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Il prototipo dell'innovativa barca a vela presentato da Caracol e NextChem in occasione della manifestazione Milano Design Week.

Si chiama Beluga la barca a vela realizzata dalla ...

Costruita ad una velocità record la prima scuola stampata in 3D

Uso ottimizzato dei materiali e un’impronta di carbonio ridotta del 70% per la prima scuola realizzata con la stampa 3D, nel Malawi. Il progetto porta la firma di 14Trees, joint venture tra CDC con la società di costruzioni Holcim.



Solo 18 ore per “tirar su” le pareti e la prima scuola stampata in 3D ha segnato un nuovo record edilizio. Succede nel distretto nel villaggio di Kalonga, nel Malawi, dove 14Trees ha realizzato in pochissimo tempo il primo edifico stampato dedicato all’istruzione scolastica.

La produzione additiva nel settore edilizio sta lentamente ma progressivamente prendendo piede, mettendosi alla prova con progetti di varie dimensione ed altezze. Ma al di là della pura voglia di sperimentare, a far leva su questo trend è l’esigenza di realizzare velocemente e a bassi costi strutture edilizie di qualità. E di farlo direttamente dove ve ne è più bisogno impiegando materiali da costruzione convenzionali. In questo contesto si inserisce il lavoro di 14Trees, joint venture tra il gruppo CDC – l’istituto finanziario UK per lo sviluppo- e la multinazionale edilizia LafargeHolcim.


La nuova realtà è nata con l’obiettivo di accelerare la produzione e la commercializzazione di soluzioni edilizie ecologiche e convenienti in Africa, per rispondere all’attuale grave carenza di alloggi e scuole. Il nuovo progetto malawense dovrebbe costituire la prova che la stampa 3D può svolgere un ruolo chiave nel colmare il deficit infrastrutturale, fornendo spazi di alta qualità in modo sostenibile, conveniente e veloce su larga scala.

“Sono molto orgoglioso di come i nostri colleghi di 14Trees abbiano implementato una tecnologia di stampa 3D all’avanguardia per risolvere un’esigenza così essenziale”, ha dichiarato Miljan Gutovic, Responsabile regionale della Holcim Group nei mercati europeo, africano e mediorientale. “Ora che abbiamo dimostrato il concept in Malawi, non vediamo l’ora di estendere questa tecnologia in tutta la regione, con progetti già in cantiere in Kenya e Zimbabwe”. Come in altri progetti simili, il team ha impiegato un grande estrusore per formare le pareti della scuola stampata. Quindi un gruppo di lavoro specializzato ha aggiunto finestre, porte, coperture e accessori vari. Un approccio che può ridurre notevolmente i tempi di costruzione ma anche l’impatto. Il Gruppo CDC sostiene che la tecnica riduca l’impronta ambientale del 50%.

Credits: CDC Group

Spiega Juliana Kuphanga Chikandila, Consulente per l’Istruzione Primaria: “Prima avevamo 12 scuole nella zona di Yambe; ora con questa nuova scuola stampata in 3D, sono 13. Per aumentare la nostra offerta di istruzione ai bambini, abbiamo bisogno di altri 4 edifici nella zona di Yambe, ma come distretto abbiamo le strutture necessarie salgono a 50″. Nel solo Malawi, l’UNICEF stima una carenza di 36.000 aule che richiederebbero 70 anni per essere costruite con metodi convenzionali. Secondo 14Trees, questo divario infrastrutturale potrebbe essere colmato in appena un decennio con la produzione additiva.

Ecco perché la jv sta collaborando con una serie di ONG per diffondere la tecnologia a partire dalle famiglie e dalle comunità più bisognose. “Questi progetti – scrive CDC – sosterranno la creazione di posti di lavoro qualificati assumendo e formando esperti locali in ruoli dinamici come operatori di macchine 3D e specialisti dei materiali che lavoreranno in collaborazione con i costruttori locali”.

fonte: www.rinnovabili.it



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A Milano arrivano i Plastic Fighters

Avviato con il contributo di Corepla, il progetto incentiva gli studenti a progettare oggetti in plastica riciclata per la comunità.












