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Riciclo di ‘classe'

Alla scuola media Ungaretti di Grosseto installati nell'auditorium 200 nuovi sedili in materiale riciclato ideati dagli stessi studenti.







Duecento sedili prodotti in plastica riciclata, forniti grazie al supporto di Revet, sono stati installati nell'auditorium della scuola media G.Ungaretti di Grosseto. Ii nuovi arredi sono stati ideati dagli stessi studenti e realizzati con una miscela composta al 40% da plastica riciclata a cui sono stati aggiunti additivi antifiamma per il rispetto di tutte le norme di sicurezza.

Il progetto, voluto dall'Amministrazione comunale tramite l'ufficio Ambiente, rientra in un percorso iniziato nel 2018 nell'ambito delle lezioni di educazione ambientale attivate dal Comune di Grosseto nelle scuole. Attraverso un bando si sono volute premiare le realtà scolastiche che avessero presentato dei progetti per la riqualificazione degli arredi scolastici. Ai ragazzi è stato chiesto di dare libero sfogo alla fantasia, immaginando un ambiente scolastico innovativo e, soprattutto, ecosostenibile.

Le sedute nella scuola media G. Ungaretti fanno parte del primo progetto ad essere implementato grazie all'aiuto della Revet di Pontedera (PI), società specializzata nella raccolta, selezione e avvio a riciclo dei rifiuti della raccolta differenziata in Toscana.
“Fare industria oggi è tremendamente complicato, ma essere un’industria dell’economia circolare significa costruire futuro. Per i lavoratori certo, ma anche per i cittadini e per i nostri figli – spiega il presidente di Revet, Livio Giannotti -. Revet ambisce a diventare il campione italiano dell’economia circolare, senza proclami e slogan irrealizzabili: dicendo semplicemente le cose come stanno e facendo tutto quello che si può fare per valorizzare più possibile i materiali di scarto. È per questo che Revet investirà 42 milioni di euro entro il 2022, raddoppiando la capacità produttiva degli impianti di selezione e triplicando le tonnellate di plastiche da riciclare direttamente”.

fonte: www.polimerica.it


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Il riciclo va allo stadio: i primi seggiolini nati dai rifiuti di plastiche miste

Revet, in collaborazione con l’azienda bolognese Omsi, ha trasformato le plastiche miste delle raccolte differenziate toscane, in 3000 nuove sedute dello stadio di Pontedera



















La città di Pontedera rivendica con soddisfazione ed orgoglio la scelta di aver dotato il proprio stadio comunale con i primi seggiolini al mondo realizzati con le plastiche miste. Così Matteo Franconi, sindaco del comune pisano, ha presentato ieri il nuovo progetto di riciclo a km zero: nell’impianto sportivo Mannucci sono state installate 3.000 nuove sedute ottenute dai rifiuti, frutto della raccolta raccolta differenziata toscana e del riprocessamento del vicino stabilimento Revet. “Si tratta di una applicazione concreta di quell’economia circolare davvero a km zero – ha affermato Franconi – in cui i rifiuti raccolti, i cittadini che li hanno conferiti, e gli impianti industriali che li hanno ulteriormente selezionati e poi riciclati, sono interamente del nostro territorio: lo stadio Mannucci li utilizza oggi come ri-prodotti”.

L’iniziativa pontederese ha più di un elemento di distinzione. A cominciare dalla materia prima seconda impiegata: si tratta in questo caso di plastiche miste o eterogenee, per loro natura le più difficile da riciclare. Revet, attraverso la sua controllata Revet Recycling, si è affermata in  Italia come la prima azienda in grado di dare una seconda vita a questi rifiuti piuttosto che trasformali in combustibile. Dal riciclo delle plastiche miste derivate da imballaggi post-consumo (plasmix), scarti industriali e Raee, oggi nascono tegole, pavimentazioni carrabili, vasi, utensili per la casa, compostiere, articoli per l’edilizia e l’arredamento. E ora anche sedute per impianti sportivi e stadi.
Come spiegato da Livio Giannotti, presidente dell’azienda L’inaugurazione di oggi corona un lungo lavoro portato avanti da Revet e dal suo ufficio Ricerca e sviluppo che certifica l’elevatissima qualità raggiunta dal nostro granulo. Ora  – continua Giannotti – stiamo lavorando alla riduzione dei costi per unità di prodotto, in modo da rendere il prodotto finale competitivo (non solo ambientalmente, ma anche economicamente), con quello realizzato al 100% in materiale vergine, che sfrutta anche le economie di scala finora attuate in tutto il mondo”. Il progetto, condotto in collaborazione con l’azienda bolognese Omsi, consente di ridurre dal 30% al 40% il prelievo di materie prime dall’ambiente.

fonte: www.rinnovabili.it

Monteriggioni, le bottiglie di plastica riciclata diventano arredi urbani



















Le aree verdi del comune di Monteriggioni (Siena) saranno riqualificate con nuovi arredi e giochi realizzati con plastica riciclata raccolta nei mesi scorsi, attraverso appositi cassonetti. L’intervento, già iniziato, prevede un investimento complessivo di circa 67.000 euro e sarà sostenuto per la metà dalla Regione Toscana, attraverso il bando destinato all’acquisto di prodotti realizzati con plastiche miste derivate dalla selezione delle raccolte differenziate degli imballaggi in plastica. L’iniziativa si colloca nell’ambito del protocollo d’intesa siglato fra la stessa Regione Toscana, Revet spa e Corepla per il miglioramento e l’incremento del riciclaggio delle materie plastiche.
Attraverso le risorse proprie e quelle ricevute dalla Regione, verranno acquistati nuovi arredi in plastica riciclata fra cui panchine, tavoli per pic-nic accessibili anche a persone diversamente abili e cestini, oltre a giochi per bambini e nuove recinzioni per gli spazi verdi.
L’iniziativa rappresenta un’ulteriore occasione per rendere concreta l’attenzione dell’amministrazione comunale verso il tema della raccolta differenziata e del riciclo, stimolando anche la crescente partecipazione della comunità alle numerose iniziative attivate su tutto il territorio.
fonte: http://www.plasticalike.it

