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In Salento non si ferma la battaglia delle associazioni contro il cementificio Colacem


Il cementificio Colacem di Galatina © Atlante dei conflitti ambientali

A Galatina (LE) l’impianto del colosso Colacem produce dagli anni Cinquanta diverse tipologie di cemento. Gli impatti sul territorio sono rilevanti. Cinque organizzazioni, e diversi Comuni, hanno ricorso al Tar regionale per chiedere l’annullamento del rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla Provincia. La sentenza, decisiva, è prevista per ottobre

In Salento non si ferma la battaglia delle associazioni ambientaliste contro il cementificio di Galatina del colosso Colacem Spa, che in Puglia...

Una devastazione appenninica per un gas che non ci serve.





Senza neppure attendere l’esito della campagna di monitoraggio dell’aria richiesta dalle prescrizioni della VIA, è stata rilasciata l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l’esercizio della centrale di compressione gas della società Snam Rete Gas sita nel Comune di Sulmona (AQ), zona ad alto rischio sismico e nei pressi della faglia attiva del Monte Morrone. L’impianto dovrebbe essere utilizzato per il futuro gasdotto “Linea Adriatica”, che a dispetto del suo nome attraverserebbe da sud a nord le aree appenniniche più altamente sismiche del nostro Paese, nonchè di eccezionale valenza ambientale e paesaggistica, dunque con la sottrazione di centinaia di ettari di terreni agricoli e l’abbattimento e l’eradicazione di almeno cinque milioni di alberi. Prosegue la mobilitazione popolare: già nel 2018 a Sulmona una manifestazione popolare contro la centrale ha visto la partecipazione di 12.000 persone e l’adesione di quasi 400 istituzioni ed organizzazioni, sostenute dalle amministrazioni locali.

fonte: www.rete-ambientalista.it/


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Avvocato Valeria Passeri: Non bruciamoci il futuro!


















Avv Valeria Passeri (esperta in diritto ambientale): “Avendo ascoltato le dichiarazioni addotte nella Conferenza stampa di ieri 6 giugno dalla Vicesindaco di Gubbio, Ing. Tasso, devo rilevare quanto segue: 
1. Estendere la tipologia dei rifiuti ai CSS (combustibili solidi secondari, tra cui: plastica, pneumatici ecc.),  significa modificare la qualità/quantità delle emissioni in atmosfera, per cui si tratta di una modifica sostanziale dell'AIA ai sensi dell' art. 5, comma 1, lettera l bis, d.lgs.152/2006, che impone la procedura ex art. 29 quater, richiamata dall'art 29 octies d.lgs 152/2006 sul riesame dell'AIA.
2. Sul riesame dell'AIA si richiama infatti sempre l’Art. 29 quater sul procedimento da applicare per l'adozione dell'AIA, che prevede il ricorso alla conferenza di servizi, come avvenuto per il caso "Acea", citato dalla Vicesindaco, con la partecipazione del Comune, Asl, Arpa etc. nonché  di comitati/cittadini, attraverso, questi ultimi, le loro osservazioni da far pervenire alla Regione (servizio autorizzazioni ambientali dott. Andrea Monsignori).
3. La modifica è comunque sostanziale per legge (!), da qui la necessità della conferenza di servizi, perché, si ribadisce, estendendo la tipologia dei combustibili, ne deriva un' evidente modifica delle emissioni in atmosfera per quantità e qualità.
Sempre a proposito del caso Terni, nel 2019 il Comitato No inceneritori  fece le osservazioni nel procedimento di riesame dell'AIA di Acea, relativo proprio all'estensione della tipologia di rifiuti/materiali conferibili nell'inceneritore, diversi dal pulper di cartiera, in un procedimento che ha impegnato più sessioni della conferenza di servizi ai sensi dell'art. 29 octies d.lgs.152/2005 sul riesame dell'AIA, nel pieno contraddittorio tecnico, secondo il principio costituzionale del "giusto procedimento". Solo così è garantita l'indefettibile partecipazione del pubblico nelle scelte ambientali, riconosciuta dalla Convenzione di Rio de Janeiro del 1992 e dalla Convenzione di Aarhus del 1998".

Firma la nostra Petizione 


Avv.Valeria Passeri

VicePresidente del #WWFPerugia e membro del direttivo @Cru_rz #RifiutiZeroUmbria


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L’inceneritore che volle bruciarsi da se’

























Abbiamo più volte parlato dell’inceneritore ACCAM di Busto Arsizio per diversi motivi, in particolare perché al centro di una campagna delle associazioni locali che era riuscita qualche anno fa a convincere una quota sufficiente dei “proprietari” (i Comuni) a procedere al suo spegnimento entro una data “decente” (prima dicembre 2017 poi dicembre 2019).
Anche il Piano regionale rifiuti della Lombardia lo aveva messo tra gli “eliminabili” per la sua intrinseca obsolescenza.
Questa iniziativa è stata resa vana dal successivo Consiglio di Amministrazione che è riuscito a ribaltare la situazione e “allungare” la vita al 2027 (e forse più ….).https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=7335

