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Una devastazione appenninica per un gas che non ci serve.





Senza neppure attendere l’esito della campagna di monitoraggio dell’aria richiesta dalle prescrizioni della VIA, è stata rilasciata l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l’esercizio della centrale di compressione gas della società Snam Rete Gas sita nel Comune di Sulmona (AQ), zona ad alto rischio sismico e nei pressi della faglia attiva del Monte Morrone. L’impianto dovrebbe essere utilizzato per il futuro gasdotto “Linea Adriatica”, che a dispetto del suo nome attraverserebbe da sud a nord le aree appenniniche più altamente sismiche del nostro Paese, nonchè di eccezionale valenza ambientale e paesaggistica, dunque con la sottrazione di centinaia di ettari di terreni agricoli e l’abbattimento e l’eradicazione di almeno cinque milioni di alberi. Prosegue la mobilitazione popolare: già nel 2018 a Sulmona una manifestazione popolare contro la centrale ha visto la partecipazione di 12.000 persone e l’adesione di quasi 400 istituzioni ed organizzazioni, sostenute dalle amministrazioni locali.

fonte: www.rete-ambientalista.it/


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Ambiente, territorio e cittadinanza attiva: il ruolo delle comunità energetiche

I cittadini possono avere un ruolo attivo nella transizione energetica



L’energia proveniente dalla fonti rinnovabili è oggi sempre più accessibile grazie allo sviluppo delle tecnologie produttive. Una prima soluzione utilizzata in Italia sono stati i sistemi di accumulo da collegare ai propri impianti fotovoltaici, così da consumare l’energia al bisogno. Oggi c'è un modo per ottimizzare lo sfruttamento dell’energia prodotta dai pannelli solari: si tratta delle Comunità energetiche previste dalla Direttiva 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili - RED II (art. 21 e 22) ed introdotte in Italia dal DL 162/2019 (art.42 bis). Il 20 aprile scorso è stata tra l'altro approvata definitivamente dal Parlamento la Legge di delegazione europea 2019-2020 che rende operative le disposizioni della Direttiva RED II e nel Recovery plan, approvato il 27 aprile dal Parlamento, sono stanziati appositi fondi (2,2 miliardi) proprio per le Comunità energetiche e l'autoconsumo.

La normativa prevede nello specifico due forme di autoconsumo collettivo:
autoconsumo collettivo, ovvero soggetti presenti all’interno dello stesso edificio (esclusi soggetti professionali del mondo energia) in cui è presente uno o più impianti alimentati esclusivamente da fonti rinnovabili; gli impianti possono essere di proprietà di soggetti terzi,
Comunità energetiche: clienti finali residenziali, pubblica amministrazione e PMI (esclusi soggetti professionali del mondo energia) che possono associarsi e autoconsumare energia prodotta da uno o più impianti da fonti energia rinnovabile; per condividere l’energia prodotta, gli utenti possono utilizzare le reti di distribuzione già esistenti e utilizzare forme di autoconsumo virtuale.

Nell'immagine che segue sono illustrate le diverse tipologie di autoconsumo (Fonte: Una guida per orientare i cittadini nel nuovo mercato dell’energia).

Per promuovere l’utilizzo di tali sistemi in Italia è stata stabilita una tariffa d’incentivo, per ripagare l’energia autoconsumata istantaneamente; per accedervi, l’impianto deve essere installato dopo il 1º marzo 2020 e la tariffa è così stabilita: per l'autoconsumo collettivo 100€ ogni MWh prodotto, per le Comunità energetiche 110 €/Mwh.

Le Comunità energetiche

Cittadini, imprese e attività commerciali possono dunque produrre, scambiare e gestire insieme l’energia elettrica prodotta da un impianto messo a disposizione da uno o più soggetti che partecipano alla Comunità; per aderire alla Comunità energetica si stipula, con i proprietari dell’impianto che condivide l’energia extra prodotta dai pannelli fotovoltaici, un contratto che stabilisce, tra le altre cose, le modalità di condivisione dell’energia stessa. Uno dei principali vincoli è ovviamente che gli utenti devono trovarsi vicino all’impianto generatore o su reti sottese alla stessa cabina di trasformazione. Gli impianti utilizzati, oltre ad essere esclusivamente alimentati da fonti rinnovabili, possono raggiungere una potenza massima complessiva di 200 kW; in ciascuna Comunità, però, ci possono essere più impianti di produzione.