Da rifiuti in plasmix a nuovi prodotti stampati in 3D: nuovo record per l’innovazione toscana

Revet Recycling e R3direct hanno siglato un accordo per l’utilizzo di plastiche riciclate, in un’economia circolare tutta a km zero



















Il plasmix, ovvero quell’insieme di plastiche eterogenee che – una volta divenuto rifiuto – arriva a comporre circa la metà di tutti gli imballaggi in plastica raccolti in modo differenziato, rappresenta da sempre una sfida per il mondo del riciclo: grazie a un’innovazione tutta toscana si aprono però adesso nuove prospettive in termini di economia circolare. Un accordo di ricerca siglato tra la pontederese Revet Recycling e la lucchese R3direct ha infatti permesso di utilizzare per la prima volta granuli ottenuti dal riciclo del plasmix per la produzione di oggetti durevoli tramite stampa 3D.
A darne notizia è direttamente Revet Recycling – azienda controllata al 100% da Revet, da oltre trent’anni leader dell’economia circolare in Toscana –, che dal 2013 ricicla la componente poliolefinica delle plastiche miste delle raccolte differenziate toscane producendo profili per l’arredo urbano e granuli adatti alla produzione di manufatti (anche di alta gamma) tramite stampa a iniezione, ma adesso pure in 3D. Nuovi orizzonti resi possibili dalla collaborazione con R3direct, una start-up con sede in provincia di Lucca che utilizza tecnologie di stampa 3D di grande formato per la produzione di oggetti durevoli in plastica riciclata post consumo.
Proprio in questi giorni Revet Recycling e R3direct hanno siglato un accordo finalizzato ad avviare un percorso di ricerca e sviluppo sulle potenzialità della stampa 3D con l’utilizzo di plastiche riciclate per individuare una nuova generazione di semilavorati (filamenti e/o granuli) e prodotti finiti. Le possibilità che si celano all’interno di questo nuovo percorso d’innovazione industriale sono però già state toccate con mano a Ecomondo 2018 – la fiera internazionale dell’economia circolare, che si è appena conclusa a Rimini –, dove modellini di barche stampate in 3D sono state consegnate ai protagonisti del progetto Arcipelato pulito, di cui più volte abbiamo dato conto sulle nostre pagine.
Queste barchette sono il simbolo di una doppia sfida: da una parte Arcipelago pulito – un progetto tutto toscano, lanciato dalla Regione in collaborazione con molti soggetti come la stessa Revet, Legambiente, Unicoop Firenze e i pescatori di Livorno – ha permesso di dimostrare che è possibile collaborare con i pescatori per rendere più puliti i nostri mari, dando il là ad iniziative legislative, in Italia e in Europa, per correggere un’evidente anomalia normativa che impone ai pescatori di rigettare in mare i rifiuti accidentalmente pescati con le loro reti.
Dall’altra parte la “flotta” stampata in 3D e battente la doppia bandiera Revet-R3direct costituisce uno dei primi esempi al mondo di stampa 3D da granulo poliolefinico proveniente da riciclo degli imballaggi in plastica mista delle raccolte differenziate. Finora infatti la tecnologia 3D ha sviluppato in particolar modo solo la stampa da filamenti, quasi sempre a matrice  PLA o comunque monopolimeri vergini.

La scelta di Revet e R3direct va invece in direzione diversa, quella di provare a nobilitare la frazione plastica delle raccolte differenziate più difficile da riciclare: il plasmix appunto. Un percorso che durante la scorsa legislatura sembrava potesse finalmente ricevere una spinta anche a livello nazionale, grazie a un credito d’imposta rivolto al riciclo del plasmix, introdotto (per la prima volta nella storia della legislazione italiana) nella legge di Bilancio 2018. Da allora è passato quasi un anno però, i decreti attuativi non si sono visti e la misura è di fatto ferma. Ma la Toscana va avanti.

fonte: www.greenreport.it

Raccolta differenziata, (ri)partiamo dalle basi: che fare con una bottiglia di plastica?

Le operazioni da fare sono soltanto 3, semplicissime: svuotarla del tutto, schiacciarla per lungo e riavvitare il tappo. Ma ogni errore commesso costa, e alla fine ricade sulle spalle dei cittadini





















