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Che fine hanno fatto gli incentivi per il riciclo degli imballaggi in plastica?
La legge di Bilancio 2018 ha previsto, per la
prima volta in Italia, un credito d’imposta per favorire il recupero del
plasmix. Ma dei decreti attuativi previsti non c’è traccia, e la misura
è ferma
La crescente presenza di plastica nell’ambiente marino, dovuta all’eccessivo impiego di prodotti dalla vita utile brevissima se non monouso, e soprattutto all’incapacità mostrata dall’uomo di gestire adeguatamente questi materiali una volta divenuti rifiuti, ha finalmente indotto le massime autorità globali – tra cui l’Onu – a mettere nel mirino il problema. Neanche il tempo di prenderne pienamente coscienza, e nuove ricerche avvisano che l’emergenza potrebbe essere ben più ampia di quanto pensassimo: l’inquinamento da microplastiche del suolo, ad esempio, sembra molto più alto di quello marino (da 4 a 23 volte superiore, a seconda dell’ambiente), aggravando ulteriormente la minaccia.
È dunque evidente come, oltre a denunciare lo stato di degrado ambientale, sarebbe urgente mettere in campo anche le soluzioni al problema, che sono in larga parte già disponibili: guardando agli ultimi dati raccolti da Legambiente lungo il Mediterraneo, si nota ad esempio che la cattiva gestione dei rifiuti urbani è causa del 54% dei rifiuti spiaggiati. Occorre dunque migliorarla e irrobustirla.
A tal fine un’ottima notizia è spuntata tra le pagine della legge di Bilancio 2018, approvata nel dicembre scorso: per la prima volta nella storia nazionale, grazie a un emendamento che vede come primo proponente Stefano Vignaroli (M5S) ma che ha trovato una condivisione di principi trasversale, sono stati introdotti incentivi per favorire il riciclo del plasmix.
Ovvero di quegli imballaggi in plastica che, una volta divenuti rifiuti, sono di più difficile gestione. E non si tratta di una minoranza: queste plastiche eterogenee arrivano a comporre oltre il 50% di tutti gli imballaggi plastici raccolti come rifiuti, e solo poche eccellenze a livello nazionale (la prima è stata la Revet, in Toscana) sono capace di riciclarle per poi poterle re-immetterle sul mercato sotto forma di prodotti riciclati. Una volta re-immessi sul mercato questi prodotti in plastica riciclata devono infine essere anche ri-acquistati, naturalmente, perché il cerchio dell’economia circolare possa dirsi chiuso. Ed è qui che interviene l’ultima legge di Bilancio, prevedendo un credito d’imposta per l’acquisto pari al 36%.
Per il momento la misura ha un importo poco più che simbolico, 3 milioni di euro in tre anni (2018, 2019 e 2020), ma non per questo poco significativa. Il problema, piuttosto, è che non può agire. Mancano i decreti attuativi: un grande classico della produzione legislativa italiana. E un problema noto da tempo.
Il quotidiano economico Italia Oggi già a fine dicembre 2017, pochi giorni dopo l’approvazione della legge di Bilancio, avvisava che «sarà comunque un decreto attuativo a regolare condizioni, modalità e termini per la spettanza e la fruizione del credito fiscale. A emanarlo sarà il ministero dell’Economia, di concerto con i dicasteri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge (ossia entro fine marzo 2018)». Marzo però si è concluso, e dei decreti attuativi ancora non c’è traccia: il riciclo della plastica, evidentemente, non è così urgente.
fonte: www.greenreport.it
La crescente presenza di plastica nell’ambiente marino, dovuta all’eccessivo impiego di prodotti dalla vita utile brevissima se non monouso, e soprattutto all’incapacità mostrata dall’uomo di gestire adeguatamente questi materiali una volta divenuti rifiuti, ha finalmente indotto le massime autorità globali – tra cui l’Onu – a mettere nel mirino il problema. Neanche il tempo di prenderne pienamente coscienza, e nuove ricerche avvisano che l’emergenza potrebbe essere ben più ampia di quanto pensassimo: l’inquinamento da microplastiche del suolo, ad esempio, sembra molto più alto di quello marino (da 4 a 23 volte superiore, a seconda dell’ambiente), aggravando ulteriormente la minaccia.
