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Fair Plastic Alliance: i rifiuti diventano risorsa sociale e ambientale












Dei 350 milioni di tonnellate di plastica prodotta ogni anno nel mondo, solo il 15% viene riciclata. Il 25% viene bruciato in inceneritori o termovalorizzatori e il restante 60% va invece in discarica o disperso nell’ambiente. Due conseguenze sono particolarmente gravi: da una parte i milioni di tonnellate di rifiuti che finiscono negli oceani, rovinando irrimediabilmente l’ecosistema marino; dall’altra lo sviluppo di un’economia informale, in particolare nei paesi del Sud del mondo, che espone i lavoratori ad abusi e pericolosi rischi sanitari.
Per combattere contro tali ingiustizie ed ispirandosi ad alcune esperienze fatte in Nigeria e Sud Africa,  nasce Fair Plastic Alliance: un network composto da realtà molto diverse. Tra queste, Serioplast, azienda internazionale attiva nel settore della produzione di plastica per conto delle principali multinazionali globali; Oxfam e Cesvi, organizzazioni non profit impegnate da anni in progetti di rafforzamento delle capacità locali e di sviluppo economico e comunitario;  WeCyclersuna startup nigeriana capace di implementare un modello innovativo e sostenibile di raccolta con il pieno rispetto dei diritti dei lavoratori, e numerose cooperative di baseche riuniscono i lavoratori informali del settore per offrire loro opportunità di sviluppo e una vita dignitosa.
L’idea è quella di contrastare lo sviluppo di un’economia informale che non dà alcun tipo di tutela lavorativa ai “raccoglitori” di rifiuti, attraverso un intervento che invece punti a valorizzare un lavoro che può avere, se riconosciuto nel modo giusto, un impatto positivo importante sia a livello sociale che ambientale.










Tra le realtà parte del network, molto interessante è WeCyclers: costituitasi a Lagos, si tratta di un’impresa innovativa e virtuosa che propone servizi low-cost per famiglie a basso reddito residenti nella megalopoli africana. In particolare, la start-up ha creato una piattaforma online, per cui, chi lo desidera può richiedere una raccolta porta a porta dei rifiuti riciclabili; questi vengono successivamente portati, dai “raccoglitori” che utilizzano cargo bikes, nei centri di trattamento dei rifiuti e trattati. Tale meccanismo fa sì che, da una parte i nuclei familiari in difficoltà possano trarre un beneficio economico dalla loro attenzione per il riciclo (tramite buoni acquisto che vengono loro consegnati al termine del servizio), dall’altra, che venga riconosciuto il lavoro dei bikers che, con il loro operato, contribuiscono alla diminuzione dei rifiuti in città e di conseguenza al miglioramento delle condizioni di vita di tutti.
Come afferma la co-founder di WeCyclers, Bilikiss Adebiyi Abiola“Lagos, con i suoi 25 milioni di abitanti, soffre di un cronico inquinamento da rifiuti sversati ovunque e senza regole per strada. Grazie alla nostra realtà, la plastica qui è diventata per tanti lavoratori una risorsa che consente di mandare i figli a scuola, avere un reddito stabile, curarsi”.












Associandosi con altre realtà aziendali e non, quali quelle citate sopra, la start-up avrà la possibilità di far conoscere il proprio modello al resto del mondo e di stimolare la nascita di un dibattito che coinvolga le multinazionali che utilizzano plastica per gli imballaggi, i policy maker, le comunità locali e i consumatori. Come confermato Delia Innocenti, CEO di Serioplast “La Fair Plastic Alliance intende affrontare in modo innovativo le problematiche ambientali e sociali generate dalla plastica, facendo leva sull’inclusione attiva dei lavoratori informali. Questo è possibile adottando un modello di business che rimetta questi lavoratori al centro. Un modello in cui gli investitori rinunciano ai dividendi e reinvestono i profitti per l’inclusione e lo sviluppo delle comunità locali garantendo la sostenibilità economica, ambientale e sociale dell’attività e dando impulso ad una trasformazione dal basso, sostenuta e supportata dalla filiera industriale.”
fonte: www.envi.info

Appello Al Ministro Costa Affinché’ Revochi L’articolo 35...