Una volta si diceva che basta un battito d’ali di farfalla in Italia per provocare un uragano in Texas; la metafora piuttosto provocatoria dovrebbe spiegare perché piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine del sistema. Senza scomodare la ‘teoria del caos’, potremmo iniziare a ragionare sugli effetti che possono o non possono produrre le nostre piccole azioni quotidiane.
Cominciamo quindi da un’azione banalissima e chiediamo a Revet, azienda che in Toscana si occupa di raccogliere selezionare e avviare a riciclo le raccolte differenziate di plastica, vetro, acciaio alluminio e tetrapak, qual è il modo più corretto per conferire una bottiglia di plastica nella raccolta differenziata. Indicazioni che, beninteso, non valgono solo per Revet ma sono utili per tutti gli impianti di selezione.
«Le operazioni da fare sono 3 e soltanto 3 – spiega il responsabile comunicazione di Revet, Diego Barsotti –, e sono semplicissime: svuotare del tutto la bottiglia, schiacciarla per lungo cioè non accartocciarla dall’alto al basso, e riavvitare il tappo».
Andiamo con ordine, svuotare la bottiglia: cosa succede se la svuotiamo e cosa succede se non lo facciamo?
«In base all’Accordo quadro Anci-Conai se il contenuto all’interno dell’imballaggio pesa di più della bottiglia stessa, questa va a scarto. Andare a scarto significa che invece di guadagnare qualcosa per l’avvio a riciclo di quella bottiglia, si paga qualcosa per mandarla a smaltimento. Ogni errore commesso dai cittadini costa all’intero sistema, e alla fine ricade sulle spalle dei cittadini stessi».
Secondo passaggio. E qui credo che molti cadranno dalle nuvole: perché non va bene accartocciare la bottiglia, ma è bene schiacciarla di lato, tipo sottiletta?
«Lo spiego volentieri, però prima mi permetta di fare un appello sull’importanza di schiacciare le bottiglie. Sembra un gesto banale, ma purtroppo negli ultimi tempi troviamo tantissime bottiglie piene che purtroppo non riusciamo a valorizzare».
Pensavo fosse solo un problema di riduzione volumetrica, ma che poi finissero comunque a riciclo.
«Purtroppo no. A parte la riduzione volumetrica che consente di minimizzare i costi di trasporto ed è anche più comoda per i cittadini che per esempio hanno il porta a porta (che con una bottiglia gonfia finiscono subito il sacchetto), c’è anche un problema di selezione. Tutti gli impianti di selezione hanno lunghi nastri che trasportano il materiale alle varie macchine selezionatrici. E gran parte di questi nastri sono in salita. Se io ho la bottiglia piena, o accartocciata troppo bene, questa rotolerà all’infinito sul nastro o avrà conseguenze negative sulla selezione automatica/ottica e manuale, con il risultato che alla fine cadrà nel bunker degli scarti. Purtroppo in questo modo perdiamo un sacco di materiale buono. Per questo è fondamentale schiacciarle… come una sottiletta!».
Questione tappi…
«I tappi vanno sempre avvitati alle bottiglie: se li lasciamo per conto loro rischiano di finire nella frazione fine e quindi anche in questo caso di finire a scarto. Diverso il discorso se ci sono raccolte di solidarietà, ma anche lì è bene informarsi che vi siano reali sbocchi di mercato per i tappi: spesso le associazioni cominciano la raccolta e poi non riescono a vendere i tappi, perché occupano tantissimo spazio e valgono poco».
Mi permetto di aggiungere una domanda sull’etichetta, anche se non l’ha citata: vanno tolte o no?

«No, non importa toglierle perché i riciclatori hanno delle vasche di lavaggio, successive alla fase di triturazione, che permettono di separare la carta o i polimeri che non sono compatibili con il pet. È assolutamente meglio impiegare 1 secondo in più per schiacciare la bottiglia come una sottiletta piuttosto che per togliere l’etichetta».

fonte: www.greenreport.it

Senza il riciclo la raccolta differenziata non serve: i Comuni lo sanno?

Anche quando le amministrazioni pubbliche riescono a investire in arredi urbani, a essere snobbati sono i beni prodotti con materiali riciclati. Con tanti saluti all’economia circolare





















Ci risiamo. Anche quando si prende la giusta strada si fanno le cose a metà, guarda caso dimenticandosi sempre la stessa metà: il riciclo.
Prendiamo ad esempio il comune di Livorno (solo perché la notizia è di questi giorni e perché è la città che ospita la nostra redazione). L’incipit del comunicato stampa è euforico: “Aumentano gli spazi gioco disponibili in città dove i bambini potranno divertirsi in totale sicurezza, godendo delle giornate all’aria aperta specialmente nella bella stagione. L’Amministrazione comunale ha deciso infatti di investire complessivamente 445 mila euro in progetti che riguardano la manutenzione del verde delle scuole e la riqualificazioni di parchi urbani, con predisposizione in entrambi i casi di attrezzature gioco da esterno”. Benissimo, tanto di capello al Comune, che al giorno d’oggi riesce a trovare quasi mezzo milione da spendere per i parchi giochi e le aree verdi.
Anche se il bravi è solo a metà perché, incredibilmente, il Comune che in appena un paio d’anni punta a passare interamente il proprio territorio alla raccolta differenziata porta a porta dei rifiuti fregiandosi sul petto la stelletta di Comune a “rifiuti zero”, dimentica che senza il riciclo (e senza qualcuno che riacquista prodotti in materiale riciclato) la raccolta differenziata non serve a nulla.
Bastava inserire nel bando per i nuovi arredi un obbligo (o anche solo una premialità) per chi avesse proposto arredi urbani e giochi in materiale riciclato. Come fanno tantissimi comuni in Italia e come a maggior ragione avrebbe potuto fare il Comune di Livorno, che controlla al 100% il gestore dei servizi di igiene urbana Aamps, che è cliente e addirittura socio – seppur con una percentuale irrisoria – di una delle pochissime aziende italiane che riciclano il plasmix, producendo profili in plastica riciclata con cui si fanno gli arredi urbani (Revet).
Roba da teatro dell’assurdo. Eppure c’è anche di peggio: eh sì, perché la Revet (una trentina di chilometri da Livorno) ha il suo stabilimento nel Comune di Pontedera. Il quale un anno fa non solo non ha inserito alcun cenno all’utilizzo di materiali riciclati nel suo ultimo bando per arredi urbani e parchi giochi, ma ha addirittura richiesto esplicitamente che gli arredi fossero in acciaio: un po’ come se il comune di Siena offrisse il dolce ai suoi cittadini e invece di dargli il panforte gli servisse solo cassatine siciliane.
Per dovere di cronaca, ricordiamo che l’attuale giunta comunale di Livorno a cui sta tanto a cuore la strategia “rifiuti zero” ma – a quanto pare – non il riciclo è targata 5 Stelle, mentre il Comune di Pontedera è a guida Pd. Ma il problema non è certo circoscritto ai due Comuni o al territorio della Toscana, che anzi spesso esercita un ruolo-guida a livello nazionale in fatto di politiche ambientali. Il problema è di tutto il Paese, come mostrano Assorecuperi e Fise Unire, che recentemente hanno sottolineato come in Italia la domanda di prodotti riciclati cresca più lentamente dell’offerta; una parte consistente di questo deficit è attribuibile proprio alle amministrazioni pubbliche, che dovrebbero attuare quanto previsto dalla normativa sul Green public procurement (Gpp) realizzando “acquisti verdi”.