È dunque evidente come, oltre a denunciare lo stato di degrado ambientale, sarebbe urgente mettere in campo anche le soluzioni al problema, che sono in larga parte già disponibili: guardando agli ultimi dati raccolti da Legambiente lungo il Mediterraneo, si nota ad esempio che la cattiva gestione dei rifiuti urbani è causa del 54% dei rifiuti spiaggiati. Occorre dunque migliorarla e irrobustirla.
A tal fine un’ottima notizia è spuntata tra le pagine della legge di Bilancio 2018, approvata nel dicembre scorso: per la prima volta nella storia nazionale, grazie a un emendamento che vede come primo proponente Stefano Vignaroli (M5S) ma che ha trovato una condivisione di principi trasversale, sono stati introdotti incentivi per favorire il riciclo del plasmix.
Ovvero di quegli imballaggi in plastica che, una volta divenuti rifiuti, sono di più difficile gestione. E non si tratta di una minoranza: queste plastiche eterogenee arrivano a comporre oltre il 50% di tutti gli imballaggi plastici raccolti come rifiuti, e solo poche eccellenze a livello nazionale (la prima è stata la Revet, in Toscana) sono capace di riciclarle per poi poterle re-immetterle sul mercato sotto forma di prodotti riciclati. Una volta re-immessi sul mercato questi prodotti in plastica riciclata devono infine essere anche ri-acquistati, naturalmente, perché il cerchio dell’economia circolare possa dirsi chiuso. Ed è qui che interviene l’ultima legge di Bilancio, prevedendo un credito d’imposta per l’acquisto pari al 36%.
Per il momento la misura ha un importo poco più che simbolico, 3 milioni di euro in tre anni (2018, 2019 e 2020), ma non per questo poco significativa. Il problema, piuttosto, è che non può agire. Mancano i decreti attuativi: un grande classico della produzione legislativa italiana. E un problema noto da tempo.
Il quotidiano economico Italia Oggi già a fine dicembre 2017, pochi giorni dopo l’approvazione della legge di Bilancio, avvisava che «sarà comunque un decreto attuativo a regolare condizioni, modalità e termini per la spettanza e la fruizione del credito fiscale. A emanarlo sarà il ministero dell’Economia, di concerto con i dicasteri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge (ossia entro fine marzo 2018)». Marzo però si è concluso, e dei decreti attuativi ancora non c’è traccia: il riciclo della plastica, evidentemente, non è così urgente.
fonte: www.greenreport.it
Rifiuti: quali conseguenze dopo la stretta cinese? Plasmix destinato ad accumularsi, rischio paralisi della filiera
Iniziano a manifestarsi i primi segni della stretta cinese sulle importazioni di rifiuti. Andrea Fluttero, presidente di UNICIRCULAR, ad Eco dalle Città: " I materiali saranno destinati ad accumularsi nei piazzali con il rischio che si paralizzi la filiera fino alla raccolta stessa"
Nei mesi scorsi la Cina ha annunciato e poi messo in pratica la stretta sulle importazioni di rifiuti. Uno degli ultimi passaggi in questo senso è l’entrata in vigore, dal 1° marzo 2018, del nuovo tetto massimo alle impurità presenti nei materiali inviati a trattamento negli impianti cinesi (0,5% del peso complessivo del carico). Su questo tema abbiamo interpellato Andrea Fluttero, presidente di UNICIRCULAR:
Partiamo dall’origine della scelta presa dalla Cina: da cosa è stata dettata?
La Cina sta evolvendo il suo modello di sviluppo. Il gigante asiatico sta crescendo in maniera molto rapida. Cresce in dimensioni ma cresce anche in qualità. E così ha deciso di definire dei limiti molto più restrittivi alle impurità presenti nei materiali che importava. In questo modo elimina tutta una serie di materiali di scarsa qualità in entrata e riduce l’uscita di prodotti di bassa qualità. Questa decisione, tuttavia, mette in crisi l’Europa, in particolare i Paesi che hanno spinto sulla raccolta differenziata.
Quali sono esattamente i rifiuti che vengono “colpiti” da questa stretta?