Dopo aver vinto un bando indetto dal Comune di Milano per le Politiche Sociali e sfruttando un contributo di Corepla, il progetto Plastic Fighters è partito con l’IC Sant’Ambrogio e la biblioteca Sant’Ambrogio, entrambe ubicate nel quartiere Barona a Milano.

L'obiettivo è incentivare gli studenti non solo a recuperare e riciclare la plastica, ma anche a progettare e realizzare articoli per la comunità utilizzando stampanti 3D e macchine Precious Plastic, prendendo così parte in prima persona a processi che spesso sembrano troppo lontani e astratti per poter essere compresi e gestiti.
A supportare le scuole e il lavoro dei ragazzi interverranno designer professionisti che, oltre a trasmettere la cultura del progetto e a garantire una produzione di qualità, permetteranno di comunicare il progetto all’esterno del quartiere.


fonte: www.polimerica.it


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“Krill Design” trasforma i fondi di caffè dei bar in oggetti di eco-design



Un progetto di economia circolare che prevede il recupero dei fondi di caffè dei bar di alcuni quartieri di Milano per farne una bioplastica con la quale realizzare oggetti per la casa, come sottotazze.

“Co.ffee Era: la sostenibilità a misura di quartiere” di Krill Design, vincitore della seconda edizione del bando “FabriQ Quarto. Innovazione di quartiere” istituito dal Comune di Milano con il sostegno di FabriQ, suo incubatore di innovazione sociale.

Finalità del bando è sostenere e sviluppare progetti imprenditoriali che abbiano un impatto sociale sul territorio.

Il Progetto Co.ffeeEra vede la trasformazione di una materia prima diffusa e usuale quale i fondi di caffè in un biopolimero, biodegradabile, con il quale sono stati ideati oggetti di eco-design, creati, poi, con stampanti 3d.

Un Progetto corale che parte da una abitudine e un gesto semplice, bere il caffè al bar, e coinvolge la comunità che abita i quartieri di Bovisa, Dergano e Villapizzone, bar e ristoranti locali come fornitori della matria prima, quattro studenti del Politecnico di Milano – Sofia, Victoria, Paolo e Ludovico – impegnati nella
progettazione del concept dei prodotti e Krill Design nella loro produzione, con tecnologie di manifattura digitale.
L’obiettivo del “Progetto Co.ffee Era” è duplice:

  • sensibilizzare la comunità locale sui temi della Economia Circolare e della valorizzazione di risorse esistenti, rendendoli concreti e tangibili in complementi d’arredo di eco-design, simbolo dell’incontro fra sostenibilità, design e innovazione.

  • valorizzare le potenzialità del digital manufacturing, riportando il concetto di manifattura ad un nuovo significato e alle nuove prospettive aperte dall’industria 4.0.
DOVE TROVI I PRODOTTI Co.ffee Era

In questa prima fase di lancio, il progetto ha trovato accoglienza e disponibilità da parte dei proprietari di bar e ristoranti locali che ne hanno compreso i valori di fondo e hanno partecipato, non solo fornendo i fondi di caffè, ma anche trasformando i propri spazi in Temporary Shop dove, via via, dal 6 Novembre, sarà possibile acquistare i prodotti Co.ffee Era.

I bar e ristoranti orientati alla sostenibilità si trovano nel Distretto , la cui mappa, in crescente costruzione, è già consultabile sul sito dedicato https://www.coffee-era.net/.
E-commerce

I prodotti Co.ffee Era saranno, inoltre, disponibili nella sezione Shop del sito e su Reborn Ideas social commerce community di prodotti Made in Italy realizzati mediante upcycling, recycling e materiali sostenibili online all’indirizzo www.rebornideas.com.