Nel nostro Paese queste realtà stanno piano piano prendendo forma: ne è un esempio il caso di Magliano Alpi, in provincia di Cuneo, dove è l'amministrazione comunale che ha promosso la Comunità energetica, utilizzando un pannello fotovoltaico posizionato sul tetto del palazzo comunale. Ad oggi sono sette gli altri aderenti, quattro famiglie, uno studio tecnico e un laboratorio di falegnameria. A breve partirà anche ad Ampezzo, in provincia di Udine, un altro progetto pilota di Comunità energetica.

L'Italia, insieme ad altri 7 paesi, è partner del progetto europeo LIGHTNESS che ha proprio l'obiettivo di incentivare le Comunità energetiche a livello europeo; nell'ambito dell'iniziativa è prevista la formazione di una Comunità presso un condominio di Cagliari dove saranno effettuati interventi come l’installazione di un impianto solare e l’isolamento dell’edificio.

Secondo le stime dello studio Elemens per conto di Legambiente (“Il contributo delle Comunità Energetiche alla decarbonizzazione“), il potenziale attuale è stimato in circa 11 GW ed è relativo in gran parte allo sviluppo di impianti fotovoltaici su edifici condominiali, ma recependo a pieno la direttiva RED II il perimetro delle Comunità energetiche potrebbe allargarsi, permettendo la realizzazione di altri 6 GW di comunità (soprattutto fotovoltaico).

Sempre secondo lo studio, la diffusione delle comunità energetiche contribuirebbe a fornire un maggior impulso all’elettrificazione dei consumi nel settore termico dal momento che il minor costo dell’energia autoconsumata rispetto a quella prelevata dalla rete renderebbe ancor più conveniente l’installazione di sistemi di riscaldamento quali le pompe di calore, che verrebbero così alimentate dall’energia prodotta dagli impianti a fonti rinnovabili presenti all’interno della comunità energetica, con ulteriori benefici ambientali in termini di riduzione delle emissioni.

Per approfondimenti consulta:
We the Power”, film che racconta lo sviluppo e la diffusione delle Comunità energetiche in Europa, spiegando cosa fanno, quali principi seguono, quali sono i loro progetti e le difficoltà incontrate
Progetto Europeo GECO - Le Comunità energetiche in Italia – Una guida per orientare i cittadini nel nuovo mercato dell'energia
GSE Regole tecniche per l'accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione dell'energia elettrica condivisa
Energy Center del Politecnico di Torino - Manifesto delle comunità energetiche



fonte: http://www.arpat.toscana.it/



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“L’economia circolare non solo nelle città ma nei territori”: una possibile rotta per una ripresa post-Covid



Tra gli aspetti che il Covid ha rimesso in discussione c’è la centralità delle città. L’Italia ha riscoperto, almeno in parte, di essere il Paese dei paesi. In questa fase lunghissima di interlocuzione in cui siamo immersi, tra l’ansia che questa sarà la “nuova normalità” e la volontà di disegnare un’altra normalità, in tanti stanno provando a rimettere in discussione un modello di sviluppo basato, tra gli altri assunti, su due equazioni: città uguale progresso e, speculare a questa, borgo uguale presepe.

Un modello urbanocentrico che per Oliviero Casale, general manager UniProfessioni, è da rivedere. A prescindere dal coronavirus. Lo ha ribadito recentemente, insieme a Domenico Annunziato Modaffari (componente Comitato Unico di Garanzia di Roma Capitale) ed Enrico Molinari (docente dell’Accademia di Belle Arti di Sanremo), in un articolo accademico pubblicato sulla rivista “Sustainable and Responsible Management”.

Gli standard Uni e l’insostenibilità delle metropoli

Già ad agosto 2018 l’UNI (l’Ente Italiano di Normazione) aveva recepito un nuovo standard internazionale sulle smart city, in cui si invitava a non parlare più solamente di città smart (o intelligenti) ma anche di città sostenibili. Non più, dunque, città basate esclusivamente su applicazioni tecnologiche e calcoli matematici ma ecosistemi in cui diventa fondamentale il concetto di qualità della vita.