Fino ad ora le frazioni di qualità più alta hanno trovato collocazione a livello europeo nel circuito del riciclo. Le frazioni con maggiori impurità, invece, avevano uno sbocco collaudato nelle aziende cinesi. Tra i materiali più colpiti dalla stretta cinese, ci saranno le plastiche eterogenee, il cosiddetto plasmix. Questi materiali prima venivano comprati anche se a prezzi bassi. Il plasmix veniva e viene utilizzato in Italia, anche se in quantità limitate, per nuove produzioni. Il materiale restante veniva esportato (con costi di trasporto bassi verso la Cina). Oggi non è più così e questo materiale perde interesse nelle aste dove i compratori acquistano la plastica da lavorare per il riciclo.
Quali sono le conseguenze all'orizzonte?
Venendo meno il mercato asiatico, l’Europa si trova davanti a un problema non indifferente. Il WTO ha cercato di convincere la Cina a rivedere i parametri, ma le modifiche sono state minime e di conseguenza ora si stanno manifestando una serie di fenomeni ambientali/economici. Nel Nord Europa, dove ci sono molti termovalorizzatori, i flussi che prima andavano in Cina tendono ad essere avviati a recupero energetico. Nei Paesi dove ci sono meno impianti, invece, questi materiali devono essere esportati verso altri stati europei con capacità residua.
Ma con costi differenti rispetto a quelli verso la Cina...
Dalle prime indicazioni, i prezzi per lo smaltimento di queste frazioni poco nobili stanno salendo da 80/100 euro a tonnellata (trasporto compreso) a 150/160 euro a tonnellata (senza trasporto).
Cosa fare per gestire e superare le eventuali criticità?
In questo quadro i materiali saranno destinati ad accumularsi nei piazzali con il rischio che si paralizzi la filiera fino alla raccolta stessa. Il sistema deve cercare vie di sbocco. Una soluzione a questa situazione sarebbe il recupero energetico. Ma servono gli impianti, e quelli presenti in Italia sono già saturati dai rifiuti provenienti dalle regioni non dotate di termovalorizzatori. Occorrerebbe intervenire a monte riducendo la quantità di queste plastiche che non trovano uno sbocco e ri-orientare il packaging verso plastiche che sono più facili da inserire in un circuito di recupero meccanico e con bio plastiche compostabili. Una strada da percorrere, i cui frutti, tuttavia, non si raccolgono subito.
Per la prima volta in Italia entrano in legge di Bilancio incentivi al riciclo
In arrivo il credito di imposta per l’acquisto di prodotti e arredi derivanti dal plasmix, previsti tre milioni di euro in tre anni
Con 296 voti a favore e 160 contrari, la Camera dei deputati ha appena confermato la fiducia al governo sulla legge di Bilancio 2018, passaggio propedeutico all’ultimo esame dell’Aula e dunque alle votazioni in Senato. Con un’importante novità: è stato approvato in commissione Bilancio un emendamento che introduce per la prima volta un incentivo a livello nazionale – antesignana su questo terreno è stata la Regione Toscana, ormai nel 2011 – per l’acquisto di beni prodotti con materiali da riciclo.
Si tratta di un passaggio culturalmente significativo, dato che – come documenta il ministero dell’Ambiente – finora all’interno dei 15,7 miliardi di euro in sussidi ambientalmente favorevoli erogati dallo Stato in un anno, neanche un euro è stato mai destinato al riciclo, nonostante gli applausi che si sollevano ogni volta che viene nominata la necessità di un’economia più circolare. L’emendamento appena approvato (e firmato dai parlamentari Vignaroli, Zolezzi, Busto, Daga, De Rosa, Micillo, Terzoni, Brugnerotto, Cariello, Castelli, D’Incà, Sorial, come si vede nel documento integrale disponibile in allegato) pone fine a questo paradosso, anche se le risorse in campo sono ancora molto ridotte: 3 milioni di euro in tre anni, dal 2018 al 2020 dedicati a «un credito d’imposta – commenta Vignaroli, che nei mesi scorsi aveva avanzato in Parlamento una proposta di legge sul tema – per l’acquisto di prodotti e arredi derivanti dal plasmix».