Parte di questo Consiglio di Amministrazione a partire dal Presidente, nel corso del 2019, è sotto processo (alcuni hanno già patteggiato) nell’ambito degli “incarichi” dispensati da Nino Caianello (indagine “mensa dei poveri”) – referente di Forza Italia in provincia di Varese. https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=8155 
Nell’ambito degli imputati anche la società di consulenza che aveva giustificato tecnicamente la possibilità (e l’opportunità) di proseguire l’attività nonostante i disavanzi accumulati nel tempo (per sanarli si prevede l’incremento della quantità dei rifiuti estendendo l’area di conferimento).
Non è la prima volta che l’impianto è sotto processo, il precedente più importante si è verificato nel 2005 (“operazione Grisù”) che vide l’arresto del direttore dell’impianto per lo smaltimento di rifiuti non autorizzati.
Anche dal punto di vista ambientale l’impianto (il primo inceneritore nel sito è stato realizzato nel 1972, l’impianto attuale è in esercizio dall’agosto 2000) nonostante innumerevoli interventi di “adeguamento” non ha mai dato grande prova di sé.
Bene, oggi l’inceneritore ACCAM ha tentato “l’autodafé”, di bruciare sé stesso, secondo quanto riportato dalla stampa locale alle 2.30 di oggi si è sviluppato un grave incendio (sette squadre dei Vigili del Fuoco per domarlo in due ore) si è sviluppato nell’area turbine (dove il vapore prodotto dall’incenerimento viene trasformato in energia elettrica) probabilmente dovuto a una fuoriuscita di olio idraulico che poi si è innescato.
Un guasto con possibile causa connessa alla manutenzione, analogamente ad un evento di circa 10 anni fa, in cui entrambi i forni si erano bloccati a poche ore l’uno dall’altro per rotture nel circuito di raffreddamento.
Guarda caso la turbina non è tra i “punti critici” per i quali vige un obbligo di controllo periodico stabilito esplicitamente nella Autorizzazione Integrata Ambientale (del 2015 con successive modifiche) nonostante che siano applicabili all’impianto (allora) le migliori tecnologie disponibili per i grandi impianti di combustione (oltreché – recentemente – la decisione UE sugli inceneritori) https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=8918
L’impianto è attualmente fermo ma viene “garantita” l’accensione a breve ….. non è che (almeno !) prima di riaccenderlo sia opportuna una verifica completa (a partire dalle prescrizioni di AIA) ??
Per noi è un motivo in più per confermare la necessità del suo spegnimento.
fonte: https://www.medicinademocratica.org

Migliori tecnologie disponibili per l’incenerimento dei rifiuti, un utile strumento per smettere ?

Abbiamo già parlato dell’importanza delle decisione UE in merito alle migliori tecnologie disponibili (BAT).






















































Il principale aspetto è quello che rappresentano uno strumento a disposizione (anche) delle popolazioni esposte per valutare le prestazioni ambientali di un dato impianto nell’ambito di una filiera produttiva sottoposta alla direttiva sulle emissioni industriali ed in particolare gli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale.
L’emanazione di una decisione UE su una filiera produttiva fa anche scattare l’obbligo della revisione di tutte le autorizzazioni (AIA) degli impianti esistenti entro 4 anni dalla pubblicazione sulla gazzetta europea con i relativi obblighi di adeguamento alle migliori tecnologie disponibili descritte nelle decisioni.
Ora è (finalmente) la volta degli impianti di incenerimento.
Con la decisione UE 2019/2010 del 12.11.2019 sono state definite le BAT per gli impianti di incenerimento (e coincenerimento) e dovranno pertanto essere riviste le autorizzazioni entro il 3.12.2023.
decisione ue bat inceneritori 2019
Un primo intervento dal “basso” è sicuramente quello di non lasciare che gli enti preposti (regioni o province a seconda dei casi) si sveglino all’ultimo minuto e, anzi, attivare la procedura di revisione da subito, pubblicizzandola.
Entrando su alcuni aspetti tecnici di rilievo (la decisione non è fondata sul nulla ma sulle normative previgenti e sulle linee guida europee relative agli impianti di incenerimento del 2006) possiamo evidenziare :
– L’introduzione, nelle considerazioni alla base del rilascio delle autorizzazioni e delle relative prescrizioni, di contaminanti finora poco considerati ed in particolare la famiglia dei polibromodibenzo diossine e furani (una versione poco conosciuta rispetto alle diossine clorurate) per le emissioni e tutta la banda dei POP (inquinanti organici persistenti) per quanto riguarda scorie e residui solidi dai sistemi di abbattimento
– La considerazione del rendimento elettrico lordo e del rendimento energetico lordo. Si tratta di specifiche in qualche modo già considerate nella normativa (nell’ambito in particolare della fatidica formula R1 che – grazie alla “larghezza” della sua formulazione – fornisce la “patente” di impianto di recupero energetico a quasi tutti gli impianti esistenti. Ora la verifica del rendimento va fatta anche “alla base” ovvero alla turbina (rendimento elettrico lordo) e alla caldaia (rendimento energetico lordo) con prestazioni non sempre agevoli da garantire. Per esempio, per gli impianti esistenti si richiede una efficienza energetica lorda tra il 20 e il 35 % (solo quelli più recenti riescono a posizionarsi intorno al 21 %, nel caso di impianti non recenti difficilmente si va oltre il 18-19 %) e ancor più per quelli “futuri” cui si richiede una efficienza elettrica lorda tra il 25 e il 35 % (tralasciamo le note che introducono, tanto per cambiare, deroghe e/o applicazioni solo a certe tipologie di caldaie/turbine).
– Tra le BAT disponibili viene segnalata (per diossine e mercurio) il sistema di abbattimento per adsorbimento del flusso dei fumi su “letto” di lignite, coke attivo o polimero impregnato di carbonio)
– I livelli di emissioni associati alla applicazione delle BAT risultano i seguenti
Polveri : 2-5 mg/Nmc
Acido cloridrico (HCl) : 2-8 mg/Nmc (il livello più alto per gli impianti esistenti)
Acido fluoridrico (HF) > 1 mg/Nmc
Ossidi di zolfo 5-40 mg/Nmc (il livello più alto per gli impianti esistenti)
Ossidi di azoto : 50-150 mg/Nmc (il livello più alto per gli impianti esistenti)
Ossido di carbonio : 10 -50 mg/Nmc
Ammoniaca : 2- 10 mg/Nmc
Mercurio : 1 -10 mg/Nmc (in realtà si individuano come attuabili livelli per nuovi impianti tra 0,015 e 0,035 mg/Nmc)
Nessuna indicazione, purtroppo, per gli altri parametri (metalli pesanti, PM10/PM2,5, diossine, IPA, PCB ….) che sono invece considerati nell’ambito dei rilasci con gli scarichi idrici in presenza di sistemi di trattamento dei fumi di tipo umido (con soluzioni di reattivi).
Per gli aspetti rimanenti non vi sono grandi novità rispetto alle già note modalità gestionali e di monitoraggio conosciute (ma non sempre pienamente adottate nelle autorizzazioni dei singoli impianti in esercizio).
Ovviamente, dal punto di vista di chi scrive, la questione non è come “bruciare meglio” i rifiuti ma come evitare ogni – presunta – necessità di bruciarli. La migliore tecnologia disponibile da attuare è infatti quella della prevenzione, riduzione, riuso e riciclo.
Nel frattempo la decisione UE è utile per contrastare nuove patacche e impianti obsoleti.
Marco Caldiroli
fonte: https://www.medicinademocratica.org/

