quota europea nel mercato mondiale resta estremamente limitata (3%).
Il dominio dei produttori asiatici è ulteriormente confermato dalle ultime stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia sulla mobilità elettrica, che vede la Cina primeggiare con 1,2 milioni di auto elettriche vendute nel 2018, oltre la metà del totale mondiale.
Ma, secondo stime Ue a partire dal 2025, il mercato delle batterie raggiungerà un giro d’affari di 250 miliardi di euro l’anno e porterà alla creazione di circa 5 milioni di nuovi posti di lavoro.
Per questo, “con tale iniziativa la Commissione Ue punta a sviluppare una filiera europea di ricerca, sviluppo e produzione delle batterie che contribuisca al progressivo abbandono delle fonti fossili per una più ampia diffusione della mobilità elettrica e delle rinnovabili attraverso lo stoccaggio di energia”, conclude Gian Piero Celata, Direttore del dipartimento di Tecnologie energetiche dell’Enea.
In questo video l’intervento completo del Direttore:
fonte
fonte: www. qualenergia.it

ReLand: in Piemonte il primo parco al mondo per la resilienza e il riusoRe

ReLand è il primo parco sperimentale interamente dedicato ai temi del riuso e del riciclo declinati nell’architettura, nel design, nell’arte. Pensato dall’Associazione Offgrid insieme al Politecnico di Torino e al Comune di Cambiano, che ospiterà il progetto, diventerà un polo in cui promuovere la sostenibilità ambientale, una vera e propria “fabbrica delle idee” aperta all’innovazione. Un progetto volto a una cultura nuova orientata alla resilienza, dove il riuso diventa protagonista del nostro futuro.



Pensate ad un’area di 9000 mq. Un ampio spazio libero dove creare, farsi ispirare e dare libero sfogo alla propria creatività. Pensate a un polo dove i giovani possono ripensare l’ambiente sperimentandosi nel fai da te e nel riciclo creativo.
Immaginatevi un incubatore in cui far nascere nuove professionalità in tema di riuso, ma anche un museo a cielo aperto che educa alla sostenibilità ambientale attraverso il gioco, oppure un luogo dove mettere in pratica nuove forme di agricoltura alternativa.
Figurate nella vostra mente un progetto in cui i rifiuti e i materiali di recupero vengono trasformati in opportunità ed in cui chiunque può dare il proprio contributo ed in cambio ricevere conoscenza.

Pensate che tutto questo può coesistere in un unico luogo: ReLand. Il primo parco sperimentale che nasce a Cambiano, Comune dell’area metropolitana Torinese, uno spazio interamente dedicato ai temi del riuso, del riciclo e all’implementazione dei concetti di economia circolare e resilienza urbana. Un luogo dove avvicinare le persone alla sostenibilità…giocando.





Il progetto nasce dalla mente, dal cuore e dalla tenace determinazione di Marco Mangione, fondatore dell’Associazione "OffGrid Italia" che promuove pratiche legate al vivere a basso impatto ambientale, con l’aiuto dei suoi “relanders” ovvero ragazzi, studenti, professionisti ed esseri umani visionari che guardano al futuro con strumenti nuovi: consapevolezza, sensibilità e amore per l’ambiente.
OffGrid è una vera e propria filosofia di vita: “scollegati dalla rete, vivi fuori dagli schemi”.

“Sarà un parco interamente costruito con materiali di recupero a emissioni zero – racconta Marco Mangione – e riunirà le persone alimentando il desiderio di fare qualcosa per il pianeta, insegnerà alle nuove generazioni ad amare l'ambiente e formerà professionisti e appassionati sui temi del reimpiego dei materiali per l'architettura, l'arte e il design”.
Un progetto ambizioso che guarda in grande e che ogni giorno si crea e si rinnova, arricchito dalle idee, dalle intuizioni e dalle scommesse di chi ha voglia di mettersi in gioco e dare il proprio contributo.




ReLand, che sorgerà su un’area di proprietà comunale, è il risultato di una collaborazione tra l’Associazione Offgrid, il Comune di Cambiano e il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino con a capo Paolo Mellano, Guido Callegari e Mario Grosso.

Si tratta di una vera e propria partnership, una coalizione vincente capace di far dialogare e mettere in sinergia i soggetti e ricordandoci che l’unione fa la forza.