...Voluto Da Renzi Che Avrebbe Dovuto Accelerare La Costruzione Di Nuovi Inceneritori. Ora Piu’ Che Mai E’ Il Momento Di Abrogare Questo Anacronistico Assist All’industria Sporca…Che In Molti Con Salvini Vorrebbero Rilanciare Nell’epoca Della Economia Circolare.









Introduco, rappresentando in questo “solo” il punto di vista di Zero Waste Italy questa lettera-appello contro l’articolo 35 firmato da TUTTE LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE NAZIONALI. Non è casuale che questo appello avvenga “nel fuoco” della attuale polemica politica che sta facendo vacillare il Governo opponendo Salvini che rivendica un inceneritore per provincia magnificando la “termovalorizzazione” e il movimento 5 stelle che in questo, giustamente (e forse in modo troppo timido), fa appello al riciclo, alla economia circolare e al superamento degli inceneritori”.
E’ falso anche per la Campania (che tra l’altro a livello regionale sta facendo registrare quote di RD superiori al 50%) e a molte regioni italiane e non solo del sud invocare gli inceneritori (a mo’ di Bassolino!). 
Certo, il problema della TERRA DEI FUOCHI e drammatico ma esso semmai risponde a logiche di smaltimenti abusivi derivanti da produzioni clandestine di rifiuti speciali illegali e purtroppo diffuse contro le quali SOLO LA MASSIMIZZAZIONE DELLA VIGILANZA POPOLARE possono dire stop a partire proprio dalla diffusione capillare delle buone pratiche Rifiuti zero che poggiano sul totale coinvolgimento delle comunità locali campane.
Molte città come Avellino, Benevento, Salerno stanno dimostrando che le comunità meridionali sono in grado altrettanto di quelle del nord e del centro di fare la propria parte strappando alla criminalità l’egemonia sui territori favorita da decenni di discariche, dalla stessa vicenda delle ecoballe e degli STIR di Bassoliniana memoria e dagli SMALTIMENTI PROVENIENTI DAL NORD.
Vogliamo ricordare al “populista” Salvini che GLI INCENERITORI SONO IMPOPOLARI ed anacronistici se davvero si vogliono trasformare gli scarti da problema a risorsa.
SU QUESTO PUNTO ZERO WASTE ITALY che sostiene dall’inizio del 2000 le battaglie contro l’incenerimento e per promuovere le esperienze virtuose di Rifiuti Zero NON TORNERÀ’ INDIETRO sfidando sul campo eventuali “messaggi muscolari”.
Ovviamente sempre disposti a collaborare per forme condivise di governance dal basso con le comunità, i comuni, i territori.
Ai 5 stelle chiediamo oltre alla coerenza, almeno in questo, di attuare normative che chiudendo con il “rambismo” dell’incenerimento non solo abroghino l’articolo 35 ma soprattutto promuovano una vera politica di CENTRALITÀ’ delle questioni ambientali, un piano nazionale del riciclo e della riparazione-riuso, la reintroduzione del vuoto a rendere ed un green public procurement che al di fuori di orpelli retorici promuova davvero un mercato che provengono dalla rigenerazione dei materiali.
ANCORA UNA VOLTA LA QUESTIONE INCENERITORI O RIFIUTI ZERO DIVIENE CENTRALE NEGLI SCENARI POLITICI.
Noi ci siamo facendo risaltare tutto il nostro afflato di civismo radicale e propositivo.
Rossano Ercolini,
Presidente di zero Waste Italy 






fonte: http://www.zerowasteitaly.org

C'è del marcio negli inceneritori in Danimarca
















L'uscita del vice-ministro Salvini che, a sorpresa, fuori dal contratto con i 5 Stelle, ha rilanciato il salvifico ruolo dei termovalorizzatori per far sparire i roghi di rifiuti bruciati all'aperto in Campania e le decine di incendi, più o meno dolosi, di magazzini pieni di scarti differenziati, ha seguito una studiata tempistica.