L’inceneritore Accam Di Busto Arsizio Nella Bufera Della Corruzione (E Non Solo)

























Non siamo riusciti, con i comitati, a chiuderlo entro i termini che si era data la stessa assemblea dei soci (i comuni tra altomilanese e basso varesotto) ovvero il 2021, hanno speso milioni di euro per riuscire ad abbassare le emissioni di ossidi di azoto entro i limiti della AIA (valori richiesti anni prima dai comitati e da Medicina Democratica) ed evitare la chiusura entro il 2018, hanno voluto ridargli vita con una previsione di chiusura al 2027 (e, ovviamente, oltre) motivandolo con la necessità di sanare gli enormi buchi di bilancio, sfidando anche la contrarietà di numerosi comuni (purtroppo non sufficienti, in termini di quote, per avere la maggioranza).
Alcuni di questi comuni, negli ultimi mesi, hanno abbandonato ACCAM e gli ultimi tempi erano trascorsi con richieste di una deroga governativa ad personam ai limiti di partecipazione pubblica per mantenere la società “in house”.
Hanno strombazzato i valori emissivi per “dimostrare” che le nostre erano fobie e allarmismi, a fronte di una indagine epidemiologica recente che, seppure parziale, evidenziava incrementi di alcune patologie associate alle ricadute dell’impianto.
Hanno respinto ogni idea di chiusura controllata con modifica del sistema di gestione e trattamento a freddo dei rifiuti, non avevano più abbastanza rifiuti da bruciare dai comuni del consorzio, il piano di rilancio prevedeva infatti l’arrivo di rifiuti da una area ben più vasta.
Hanno utilizzato i lavoratori per metterli contro la popolazione esposta e le associazioni ambientaliste (eccetto gli esponenti locali di Legambiente, strenui difensori da sempre dell’impianto).
Si sono “dimenticati” dell’episodio (2005 – “Operazione Grisù”) di smaltimento di rifiuti non autorizzati con relativo sequestro dell’impianto, come pure del blocco contemporaneo (!!) di entrambi i forni con arresto di emergenza con emissioni fuori controllo, che ben si guardarono di segnalarlo immediatamente agli enti nel novembre 2004. L’allora presidente dichiarò pubblicamente l’intenzione (non concretizzata) di denunciare di procurato allarme i cittadini che avevano chiamato i Vigili del Fuoco vedendo fumate anomale. Per non dire dei frequenti superamenti dei limiti di ossidi di azoto (tanto da determinare diverse diffide da parte della Provincia come nel 2009.
Ora il Presidente (Laura Bordonaro), il consigliere Antonio Bilardo e il loro mentore politico (Forza Italia) Nino Caianiello sono indagati per vari reati, in sostanza mediante consulenze e incarichi foraggiavano il “politico di riferimento”, utilizzando l’impianto e lo smaltimento dei rifiuti così virtuoso come “mucca da mungere” anzi una mensa da depredare.
L’ambito generale dell’inchiesta “Mensa dei poveri” ruota intorno ad alcuni esponenti di Forza Italia: sono ritenuti a vario titolo responsabili di associazione per delinquere aggravata dall’aver favorito un’associazione di tipo mafioso, e finalizzata al compimento di plurimi delitti di corruzione, finanziamento illecito ai partiti politici, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, false fatturazione per operazioni inesistenti, auto riciclaggio e abusi d’ufficio.
Tutto questo nell’ambito della ampia operazione che ha falcidiato politici lombardi e amministratori di società pubbliche con accuse analoghe.
Coinvolta anche la società ESTRO che ha stilato (senza neppure una formale approvazione da parte dell’assemblea) la perizia “decisiva” per dare nuova vita all’impianto (completamento del revamping) e cercare di zittire i contrari (ci avevano già provato nel 2014 ma allora andò buca).
Ora che abbiamo verificato che c’è un “giudice” (un pubblico ministero) a Milano potremo contare su un maggiore ascolto delle richieste delle associazione e dei residenti per la chiusura dell’impianto (in funzione dal 1972) e una rinnovata gestione dei rifiuti urbani ?
Marco Caldiroli
fonte: https://www.medicinademocratica.org