Così non è, purtroppo. A testimonianza di come ogni schieramento politico possa e debba migliorare ancora molto nella concreta promozione del riciclo e dell’economia circolare, a partire dai territori dove esercitano forza di governo; la recentissima introduzione in legge di Bilancio di incentivi – seppur dall’importo modesto – per l’acquisto di prodotti e arredi derivanti dal riciclo del plasmix potrebbe essere un buon modo per iniziare a fare sul serio.

fonte: www.greenreport.it

Le esperienze di riciclo in Toscana





















Nella prima sessione del Forum, dedicata allo status e alle prospettive future del riciclo in Toscana, hanno portato la loro esperienza Alia, gestore unico dei servizi ambientali della Toscana centrale, e REVET, l’azienda toscana che raccoglie, seleziona e avvia al riciclo 5 materiali (plastiche, alluminio, acciaio, vetro, poliaccoppiati come il tetrapak) derivati dalle raccolte differenziate.
Alia interviene nelle filiere dei diversi materiali dalla raccolta fino alla valorizzazione finale, con l’obiettivo del massimo riciclo di materia e dell’utilizzo di materie prime seconde sostitutive su scala industriale. Livio Giannotti, amministratore delegato della società, si è augurato che la normativa comunitaria in tema di economia circolare venga recepita in Italia nel modo più semplice possibile, così da consentire investimenti efficaci e l’offerta di prodotti competitivi.
Alessandro Canovai di REVET ha posto l’accento sulla necessità di educare ed aiutare il cittadino a “produrre” un rifiuto differenziato sempre migliore: sul totale dei rifiuti conferiti nel multimateriale, infatti, lo 0,91% è ancora rappresentato da parti estranee; toscana-ricicla.jpgtra queste, la frazione organica è ancora tanta e questo rappresenta un costo notevole per gli impianti. La società è quindi impegnata con specifiche campagne di comunicazione sugli errori di conferimento e sui costi gestione di questi errori (vedi piattaforma Toscana ricicla).
Ricorda poi due nodi su cui occorre ancora lavorare e trovare soluzioni a livello normativo e tecnico:
  • il 45% di multimateriale nasce come non riciclabile all’origine;
  • ogni processo ed ogni impianto produce residuo (scarto) che deve essere per forza smaltito.
Nella seconda sessione è stata data la parola alle esperienze aziendali che operano sul territorio.
Tra le diverse iniziative di Unicoop Firenze in tema di riciclo, accanto ai punti di raccolta oli vegetali usati e all’offerta di prodotti sfusi (detersivi, vino, cibo animali, cereali, caffè), si ricordano in particolare:
  • la campagna Buon Fine, attraverso cui nei supermercati si riescono a recuperare e donare ad associazioni di volontariato ogni anno più di 2 milioni di prodotti alimentari buoni e non più vendibili, che altrimenti andrebbero nel cassonetto;
  • il 70% di chi fa la spesa in Unicoop Firenze usa borse o scatole riutilizzabili; anticipando la normativa nazionale, il supermercato ha inoltre introdotto già dal mese di giugno 2017 il Mater-bi di IV generazione che verrà utilizzato per i sacchetti dei reparti macelleria e pescheria e sostituirà il precedente Mater-bi già in uso per i sacchetti spesa e nel reparto ortofrutta;
acqua depurata da GIDA restituita alle aziende della città di PratoUna parte dell’acqua depurata da GIDA viene restituita alle aziende della città di Prato (tintorie, rifinizioni, autolavaggi, ecc.), che la impiegano nei loro processi industriali. L’acquedotto industriale di Prato consente così di preservare il consumo di acqua di falda; le industrie utilizzano l’acqua di riciclo e dopo avere effettuato le loro lavorazioni rinviano in fognatura l’acqua che ricomincia il ciclo completo della depurazione. L’azienda, tra il 1998 e il 2016, ha restituito quasi 80 milioni di m3 di acqua attraverso la sua rete di distribuzione; ma perché non pensare, come proposto dal DG dell’azienda Ferretti, all’uso di acqua di riciclo anche per usi sanitari?
L’unica esperienza fuori regione presentata è quella della start up veneta Riciclia. Al centro del suo sistema vi sono gli ecocompattatori che selezionano e compattano plastica e alluminio riducendone il volume fino all’80%. I cittadini che conferiscono bottiglie in plastica, flaconi e lattine in alluminio presso gli ecocompattatori (detti anche Riciclia Point) ricevono in cambio buoni sconto per fare la spesa o agevolazioni sulle tasse, in accordo con le pubbliche amministrazioni. Il sistema permette infatti di tracciare e registrare gli utenti e quindi le loro abitudini.
L’associazione AS.T.R.I (associazione tessile riciclato italiana) è nata nel distretto tessile pratese per tutelare il ciclo del tessile rigenerato, una pratica di economia circolare tra le più antiche del mondo.
Il procedimento di rigenerazione comincia con il recupero di tessuto o maglia dai ritagli di confezione e dagli indumenti usati (stracci) che vengono selezionati per colore, finezza e qualità e avviati al processo di lavorazione che li trasformerà da scarti in materia prima rigenerata. Quest’ultima viene utilizzata per avviare il processo produttivo che porterà ad un nuovo tessuto. Il processo del tessile rigenerato è raccontato in un interessante video.
Tra le varie attività di cui si occupa DIFE, nata come impresa per il recupero di carta da macero, scarti di plastica e rottami ferrosi, vi è anche il riciclo. Il core-business dell’azienda è rivolto al riutilizzo e smaltimento dei rifiuti industriali speciali, pericolosi e non pericolosi, gestiti nei suoi tre impianti di trattamento in Toscana.
Manifattura Maiano produce feltri, imbottiture e tessili tecnici per vari mercati ed applicazioni (arredamento, calzature, etc..), utilizzando lo scarto tessile che non è “buono” per produrre il cardato riciclato. I prodotti di riciclo, come è stato sollevato da Sara Casini dell’azienda fiorentina, rimangono purtroppo ancora prodotti di nicchia, poiché non esiste un vantaggio economico per chi li compra: si dovrebbe perciò monitorare e promuovere maggiormente il consumo di questi oggetti attraverso specifiche politiche e strategie (es. costo minore per un prodotto riciclato), dal momento che il consumatore è la vera leva dell’economia. Viene sollevato, infine, il problema della scarsa applicazione degli acquisti verdi nella pubblica amministrazione: difficilmente infatti si registrano acquisti di questi prodotti da parte della PA.
Green Evolution, azienda di scouting e networking sui temi della Green-Economy, si occupa di sviluppo e promozione di materie prime e semilavorati di origine vegetale e biodegradabili, progettazione e sviluppo industriale di prodotti monouso in particolare destinati alla salute e al benessere delle persone e dell’ambiente (imballaggi e tecnologie per la conservazione degli alimenti) e promozione di tecnologie innovative per la valorizzazione del fine vita dei prodotti e delle risorse naturali.
Infine, Bisbag è un’azienda fiorentina che produce pelle riciclata da scarti e Rifò, invece, una giovane start-up del distretto tessile pratese che trasforma gli scarti di lana cashmere in un filato che conserva la qualità di un filato vergine.
Nel pomeriggio, i rappresentanti di Autorità idrica Toscana (AIT), ARPAT, Confindustria, CGIL, Comune di Prato e Legambiente hanno discusso e analizzato “luci e ombre” dell’economia circolare.
Da parte sua l’amministrazione comunale ha lanciato l’appello per una norma nazionale che permetta e faciliti il riuso dello scarto, come quello proveniente dal distretto tessile. Su questa scia anche l’intervento di Confindustria che ha chiesto norme a supporto delle imprese impegnate nel riciclo e nell’economia circolare, perché possano essere competitive ed uscire così da un mercato ancora di nicchia.
Alessandro Mazzei, DG di AIT, ha introdotto la questione dei fanghi di depurazione, ovvero i prodotti della depurazione idrica che si prestano ad essere utilizzati in agricoltura, anche se la mancanza di norme aggiornate a livello nazionale rendono oggi difficile tale pratica in Toscana.
Il Direttore generale di ARPAT, ricordato come l'economia circolare sia ormai una necessità, piuttosto che un’opportunità, ha messo in evidenza come lo sviluppo della stessa dipenda fondamentalmente sia dalla credibilità del sistema del riuso/recupero (che deve garantire prestazioni ambientali sicure da parte degli operatori) sia dalla chiarezza delle norme, soprattutto in materia di rifiuti.
Si è soffermato, poi, sul ruolo del nuovo Sistema nazionale delle agenzie ambientali (SNPA), che può essere determinante nel contribuire, in tempi compatibili alle esigenze del sistema produttivo, a definire una lettura applicativa delle norme, condivisa a livello nazionale.