Allo stato attuale, ammoniva Elena Stoppioni – presidente dell’onlus Save the Planet in un’audizione al Senato del luglio 2018 – “nessuna città italiana risulta iscritta nel registro delle metropoli certificate”.

Se possibile, l’arrivo del Covid ha peggiorato la situazione. “Le smart cities sono state il problema dell’Italia nelle fasi più acute di diffusione del coronavirus – osserva Casale – Sono state le grandi città ad avere i maggiori contagi, penso per esempio alle metropolitane e ai tram dove la gente è costretta a circolare in condizioni di affollamento”.

Da marzo 2021 Casale è uno dei componenti del Comitato Tecnico dell’Uni per la Gestione dell’innovazione, oltre essere uno dei componenti del Comitato Tecnico 057 Economia Circolare. “A livello internazionale l’ISO, ovvero l’International Organization for Standardization, sta lavorando a nuove norme per l’economia circolare – afferma – che saranno molto importanti. Quando si parla di economia circolare, secondo il mio punto di vista, non si può pensare solo alla città ma anche ai territori”.

Il ritorno dei territori?

Alla fine la domanda è sempre quella: cosa sono i territori? Da questa prima domanda ne scaturiscono, a cascata, tantissime altre: chi decide per essi? chi li abita? in che modo vengono vissuti e come potrebbero vissuti? A leggere il dibattito in atto, però, sembra che gli unici territori degni di nota siano, ancora una volta, le metropoli. O, al massimo, i centri storici, definiti “i salotti della città”, a mò di vetrina . Mentre le periferie, di cui quasi sempre si parla come qualcosa di esotico o al massimo da capitalizzare in termini di voti, sembrano corpi estranei. L’analisi di Casale parte da una riflessione più ampia.

“Secondo molti studi internazionali – afferma il general manager – la tendenza da qui al 2050 è un ulteriore accentramento della popolazione nelle metropoli. Le grandi città produrranno tanta Co2 e tanti rifiuti, e avranno bisogno di utilizzare tanto territorio per autosostenersi. I grandi agglomerati saranno più un produttore di scarti. Ecco perché si deve investire nei territori, che altrimenti diventeranno, come in parte già sono, riserva per le metropoli o sedi di discariche dove mettere gli scarti prodotti. Normalmente le grandi città, infatti, non hanno all’interno del proprio perimetro le discariche”.

Un fenomeno noto, che alcuni studiosi definiscono “razzismo ambientale”, e che l’economia circolare potrebbe contribuire a rovesciare. In che modo? “Molti investimenti continuano ad andare verso le grandi città – riflette Casale – E la scusa è sempre la stessa: i territori non sono pronti per l’innovazione e l’economia circolare. Ma se ci facciamo bloccare da questa idea i territori non partiranno mai. E intanto basta farsi una passeggiata a Roma, Milano, Napoli e Torino per accorgersi che interi grattacieli, quelli dove di solito sono concentrate le grandi attività produttive o i colossi bancari, sono vuoti. Organizzare alcune attività economiche sui territori, attraverso piattaforme innovative per il lavoro, comporterebbe minori emissioni e minori spostamenti”.

Il ruolo dei borghi

L’altro tema, strettamente connesso ai territori, è quello dei paesi. Nell’Italia dei 7.903 Comuni, i piccoli paesi – che nella narrazione comune associamo ai piccoli borghi – costituiscono una quota consistente di essi. Eppure il rilancio dei borghi non passa dalla loro cartolarizzazione: belli e “naturalistici” per chi arriva dalla città ad ammirarli e va via in giornata. Nei borghi, nei paesi, bisogna poi viverci. “Nel Pnrr la parola borghi compare una decina di volte, ma intesa solo per turismo, passeggiate o chiese da visitare – concorda Casale – Non è corretto. Si anche parla di investimenti per la tecnologia, che è già più interessante, ma se poi la gente ci vive due-tre mesi l’anno il modello non regge. In questo modo invece si alimenta l’idea per cui l’orizzonte dei borghi è quello di diventare sede di residenze stagionali. Invece il costruito va in disuso, e anche quello è un costo che dovrà essere affrontato. Qui si continua a costruire, soprattutto nelle grandi città, mentre la manutenzione dei borghi va decadendo”.