Il Progetto Co.ffee Era ha visto, come promotori, attori che vivono e si attivano per il territorio quali il Municipio 9, aperto sostenitore dello sviluppo di progetti innovativi, e Bovisattiva comitato di quartiere e punto di raccordo di esercenti locali di Bovisa e Dergano.

Sottotazza
Progetto di Economia Circolare

Informare e formare alla cultura della sostenibilità con eventi divulgativi e momenti di dialogo con professionisti ed esperti che arrivano dal mondo del giornalismo, dell’architettura e del design perché si cominci a parlare e pensare ad una evoluzione del modello lineare di produzione e consumo in uno circolare.

È solo creando, infatti, un ecosistema basato su sinergie fra persone (sistema sociale), esercenti (sistema economico), digital manufacturing (sistema produttivo), Istituzioni (sistema politico) che il principio di sostenibilità diventa concreto e migliora la qualità di vita di un quartiere (ambiente).


“Che questo sia solo l’inizio per promuovere una iniziativa che parli di sostenibilità in maniera semplice e concreta –afferma Ivan Calimani, Founder e CEO di Krill Design – che parte dai quartieri di Bovisa, Dergano e Villapizzone ma che aspira ad avere un respiro più ampio replicabile in altri quartieri e altre città, in maniera da diffondere sempre più la cultura della circolarità, per cui gli scarti che escono dalle nostre case possano essere valorizzati in oggetti di eco-design e ritornarvi per arredare la nostra quotidianità”
Ivan Calimani, Founder e CEO di Krill Design

ll lancio del Progetto “Co.ffee Era: la sostenibilità a misura di quartiere” di Krill Design avverrà con unaConferenza Stampa, Venerdì 6 Novembre alle ore 14.30 presso una Location in via di definizione.


Tenendo conto degli sviluppi della situazione del Covid- 19, se le restrizioni non permettessero di farla in presenza, la Conferenza stampa sarà spostata on-line nella stessa giornata e con gli stessi orari.

Info: Contatti stampa: Giulia Giglio KRILLDESIGN.NET

fonte: www.economia-circolare.info/

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Jeans su misura in 3d: la sfida alla moda usa e getta

















Ordini annullati, scorte in eccesso, catene di approvvigionamento interrotte: la pandemia ha messo a nudo alcune sfide fondamentali del modo in cui i nostri vestiti sono progettati, ordinati, fabbricati e venduti; oppure messi in discarica, inceneriti o venduti sui mercati secondari. Questi impatti sono stati aggravati dal Covid-19, ma l’industria dell’abbigliamento e ad alta intensità di risorse aveva bisogno di una riprogettazione ben prima che arrivasse la pandemia.


L’industria della moda è uno dei principali utilizzatori di prodotti chimici e a sua volta è responsabile per il 20% dell’inquinamento delle acque e delle emissioni di gas nocivi nell’aria.


Per questo molte società si stanno impegnando a cambiare le proprie catene di produzione e nella ricerca di nuovi modi in cui le persone acquistano i propri capi. Ne è un esempio la startup californiana Unspun, con sede a San Francisco, un’azienda specializzata nella produzione personalizzata e automatizzata di jeans.


Invece di entrare in un negozio pieno di jeans con taglie e modelli prestabiliti, i clienti acquistano i propri jeans su misura, attraverso una scansione 3D del proprio corpo, a casa utilizzando un’app del telefono e la fotocamera a infrarossi integrata dell’iPhone ( o di persona in un negozio, attualmente solo a San Francisco e Hong Kong). La scansione viene utilizzata per produrre un paio di jeans personalizzati entro un paio di settimane.


Attualmente non è economico (un paio di jeans costa circa 200 dollari) ma come tutte le tecnologie dirompenti ha il potenziale per diventare più conveniente nel tempo. E mentre il denim potrebbe essere costoso, la qualità e la durata incoraggiano i clienti a mantenere i loro capi più a lungo, un vero e proprio principio di circolarità.