QCumber: una piattaforma per la partecipazione collaborativa



QCumber è una piattaforma per la gestione della sostenibilità ambientale basata sull’impiego di modelli di simulazione e di analisi massiva dei dati, selezionata dal Governo inglese (UKTI) come una delle “100 migliori idee al mondo” alle Olimpiadi delle Startup di Londra 2012, oggi impiegata da diverse istituzioni italiane per la valutazione di impatto ambientale.
In particolare la piattaforma è attiva in Regione Lombardia e nelle 12 province lombarde, oltre che in diversi comuni, alcuni applicativi sono infatti diventati lo strumento di gestione di procedimenti come lo screening ambientale degli impianti di trattamento rifiuti e la valutazione degli impatti cumulativi. 
In ARPA Umbria la piattaforma è utilizzata per la gestione delle problematiche connesse alle molestie olfattive e in Regione Basilicata è impiegata per la definizione dei quadri informativi ambientali a supporto della pianificazione dei rischi su area vasta (Regional Risk Assessment). Per la pubblica amministrazione la piattaforma è attivabile liberamente in modalità di "riuso del software". Per le imprese e i consulenti è previsto l'accesso tramite interfacce per l'acquisizione dei dati necessari alla PA per l'elaborazione degli scenari e la valutazione degli impatti ambientali, oltre che per la progettazione e la gestione di Piani di Monitoraggio.
QCumber fornisce la possibilità di integrare, negli algoritmi di valutazione dell'impatto ambientale che animano la piattaforma, i dati raccolti sul territorio, via internet, in tempo reale, in modo trasparente. 
Si avvale del supporto tecnico-scientifico della IAIA (International Association for Impact Assessment), di cui la sezione italiana ha coordinato i lavori della 35esima Conferenza Mondiale IAIA15 di Firenze: “Impact Assessment in the Digital Era”, dedicata proprio alle metodologie e tecnologie IT per la valutazione della sostenibilità ambientale 4.0, in cui Qcumber è stata presentata e condivisa assieme ai partner europei e internazionali 
foto_Giuseppe Magro.jpgfoto_Giuseppe Magro.jpgDi QCumber ne abbiamo parlato con il Presidente IAIA Italia, ing. Giuseppe Magro, ingegnere nucleare specializzato in sistemi di supporto alle decisioni e piattaforme digitali per la governance della sostenibilità ambientale delle Smart City, che è anche autore del libro “Open data e Ambiente, Una rivoluzione digitale per la Sostenibilità” (Edizioni Ambiente, 2015), selezionato dal Festivaletteratura di Mantova nel 2015.