«Con i miei colleghi – prosegue Vignaroli – abbiamo lottato in commissione per far passare questo mio emendamento di buon senso. Dopo mesi di lavoro sono due giorni e due notti che corro tra commissione bilancio, ministero e maggioranza per portare a casa questo successo che darà impulso al recupero degli scarti. Ci credevo, anche se sembrava impossibile, mancavano i soldi dicevano… invece in tarda nottata è arrivato l’ok seppur con importo ridotto. Tre milioni di euro, volevamo di più ma si è aperta una nuova strada».
Tre milioni di euro, si badi, sono lo stesso importo che la sola Regione Toscana – in anni di piena crisi economica – aveva individuato all’interno dei suoi bandi per l’incentivazione del riciclo. Traslate a livello nazionale, le medesime risorse assumono proporzioni diverse, ma offrono comunque un input che era tutt’altro che scontato riuscire a concretizzare.
«Alla Camera sicuramente ci proveremo, ma non è facile garantire un risultato», aveva commentato ai nostri microfonianche il presidente della commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci, circa la possibilità di inserire in legge di Bilancio degli incentivi al riciclo del plasmix. Ma alla fine un concreto regalo all’economia circolare italiana, pur se piccolo, alla fine è arrivato.
fonte: www.greenreport.it
Riciclo delle plastiche eterogenee tra difficoltà e prospettive: intervista a Rossano Ercolini
Rossano Ercolini, Zero Waste Europe Foundation: “Con il progetto
Eco-Pulplast abbiamo dimostrato che dalle plastiche eterogenee è
possibile produrre prodotti di qualità. E ciò che rappresenta un
problema, lo scarto di pulper che va in discarica o incenerito, diventa
un’opportunità”
Il riciclo delle plastiche eterogenee è ancora difficile. Per quale motivo? Lo abbiamo chiesto a Rossano Ercolini, Zero Waste Europe Foundation: “Da punto di vista tecnico perché suppone processi di additivazione. A differenza dei polimeri omogenei, le plastiche eterogenee non legano tra di loro e hanno quindi bisogno di leganti”. Ma ciò impedisce di fabbricare nuovi prodotti? No. “Una volta che abbiamo presente qual è il manufatto da produrre esistono ricette, prodotto per prodotto, che permettono di aggiungere i polimeri essenziali per dar vita a un prodotto di plastica seconda vita. Questo tipo di produzione presuppone un processo di estrusione integrato con lo stampaggio. La novità importante è infatti connettere le linee di estrusione con lo stampaggio finale in base a quello che si vuole produrre”. Se volessimo fare un paragone culinario, come ogni piatto ha i suoi ingredienti, ogni prodotto ha la sua additivazione.
Ci sono poi le difficoltà di mercato. Ercolini ricorda le forme di “incentivazione dell’industria del plasmix” che permetterebbero di avere un mercato per questi manufatti “Andrebbe applicata la legislazione sugli acquisti verdi da parte della pubblica amministrazione. In questo modo verrebbe fornita una sorta di corsia preferenziale al mercato dei prodotti in plastica seconda vita. Gli appalti pubblici, che pesano il 7% del PIL italiano, dovrebbero prevedere l’utilizzo per almeno il 30% di prodotti ottenuti con materiali da riciclo. Gli enti pubblici che non applicano questa norma dovrebbero essere sanzionati, cosa che invece non avviene” sottolinea Ercolini che si appella all’associazione dei Comuni: “L’Anci deve chiedere che si rispetti il green public procurement e si dia più cogenza alla normativa vigente per obbligare ad acquistare verde. Da solo questo mercato, salvo eccezioni, ha difficoltà a superare la fase di start up iniziale”.
Nonostante le difficoltà richiamate sopra, questi prodotti stanno diventando sempre più interessanti. È il caso dell’arredo di parchi e giardini dove la funzionalità dei prodotti in plastica eterogenea si fa preferire in sostituzione del legno. Una testimonianza di riciclo delle plastiche eterogenee arriva poi dalla zona di Lucca dove nel 2015 ha preso vita il progetto Life Eco-Pulplast per il riciclo degli scarti plastici di cartiera. Capofila del progetto è Selene, tra le aziende leader in Italia nel settore degli imballaggi flessibili in plastica. Gli altri partner sono Lucense, organismo di ricerca e soggetto gestore del Polo di Innovazione di Regione Toscana per il settore cartario, Serv.eco., consorzio delle cartiere del Distretto Cartario lucchese e Zero Waste Europe Foundation.