“C’è un’enorme discrepanza tra ciò che fa l’industria dell’abbigliamento e ciò che la gente compra. Soprattutto ora con la pandemia, c’è un grosso problema con l’inventario in eccesso. Con Unspun produciamo abbigliamento dopo che qualcuno l’ha acquistato: lo realizziamo su richiesta anziché aspettare che qualcuno arrivi nel negozio. Non abbiamo taglie, e ciò è più inclusivo. Non abbiamo inventario, che riduce gli sprechi e le emissioni” afferma Beth Esponnette, cofondatrice di Unspun, intervistata da Greenbiz.


“Il sowtware che utilizziamo costruisce il modello in modo completamente digitale e questo ci dà un enorme vantaggio per eventuali modifiche. È automatizzato, quindi una volta che hai programmato il software non costa nulla per il programma eseguirlo e creare un modello. Ci siamo sbarazzati delle ore di lavoro che un sarto avrebbe trascorso costruendo un modello. L’idea è che non c’è macchina da cucire o lavoro manuale. Stiamo anche sperimentando la tessitura in tre dimensioni e la costruzione dell’intero indumento da filo. I consumatori stanno iniziando a rallentare e pensare al loro impatto nel mondo. La media è di 84 capi acquistati all’anno per ogni americano; è folle che acquistiamo più di un prodotto a settimana! Penso che i consumatori saranno disposti a spendere una fetta maggiore delle proprie entrate per un minor numero di prodotti che dureranno più a lungo e di cui sono entusiasti. Stiamo iniziando a vedere quel cambiamento.Tutto ciò lo facciamo per la sostenibilità e per cercare di ridurre le emissioni globali di carbonio dell’1 percento, che è la nostra stella polare principale”.






fonte: https://www.beppegrillo.it



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Una casa stampata in 3D? C’è già una mega-stampante capace di farlo!















Immaginatevi una stampante 3D grande come un furgone, che elabora fino a 4.2 Terabyte di dati con una risoluzione di 16.000x40.000 pixel. Invece della solita plastica, la stampante sparge un legante per cemento in una cassaforma di sabbia, strato dopo strato: una volta asciutto e solidificato, l’oggetto in cemento da 2x1m “emerge” dal resto della sabbia, che si può riutilizzare.

I diversi oggetti ottenuti si incastrano perfettamente l’uno nell’altro e possono essere combinati in cantiere con estrema facilità. Il risultato? Risparmi di materiale fino all’80% e l’abbattimento dei tempi di lavorazione.

Questo è solo uno dei progetti che il team coordinato da Benjamin Dillenburger ha sviluppato nei laboratori EMPA e EA-WAG dell’ETH di Zurigo. Le tecnologie prodotte in laboratorio vengono poi testate all’interno della "DFAB HOUSE" – NEST BUILDING, un edificio che si trova a Dübendorf, a pochi chilometri da Zurigo, che si può visitare su appuntamento.

Nel suo intervento del 23 gennaio 2020 a Bolzano, nell’ambito del Klimahouse Congress, Dillenburger non ha parlato solo di stampanti 3D, ma anche di altre importanti innovazioni che sono già realtà. Ad esempio una parete ondulata in calcestruzzo armato realizzata con la tecnologia mesh mould, dove un robot costruisce autonomamente una maglia in acciaio che funge da cassaforma e rinforzo, dove poi il cemento viene gettato e rifinito a mano.

Il solaio posto sopra questa struttura è stato realizzato con gli elementi in cemento stampanti in 3D. Invece del vetro poi, per delle pareti trasparenti sono stati utilizzati dei telai in legno riempiti di aerogel, il materiale conosciuto più leggero al m³ perché composto di gel e gas speciali, che è trasparente e altamente isolante.