fonte: http://www.arpat.toscana.it

Gestione rifiuti di imballaggi in plastica: intervista a Roberto Cavallo

Intervista di Eco dalle Città all’amministratore delegato Erica sulle difficoltà di gestione del materiale più eterogeneo tra i rifiuti di imballaggi: la plastica 
















Uno degli argomenti di attualità in questo periodo nell’ambito rifiuti sono gli stoccaggi di scarti plastici che in alcune zone del Paese si sono accumulati a causa della ridotta disponibilità a bruciare questi rifiuti da parte degli inceneritori. Sullo sfondo c’è un altro tema e riguarda i roghi che continuano a colpire gli impianti del settore. C’è chi ricorda che i materiali plastici eterogenei “a volte, non a caso, sono oggetto di incendi dolosi”.

Il plasmix che si accumula negli impianti e i roghi di rifiuti possono in qualche caso essere collegati? È questa la prima domanda che abbiamo rivolto a Roberto Cavallo, amministratore delegato della Cooperativa Erica:

Una settimana dopo esser diventato assessore ad Alba (CN), nell’autunno 1997, nelle vicinanze andò a fuoco un impianto di stoccaggio di materiale proveniente da raccolta differenziata della plastica. A quei tempi non c’erano problemi di saturazione come accade in questo periodo. Purtroppo se da un lato è difficile dichiarare un collegamento diretto tra queste due situazioni, dall’altro il tema dei roghi è da anni d’attualità. Il fatto che questo materiale sia assolutamente eterogeneo e che, purtroppo, il comparto industriale non sia così maturo per assorbirlo è un problema che c’è sempre stato. E questo causa difficoltà.
Gli impianti di selezione da sempre tirano via la plastica “nobile” (in senso economico, che vale di più): questa il mercato la assorbe. Il problema sul PET, ad esempio, non si pone e ha il suo mercato di riferimento. Non ci sono certo roghi di PET ma piuttosto, roghi di materiale eterogeneo, che noi chiamiamo “plasmix”. Questo, ribadisco, perché non c’è un mercato pronto. Quegli scarti o li porti ad un inceneritore, o quella plastica rimane stoccata lì come sta accadendo in questo periodo.
E così, se da un lato una parte di questi episodi possono essere di natura accidentale (inneschi involontari, es. corto circuito), dall’altro non sono da escludere ipotesi dolose (es. piromani) visto il numero di episodi avvenuti. Anche il fatto di doversi far carico di enormi masse di plastica che generano grandi quantità di “scarti” diventando un peso in termini economici (smaltimento) e/o di allocazione (non si sa dove portarli) potrebbe indurre qualcuno a scegliere percorsi più “brevi”.
Non è un’accusa specifica ma che si tratti di un’ipotesi plausibile è ahimè vero, soprattutto quando i casi sono tanti. Lo dico perché in realtà sto ripetendo le stesse cose che ci dicemmo vent’anni fa in occasione del rogo vicino ad Alba insieme ai tecnici Arpa e agli uomini del Noe.