Già segnalato sul sito del Ministero dell’Ambiente come “progetto del mese” lo scorso giugno, il progetto Eco-Pulplast ha portato all’ubicazione nell’azienda Selene di un impianto in grado di trasformare lo scarto di pulper che proviene dalle cartiere. Questo scarto è formato principalmente dalla frazione plastica che impropriamente finisce nei maceri della raccolta differenziata della carta. Si tratta di plastica eterogenea: bustine, poliaccoppiati, sacchetti, etc. Grazie al progetto questo scarto oggi si trasforma in centinaia di nuovi pallet prodotti con plastica seconda vita. “L’obiettivo - afferma Ercolini - è produrre milioni di pezzi in un anno sostituendo il ricorso ai pallet in legno con pallet seconda vita. Dal punto di vista tecnico abbiamo visto che è possibile. Il prodotto finale è esteticamente bello, scomponibile e può essere soggetto a nuovo riciclo quando non è più riparabile”.
“Si tratta certo di un progetto pilota ma abbiamo dimostrato che dalle plastiche eterogenee è possibile produrre prodotti di qualità. E ciò che rappresenta un problema, lo scarto di pulper che oggi va in discarica o viene incenerito, diventa un’opportunità. Mi auguro che i soggetti interessati inizino a prendere in considerazione il recupero del plasmix sotto forma di materia e non di energia. Sullo sfondo - conclude Ercolini - rimane tuttavia la troppa plastica in circolazione, soprattutto usa e getta. Cominciamo a ridurne il ricorso così liberistico e irrazionale che ne viene fatto. Il problema della qualità ambientale e la tutela della biodiversità marina ci impongono una pausa di riflessione su questo tema per investire di più sulla salute dei mari e sulla riduzione delle plastiche”.
fonte: www.ecodallecitta.it
Il riciclo delle plastiche eterogenee è ancora difficile. Per quale motivo? Lo abbiamo chiesto a Rossano Ercolini, Zero Waste Europe Foundation: “Da punto di vista tecnico perché suppone processi di additivazione. A differenza dei polimeri omogenei, le plastiche eterogenee non legano tra di loro e hanno quindi bisogno di leganti”. Ma ciò impedisce di fabbricare nuovi prodotti? No. “Una volta che abbiamo presente qual è il manufatto da produrre esistono ricette, prodotto per prodotto, che permettono di aggiungere i polimeri essenziali per dar vita a un prodotto di plastica seconda vita. Questo tipo di produzione presuppone un processo di estrusione integrato con lo stampaggio. La novità importante è infatti connettere le linee di estrusione con lo stampaggio finale in base a quello che si vuole produrre”. Se volessimo fare un paragone culinario, come ogni piatto ha i suoi ingredienti, ogni prodotto ha la sua additivazione.
Ci sono poi le difficoltà di mercato. Ercolini ricorda le forme di “incentivazione dell’industria del plasmix” che permetterebbero di avere un mercato per questi manufatti “Andrebbe applicata la legislazione sugli acquisti verdi da parte della pubblica amministrazione. In questo modo verrebbe fornita una sorta di corsia preferenziale al mercato dei prodotti in plastica seconda vita. Gli appalti pubblici, che pesano il 7% del PIL italiano, dovrebbero prevedere l’utilizzo per almeno il 30% di prodotti ottenuti con materiali da riciclo. Gli enti pubblici che non applicano questa norma dovrebbero essere sanzionati, cosa che invece non avviene” sottolinea Ercolini che si appella all’associazione dei Comuni: “L’Anci deve chiedere che si rispetti il green public procurement e si dia più cogenza alla normativa vigente per obbligare ad acquistare verde. Da solo questo mercato, salvo eccezioni, ha difficoltà a superare la fase di start up iniziale”.