Vuole illustrarci sinteticamente quali sono le caratteristiche della piattaforma on-line Qcumber?
Qcumber è una piattaforma multi-stakeholder che consente la governance integrata dei procedimenti di valutazione di impatto e rischio ambientale (tra cui VIA e VAS), impiegando tecnologie di elaborazione dati (IOT/ML) e modelli di supporto alle decisioni adottati dalle principali istituzioni internazionali e nazionali del settore (EPA/IAIA/WHO).
L'analisi e la valutazione degli impatti può essere svolta ai livelli di scoping, screening, assessment e monitoring e gli esiti vengono condivisi e convalidati dagli stakeholder coinvolti nei diversi procedimenti.
A chi è rivolta?
La piattaforma viene impiegata da Regioni, Province, Comuni, Agenzie, imprese, consulenti e cittadini per la E-governance dei procedimenti di pianificazione e di valutazione ambientale.
Al momento sono anche in corso tre sperimentazioni nazionali che vedono coinvolto il Ministero dell'Ambiente e a dicembre si conclude la fase di convalida inter-istituzionale avviata durante IAIA15 nell'ambito dell'E-Governance 4.0 Forum.
esempio schermata qcumberQuali sono le finalità che vi proponete?
Stiamo lavorando assieme alle istituzioni e agli stalkeholder per fornire strumenti speditivi e accreditati ai valutatori istituzionali coinvolti nei principali procedimenti di valutazione ambientale, nelle VAS delle Regioni, Province e Comuni, nelle VIA e nelle AIA degli impianti industriali, fino alle valutazioni integrate di filiera e nelle dichiarazioni non finanziarie (Bilanci di Sostenibilità).
L'obiettivo principale, in questa fase di sviluppo del progetto, è accompagnare il processo di digitalizzazione dei servizi nelle città e nei territori, supportando gli amministratori pubblici e gli operatori nelle delicate scelte di progettazione e gestione delle Smart City.
Sono in corso le attività di sviluppo e convalida degli applicativi relativi alle valutazioni ambientali e sociali in conformità agli obiettivi delle Nazioni Unite (SDG) e ai requisiti introdotti dal D.Lgs 254 che ha recepito la Direttiva Europea 2014/95 UE.
Nel 2019 è prevista l'implementazione di specifici applicativi per la Valutazione di Impatto Sanitario (VIS) applicabili a diverse scale territoriali.
mappa NOX
Chi raccoglie i dati che vengono inseriti, e come vengono poi utilizzati?
I dati impiegati sono sia di tipo ambientale che gestionale e vengono acquisiti in modalità automatica dai sensori che lo consentono, oppure estratti direttamente dai sistemi gestionali, oltre che inseriti dagli utilizzatori della piattaforma nell'ambito dei procedimenti. Una volta acquisiti e verificati vengono impiegati per alimentare i modelli di valutazione di impatto e rischio ambientale e condivisi secondo una profilazione basata su ruoli e funzioni amministrative dei diversi stakeholder coinvolti nei diversi procedimenti.
Quali sono le sue prospettive di sviluppo?
Lo sviluppo, la convalida e la diffusione della Piattaforma rientrano nel progetto E-Governance 4.0 che ha coinvolto la sezione italiana dell'Associazione Internazionale di Impatto Ambientale (IAIA), oltre a partner tecnologici come Microsoft, ST Microelettronic e il CERC di Cambridge.
L'obiettivo di breve termine è concludere la sperimentazione nazionale e internazionale (attiva al momento in Italia, UK e Portogallo), coinvolgere in modo strutturato il mondo della ricerca e quello della pubblica amministrazione e delle imprese, per definire le nuove strategie di E-governance da condividere nelle Smart city italiane. Durante IAIA 2020 a Siviglia la sezione italiana di IAIA presenterà, assieme agli stakeholder istituzionali, i risultati raggiunti estendendone l'applicazione anche alle Developing Countries.
fonte: http://www.arpat.toscana.it

Autorizzazione Integrata Ambientale negli impianti di trattamento acque reflue e rifiuti liquidi - 20 anni di attività del GDL

56^ Giornata di Studio di Ingegneria Sanitaria-Ambientale

















Locandina e programma completo: Scarica Pdf
PROGRAMMA in SINTESI:

M A T T I N O: Aula Magna
8:00 REGISTRAZIONE DEI PARTECIPANTI
9:00 Indirizzi di saluto
9:15 Presentazione della Giornata di Studio - Carlo Collivignarelli
9:30 L'AIA: il quadro delle norme
9:30 L’AIA negli impianti di trattamento acque e rifiuti liquidi: contenuti tecnici
9:30 Procedure dell’AIA e loro applicazione
10:30 PAUSA
10:50 PANEL: Esperienze dei gestori
11:50 TAVOLA ROTONDA: L'AIA: Aspetti critici e proposte di ottimizzazione
12:50 CONCLUSIONI
13:00 PAUSA BUFFET

P O M E R I G G I O: Aula Consiliare
20 anni di attività del GdL
14:15 Introduzione al pomeriggio
14:30 Le tematiche dei 20 anni di attività e i “nuovi” argomenti
14:50 La metodologia di lavoro: passato e futuro
15:10 L’attività del GdL e le ricadute sulla gestione degli impianti
15:30 PANEL: IL PUNTO DI VISTA DEI SOGGETTI INTERESSATI
16:30 Discussione con interventi dal pubblico
17:00 CONCLUSIONI



DOMANDE E RISPOSTE:
La mia registrazione o il mio biglietto è trasferibile?
No, se non puoi intervenire cancellati e invita il tuo collega a registrarsi. SOLO se avrai annullato per tempo riceverai in seguito il materiale della giornata di studio.
Devo portare i biglietti stampati all'evento?
Porta il tuo biglietto stampato su carta.
Il nome sulla registrazione o sul biglietto non corrisponde a quello del partecipante. Ci sono problemi?
Si, dovrai compilare un modulo con i dati che registreremo a sistema, e attendere presso il desk dell'evento che abbiamo prima verificato i partecipanti registrati.

fonte: https://www.eventbrite.it


La bolla degli inceneritori

Se la produzione italiana dei rifiuti mantenesse le dinamiche attuali -ovvero in calo costante- e la raccolta differenziata raggiungesse il 65% -come il nostro Paese si era impegnato a fare entro il 2012-, la capacità di incenerimento già installata sarebbe già in eccesso. Eppure il Governo ha individuato un “fabbisogno” ulteriore, gonfiato del 68% in più rispetto alla realtà