Nei prossimi giorni a Copenhagen si inaugurerà un inceneritore con recupero energetico, di ultimissima generazione, la cui sicurezza è sottolineata dalla possibilità di sciarci sopra.

E il ministro multi-ruolo ha già annunciato che ci andrà, sci in spalla e in divisa da sciatore.

Dubitiamo che i selfie che il suo staff per la propaganda diffonderanno, per la gioia dei fan del capitano, ci faranno ammirare  il panorama intorno, che è quello che potete vedere nella foto che segue: in primo piano gli sciatori felici, sullo sfondo una selva di camini.

Il panorama ad ovest dell'inceneritore con pista da sci


Il fatto è che siamo sull'isola di Amager, a quasi due chilometri di distanza dalla Sirenetta e a quattro chilometri dal centro della città, isola da sempre utilizzata per scopi industriali e che ospita anche l'aeroporto internazionale.


Isola di Amager. Il cerchio rosso localizza i depositi di ceneri.

Se poi lo staff del primo ministro mandasse un drone ad esplorare i dintorni ( il cerchio rosso nella foto sopra) potremmo ammirare quest'altro panorama: i grandi depositi di ceneri prodotte dalla combustione dei rifiuti, da sempre usate dai danesi per riempire il fondo delle loro autostrade.

Depositi di ceneri prodotte dagli inceneritori di Copenhagen


Il nuovo inceneritore, nelle inedite vesti di parco dei divertimenti, brucerà 325.000 tonnellate anno di scarti prodotti dai danesi, ma, per le leggi della chimica, questa massa non sarà trasformata tutta in energia e l'inceneritore produrrà un bel pò di rifiuti: 66.500 tonnellate di cenere pesanti e 6.500 tonnellate di ceneri leggere e quest'ultime, prodotte dai sistemi di filtrazione dell'aria, sono inevitabilmente cariche di sostanze pericolose e quindi, a tutti gli effetti, sono rifiuti tossici da smaltire con molta attenzione e con elevati costi.

Trasformare rifiuti urbani, al massimo puzzolenti, in rifiuti tossici a me non sembra una grande furbata.

A riguardo, posso fornire qualche dato sui nostri inceneritori, pardon, "termovalorizzatori": in media in un chilo di ceneri pesanti prodotte dai nostri impianti si trovano 34 nanogrammi di diossine, in un chilo di ceneri leggere, i nanogrammi di diossine salgono a , 311.

Per la cronaca, in un chilo di rifiuti nostrani inceneriti si trovano, in media, 2 nanogrammi di diossine. 

Lascio ai miei lettori la valutazione di quanto sia furba la scelta di privilegiare la "termovalorizzazione" al riciclo.

E ritorniamo al termovalorizzatore con pista da sci: quanto gli costa?

Questa meraviglia ha richiesto 520 milioni di euro, a cui si devono aggiungere i costi di esercizio, di manutenzione e quelli per la inertizzazione e lo smaltimento delle ceneri. 

Una bella cifra. che i danesi dovranno pagare producendo tutti i rifiuti che servono ad alimentare l'impianto e questo per almeno 25 anni, quanti ne servono per ammortizzare l'investimento.

Con queste scelte, 27 inceneritori in funzione, i cittadini di Copenhagen e tutti i Danesi  possono dare un addio a serie politiche di riduzione dei rifiuti e di riciclo.

Produzione e trattamenti di scarti urbani (2015) nei paesi membri dell'Unione Europea  

Ed è proprio cosi: un danese produce ogni anno 788 chili di scarti urbani, di cui il 54% è incenerito e il 42% riciclato, un vero record europeo.

Noi italiani, con tutti i nostri difetti, di scarti ne produciamo quasi la metà (488 chili),  di cui ricicliamo il 47,5% ( meglio dei danesi) e se i 5 Stelle al governo riuscissero a realizzare quanto previsto nel contratto, ovvero estendere a tutto il paese il sistema di raccolta "porta a porta " adottato nel Trevigiano, con oltre il 65% di raccolta differenziata, potremmo certamente chiudere tutte le discariche e dare un addio ai termovalorizzatori nostrani.