“E’ stata un’occasione unica perché nella fase di ideazione e progettazione gli studenti del Politecnico si sono confrontati con l’amministrazione comunale, ragionando insieme sul futuro del parco”. Un esempio di trasversalità e di contaminazione reciproca basata su una collaborazione in cui la voce di ogni persona diventa energia creatrice.

“Quando Reland era ancora come sogno nel cassetto, un’idea di progetto nascente, non aveva ancora un luogo che lo ospitasse - racconta l’assessore Daniela Miron - un luogo fisico è stato trovato proprio a Cambiano”. Un Comune virtuoso che già in passato aveva scommesso sulla sostenibilità ambientale, uno dei primi esempi sul territorio a sperimentare la raccolta differenziata.
Si tratta di un Comune o meglio, di un’amministrazione e dei suoi cittadini che hanno deciso di sognare in grande, accogliendo a braccia aperte l’idea di ReLand.



“Spesso i progetti falliscono perché chi li crea non ha un buon “perché”. Il mio ed il nostro perché è motivato dal fatto che viviamo nella società dello spreco, tendiamo a non valorizzare, mentre dobbiamo concentrarci sulla promozione di idee, persone ed intelletto - spiega Marco - ciò avviene proprio concentrandoci sull’importanza del capitale umano e sulla sensibilizzazione ambientale.
Bisogna costruire una società che insieme ripensi l’ambiente: si dice che ci restano 12 anni per fermare il cambiamento climatico. E’ fondamentale che ognuno di noi faccia un pezzetto per dare il suo contributo. Questo è il nostro sogno e invitiamo chiunque si voglia unire a prenderne parte”.

ReLand è un progetto sperimentale che guarda alle nuove generazioni e che “possa piantare un seme per un nuovo cambiamento di prospettiva”, ci spiegano. Un parco in cui quando entri non sai cosa troverai, e quando esci, non guarderai più le cose nello stesso modo.


Ma cosa prevede il progetto?

Un parco per l’intrattenimento.
Attraverso attività virtuali ed interattive come un escape park e un survival game, i partecipanti potranno mettersi in gioco utilizzando intelletto, creatività e manualità che stimolino la resilienza nei confronti dell’ambiente.
Si tratta di attività che insegnano, tramite il gioco, a collaborare in team trovando soluzioni collettive e condivise, così come attività individuali che permettono di apprendere vere e proprie nozioni di “sopravvivenza urbana”.

“I sensi saranno acutizzati nel parco urbano sperimentale che sarà un'area totalmente scollegata dalla rete ed interamente realizzata con scarti, nel quale osservare i fenomeni della resilienza e delle potenzialità di adattamento dell'uomo sul pianeta terra”.



Un incubatore dove sperimentare modelli sostenibili per il futuro.
Il parco sarà un hub culturale e professionale dove sperimentare nuove tecnologie e permettere a chiunque di mettere in pratica le proprie competenze.
Sarà il luogo giusto per gli studenti delle università italiane e straniere in cui cimentarsi nella progettazione e realizzazione di costruzioni in edilizia non convenzionali con zero emissioni e materiali del futuro legati a nuove forme dell’abitare.

Uno degli obiettivi più visionari del progetto sarà la realizzazione del primo modello di “Earthship” in Italia, ovvero una casa solare passiva totalmente sostenibile e a impatto zero, indipendente in termini di approvvigionamento energetico, idrico ed alimentare. Una casa realizzata con materiali di recupero che, come ci spiega Marco “si comporta proprio come un albero e rappresenta un ritorno alla natura”.



Un museo a cielo aperto.
Si prevedono attività didattiche per i bambini e i ragazzi, seminari ed eventi sulla sostenibilità ambientale per sensibilizzare il consumatore e renderlo più consapevole. Verranno organizzati workshops basati sulle 4r: Riuso, Riciclo, Rinnovabili e Reimpiego, oltre che su quelle che l’associazione Offgrid considera le 4C, ovvero Cuore, Condivisione, Collaborazione e Creatività.

Nel parco, sarà inoltre realizzato un laboratorio creativo all’aperto che riprodurrà il simbolo del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto ed in cui l’arte sarà strettamente connessa all’innovazione sociale, proprio come ci racconta Alberto Guggino, fondatore dell’Associazione Ciò che Vale e che crede fortemente nel progetto.