Nel 2015, l'inceneritore di Brescia (A2a) ha bruciato 686mila tonnellate di rifiuti

L’Italia non ha bisogno di altri forni inceneritori per gestire i rifiuti urbani. In prospettiva, potrebbe addirittura farne anche a meno. Eppure, nonostante gli ultimi dati pubblicati a fine 2016 nel “Rapporto Rifiuti Urbani” dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA, www.isprambiente.gov.it), un decreto dell’agosto scorso dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi individua una capacità potenziale di incenerimento che rischia di rivelarsi decisamente sovrastimata.
Partiamo dal principio. Nel 2015, dati ISPRA alla mano, il nostro Paese ha prodotto 29,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. Ogni cittadino ha portato in dote 486,7 chilogrammi. Rispetto al 2011, l’andamento è lievemente positivo in termini di riduzione dei rifiuti (-5,9%), e la raccolta differenziata ha raggiunto il risultato del 47,5% (+2,3% rispetto al 2014). Il traguardo non è felice visto che il nostro Paese si è impegnato oltre dieci anni fa a raggiungere il 65% entro il 2012.















Percentuali di raccolta differenziata dei rifiuti urbani per Regione, anni 2014 – 2015

In questo contesto, crolla lo smaltimento dei rifiuti non differenziati in discarica -7,8 milioni di tonnellate, in discesa del 16% rispetto a un anno prima- mentre cresce la quantità di materia avviata ai 41 inceneritori attivi nel Paese. I rifiuti urbani destinati ai forni hanno sfiorato infatti quota 5,6 milioni di tonnellate (nel 2011, quando gli impianti erano 50, furono circa 5,3 milioni), per il 70% dei casi bruciati al Nord.
Il fatto che la discarica “perda” materia deriva dal fatto che l’inceneritore tende a sostituirla. Ma è qui che si apre il problema delle “dimensioni” immaginate dal Governo per i prossimi anni.



















Incenerimento in relazione alla produzione di rifiuti urbani (1.000 tonnellate), anni 2005 – 2015 

Stando al “decreto Renzi” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale nell’ottobre 2016, infatti, il nostro Paese detiene già una “capacità nazionale di trattamento dei rifiuti urbani e assimilati” pari a 5,9 milioni di tonnellate annue. Cui si possono aggiungere virtualmente quelle autorizzate ma “non in esercizio”, che pesano per altre 665.650 tonnellate. Arrotondando si ottiene quindi una capacità esistente di circa 6,5 milioni di tonnellate. Per l’esecutivo, però, non è abbastanza. Ed è per questo che ha stimato un “fabbisogno impiantistico da realizzare” per altre 1,8 milioni di tonnellate (solo la Sicilia ne ospiterebbe 690mila). Totale: quasi 8,4 milioni di tonnellate.
La bolla degli inceneritori inizia qui. Immaginando -contrariamente a quanto sta già accadendo- che la produzione dei rifiuti resti costante nei prossimi anni (29 milioni di tonnellate) e che la differenziata, lentamente, raggiunga il sofferto traguardo del 65%, i rifiuti indifferenziati da gestire si ridurrebbero a poco più di 10 milioni di tonnellate. Se gli inceneritori continuassero ad erodere la quota destinata alla discarica (oggi al 58% contro il 42% dei forni), vorrebbe dire che la capacità necessaria non supererebbe quota 5 milioni di tonnellate, ben distanti dalle 8,4 immaginate dal Governo. Un sovradimensionamento non necessario del 68%.
Una scommessa che rischia di rallentare una gestione virtuosa dei rifiuti. L’ISPRA, però, nega che l’incenerimento possa “disincentivare” la raccolta differenziata. A sostegno della sua tesi cita “alcune regioni quali Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Campania e Sardegna”. Nonostante si bruci (e molto) “la raccolta differenziata raggiunge valori elevati”. C’è un problema nell’analisi dell’ISPRA. Questa è relativa infatti alle Regioni nella loro interezza e non invece alla scala provinciale, dove cioè insistono i forni. Alcuni dati territoriali aiutano a capire meglio.
A Brescia c’è uno tra i più grandi forni d’Italia: 981mila tonnellate annue autorizzate in capo alla multiutility A2a. La provincia di Brescia è quella con il tasso di produzione pro-capite di rifiuti più alto della Lombardia (517,1 chilogrammi) e registra una percentuale di raccolta differenziata sotto la media regionale (58,1% contro 58,7). Anche Trieste, unica provincia friulana con un forno sul territorio (del Gruppo Hera), differenzia appena il 34,9% contro il 63% circa regionale. O Napoli, contesto in cui ricade l’impianto di Acerra (600mila tonnellate annue, A2a), che è la provincia campana in cui si producono più rifiuti pro-capite (470 chilogrammi circa contro la media di 438) e la raccolta differenziata è ferma al 43,2% (Benevento è al 69,3%).
Ma i forni devono sopravvivere a tutti i costi. A Lecco, prima provincia italiana a superare quota 50% di differenziata nel 2002 e oggi al 60,5%, la società pubblica partecipata dai Comuni che gestisce il forno inceneritore nel comune di Valmadrera, Silea Spa, si appresta a realizzare una rete di teleriscaldamento allacciata all’impianto. Una “prescrizione” contenuta nell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) del settembre 2014 di Regione Lombardia a partire dalla quale potrebbero essere investiti quasi 60 milioni di euro. Poco importa che nel 2015 (dati ISPRA) l’impianto abbia bruciato 97.100 tonnellate in una provincia che produce assai meno indifferenziato (53mila tonnellate). E che l’AIA abbia invece consentito alla società di raggiungere il massimo carico termico (163.020 MJ/h), pari a 123.000 tonnellate.
Il “Coordinamento lecchese Rifiuti zero” ha proposto ai Comuni di condurre un’indagine epidemiologica sugli effetti dell’impianto prima di effettuare l’investimento e legarsi per altri lustri al forno attivo dagli anni 80. La società ha sposato solo in parte la proposta, commissionando all’Università di Torino un’analisi dai tempi più lunghi che dovrebbe prevedere la stesura del report definitivo non prima del dicembre 2018 (per un valore di 120mila euro). Intanto, però, i lavori partiranno. Con un dettaglio in più. Ad occuparsi della “identificazione del modello di ricaduta delle emissioni indispensabile per la definizione delle aree di esposizione e non esposizione all’impianto” -come si legge nel protocollo dell’indagine- sarà la società milanese d’ingegneria “Tecnohabitat Spa”, incaricata direttamente da Silea senza gara. La stessa società, però, figura tra le imprese responsabili del progetto definitivo/esecutivo del teleriscaldamento. “Non c’è alcun conflitto di interessi -ha spiegato ad Altreconomia Vittorio Addis, presidente del cda di Tecnohabitat- il nostro ruolo nell’indagine è meramente tecnico”. Sui tempi delle indagini, poi, aggiunge che “per avere un risultato significativo occorrono tra i cinque e i dieci anni”.
Se l’indagine epidemiologica dovesse fotografare un impatto forte del forno sul territorio circostante a quale destino andrebbe incontro l’impianto? “Se ci fosse un impatto assolutamente negativo dell’indagine epidemiologica si porrebbe un grande punto interrogativo su Silea -spiega Addis- e si porrebbe su molti termovalorizzatori del territorio lombardo e sull’80% degli impianti italiani. È un’ipotesi che metterebbe in discussione tante cose. Ma basare una valutazione oggi su un’indagine epidemiologica secondo me non ha molto senso”.