Per la cronaca è quello che ha deciso di fare la regione Liguria, a guida forza Italia e Lega: nessun inceneritore, bocciati per i costi eccessivi, differenziata al 65% con il porta a porta, produzione di metano da immettere in rete dalle frazioni organiche, massimo recupero di materiali da usare in nuove produzioni. 
E questa scelta la possiamo fare proprio grazie al fatto che una decina di anni fa abbiamo bloccato un inceneritore ( anche lui su modello danese) sotto la Lanterna ( il faro simbolo della citta) e anche perchè la grande discarica di Scarpino, alle spalle della città, finalmente Sima messa in regola e non potrà più ricevere gli scarti indifferenziati.

Se poi anche Salvini, che ama gli italiani, volesse abolire l'anomalia tutta nazionale, di aver fatto diventare per legge i nostri scarti una fonte di energia rinnovabile, gliene saremmo grati.

Questa norma, che la solita anonima manina ha introdotto quando abbiamo recepito una norma europea per incentivare le energie rinnovabili, ci costa 300 milioni di euro all'anno, tanto vale il regalo fatto ai gestori degli inceneritori nostrani.

Sono soldi pagati, a loro insaputa, da tutti gli italiani con la bolletta della luce, nella voce A3 delle tasse a carico.

Andate a controllare, per avere un'idea di quanto vi costa mantenere una cinquantina di "termovalorizzatori".

Pensateci, quando tra qualche giorno vedrete Salvini in trasferta sciistica in Danimarca.

Federico Valerio

fonte: https://federico-valerio.blogspot.com/

Costa: cambiare norma sugli inceneritori per puntare sul riciclo

Il ministro dell’Ambiente propone la modifica dell’art.35 dello Sblocca Italia. “È arrivato il momento di puntare sulla differenziata di qualità e sull’economia circolare”


















Metter mano alla norma sugli inceneritori per inaugurare un nuovo percorso che punti su differenziata e riciclo piuttosto che sulla combustione. Questo quanto anticipato ieri dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa al termine del Consiglio dei Ministri. La proposta arriva dopo l’impugnazione da parte dello stesso Costa della legge della Regione Marche n. 22 del giugno 2018.
In realtà il provvedimento in questione va esattamente nella direzione “no inceneritori”: la legge vieta, infatti, la combustione dei rifiuti e del CCS sul territorio marchigiano (ad eccezione del biometano), bloccando di conseguenza la realizzazione del nuovo termovalorizzatore voluto dal precedente governo.
Qual è il problema? Come sempre la diatriba tra competenze statali e regionali. Alla base della decisione di bloccare il provvedimento delle Marche, secondo il ministro, ci sarebbero “evidenti profili di incostituzionalità, oltre che rilievi comunitari”. “Non significa essere a favore dell’incenerimento – spiega Costa – Si sta lavorando, piuttosto, a una normativa finalizzata alla riduzione della produzione dei rifiuti e all’aumento della differenziata di qualità”. In altre parole per dire no ai termovalorizzatori serve una legge nazionale e non interventi locali.
La proposta è quella di modificare direttamente lo Sblocca Italia e più precisamente il famigerato articolo 35, recante “misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani”. La tanto criticata norma prevede, infatti, l’autorizzazione di 12 nuovi impianti di recupero energetico da rifiuti in dieci regioni (tra cui per l’appunto, le Marche). Tali strutture andrebbero così ad aggiungersi alle 42 già in funzione sul territorio italiano e alle sei autorizzate ma ancora in via di costruzione.