La difficoltà di non sapere dove portarli fa sì che questi materiali rimangano lì per “x” tempo, di conseguenza aumenta il rischio?

Esatto. Visto che, come si dice in Protezione Civile, il rischio zero non esiste ma è il risultato della frequenza per il danno, se aumento il tempo di permanenza di un materiale fortemente infiammabile come la plastica, la frequenza rischia di aumentare e di conseguenza anche il rischio di roghi. Che poi questi episodi siano accidentali o dolosi, tutte le ipotesi sono valide. Il punto è che il mercato non assorbe quella roba lì. Occorre stoccarla e se aumenta il tempo di permanenza, aumenta il rischio che questi stoccaggi rimangano in balia degli eventi.

Cosa occorrerebbe fare secondo Lei per affrontare la questione?

In occasione del programma televisivo Scala Mercalli ho avuto modo di raccontare la storia di Revet. Si tratta di un impianto in grado di separare e selezionare ulteriormente il plasmix. Grazie a questa ulteriore selezione si riescono ad intercettare molecole interessanti che è possibile granulare per fare cose nuove. Più difficile riciclare il polistirene o il polistirolo espanso ma il polietilene (es. busta delle mozzarelle) offre maggiori possibilità. Ho deciso di raccontare la storia di Revet per citarne una. Un modo per dire: la tecnologia c’è, le capacità ingegneristiche ci sono, le ricette per mescolare questi polimeri eterogenei ci sono, si tratta, come ho sottolineato in Scala Mercalli, di dare un sostegno ai cosiddetti “ri-prodotti”, alla ricerca e alla creazione del mercato del riciclo, invece di incentivare il recupero energetico attraverso il CIP6. Perché il mercato, una volta che si sarà creato, tirerà da sé. E a quel punto anche i problemi dello stoccaggio saranno risolti.

Basta solo aumentare il riciclo del plasmix?

No, non dobbiamo dimenticarci la prevenzione in senso ampio, sia quantitativa che qualitativa. Una seria politica di prevenzione, da un lato porterebbe a produrre meno quantità di materiali plastici (anche perché obiettivamente siamo di fronte a un ‘over-consumo’ di questi prodotti), dall’altro, occorre una prevenzione qualitativa. Sono cose già dette ma non è mai inutile ripeterlo: almeno per i rifiuti domestici occorrerebbe ridurre la quantità e la varietà di polimeri immessi sul mercato. In questo modo sarà più semplice anche per gli impianti di selezione la separazione delle diverse plastiche. Con pochi polimeri si ridurrebbe infatti anche il numero dei flussi negli impianti e si costruirebbe il mercato su quei polimeri. Se invece in circolazione ne rimangono decine e decine, fra cui alcuni veramente complicati, diventa difficile.

A proposito di gestione imballaggi, pochi giorni fa è stata approvata una nuova norma nella legge sulla concorrenza. In questo caso c’è un legame con il 'caso plasmix'?

Sì, plasmix e concorrenza hanno un legame. Questa nuova norma alla fine riguarderà principalmente la plastica. Alluminio, acciaio, vetro, ma anche carta, hanno già un mercato ed è talmente alto il valore che nessuno si porrebbe il problema di entrare in concorrenza con i consorzi attuali. C’è un problema di conoscenza reale di come sta funzionando il sistema. Perché se il sistema funziona, non c’è bisogno che intervenga lo Stato a regolare le cose. Se proprio ci fosse bisogno di una regolamentazione, questa avrebbe senso di esistere come supporto nei momenti in cui il mercato è in difficoltà ad assorbire i materiali raccolti. Quindi, invece di fare nuovi consorzi, lo Stato potrebbe intervenire nei momenti di “emergenza”.

fonte: www.ecodallecitta.it

Parte dalla Toscana la nuova proposta di legge per incentivare (davvero) il riciclo in Italia

La Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti al lavoro su una pdl in grado di sostenere «il riacquisto di beni realizzati con materiale riciclato»



