fonte: https://altreconomia.it/
 

Terni ‘No inceneritori’: «Daremo battaglia»

«Il 23 gennaio Conferenza dei Servizi per l’Aia all’inceneritore TerniBiomassa. La Regione deve rigettare l’istanza»














del Comitato No Inceneritori di Terni

Il 23 gennaio in Regione ci sarà una Conferenza dei Servizi (forse l’ultima) che dovrà decidere se dare o meno l’Autorizzazione Integrata Ambientale all’inceneritore TerniBiomassa. Lo stesso inceneritore chiuso temporaneamente nel 2016 per il superamento dei limiti delle emissioni e altre violazioni al codice e oggi sotto processo per reati in materia ambientale.
Difficile sostenere che aver bruciato il doppio del combustibile (pulper) possa essere stato frutto del caso o di un errore di processo. Sarebbe davvero assurdo che questa impresa si vedesse autorizzato un impianto malgrado tutto questo. La Regione Umbria, la sua Presidente Marini, non facciano gli struzzi adducendo come sempre la scusa che se l’impianto risponde tecnicamente alla normativa non si può non autorizzare. La Regione deve assumersi la scelta politica di rigettare l’istanza.
Allo stesso modo la ASL2 che ad oggi non ha mai prodotto alcuno studio almeno di un certo profilo scientifico, ufficiale, magari sullo stato di salute della Conca, sull’incidenza delle varie patologie e sul ruolo degli inquinanti emessi dai vari impianti industriali proprio sulla salute dei ternani. Ignorando sistematicamente le evidenze dello studio Sentieri e al massimo producendo qualche stima e nemmeno presentata ufficialmente come azienda.
Su questo fronte saremo determinati, e lo mandiamo a dire al nuovo direttore generale: non accetteremo l’ennesima assenza della ASL alla Conferenza dei Servizi, oppure che si presenti senza depositare un suo parere motivato. Sarebbe una gravissima omissione dei doveri istituzionali e siamo pronti a denunciarli. Non è più accettabile il silenzio dell’agenzia deputata alla prevenzione e per cui viene pagata.
Dicesse anche che un secolo di acciaieria, decenni di chimica e venti anni di incenerimento non hanno alcuna responsabilità nello stato di salute della Conca, e che eventuali incidenze siano dovute a stili di vita, fumo, alimentazione e che quindi a Terni è autorizzabile tutto. Riprendesse pure le relazioni negazioniste dell’Osservatorio Ambiente e Salute della Provincia. Insomma, uscisse dal silenzio, venisse allo scoperto, soprattutto facesse il suo dovere.
Al Sindaco medico: l’aver depositato un parere negativo non la esonera dal dovere di richiamare ufficialmente e pubblicamente la ASL ai propri doveri. Lei sa benissimo che senza un parere della ASL, l’agenzia deputata alla verifica dell’impatto sulla salute degli inquinanti, il suo parere rischierebbe di essere nullo, e non vorremmo che tutto questo sia stato solo un gioco delle parti per scrollarsi di dosso parte delle responsabilità politiche e amministrative sulla presenza di due inceneritori, conscio che tanto in Regione, e quindi la ASL, la posizione sarebbe stata quella di autorizzare l’impianto. Anche questa è competenza del primo responsabile della salute pubblica di un Comune.
Ovviamente in quei giorni ci saranno iniziative e mobilitazioni