“Proprio perché la competenza è statale – continua il ministro Costa – ho dato disposizione agli uffici legislativi affinché sia modificato l’art.35 dello SbloccaItalia contro cui tantissimi cittadini e comitati si sono sempre battuti. È arrivato il momento di non puntare più sull’incenerimento ma sulla differenziata di qualità e sull’economia circolare”.
La proposta ha trovato ovviamente il plauso dei parlamentari del Movimento 5 Stelle delle Commissioni Ambiente di Camera e Senato. “Ha detto bene il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa – hanno sottolineato i relativi capigruppo delle Commissioni, Stefano Vignaroli e Paola Nugnes – L’articolo 35 del famigerato Sblocca Italia di Renzi che favorisce il business dei rifiuti e dell’incenerimento in tutta Italia, va superato con una nuova normativa che seguendo le gerarchie d’intervento europee privilegi riduzione, riciclo e recupero di materia eco-efficiente attraverso una seria raccolta differenziata domiciliare (porta a porta) con tariffa puntuale e il graduale superamento dell’incenerimento dei rifiuti attuando il cosiddetto ‘modello Treviso’ a Rifiuti Zero, proprio come previsto nero su bianco nel contratto di governo”.

fonte: www.rinnovabili.it

Cumuli di plastica nell’UE dopo il no della Cina ai rifiuti esteri

L’Europa deve ancora trovare un modo per gestire i rifiuti respinti dal mercato del riciclo cinese. L’opzione termovalorizzatori diventa sempre più probabile





















Sulla carta l’Unione Europea possiede il miglior piano di economia circolare che possa esistere al mondo: obiettivi ambiziosi, normative stringenti e una lunga lista di buone pratiche da implementare su riciclo e uso delle risorse (leggi anche Ok al Pacchetto economia circolare: riciclo al 65% entro il 2035). Nella realtà, tuttavia, si trova fra le mani un problema da 25,8 milioni di tonnellate. A tanto ammonta, infatti, il peso dei rifiuti di plastica prodotti ogni anno in Europa. Di questi, oggi, solo il 31 per cento viene raccolto e avviato a riciclo, con la non piccola particolarità che a recuperare la plastica non sono tanto gli impianti comunitari quanto quelli cinesi. Cosa succederebbe, dunque, se il gigante asiatico decidesse di non voler più la spazzatura occidentale? Che da un giorno all’atro l’UE si ritroverebbe con cumuli di plastica da gestire.

Questo è esattamente quello che sta accadendo in Europa dopo l’entrata in vigore del veto annunciato lo scorso anno da Pechino (Leggi anche La Cina inquinata chiude le frontiere ai rifiuti esteri). Le spedizioni di rifiuti verso la Repubblica popolare si sono ridotte di oltre la metà in questi mesi e, nonostante altri Paesi, come Malesia, Vietnam e India, abbiano aumentato le importazioni della plastica usata europea, il Blocco si trova oggi a gestire un problema considerevole.

Parte dell’eccedenza è accumulata in depositi temporanei, dai cantieri ai porti, in attesa che si aprano nuovi mercati per il recupero. Ma questa sorta di magazzini improvviasti costituiscono una minaccia per la sicurezza a casa della facile infiammabilità dei rifiuti. Il riciclo, quello interno, è frenato da diversi fattori, tra cui la mancanza di impianti e le condizioni stesse della plastica, spesso sporca e non ordinata per tipologia di polimero.
È facile immaginare che, in un continente dove le discariche sono, giustamente, limitate per legge, la prima soluzione presa in esame per risolvere possa essere la termovalorizzazione.

Negli ultimi anni l’Europa ha favorito la costruzione impianti che bruciano rifiuti per produrre elettricità o calore, nonostante il nuovo pacchetto circular economy abbia cercato di mettere dei paletti a questa opzione: sono previsti alti tassi di incenerimento con recupero energetico solo per quei rifiuti non riciclabili. Ma ora che effettivamente la Cina non accetta più la spazzatura europea (oltre alla plastica, il paese ha vietato l’importazione di una cinquantina di rifiuti) qualsiasi scarto, senza un impianto idoneo al trattamento e recupero potrebbe essere considerato come “non riciclabile”.

fonte: www.rinnovabili.it

Rifiuti: quali conseguenze dopo la stretta cinese? Plasmix destinato ad accumularsi, rischio paralisi della filiera



