Nonostante le difficoltà richiamate sopra, questi prodotti stanno diventando sempre più interessanti. È il caso dell’arredo di parchi e giardini dove la funzionalità dei prodotti in plastica eterogenea si fa preferire in sostituzione del legno. Una testimonianza di riciclo delle plastiche eterogenee arriva poi dalla zona di Lucca dove nel 2015 ha preso vita il progetto Life Eco-Pulplast per il riciclo degli scarti plastici di cartiera. Capofila del progetto è Selene, tra le aziende leader in Italia nel settore degli imballaggi flessibili in plastica. Gli altri partner sono Lucense, organismo di ricerca e soggetto gestore del Polo di Innovazione di Regione Toscana per il settore cartario, Serv.eco., consorzio delle cartiere del Distretto Cartario lucchese e Zero Waste Europe Foundation.
Già segnalato sul sito del Ministero dell’Ambiente come “progetto del mese” lo scorso giugno, il progetto Eco-Pulplast ha portato all’ubicazione nell’azienda Selene di un impianto in grado di trasformare lo scarto di pulper che proviene dalle cartiere. Questo scarto è formato principalmente dalla frazione plastica che impropriamente finisce nei maceri della raccolta differenziata della carta. Si tratta di plastica eterogenea: bustine, poliaccoppiati, sacchetti, etc. Grazie al progetto questo scarto oggi si trasforma in centinaia di nuovi pallet prodotti con plastica seconda vita. “L’obiettivo - afferma Ercolini - è produrre milioni di pezzi in un anno sostituendo il ricorso ai pallet in legno con pallet seconda vita. Dal punto di vista tecnico abbiamo visto che è possibile. Il prodotto finale è esteticamente bello, scomponibile e può essere soggetto a nuovo riciclo quando non è più riparabile”.
“Si tratta certo di un progetto pilota ma abbiamo dimostrato che dalle plastiche eterogenee è possibile produrre prodotti di qualità. E ciò che rappresenta un problema, lo scarto di pulper che oggi va in discarica o viene incenerito, diventa un’opportunità. Mi auguro che i soggetti interessati inizino a prendere in considerazione il recupero del plasmix sotto forma di materia e non di energia. Sullo sfondo - conclude Ercolini - rimane tuttavia la troppa plastica in circolazione, soprattutto usa e getta. Cominciamo a ridurne il ricorso così liberistico e irrazionale che ne viene fatto. Il problema della qualità ambientale e la tutela della biodiversità marina ci impongono una pausa di riflessione su questo tema per investire di più sulla salute dei mari e sulla riduzione delle plastiche”.
fonte: www.ecodallecitta.it
Parte dalla Toscana la nuova proposta di legge per incentivare (davvero) il riciclo in Italia
La Commissione parlamentare d’inchiesta sui
rifiuti al lavoro su una pdl in grado di sostenere «il riacquisto di
beni realizzati con materiale riciclato»
È inutile scorrere le oltre 400 pagine del primo Catalogo dei sussidi ambientali pubblicato dal ministero dell’Ambiente in cerca di incentivi nazionali al riciclo: in Italia non esistono. Mentre le conferenze sull’economia circolare si moltiplicano a ritmo incalzante, tra le pieghe degli (almeno) 15,7 miliardi di euro che lo Stato spende ogni anno in sussidi favorevoli all’ambiente – a loro volta affiancati da (almeno) 16,1 miliardi di euro in sussidi dannosi – nemmeno un euro è stanziato a favore del riciclo. Nel lungo elenco figurano gli incentivi rivolti al mondo dell’agricoltura, a quello dell’energia o a quello dei trasporti, le aliquote Iva agevolate. Per una qualche paradossale logica in Italia si incentiva la raccolta differenziata come anche la termovalorizzazione, ma non quanto d’importante sta nel mezzo: il riciclo.
Una prospettiva che dopo anni d’ignavia potrebbe presto registrare un sussulto. Ieri il ministro dell’Ambiente è arrivato in Toscana, a Pontedera: da una parte per celebrare l’inizio dei lavori necessari a realizzare un importante impianto di trattamento dell’organico (20 milioni di euro finanziati dall’azienda locale Geofor, 44.000 le tonnellate/anno di rifiuti organici che potrà gestire), dall’altra per visitare un’eccellenza di livello internazionale in fatto di economia circolare, Revet.