Un luogo dove… diventare professionisti del riuso.
La vocazione del progetto è quella di creare nuove professionalità sui temi dell’economia circolare legata all’architettura e al design.
"Guardiamo al futuro pensando che gli utenti della community parteciperanno ad alimentare il mercato degli scarti per il riuso. Pensiamo che domani sarà “cool” avere un arredamento fatto di scarti oppure una collana di circuiti integrati".

Un network per connettere le persone.
Attraverso ReLand sarà possibile creare una rete, una connessione di persone che sognano scenari futuri sostenibili e che consentirà ai professionisti del riuso di mettersi in contatto.
Sarà presente un Market place fisico e digitale in cui le realtà coinvolte possono entrare in sinergia e farsi conoscere ed inoltre saranno esposte creazioni realizzate dai professionisti della rete Reland.



ReLand prenderà presto forma: I prossimi passi saranno raccogliere partner, sponsor e fondi per avviare il progetto definitivo, in attesa dell'inizio dei lavori che avverrà nel 2020.
E’ questa l’occasione giusta per chiunque abbia l’entusiasmo e la volontà di mettersi in gioco, contribuendo a dare vita a questo nuovo e coraggioso progetto improntato al cambiamento.

fonte: http://piemonte.checambia.org

Recuperare Terre Rare e metalli dai RAEE senza incenerimento: intervista a Rista

Rista è un’azienda che ha avviato, in collaborazione con uno spin-off del Politecnico di Torino, uno studio innovativo per recuperare Terre Rare e metalli dai Raee senza l’uso di incenerimento




















Rista è un’azienda che ha avviato, in collaborazione con uno spin-off del Politecnico di Torino, uno studio innovativo per recuperare Terre Rare e metalli dai Raee. Il progetto si chiama RaeeIntegra, e oltre a vantaggi economici ed ambientali, ha impatti positivi anche dal punto di vista sociale. Abbiamo intervistato Fabrizio Rista, Responsabile Tecnico dei Trasporti e dell’ Impianto dell’azienda:  
Quando avete iniziato ad occuparvi di gestione dei rifiuti?
Rappresento la quarta generazione di questa impresa. Ci occupiamo di gestione dei rifiuti da tempi lontani, ancora prima della Seconda Guerra Mondiale. Ci siamo strutturati come impresa nel corso degli anni ‘50 quando c’erano le prime attività di ritiro di rifiuti urbani. Oggi, ovviamente, la gestione dei rifiuti è cambiata e la nostra azienda ha sviluppato una visione moderna, non più soltanto finalizzata allo smaltimento dei materiali, ma alla valorizzazione del prodotto cercando di massimizzare la ricerca e il recupero di materie prime secondarie.
Recuperare Terre Rare e metalli dai RAEE senza incenerimento: intervista a Rista








Qual è la tipologia di rifiuto che oggi trattate maggiormente?
Attualmente il nostro core business è legato al recupero di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Si tratta di oggetti fondamentali, data l’era tecnologica.
Cosa fate con questi rifiuti?
Dai Raee generalmente si tolgono i metalli (ferrosi e non ferrosi) e le plastiche. Noi abbiamo deciso di andare un po’ più in profondità. Dallo scorso anno abbiamo avviato una collaborazione con spin-off del Politecnico di Torino con il quale stiamo facendo innovazione e ricerca. Il progetto ha come primo obiettivo lo studio delle cosiddette “terre rare”, componenti infinitesimali, quasi impercettibili, che servono per fare i semiconduttori delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Si tratta, come dice il loro nome, di elementi molto rari che si trovano soprattutto in giacimenti dislocati in Estremo Oriente e in Africa di proprietà cinese. Il mondo occidentale sta cercando di slegarsi dalla dipendenza dal mercato cinese per l’approvvigionamento delle Terre Rare e ha promosso incentivi alla ricerca universitaria e industriale per raggiungere questo obiettivo.
In quest’ottica stiamo studiando dei macchinari specifici che ci permetteranno di estrarre, soprattutto dalle schede elettroniche, questi materiali. Questo è l’obiettivo finale della sperimentazione. In mezzo c’è una ricaduta industriale, per noi fondamentale, che consiste nel recupero di ulteriori componenti come rame e stagno, ma anche metalli nobili (oro, palladio, argento), con l’utilizzo di trattamenti meccanici (es. triturazione).
Recuperare Terre Rare e metalli dai RAEE senza incenerimento: intervista a Rista