“Ogni anno, in seguito all’urbanizzazione spinta a livello globale” ha sostenuto Dillenburger “viene costruita una nuova superficie urbana delle dimensioni di Parigi.” Dato che l’industria edile ha ancora oggi uno dei più bassi tassi di produttività e automazione, a fronte di costi altissimi, secondo Dillenburger sarà necessario nei prossimi anni digitalizzare quanto più possibile l’intera catena dei processi produttivi, passando dal semplice BIM il Building Information Modeling al FIM, il Fabrication Information Modeling.

“Sarà anche la carenza di risorse che ci costringerà a farlo, se pensiamo che negli ultimi 3 anni la Cina da sola ha utilizzato più cemento che non gli USA in tutto il XX° secolo” ha aggiunto Dillenburger. Il contenimento del consumo di materiali, l’uso di prefabbricati “intelligenti” e la diversificazione delle soluzioni già in fase di progettazione sono gli strumenti per creare una nuova cultura edilizia digitale – “eine digitale Baukultur” come ha detto testualmente Dillenburger.

I laboratori di Zurigo però guardano già al futuro: in programma ci sono nuovi software per potenziare i processi creativi, la stampa 3D di componenti per scale e coperture, l’utilizzo di nuovi estrusi ancora più performanti e la stampa senza cassaforma.


Image credits: Gramazio Kohler Research, ETH Zurich or Keystone/Christian Beutler

fonte: https://www.fierabolzano.it


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Non ci sono più valvole per la rianimazione a Brescia: questo ingegnere le stampa in 3D!

















All’ospedale mancano le valvole per un dispositivo di rianimazione e il fornitore non può darle rapidamente, ma arriva la stampa 3D ad aiutare e a salvare vite umane. Succede a Chiari, nella provincia di Brescia, il cui nosocomio, in piena emergenza coronavirus, era quasi rimasto senza le valvole per un macchinario utile a chi si trova in terapia intensiva.
A raccontare questa storia a lieto fine è Massimo Temporelli, giornalista e imprenditore esperto in innovazione, scienza e tecnologia. Come dice in un post sui social, a lui si era rivolta Nunzia Vallini, direttrice del Giornale di Brescia, col quale Temporelli collabora per la divulgazione nelle scuole della cultura Industry 4.0 (tra cui la stampa 3d).
La Vallini lo aveva informato di un’urgenza. “in un ospedale di Brescia le valvole per uno strumento di rianimazione stavano finendo e il fornitore non poteva fornirgliele in tempi brevi. Sarebbe stato un danno incredibile, alcune persone forse avrebbero perso la vita. E dunque, mi chiedeva: è possibile stampare 3d questa valvola?”.
In un attimo, un giro di idee e telefonate e il miracolo è avvenuto: l’ingegnere Cristian Fracassi, con la sua azienda e il suo team, ha portato una stampante 3D direttamente in ospedale e in poche ore ha ridisegnato e poi prodotto il pezzo mancante.

Secondo gli ultimi aggiornamenti il sistema funziona e ad oggi 10 pazienti sono accompagnati nella respirazione da una macchina con la valvola stampata 3D.

fonte: https://www.greenme.it

La plastica riciclata in aiuto della stampa 3D, il progetto arriva dalla Danimarca



















Mogens Hinge con Gitte Buk Larsen


Il Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Aarhus, in Danimarca, vuole rivoluzionare l’uso della plastica riciclata nella stampa 3D. L’obiettivo è riciclare i rifiuti di plastica in un prodotto a filamento standard, poiché l’industria non ha gli standard del filamento di qualità di stampa. Questo schema proviene in particolare dal dipartimento di ingegneria, e dal professore associato Mogens Hinge in collaborazione con la società di trasformazione e riciclaggio della plastica Aage Vestergaard Larsen A / S. Il progetto ha già ricevuto finanziamenti per 84.000 euro.