Proprio in questi giorni – comunicano dall’azienda – il ministero dell’Ambiente ha deciso di portare l’esperienza di Revet in Cina, per rappresentare l’economia circolare made in Italy all’International expo di Shanghai, dove Revet è presente con un proprio stand e con i propri vertici aziendali all’interno del padiglione italiano. Ieri, a fare gli onori di casa con il ministro ci hanno pensato il direttore dello stabilimento Massimo Rossi insieme al presidente e all’amministratore delegato di Alia Spa – l’azienda nata dalla fusione dei gestori dell’Ato Centro, che ora rappresenta il principale azionista di Revet – rispettivamente Paolo Regini e Livio Giannotti (nella foto).
Qui 170 dipendenti si occupano ogni anno di 160mila tonnellate di rifiuti, ovvero le raccolte differenziate di plastica, vetro alluminio, acciaio e tetrapak provenienti dall’80% della Toscana, che Revet valorizza e avvia a riciclo. Il fiore all’occhiello dell’azienda è l’attività di riciclo del plasmix, operata nell’impianto di Revet Recycling, dove quegli imballaggi di plastica “difficili” (che non sono né bottiglie né flaconi) vengono riciclati e trasformati in granuli con i quali si stampano nuovi oggetti di plastica. Un riciclo a km zero che rappresenta ormai un punto di riferimento in Italia e un modello di buone pratiche nell’ambito del ciclo integrato dei rifiuti: già nel 2013 lo stabilimento di Pontedera era stato visitato dall’allora ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, mentre nel febbraio scorso ha ospitato la Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti che adesso «sta lavorando – hanno anticipato ieri in Revet – a una proposta di legge per incentivare il riciclo e soprattutto il riacquisto di beni realizzati con materiale riciclato».
Un grande merito per la Commissione, anche se tutto dipenderà da quali saranno gli strumenti messi in campo nella proposta di legge. Le opportunità che meriterebbero di essere esplorate non mancano: detrazioni fiscali per mezzo del credito di imposta sull’acquisto di prodotti e arredi in materiale riciclato post consumo sono un esempio, ma un grande passo in avanti sarebbe anche solo rendere effettiva la legge vigente. Dal 2002 la Pubblica amministrazione avrebbe l’obbligo di compiere per almeno il 30% acquisti verdi (Gpp), obbligo rincarato nel 2015 con il Collegato ambientale approvato dall’attuale governo, ma i controlli e le conseguenti sanzioni non ci sono. E gli acquisti verdi rimangono al palo, con conseguenze fortemente limitanti soprattutto su quei rifiuti – come il plasmix, che da solo arriva a rappresentare oltre il 50% di tutti gli imballaggi in plastica raccolti in modo differenziato – che comportano costi industriali maggiori rispetto alla lavorazione della materia vergine per essere riciclati, oltre a un mercato di sbocco ancora embrionale che frena le possibili economia di scala.
Come ormai dovrebbe insegnare la più che decennale esperienza con le energie rinnovabili, perché anche la materia possa diventare rinnovabile è indispensabile una politica industriale coerente e di largo respiro (il che significa non esaminare soltanto la coda del problema, i rifiuti, ma l’intera catena produttiva a partire dalla miniera dove vengono estratte le materie prime), con risorse economiche dedicate. A guadagnarci non sarebbe “solo” l’ambiente in cui tutti viviamo, ma la competitività di tutto il sistema socio-economico italiano: quello di un forte Paese manifatturiero, senza però materie prime.
fonte: www.greenreport.it
È inutile scorrere le oltre 400 pagine del primo Catalogo dei sussidi ambientali pubblicato dal ministero dell’Ambiente in cerca di incentivi nazionali al riciclo: in Italia non esistono. Mentre le conferenze sull’economia circolare si moltiplicano a ritmo incalzante, tra le pieghe degli (almeno) 15,7 miliardi di euro che lo Stato spende ogni anno in sussidi favorevoli all’ambiente – a loro volta affiancati da (almeno) 16,1 miliardi di euro in sussidi dannosi – nemmeno un euro è stanziato a favore del riciclo. Nel lungo elenco figurano gli incentivi rivolti al mondo dell’agricoltura, a quello dell’energia o a quello dei trasporti, le aliquote Iva agevolate. Per una qualche paradossale logica in Italia si incentiva la raccolta differenziata come anche la termovalorizzazione, ma non quanto d’importante sta nel mezzo: il riciclo.