È inutile scorrere le oltre 400 pagine del primo Catalogo dei sussidi ambientali pubblicato dal ministero dell’Ambiente in cerca di incentivi nazionali al riciclo: in Italia non esistono. Mentre le conferenze sull’economia circolare si moltiplicano a ritmo incalzante, tra le pieghe degli (almeno) 15,7 miliardi di euro che lo Stato spende ogni anno in sussidi favorevoli all’ambiente – a loro volta affiancati da (almeno) 16,1 miliardi di euro in sussidi dannosi – nemmeno un euro è stanziato a favore del riciclo. Nel lungo elenco figurano gli incentivi rivolti al mondo dell’agricoltura, a quello dell’energia o a quello dei trasporti, le aliquote Iva agevolate. Per una qualche paradossale logica in Italia si incentiva la raccolta differenziata come anche la termovalorizzazione, ma non quanto d’importante sta nel mezzo: il riciclo.
Una prospettiva che dopo anni d’ignavia potrebbe presto registrare un sussulto. Ieri il ministro dell’Ambiente è arrivato in Toscana, a Pontedera: da una parte per celebrare l’inizio dei lavori necessari a realizzare un importante impianto di trattamento dell’organico (20 milioni di euro finanziati dall’azienda locale Geofor, 44.000 le tonnellate/anno di rifiuti organici che potrà gestire), dall’altra per visitare un’eccellenza di livello internazionale in fatto di economia circolare, Revet.
Proprio in questi giorni – comunicano dall’azienda – il ministero dell’Ambiente ha deciso di portare l’esperienza di Revet in Cina, per rappresentare l’economia circolare made in Italy all’International expo di Shanghai, dove Revet è presente con un proprio stand e con i propri vertici aziendali all’interno del padiglione italiano. Ieri, a fare gli onori di casa con il ministro ci hanno pensato il direttore dello stabilimento Massimo Rossi insieme al presidente e all’amministratore delegato di Alia Spa – l’azienda nata dalla fusione dei gestori dell’Ato Centro, che ora rappresenta il principale azionista di Revet – rispettivamente Paolo Regini e Livio Giannotti (nella foto).
Qui 170 dipendenti si occupano ogni anno di 160mila tonnellate di rifiuti, ovvero le raccolte differenziate di plastica, vetro alluminio, acciaio e tetrapak provenienti dall’80% della Toscana, che Revet valorizza e avvia a riciclo. Il fiore all’occhiello dell’azienda è l’attività di riciclo del plasmix, operata nell’impianto di Revet Recycling, dove quegli imballaggi di plastica “difficili” (che non sono né bottiglie né flaconi) vengono riciclati e trasformati in granuli con i quali si stampano nuovi oggetti di plastica. Un riciclo a km zero che rappresenta ormai un punto di riferimento in Italia e un modello di buone pratiche nell’ambito del ciclo integrato dei rifiuti: già nel 2013 lo stabilimento di Pontedera era stato visitato dall’allora ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, mentre nel febbraio scorso ha ospitato la Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti che adesso «sta lavorando – hanno anticipato ieri in Revet – a una proposta di legge per incentivare il riciclo e soprattutto il riacquisto di beni realizzati con materiale riciclato».
Un grande merito per la Commissione, anche se tutto dipenderà da quali saranno gli strumenti messi in campo nella proposta di legge. Le opportunità che meriterebbero di essere esplorate non mancano: detrazioni fiscali per mezzo del credito di imposta sull’acquisto di prodotti e arredi in materiale riciclato post consumo sono un esempio, ma un grande passo in avanti sarebbe anche solo rendere effettiva la legge vigente. Dal 2002 la Pubblica amministrazione avrebbe l’obbligo di compiere per almeno il 30% acquisti verdi (Gpp), obbligo rincarato nel 2015 con il Collegato ambientale approvato dall’attuale governo, ma i controlli e le conseguenti sanzioni non ci sono. E gli acquisti verdi rimangono al palo, con conseguenze fortemente limitanti soprattutto su quei rifiuti – come il plasmix, che da solo arriva a rappresentare oltre il 50% di tutti gli imballaggi in plastica raccolti in modo differenziato – che comportano costi industriali maggiori rispetto alla lavorazione della materia vergine per essere riciclati, oltre a un mercato di sbocco ancora embrionale che frena le possibili economia di scala.
Come ormai dovrebbe insegnare la più che decennale esperienza con le energie rinnovabili, perché anche la materia possa diventare rinnovabile è indispensabile una politica industriale coerente e di largo respiro (il che significa non esaminare soltanto la coda del problema, i rifiuti, ma l’intera catena produttiva a partire dalla miniera dove vengono estratte le materie prime), con risorse economiche dedicate. A guadagnarci non sarebbe “solo” l’ambiente in cui tutti viviamo, ma la competitività di tutto il sistema socio-economico italiano: quello di un forte Paese manifatturiero, senza però materie prime.

fonte: www.greenreport.it

Una filiera industriale corta e funzionale grazie agli impianti presenti sul territorio, esempio di economia circolare

Una filiera industriale corta e funzionale grazie agli impianti presenti sul territorio, esempio di economia circolare


















Che fine fanno i cartoni per alimenti e bevande – dei quali il tetra pak è il più noto e diffuso esempio – che ogni giorno utilizziamo e gettiamo tra i nostri rifiuti? Si parla di quantitativi ingenti: nell’ultimo anno, nella sola Toscana, sono state 3mila le tonnellate raccolte in modo differenziato. Materiali che sono finiti in buone mani.
Le 3.000 tonnellate di rifiuti toscani sono state infatti riciclate attraverso il Consorzio nazionale per il riciclo di carta e cartone Comieco, grazie agli impianti presenti sempre in Toscana: così una filiera industriale corta e funzionale, perfettamente in sintonia con lo spirito dell’economia circolare – di cui il padiglione di Toscana Ricicla, dal quale sono stati diffusi ieri questi dati, è testimone materiale.
Il padiglione stesso (nella foto) è infatti realizzato interamente in materiale da riciclo proveniente dalle raccolte differenziate della nostra Regione. Il progetto è stato curato da Toscana Ricicla, la piattaforma di comunicazione creata dalle aziende di igiene urbana della toscana coordinata da Revet; visitando il padiglione si toccano con mano i profili che Revet Recycling ha ottenuto dalla lavorazione del plasmix, gli imballaggi di plastiche miste raccolte dai cittadini toscani e riciclate nell’impianto di Pontedera. Tantissimi anche gli altri riprodotti della filiera di Revet Recycling: il ‘ghiaino’ ottenuto dal densificato, l’intaso del prato sintetico, la compostiera, le tegole la casetta per bambini, le fioriere… trovano ampio spazio insieme ai prodotti derivati anche dal riciclo di altri materiali, come la carta, il vetro, l’acciaio, l’alluminio e il compost.
Quella del tetra pak è dunque un’eccellenza tra le eccellenze. «Nel 2015 la raccolta differenziata dei cartoni per alimenti e bevande è cresciuta del 10% – ha spiegato Sara dello Ioio di Comieco – e grazie agli investimenti di aziende come la Revet che a breve inaugurerà un nuovo impianto di selezione del multimateriale la quota è destinata a crescere ulteriormente. Anche perché i margini di miglioramento sono comunque ancora ampi: i cittadini toscani che hanno la fortuna di poter chiudere il ciclo interamente nella loro regione devono sapere che i loro imballaggi in poliaccoppiato se raccolti correttamente sono in buone mani. Per questo ci auguriamo che la raccolta differenziata cresca sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo».
Proprio per veicolare questo messaggio e raccontare la filiera toscana di riciclo dei cartoni per alimenti e bevande, le aziende della filiera si sono date appuntamento al padiglione Toscana Ricicla.
«Ogni cartone Tetra Pak per latte, succo di frutta, pomodoro, vino e legumi è realizzato con fibre di cellulosa provenienti da aree forestali certificate Fsc – dettaglia Lorenzo Nannariello di Tetra Pak Italia – i nostri imballaggi sono dunque pratici, ecologici e funzionali per conservare i prodotti sempre freschi e genuini».
Ma sono utili anche una volta gettati correttamente nel contenitore del multimateriale. In questo modo i cartoni per alimenti e bevande arrivano all’impianto di Revet a Pontedera, dove sono selezionati in balle omogenee, e quindi spedite all’impianto Lucart  in provincia di Lucca.
«Nel nostro impianto – evidenzia Luigi Trombetta, responsabile acquisti materie prime Lucart – vengono separate le diverse componenti dei cartoni: la fibra di cellulosa viene interamente recuperata e trasformata in prodotti tissue per l’igiene della casa e della persona, mentre le frazioni rimanenti – plastica e alluminio, vengono fuse e trasformate in un nuovo materiale che può essere utilizzato per realizzare arredi urbani, pallet o, come nel caso di Venezia, per realizzare i pali di ancoraggio nella laguna».