Insomma: scegliere di restare, o andare a vivere nei borghi, ha al momento un costo sociale da affrontare. “Bisogna ottenere equità sociale – dice Casale – Per averla serve un cambio di paradigma, per portare nei paesi capitale umano, startup e incubatori di imprese. Non servono solo lo smart working o uffici aperti per i freelance, ma capacità di attrarre investimenti e risorse. Altrimenti la singola iniziativa è fine a se stessa. Il problema dei borghi non è certamente la connettività. Quella di cui parlo io è la gestione dell’innovazione”.

In questo senso l’economia circolare può essere un fattore trainante. Anche perché, come osserva ancora Casale, non è la singola azienda a trarre beneficio dalla circolarità ma l’intero ecosistema in cui opera. “Manca però la cultura manageriale dei piccoli imprenditori – aggiunge il general manager – Le piccole e medie imprese spesso improvvisano, la trasformazione digitale deve selezionare le migliori tecnologie, integrarle e organizzarle. In questo momento mancano le figure da impiegare e da attrarre nei paesi. Intendiamoci, le grandi aziende l’innovazione la sanno fare, mentre esiste un buco da colmare per le pmi”.

Resilienza circolare

Anche in questo caso, per usare una parola tanto (troppo) di moda, vanno disegnate città resilienti: città che, come insegna ancora il Covid, devono prepararsi, recuperare e adattarsi a shock e stress, siano essi causati dall’uomo o da eventi estremi. Il ritardo dei borghi in questo campo è forse ancora più evidente. Per colmarlo, però, serve partire dall’analisi.

“Come Comitato Piccoli Comuni 4.0 stiamo studiando i borghi sotto i 10mila abitanti – spiega Casale – per definire parametri comuni: cominciare ad avere dei dati per poter affrontare davvero il tema. Se no parliamo di borghi senza sapere manco come. Al momento abbiamo formato una rete spontanea di docenti universitari e professionisti”.

I primati europei dell’Italia sull’economia circolare, seppur in calo, testimoniano che questi provengono dalle zone interne. Basti pensare che il nostro Paese è primo in Europa per riduzione dei rifiuti e per quota di rifiuti avviata a riciclo, con un tasso del 79,3%. Ed è proprio nei piccoli centri che i tassi di raccolta sono più alti, mentre le città metropolitane spesso arrancano (vedi il caso di Roma o della Sicilia). Piccolo è meglio, ed è più facilmente circolare.

fonte: economiacircolare.com


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Nasce Save The Green, il progetto per aiutare migliorare la differenziata

Domopak Spazzy e Junker insieme per un Paese più ecosostenibile




L’attenzione nei confronti della lotta all’utilizzo di materiali non riciclabili e di azioni nei confronti dell’ambiente e del riciclo è sempre più alta. La raccolta differenziata è da tempo diventata fondamentale per ridurre il nostro impatto sull’ambiente e trasformare in risorse i rifiuti che tutti noi produciamo quotidianamente, dandogli una “seconda vita”.

Domopak Spazzy, da sempre attenta ai principi di economia circolare, utilizza per la realizzazione dei suoi sacchi nettezza plastica riciclata da post-consumo recuperata dalla raccolta differenziata, avvalendosi da più di 20 anni di un processo di riciclo brevettato e certificato. Proprio per sensibilizzare il consumatore su tematiche relative al riciclo e aumentare la buona pratica della raccolta differenziata, Domopak Spazzy lancia il progetto Save The Green, nato in collaborazione con l’App Junker.

Junker è un’app unica in Europa, scaricabile gratuitamente, che aiuta i cittadini a differenziare in maniera semplice, veloce e soprattutto senza errori. Grazie a un database in continuo aggiornamento, composto da oltre 1,6 milioni di prodotti, basta inquadrare il codice a barre dell’imballaggio o, se non presente, scattare una foto, per sapere in tempo reale di quali materiali è composto e come va conferito. Grazie alla geolocalizzazione del device, tutte le informazioni fornite rispettano le specifiche regole del Comune in cui si trova l’utente e sono validate dai Consorzi delle materie.