Una prospettiva che dopo anni d’ignavia potrebbe presto registrare un sussulto. Ieri il ministro dell’Ambiente è arrivato in Toscana, a Pontedera: da una parte per celebrare l’inizio dei lavori necessari a realizzare un importante impianto di trattamento dell’organico (20 milioni di euro finanziati dall’azienda locale Geofor, 44.000 le tonnellate/anno di rifiuti organici che potrà gestire), dall’altra per visitare un’eccellenza di livello internazionale in fatto di economia circolare, Revet.
Proprio in questi giorni – comunicano dall’azienda – il ministero dell’Ambiente ha deciso di portare l’esperienza di Revet in Cina, per rappresentare l’economia circolare made in Italy all’International expo di Shanghai, dove Revet è presente con un proprio stand e con i propri vertici aziendali all’interno del padiglione italiano. Ieri, a fare gli onori di casa con il ministro ci hanno pensato il direttore dello stabilimento Massimo Rossi insieme al presidente e all’amministratore delegato di Alia Spa – l’azienda nata dalla fusione dei gestori dell’Ato Centro, che ora rappresenta il principale azionista di Revet – rispettivamente Paolo Regini e Livio Giannotti (nella foto).
Qui 170 dipendenti si occupano ogni anno di 160mila tonnellate di rifiuti, ovvero le raccolte differenziate di plastica, vetro alluminio, acciaio e tetrapak provenienti dall’80% della Toscana, che Revet valorizza e avvia a riciclo. Il fiore all’occhiello dell’azienda è l’attività di riciclo del plasmix, operata nell’impianto di Revet Recycling, dove quegli imballaggi di plastica “difficili” (che non sono né bottiglie né flaconi) vengono riciclati e trasformati in granuli con i quali si stampano nuovi oggetti di plastica. Un riciclo a km zero che rappresenta ormai un punto di riferimento in Italia e un modello di buone pratiche nell’ambito del ciclo integrato dei rifiuti: già nel 2013 lo stabilimento di Pontedera era stato visitato dall’allora ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, mentre nel febbraio scorso ha ospitato la Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti che adesso «sta lavorando – hanno anticipato ieri in Revet – a una proposta di legge per incentivare il riciclo e soprattutto il riacquisto di beni realizzati con materiale riciclato».
Un grande merito per la Commissione, anche se tutto dipenderà da quali saranno gli strumenti messi in campo nella proposta di legge. Le opportunità che meriterebbero di essere esplorate non mancano: detrazioni fiscali per mezzo del credito di imposta sull’acquisto di prodotti e arredi in materiale riciclato post consumo sono un esempio, ma un grande passo in avanti sarebbe anche solo rendere effettiva la legge vigente. Dal 2002 la Pubblica amministrazione avrebbe l’obbligo di compiere per almeno il 30% acquisti verdi (Gpp), obbligo rincarato nel 2015 con il Collegato ambientale approvato dall’attuale governo, ma i controlli e le conseguenti sanzioni non ci sono. E gli acquisti verdi rimangono al palo, con conseguenze fortemente limitanti soprattutto su quei rifiuti – come il plasmix, che da solo arriva a rappresentare oltre il 50% di tutti gli imballaggi in plastica raccolti in modo differenziato – che comportano costi industriali maggiori rispetto alla lavorazione della materia vergine per essere riciclati, oltre a un mercato di sbocco ancora embrionale che frena le possibili economia di scala.
Come ormai dovrebbe insegnare la più che decennale esperienza con le energie rinnovabili, perché anche la materia possa diventare rinnovabile è indispensabile una politica industriale coerente e di largo respiro (il che significa non esaminare soltanto la coda del problema, i rifiuti, ma l’intera catena produttiva a partire dalla miniera dove vengono estratte le materie prime), con risorse economiche dedicate. A guadagnarci non sarebbe “solo” l’ambiente in cui tutti viviamo, ma la competitività di tutto il sistema socio-economico italiano: quello di un forte Paese manifatturiero, senza però materie prime.
fonte: www.greenreport.it
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