“Se il progetto avrà successo, rivoluzionerò il consumo di materiale delle stampanti 3D. Stiamo parlando della possibilità di utilizzare i rifiuti di plastica per creare nuovi filamenti di alta qualità. Avrà un impatto significativo per l’ambiente e il clima a lungo termine. ” ha dichiarato Gitte Buk Larsen responsabile marketing di Aage Vestergaard Larsen A / S.

Secondo il professor Hinge, la necessità della riforma è dovuta alla crescente necessità di filamenti di stampa 3D, poiché l’industria è in rapida crescita e la pratica dell’uso della plastica è spesso fatto ad hoc e priva di standard. Questo rende l’industria dell’utilizzo della plastica nella stampa 3D un “selvaggio West”.

Secondo Hinge, il filamento per la stampa 3D può variare in termini di qualità, anche se il prodotto è realizzato con lo stesso tipo di plastica e proviene dallo stesso fornitore.

L’obiettivo finale del progetto dell’università è quello di produrre un filamento standardizzato e completamente documentato che sia, naturalmente, di alta qualità e stabile, e come detto è realizzato in plastica riciclata.
Impatto positivo sull’ambiente?


Oggi l’industria è principalmente costituita da materie plastiche nuove o vergini, spiega Mogens Hinge. Il riciclaggio della plastica ha minori emissioni di CO2. Diverse aziende stanno affrontando il problema dei rifiuti di plastica della stampa 3D e il 2020 è destinato a essere un anno di rinnovata attenzione e impegno per la sostenibilità.

Il professor Hinge ritiene che l’industria della stampa 3D apprezzerà l’approccio: “È già possibile, ma non è ancora stato fatto. Penso che questo sia il prossimo passo necessario per mettere in produzione la tecnologia di stampa 3D (FDM). ” Il progetto si chiama “Sviluppo di filamenti per la stampa 3D a base di plastica riciclata” è diretto da Aage Vestergaard Larsen A / S.

fonte: https://www.digitalic.it

Economia circolare: nel juice bar sperimentale di CRA ed Eni, le bucce delle arance si trasformano in bicchieri per la spremuta



















Che fine fanno le bucce di tutte le arance che spremiamo, a casa o al bar, per bere un succo fresco? Nella maggior parte dei casi finiscono, inevitabilmente, tra i rifiuti organici (quando vengono differenziate correttamente). Ma non deve essere per forza così. Le bucce possono essere riutilizzate per produrre nuovi oggetti, ad esempio i bicchieri in cui bere la spremuta stessa. Lo dimostra ‘Feel the Peel’, il juice bar circolare sperimentale ideato dallo studio di design Carlo Ratti Associati (CRA), in collaborazione con Eni, che si sta preparando a girare l’Italia per dimostrare come funziona il suo approccio all’economia circolare.
Già, ma come funziona? Il prototipo è sormontato da una spettacolare cupola di arance (circa 1.550), che scendono una dopo l’altra lungo i binari della macchina, ogni volta che si ordina una spremuta. I frutti cadono quindi nella spremitrice, che taglia le arance in due per estrarre il succo. Le bucce, invece, cadono nella parte inferiore della macchina, dove si accumulano.

Una volta essiccate, le bucce vengono polverizzare e miscelate con acido polilattico (Pla), un biopolimero di origine vegetale, per produrre una bioplastica utilizzata come materia prima da una stampante 3D per realizzare i bicchieri in cui, rispettando i principi dell’economia circolare, viene servita la spremuta stessa. Una volta usati, questi bicchieri possono essere smaltiti nell’organico.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

Print Your City, l’arredo urbano dai rifiuti di plastica

Il progetto, nato dalla collaborazione tra uno studio olandese e Coca Cola, ha portato alla realizzazione di un laboratorio in Grecia che trasforma i rifiuti di plastica in complementi d’arredo stampato in 3D





