Il progetto Save The Green vuole aiutare gli Italiani a fare la raccolta differenziata rendendo ancora più accessibile l’utilizzo di Junker grazie ad un QR Code, presente sul pack dei prodotti Domopak Spazzy, che permetterà di scaricare l’App. Scaricando Junker, potremo così differenziare al meglio e aiutare in questo modo il processo di economia circolare.

È importante sapere, ad esempio, che l’alluminio può essere riciclato all’infinito diventando nuovi contenitori e che riciclando 1KG di plastica si risparmiano 2,3 Kg di petrolio e 1,3 Kg di emissioni CO2. Inoltre, la vaschetta di alluminio sporca di cibo non va buttata nell’indifferenziato ma nell’apposito bidone di smaltimento e che la carta forno, se biodegradabile e compostabile come quella Cuki e Domopak, se presenta residui alimentari consistenti va smaltita nella frazione organica.

Save The Green, grazie alla collaborazione con Junker e ai cittadini che utilizzeranno maggiormente l’App per smaltire i propri rifiuti, identificherà il Comune italiano in cui sono state fatte più ricerche per differenziare bene i prodotti di consumo. Tutti i Comuni avranno la stessa possibilità di distinguersi come “più virtuoso” perché il progetto è pensato sia per le piccole comunità che per le grandi città. Infatti, sarà determinante il numero di scansioni per abitante. Il Comune più virtuoso riceverà da Save The Green un contributo per la riqualificazione di un’area verde individuata dal Comune stesso. L’attività di pulizia e ripristino sarà assegnata ad un’associazione o ad una onlus del territorio.

“Il progetto Save The Green nasce per sensibilizzare il consumatore a fare correttamente la raccolta differenziata e per capire le abitudini degli Italiani in merito a questa necessità – afferma Carlo Bertolino Direttore Marketing e dei progetti CSR di Cuki Cofresco. Abbiamo sempre avuto una naturale predisposizione e vicinanza ai temi del riciclo, temi che sono sin dall’inizio nel nostro DNA aziendale. Domopak Spazzy, infatti, si avvale da più di 20 anni di un processo produttivo brevettato e certificato, che permette di recuperare dalla raccolta differenziata della plastica materia prima rinnovata utile per la produzione dei sacchi nettezza. Ci è sembrato naturale, quindi, pensare ad un progetto come Save The Green per favorire la conoscenza dei vari materiali e loro riciclabilità. In Italia, inoltre, la raccolta differenziata è molto frammentata tra le varie amministrazioni ed è molto difficile dare informazioni valide per ogni Comune. Grazie alla collaborazione con Junker vorremmo semplificare questa buona pratica per gli Italiani, e allo stesso tempo aiutare a differenziare correttamente anche tutti i nostri prodotti, oltre al fatto che l’incentivo a differenziare consentirà di avere sempre più plastica da post consumo da rimettere in circolo per la produzione dei sacchetti nettezza”

“Siamo molto felici di dare il nostro contributo a questo progetto, mettendo a disposizione la nostra app – dichiara Noemi De Santis, co-fondatrice e responsabile comunicazione di Junker app: Junker sarà infatti lo strumento abilitante che, coerentemente con la sua mission, renderà più chiare e accessibili le informazioni che devono guidare i consumatori sia nella fase di acquisto sia in quella, successiva, di differenziazione di tutti i rifiuti. La circolarità è fatta di scelte e azioni quotidiani. E il progetto Save The Green è un chiaro esempio di quanto sia importante coordinare e valorizzare l’impegno per la sostenibilità di un’azienda come Domopak-Spazzy, da un lato, e l’attenzione dei cittadini nei confronti di una sempre maggiore riciclabilità e di un corretto conferimento dei prodotti di consumo, dall’altro. Il risultato di questo sforzo comune, al termine della campagna, sarà non solo una differenziata più corretta in moltissimi Comuni d’Italia, ma tornerà indietro concretamente sul territorio del Comune primo in classifica, contribuendo alla riqualificazione di un’area pubblica degradata o trascurata”.