fonte: www.greenreport.it

REVET: l'economia circolare da trent'anni abita in Toscana

Revet e l'economia circolare in Toscana
122-16 REVET: l'economia circolare da trent'anni abita in Toscana 
Revet ha fatto dell'economia circolare un elemento portante della sua attività, nonostante i dati sulla raccolta differenziata in Toscana non pongano la nostra regione tra le prime in Italia.
foto_assambienteregionetoscana_fratoni
Da un trentennio ormai, quest'importante realtà produttiva della nostra regione fa economia circolare nel territorio, raccogliendo, selezionando ed avviando al riciclo cinque materiali (plastiche, alluminio, acciaio, vetro, cartoni poliaccoppiati per alimenti, come il Tetrapak) derivanti dalle raccolte differenziate toscane e dalle attività industriali e manifatturiere. Revet recycling, invece, ottiene dalle plastiche un granulo con caratteristiche tecniche simili ai polimeri vergini, ma costo più basso. Il granulo, per le sue caratteristiche, può essere trasformato in nuovi prodotti utilizzati dall’industria dei moto-veicoli, o in materiali per la casa e molto altro.

Il convegno è stato ricco di interventi; hanno rappresentato:
  • il mondo imprenditoriale: Alessandro Canovai, Presidente Revet SpA, Livio Giannotti, Presidente Quadrifoglio SpA, Paolo Marconcini, Presidente Geofor, Eros Organni, amministratore delegato Sei Toscana Srl e altri ancora;
  • iI mondo istituzionale: Simona Bonafè, eurodeputata, Federica Fratoni, Assessore Ambiente della Regione Toscana (nella foto), Filippo Bernocchi delegato nazionale Anci, Alfredo De Girolamo, Cispel.
L'associazionismo ambientalista ha visto l'intervento di Stefano Ciafani, Direttore generale di Legambiente , infine, non poteva mancare uno degli uomini più importanti per le politiche ambientali del nostro Paese, profondo conoscitore della materia, Edo Ronchi.
Dal convegno emerge come il pacchetto voluto dall'Unione Europea sull'economia circolare trasformi il settore della gestione dei rifiuti in un comparto industriale a tutti gli effetti. Il recupero del materiale è fondamentale per l'economia dell'Europa che ha scarse materie prime, ma per rendere l'economia circolare un volano di ripresa è necessario che divenga trasversale a diversi comparti e non si limiti alla filiera della raccolta, gestione e smaltimento dei rifiuti. Appare importante, allora, ragionare in termini di distretti industriali, la potenzialità della raccolta differenziata, come strumento, e dell'economia circolare, come risultato, è legata alla presenza di distretti, di insieme d' imprese, in grado di re-impiegare i rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, come accade nell'Empolese con il vetro o in Lucchesia con la carta o con gli stracci nel pratese.


Se parliamo di società del riciclo, dobbiamo non limitarci ad organizzare la raccolta dei rifiuti ma fare una differenziata di qualità ed avviare i prodotti al riciclo. I margini di crescita esistono, basti pensare che, ancora oggi, finisce in discarica quasi il 50% dei rifiuti.
Per affrontare questa sfida, bisogna non perdere di vista alcuni aspetti:
  • avere buoni impianti, che nel nostro territorio sono un buon numero, non si può più pensare di avere un impianto per ogni provincia, ma sono obsoleti, non in grado di affrontare le sfide dell'economia circolare;
  • azzerare l'utilizzo della discarica come destinazione finale dei nostri rifiuti, ormai è dimostrato che la raccolta differenziata è alta dove l'utilizzo della discarica si avvicina allo zero;
  • avere imprese di medio - grandi proporzioni in grado di affrontare investimenti in ricerca per capire come recuperare i materiali ed i loro sbocchi di mercato;
  • pensare anche ad un sistema di finanziamento, anche attraverso i fondi strutturali europei, che aiuti le imprese ad investire in ricerca ed innovazione;
  • prevenire la produzione di rifiuti, pensando, ad esempio, ad un packaging ad alta riciclabilità, come sta facendo il progetto “pensare futuro” sulla ricerca di imballaggi eco-compatibili;
  • imporre ai Comuni precisi obblighi di riciclo, non un semplice obbligo di organizzare la raccolta dei rifiuti urbani in modo differenziato;
  • sensibilizzare gli enti pubblici, attraverso il green pubblic procurement, all'acquisto di materiali “riprodotti”;
  • ultima ma non ultima in termini di importanza, semplificare e rendere chiara la normativa che disciplina il settore dei rifiuti, delle materie prime seconde, dell'end of waste, della responsabilità del produttore.
In primo passaggio, dunque, è culturale, non si tratta di affrontare solo argomenti di politica ambientale ma si tratta di ragionare in termini di nuove politiche industriali.

fonte: http://www.arpat.toscana.it