fonte: http://www.umbriaon.it

I controlli alle aziende sottoposte ad autorizzazione unica ambientale

Esiti dei lavori di un gruppo interagenziale ISPRA/ARPA/APPA che ha prodotto le procedure operative



Uno specifico gruppo di lavoro interagenziale ISPRA/ARPA/APPA ha recentemente redatto le Linee Guida relative alla “impostazione generale delle procedure di controllo, costruzione di check list per i controlli di aziende assoggettate ad AUA o AIA regionali per tipologie produttive e sito specifici”.
Tale documento, redatto con la collaborazione di numerose Agenzie, tra cui ARPA Toscana, è in fase di approvazione da parte del Comitato tecnico permanente, prima della sua emissione definiva, da parte di ISPRA, in forma di Linea Guida o Raccomandazione.
Le Linee Guida proposte riprendono i principi del Decreto Legge 5/2012 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo) prevedendo la definizione di criteri e percorsi operativi per realizzare un sistema dei controlli coordinato e condiviso tra i diversi livelli di governo, con l'obiettivo di ridurre gli oneri ingiustificati che gravano sui destinatari dei controlli e sugli stessi controllori rendendo, al contempo, più efficaci i controlli pubblici sulle imprese.
Le specificità di AUA rispetto ad AIA
L’attività del gruppo di lavoro era indirizzata ad identificare le procedure di controllo e le check list per i controlli relativi alle aziende con AIA regionale ed AUA, ai fini di un utilizzo omogeneo da parte del Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale (SNPA).
Nell’ambito dei lavori, il gruppo ha collaborato con altri gruppi interagenziali attinenti, in particolare quello dedicato alla pianificazione dei controlli AIA e quello impegnato nel rafforzamento della trasparenza.
Le principali differenze riscontrate fra le due tipologie di autorizzazione hanno reso difficile la costruzione di un data base adeguatamente “popolato” delle aziende AUA in un arco di tempo ristretto, al fine di poter applicare il modello già in utilizzo per gli impianti AIA.
L'introduzione dell'AUA, nonostante il ritardo nell'applicazione in varie realtà del territorio nazionale, supera la logica delle autorizzazioni settoriali indirizzando, anche nel caso di aziende di piccole e medie dimensioni, un approccio integrato o comunque più completo del controllo al fine di perseguire gli obiettivi introdotti dall'art. 14, comma 4, lett. c del Decreto Legge 5/2012.
L'AUA ricomprende la maggior parte delle attività sul territorio ovvero le grandi, piccole e medie imprese che non rientrano tra gli impianti soggetti alle disposizioni in materia di AIA.
In assenza di un data base consolidato e sufficientemente popolato di dati per le piccole e medie imprese ed in assenza di documentazione relativa alla ditta tra gli atti delle Agenzie, la preparazione dell'ispezione si può basare su tutte le informazioni presenti sul “modello unificato e semplificato” per la richiesta di AUA. Tale modello contiene una serie di schede tecniche/informative relative sia ai dati produttivi dell'attività che alle caratteristiche tecniche attinenti i titoli abilitativi che si richiedono (sia nuovi che rinnovati, modificati sostanzialmente o senza modifiche).
Partendo dalla consultazione di quanto descritto nel modello unificato è possibile procedere alla selezione della check-list pertinente per l'ispezione in oggetto, pur in assenza di precedenti visite presso l'attività.
Ispezioni nelle installazioni AUA
I Gestori degli impianti che sono in possesso di AUA, ai sensi della normativa vigente, hanno almeno uno dei seguenti titoli abilitativi:
  • Autorizzazione agli scarichi
  • Comunicazione preventiva per l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e delle acque reflue provenienti dalle aziende ivi previste
  • Autorizzazione alle emissioni in atmosfera
  • Autorizzazione generale
  • Comunicazione o nulla osta
  • Autorizzazione all'utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura
  • Comunicazioni in materia di rifiuti
Le check-list preparate per l'ispezione di controllo entrano nello specifico di ciascuno di questi titoli abilitativi, fatta eccezione per quella riportata dell'allegato 2 della Linea Guida, che fornisce un approccio generale per l'attività di controllo nelle aziende soggette ad AUA. Si è optato per un approccio dettagliato in ciascuna lista, lasciando poi all'operatore di vigilanza in sede di pianificazione dell'ispezione, di volta in volta, la scelta dei punti più appropriati per la verifica in base all'azienda oggetto dell'intervento.
Testo a cura di Andrea Villani
fonte: http://www.arpat.toscana.it