L’iniziativa sarà attiva fino al 30 novembre 2021. Per conoscere tutti i dettagli di Save The Green basta visitare il sito di Domopak Spazzy contribuendo, in questo modo, ad uno smaltimento rifiuti più corretto, riducendo l’impatto ambientale.

fonte: www.rinnovabili.it


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Perugia: Territori Solidali per una Battaglia Comune - Sabato 24 aprile ore 15

 














Sabato 24 aprile ore 15 ci vediamo in

- Piazza Italia a PERUGIA

per CHIEDERE alla REGIONE un Piano di gestione rifiuti "VERSO RIFIUTI ZERO" che significa:
- SENZA inceneritori e quindi SENZA CSS nelle cementerie
- SENZA discariche
- Per la tutela della salute e per un Piano di PREVENZIONE PRIMARIA dalle esposizioni inquinanti
- per RIATTIVARE il REGISTRO dei TUMORI
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Terni: Territori Solidali per una Battaglia Comune - Sabato 24 aprile ore 15

 














Sabato 24 aprile ore 15 ci vediamo in

- Piazzale Europa a TERNI

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CS_MANIFESTAZIONE_24 aprile21 - Territori Solidali per una Battaglia Comune

 



Sabato 24 aprile ore 15 ci vediamo in

- Piazza Italia a PERUGIA
- Piazzale Europa a TERNI
- presso la Scuola materna di Semonte a GUBBIO
- Piazza Garibaldi a SPOLETO

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Gubbio: Territori Solidali per una Battaglia Comune - Sabato 24 aprile ore 15

 




















Sabato 24 aprile ore 15 ci vediamo in

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Spoleto: Territori Solidali per una Battaglia Comune - Sabato 24 aprile ore 15

 

Sabato 24 aprile ore 15 ci vediamo in

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Territori Solidali per una Battaglia Comune - Sabato 24 aprile ore 15

 


Sabato 24 aprile ore 15 ci vediamo in
- Piazza Italia a PERUGIA
- Piazzale Europa a TERNI
- presso la Scuola materna di Semonte a GUBBIO
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Ambiente e salute nei siti contaminati

Webinar di presentazione del nuovo libro sulle conoscenze in materia di bonifica di siti inquinati.











Martedì 13 aprile 2021, alle ore 14.00, con la partecipazione di autorità e ricercatori, è tenuta la presentazione online del libro “Ambiente e Salute nei siti contaminati. Dalla ricerca scien­tifica alle decisioni”, a cura di Mario Sprovieri, Liliana Cori, Fabrizio Bianchi, Fabio Cibella, Andrea De Gaetano. ETS Edizioni, pagine 508, euro 28 (http://edizioniets.com).

La gestione delle aree altamente inquinate fa parte delle sfide per l’immediato futuro, e comprende una conoscenza profonda della storia del territorio e delle persone che ci vivono, nuove tecnologie di monitoraggio e bonifica, strategie di lungo termine assieme ad azioni rapide e incisive per mitigare i rischi esistenti.

Per i ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che hanno iniziato nel 2016 il progetto CISAS, Centro Internazionale di Studi avanzati su Ambiente, ecosistema e Salute umana, finanziato dal MIUR, la sfida è stata quella di monitorare, sperimentare, approfondire e proporre soluzioni coinvolgendo gli attori competenti su ambiente e salute assieme ad amministratori e Istituzioni locali, associazioni e scuole.

L’esperienza ha riguardato tre territori che includono aree a terra e aree marine, i tre SIN (Siti di bonifica di interesse nazionale) di Priolo, Crotone e Milazzo, dove le pressioni ambientali sono state rilevanti nel corso della storia e hanno prospettive differenti in termini di produzione e utilizzo del territorio.