Lei ha parlato di arrivare all’utilizzo di trattamenti meccanici. Attualmente come avviene il recupero dei metalli nobili dai Raee?
Il recupero di metalli nobili è una pratica già utilizzata ma che avviene in un modo completamente diverso, con metodi ad altissimo impatto ambientale. Sono modalità che vanno a distruggere i materiali piuttosto che recuperarli. Le schede, ad esempio, vengono bruciate in modo tale da recuperare i metalli dalle ceneri. Oppure vengono fatti dei trattamenti con delle sostanze chimiche particolari che producono considerevoli emissioni in atmosfera.  E’ più facile attaccare usando il fuoco o gli agenti chimici, ma le conseguenze ambientali sono nefaste. Il nostro scopo, invece, con questo progetto-studio, è quello di arrivare, attraverso una dissaldatura e alla macinazione selettiva, al recupero meccanico delle componenti in essi contenuti.
Il progetto si chiama RaeeIntegra e non si ferma solo agli aspetti ambientali. Ci può spiegare le altre ricadute?

Oltre alla ricaduta ambientale già sottolineata e all’integrazione di un processo industriale innovativo nel settore del recupero, la nostra attenzione e concentrata su un percorso d’integrazione sociale. Nel contesto già evidenziato in cui le maggiori potenze economiche si appropriano e sfruttano le risorse dei paesi più poveri come l’Africa, tra cui i giacimenti di estrazione delle Terre Rare, mi sento personalmente debitore nei confronti di questi rifugiati a cui si toglie tutto. Il mio personale percorso d’impegno sociale extralavorativo mi ha fatto conoscere l’esperienza della micro ospitalità attiva nella Valle di Susa, in cui vivo. Gli immigrati vengono ospitati in numero “integrato” alla popolazione in modo da creare sostenibilità ed equilibrio. Con queste prerogative ho ritenuto di contribuire a restituire a questi ragazzi quanto gli viene tolto. Nel percorso di formazione e integrazione possono imparare a recuperare, anche in misura infinitesimale, parte di quella “terra” che ogni giorno gli viene sottratta e da cui sono dovuti fuggire per ricostruire la loro dignità di uomini.
fonte: www.ecodallecitta.it

Comunita’ Energetiche, Al Via: Scambiarsi Energia Autoprodotta Da Fonti Rinnovabili. Il Primo Progetto Nel Pinerolese

A fine luglio la Regione Piemonte ha approvato la prima Legge Regionale sulle Comunità Energetiche. Si tratta della prima norma che definisce nel dettaglio modalità di implementazione di quello che è uno scambio di energia autoprodotta da fonti rinnovabili in un contesto di comunità locale.