Iniziano a manifestarsi i primi segni della stretta cinese sulle importazioni di rifiuti. Andrea Fluttero, presidente di UNICIRCULAR, ad Eco dalle Città: " I materiali saranno destinati ad accumularsi nei piazzali con il rischio che si paralizzi la filiera fino alla raccolta stessa"

Nei mesi scorsi la Cina ha annunciato e poi messo in pratica la stretta sulle importazioni di rifiuti. Uno degli ultimi passaggi in questo senso è l’entrata in vigore, dal 1° marzo 2018, del nuovo tetto massimo alle impurità presenti nei materiali inviati a trattamento negli impianti cinesi (0,5% del peso complessivo del carico). Su questo tema abbiamo interpellato Andrea Fluttero, presidente di UNICIRCULAR:
Partiamo dall’origine della scelta presa dalla Cina: da cosa è stata dettata?
La Cina sta evolvendo il suo modello di sviluppo. Il gigante asiatico sta crescendo in maniera molto rapida. Cresce in dimensioni ma cresce anche in qualità. E così ha deciso di definire dei limiti molto più restrittivi alle impurità presenti nei materiali che importava. In questo modo elimina tutta una serie di materiali di scarsa qualità in entrata e riduce l’uscita di prodotti di bassa qualità. Questa decisione, tuttavia, mette in crisi l’Europa, in particolare i Paesi che hanno spinto sulla raccolta differenziata.
Quali sono esattamente i rifiuti che vengono “colpiti” da questa stretta?
Fino ad ora le frazioni di qualità più alta hanno trovato collocazione a livello europeo nel circuito del riciclo. Le frazioni con maggiori impurità, invece, avevano uno sbocco collaudato nelle aziende cinesi. Tra i materiali più colpiti dalla stretta cinese, ci saranno le plastiche eterogenee, il cosiddetto plasmix. Questi materiali prima venivano comprati anche se a prezzi bassi. Il plasmix veniva e viene utilizzato in Italia, anche se in quantità limitate, per nuove produzioni. Il materiale restante veniva esportato (con costi di trasporto bassi verso la Cina). Oggi non è più così e questo materiale perde interesse nelle aste dove i compratori acquistano la plastica da lavorare per il riciclo.
Quali sono le conseguenze all'orizzonte?
Venendo meno il mercato asiatico, l’Europa si trova davanti a un problema non indifferente. Il WTO ha cercato di convincere la Cina a rivedere i parametri, ma le modifiche sono state minime e di conseguenza ora si stanno manifestando una serie di fenomeni ambientali/economici. Nel Nord Europa, dove ci sono molti termovalorizzatori, i flussi che prima andavano in Cina tendono ad essere avviati a recupero energetico. Nei Paesi dove ci sono meno impianti, invece, questi materiali devono essere esportati verso altri stati europei con capacità residua.
Ma con costi differenti rispetto a quelli verso la Cina...
Dalle prime indicazioni, i prezzi per lo smaltimento di queste frazioni poco nobili stanno salendo da 80/100 euro a tonnellata (trasporto compreso) a 150/160 euro a tonnellata (senza trasporto).
Cosa fare per gestire e superare le eventuali criticità?
In questo quadro i materiali saranno destinati ad accumularsi nei piazzali con il rischio che si paralizzi la filiera fino alla raccolta stessa. Il sistema deve cercare vie di sbocco. Una soluzione a questa situazione sarebbe il recupero energetico. Ma servono gli impianti, e quelli presenti in Italia sono già saturati dai rifiuti provenienti dalle regioni non dotate di termovalorizzatori. Occorrerebbe intervenire a monte riducendo la quantità di queste plastiche che non trovano uno sbocco e ri-orientare il packaging verso plastiche che sono più facili da inserire in un circuito di recupero meccanico e con bio plastiche compostabili. Una strada da percorrere, i cui frutti, tuttavia, non si raccolgono subito.
fonte: www.ecodallecitta.it