Sono coinvolti nel progetto CISAS 9 Istituti del CNR – IAS, IFC, IRIB, IASI, IBF, IGM, IIA, ISAC, ISMAR – coordi­nati dal Dipartimento Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente, in collaborazione con le Agen­zie Regionali per l’Ambiente di Sicilia e Calabria, ISPRA e Istitu­to Superiore di Sanità, ENEA, Aziende Sanitarie Loca­li, Università di Palermo, Messina, Catania, Enna, Roma e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Mentre il progetto sta per concludersi viene pubblicato il libro Ambiente e Salute nei siti contaminati. Dalla ricerca scien­tifica alle decisioni, che fa il punto sulle conoscenze consolidate e su quelle che sono mature per contribuire alle attività di bonifica e di limitazione dei danni all’ecosistema e alle persone.
Si parte da una panoramica sui siti inquinati europei e italiani, focalizzandosi poi sulle criticità specifiche delle zone marino-costiere, così rilevanti per l’Italia.

Gli studi sull’ambiente e la salute sono stati effettuati mantenendo l’attenzione alla loro relazione, ragionando sugli ambienti come ecosistemi che includono le persone e le coinvolgono direttamente, avvalendosi delle scienze sperimentali e della biomatematica.

Si sono intrecciati gli sguardi sull’inquinamento del mare, dalla qualità delle acque lungo la colonna che porta dalla superficie ai fondali, ai sedimenti, al fitoplancton, ai pesci, ai mercati dove i cittadini fanno la spesa, includendo tecniche innovative per capire il comportamento degli inquinanti nel tempo e la presenza di sostanze “emergenti”, non ancora conosciute, e di rischi cumulativi.

Il monitoraggio dell’inquinamento dell’aria e i modelli meteorologici e di trasporto degli inquinanti sono stati utilizzati per creare mappe di ricaduta e scenari previsio­nali, fondamentali anche per gli studi di epidemiologia ambientale. Si sono studiate le emissioni di sostanze odorigene con il contributo dei cittadini (che fanno segnalazioni con APP) e anche gli effetti della contaminazione dell’aria sull’epitelio polmonare.

Gli studi ecotossicologici e molecolari hanno utilizzato campioni prelevati negli ambienti naturali inquinati per osservarne da vicino l’evoluzione con modelli sperimentali, con un’attenzione specifica alle modificazioni del sistema endocrino e di quello immunitario.

Gli studiosi di epidemiologia hanno realizzato uno studio di coorte, coinvolgendo più di 800 coppie madre-bambino nelle tre aree, che continuerà negli anni prossimi durante la crescita dei piccoli nel tempo. Vengono proposti indicatori specifici per ciascun sito inquinato, per seguire l’evoluzione nel tempo dell’esposizione ai principali inquinanti e comprenderne gli effetti sulla salute delle comunità attraverso l’osservazione sistematica dell’andamento di specifiche condizioni patologiche. Per seguire in modo sempre più raffinato il destino degli inquinanti dall’ambiente al corpo umano è stato messo a punto un prototipo di micro capsula per l’esplorazione del microbioma intestinale.

Dentro e attorno agli studi una molteplicità di eventi di presentazione, concorsi per le scuole, corsi di formazione, congressi scientifici, più di recente teleconferenze e incontri webinar per riportare i risultati agli interessati, in una prospettiva di crescita delle conoscenze scientifiche della comunità e degli amministratori, di aumento delle occasioni di confronto tra ricercatori, di sviluppo delle azioni in collaborazione e delle sedi di confronto sul futuro.

Come scrive nella prefazione del libro Alessandro Bratti, Direttore di ISPRA “Ci si trova di fronte, quindi, ad ampi territori sostanzialmente “congelati”, che non possono esprimere le loro potenzialità economiche, urbanistiche, agricole, commerciali, in quanto condizionati dalla presenza del sito di interesse nazionale. In questo contesto non certo entusiasmante questo lavoro che raccoglie il contributo di numerosi ricercatori, specialisti nel loro settore, offre non solo una panoramica completa della complessità del problema trattando tutti i vari aspetti (giuridici, ambientali, sanitari ed economici) ma inquadra le possibili soluzioni all’interno di nuovi percorsi quali l’Economia circolare e la Bio-economia. … Grazie a questo lavoro si mettono le basi per cercare di affrontare e risolvere in via definitiva un’eredità pesante del passato che ha contribuito a creare ricchezza ma ad un prezzo elevato in termini di ambiente e salute. Oggi le conoscenze e le tecnologie ci aprono la possibilità di saldare i conti e di procedere verso uno sviluppo veramente sostenibile.”

fonte: www.snpambiente.it
 


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