Mancano ancora alcune definizioni attuative, ma intanto il Pinerolese si sta muovendo per porne le basi da un punto di vista tecnico, attraverso il ruolo di aggregatore del Consorzio CPE, il braccio operativo del progetto di rilancio del territorio voluto da Acea Centro Sviluppo Innovazione.
Un progetto di crescita del territorio all’insegna delle energie rinnovabili, quello presentato oggi a Palazzo Ceriana Mayneri, dove l’energia autoprodotta da fonti rinnovabili da Aziende, Comuni aderenti al CPE e da privati cittadini possono contribuire a rilanciare economicamente un territorio all’insegna della sostenibilità ambientale grazie all’autoscambio.
Si tratta di una evoluzione su larga scala di quanto già avveniva a inizio Novecento con i primi esempi di comunità energetica che sono ad oggi sopravvissuti seppur su piccole dimensioni: Prato allo Stelvio, E-WERK (Bolzano), Comuni della Carnia, Secab (Udine), Comuni del Primero e Vanoi (Trento), società municipalizzata ACSM, Gignod in Val d’Aosta. All’estero esistono invece già alcuni esempi di comunità energetiche in Danimarca e Germania che dimostrano il concreto vantaggio economico di consumare energia autoprodotta da una comunità energetica da fonti rinnovabili. All’indubbio vantaggio economico si affianca quello ambientale: la costituzione di queste realtà si traduce nella creazione di cosiddette Oil Free Zones ovvero aree, in prospettiva, indipendenti totalmente per il loro fabbisogno energetico dalle fonti fossili cioè provenienti dal petrolio e dai suoi derivati, riducendo così al minimo possibile l’impronta di carbonio della nostra presenza.
In concreto le comunità energetiche sono associazioni tra produttori e consumatori di energia (funzioni che possono anche coesistere in capo ad uno stesso soggetto) finalizzate a soddisfare il proprio fabbisogno di energia mediante la propria stessa produzione, realizzata attraverso l’uso di fonti rinnovabili.
“La chiave di un simile ente associativo è la possibilità di scambiare energia tra soggetti diversi, – afferma Angelo Tartaglia Senior Professor del Politecnico di Torino –  cosa fino a qualche mese fa non prevista dal nostro ordinamento, salvo che in un numero ben definito e limitato di casi. Oggi però si è aperto uno spiraglio normativo che, partendo dalle Oil Free Zones, ha portato la Regione Piemonte a varare una legge la quale consente esplicitamente la costituzione di comunità energetiche senza fini di lucro. Una simile scelta è peraltro in linea con la nuova direttiva europea sulle rinnovabili, che entrerà in vigore l’anno venturo e prevede esplicitamente la figura del “Prosumer” (produttore/consumatore), invitando gli stati membri ad agevolarne le associazioni al fine di consentire lo scambio tra i soci finalizzato a ridurre la dipendenza da fonti esterne e non rinnovabili. Nel Pinerolese il Consorzio CPE e le aziende socie sono pronti a dar vita ad un primo esempio di comunità energetica di scala vasta”.
Che quella delle comunità energetiche sia la direzione verso cui il mercato dell’energia è destinato ad evolvere è mostrato anche dall’esistenza, già consentita, di cooperative di produzione e da cooperative di approvvigionamento dell’energia costituite da una pluralità di piccoli produttori e piccoli consumatori il cui obiettivo è quello di ottimizzare il proprio approccio all’energia. Nello stesso CPE vi sono rilevanti esempi di queste associazioni. Il passo da compiere in questo caso è la fusione delle due funzioni, fin qui separate, in un unico soggetto plurale.
Attualmente è in corso di completamento lo studio condotto dal Politecnico di Torino, socio del Consorzio CPE, che coinvolge una decina di Studenti di diversi corsi di laurea che stanno completando la mappatura energetica del territorio al fine di predisporsi a concretizzare l’attivazione della Comunità Energetica. Uno studio pilota compiuto mediante una tesi di laurea che ha analizzato la situazione di cinque comuni contigui (Cantalupa, Cumiana, Frossasco, Piscina e Roletto), con circa 19.000 abitanti ha mostrato la convenienza di dar vita ad una comunità energetica e ha rilevato che pur senza avere ancora intrapreso alcuna iniziativa coordinata, la capacità di autoproduzione di energia, soprattutto fotovoltaica, corrisponde già a circa il 42% dei fabbisogni ad uso domestico di tutta l’area. Una politica congiunta di potenziamento della capacità produttiva e di efficientamento del consumo potrebbe senza troppo sforzo portare alla copertura totale del fabbisogno. Nel pinerolese le fonti energetiche rinnovabili presenti e già in vario modo utilizzate sono quella fotovoltaica, quella derivante dal trattamento dei rifiuti e dalle biomasse, e quella idroelettrica; grande è anche il potenziale per il contenimento della domanda mediante le sinergie tra operatori diversi e il miglioramento dell’efficienza non solo individuale ma anche di sistema.
All’esempio del Pinerolese si affiancano altre esperienze e progetti volti alla valorizzazione di fonti rinnovabili. Un esempio è quello del piccolo comune valdostano di Chamois in cui da tempo si sperimentano soluzioni innovative per l’abitare e per la mobilità. Più in generale l’intera Valle d’Aosta, che per inciso, ha una popolazione pressoché uguale a quella del Pinerolese, è una regione che si è dichiarata interessata a forme di sperimentazione di modi nuovi di organizzazione della produzione e del consumo di energia legati al territorio. Una sinergia tra Regione Piemonte, che ha già legiferato in materia di comunità energetiche, e Regione Valle d’Aosta rivestirebbe particolare importanza per portare il discorso alla scala nazionale.
“Come Presidente” – ha affermato l’Ing. Francesco Carcioffo Amministratore Delegato di Acea Pinerolese Industriale SpA e Presidente CPE – “sono orgoglioso che il Pinerolese stia dimostrando voglia di innovare e di crescere all’insegna dell’attenzione all’ambiente. Questo progetto valorizza una vocazione all’innovazione del Pinerolese che si sta rafforzando sempre più, grazie anche all’impulso dato da Acea Pinerolese con le sue Energie Nuove da fonti rinnovabili, quali i rifiuti organici sino a giungere all’idroelettrico e fotovoltaico.”
fonte: https://aceacentrosviluppoinnovazione.it

Al Politecnico di Torino stop alla plastica: borracce e fontanelle per gli studenti
















Il rettore del Politecnico di Torino, Guido Saracco, ha salutato le matricole che iniziano il loro percorso all’interno dell’ateneo durante una cerimonia che ha visto una partecipazione molto alta. Così tanti giovani che per ovviare alla calca che si era creata in aula magna è stato necessario connettere la diretta dell’evento ai maxi-schermi di altre due aule. Oltre al discorso di presentazione dell’anno accademico, l’evento è stato anche l’occasione per distribuire le «borracce del PoliTo» alle matricole: si tratta di un nuovo tassello delle politiche per la sostenibilità ambientale messe in campo dall’ateneo. 


Oltre alle borracce, che i ragazzi potranno utilizzare per limitare l’uso di plastica, nella sede di corso Duca degli Abruzzi sono state inaugurate altre sei fontanelle utilizzabili per riempire borracce e bottiglie.  

fonte: www.lastampa.it

Remete, dai rifiuti elettronici la ricetta per estrarre l’oro

Una startup a Torino ha ideato il modo per recuperare oro, argento, rodio, platino e palladio in modo rapido e non inquinante dai rifiuti tecnologici

















Quando gli ingegneri che poi hanno creato Remete, start up ospitata nell’incubatore I3P del Politecnico di Torino, si sono messi a osservare i processi per produrre gli apparecchi elettronici e per gestirli quando diventavano rifiuto, i risultati non sono stati esaltanti. In questi dispositivi finisce il 30% dei metalli preziosi estratti ogni anno nel mondo, che in gran parte però, nonostante il loro altissimo valore, di solito non vengono recuperati. Quando avviene, il processo utilizzato ha un alto impatto ambientale.  

«Ogni anno si producono nel mondo dai 20 ai 50 milioni di tonnellate di rifiuti hi-tech che contengono 320 tonnellate d’oro e 7.200 d’argento per un valore di oltre 15 miliardi di euro. Di questo tesoro si recupera solo il 15%, e sempre tramite il così detto arrostimento, una combustione in cui i componenti plastici vengono bruciati e rimangono solo i metalli, causando però alti livelli di inquinamento», spiega Marco Allegretti, ricercatore del Politecnico di Torino e tra i soci di Remete. Una volta preso atto del problema, la strada dei tecnici ha incrociato quella di Antonio Dirita, ingegnere nucleare ideatore di un processo a basso impatto ambientale per estrarre dalle schede elettroniche i metalli più preziosi.  

Da questo incontro è nata Remete: «Il nostro metodo, in fase di brevettazione, consente di recuperare oro, argento, rodio, platino e palladio senza bisogno di un arrostimento. A noi vengono inviati gli apparecchi da disassemblare e più spesso le sole schede: le trattiamo con dei reagenti messi a punto da noi, che consentono di sciogliere i metalli a temperatura ambiente, senza liberare emissioni in acqua e in atmosfera. Gli additivi chimici, invece, non diventano rifiuto ma rientrano nel ciclo produttivo», aggiunge Allegretti. Dal 2016, nei laboratori torinesi di Remete si trattano ogni giorno alcune centinaia di schede elettroniche provenienti da apparecchi ed elettrodomestici a fine vita, oppure scarti di lavorazione di montatori. E l’autorizzazione permette già spazi di crescita, fino a due tonnellate al giorno.  

«Otteniamo dei materiali puri al 90%, che rivendiamo ai recuperatori e che tornano in parte nel ciclo di produzione dell’elettronica». Un’attività ancora in fase sperimentale, ma che già si sostiene da sola economicamente e che ha attirato l’interesse degli investitori: da loro, in due diversi round, sono arrivati finanziamenti per mezzo milione di euro. 

fonte: http://www.lastampa.it