Trasformare i rifiuti di plastica in arredo urbano stampato in 3D. Succede a Salonicco, in Grecia, dove, grazie al progetto Print Your City, i cittadini hanno la possibilità di essere coinvolti in un’iniziativa molto originale, che prevede la raccolta dei rifiuti di plastica e la loro trasformazione in complementi di arredo urbano, utilizzando una stampante 3D di grandi dimensioni. L’idea è venuta a Panos Sakkas e Foteini Setaki, i fondatori di New Raw, uno studio di progettazione con sede a Rotterdam, in Olanda, e attivo dal 2015 nella chiusura del ciclo di rifiuti in plastica. “Il fallimento dei prodotti di plastica è intrinseco al loro stesso design – dicono Sakkas e Setaki – dato che sono stati progettati per durare per sempre, ma spesso li usiamo una sola volta e poi li buttiamo via. Con Print Your City, invece, ci sforziamo di mostrare un modo migliore di utilizzare la plastica, in applicazioni di lunga durata e ad alto valore”.

Attraverso una stampante 3D di grandi dimensioni, infatti, gli ideatori hanno reso possibile la trasformazione della plastica di scarto in complementi di arredo urbano, come panchine, portabiciclette o vasi per le piante. I primi prototipi della città greca sono stati stampati in 3D a metà dello scorso anno e piazzati qua e là in giro per la città. Per ognuno di essi ci sono voluti circa 100 kg di rifiuti di plastica e più o meno 12 ore per stamparli e trasformarli in oggetti dall’alto valore aggiunto. Ma per gli ideatori di questo innovativo progetto l’efficienza produttiva poteva essere nettamente migliorata, motivo per cui New Raw, in collaborazione con Coca Cola, ha deciso quindi di costruire lo Zero Waste Lab, un laboratorio che funge da centro educativo e offre ai cittadini la possibilità di conoscere il processo di riciclo della plastica, grazie al quale è possibile abbattere la quantità di rifiuti prodotti a livello urbano e progettare al contempo arredamento urbano funzionale ai propri quartieri.


Grazie alla piattaforma predisposta dal progetto, i cittadini possono modellare i progetti in base alle loro esigenze e scegliere la forma, il colore e il luogo della città dove piazzarlo; tutto nell’ottica di promuovere uno stile di vita sano e rispettoso dell’ambiente. Da quando è stato lanciato a dicembre 2018, il sito web del progetto ha già raccolto più di 3.000 progetti. Il laboratorio al momento lavora 4 giorni a settimana; i primi complementi realizzati saranno installati proprio in questi giorni nell’Hanth Park di Salonicco. New Raw si aspetta di riuscire a riciclare quattro tonnellate di rifiuti di plastica.



fonte: www.rinnovabili.it


Da rifiuti in plasmix a nuovi prodotti stampati in 3D: nuovo record per l’innovazione toscana

Revet Recycling e R3direct hanno siglato un accordo per l’utilizzo di plastiche riciclate, in un’economia circolare tutta a km zero



















Il plasmix, ovvero quell’insieme di plastiche eterogenee che – una volta divenuto rifiuto – arriva a comporre circa la metà di tutti gli imballaggi in plastica raccolti in modo differenziato, rappresenta da sempre una sfida per il mondo del riciclo: grazie a un’innovazione tutta toscana si aprono però adesso nuove prospettive in termini di economia circolare. Un accordo di ricerca siglato tra la pontederese Revet Recycling e la lucchese R3direct ha infatti permesso di utilizzare per la prima volta granuli ottenuti dal riciclo del plasmix per la produzione di oggetti durevoli tramite stampa 3D.
A darne notizia è direttamente Revet Recycling – azienda controllata al 100% da Revet, da oltre trent’anni leader dell’economia circolare in Toscana –, che dal 2013 ricicla la componente poliolefinica delle plastiche miste delle raccolte differenziate toscane producendo profili per l’arredo urbano e granuli adatti alla produzione di manufatti (anche di alta gamma) tramite stampa a iniezione, ma adesso pure in 3D. Nuovi orizzonti resi possibili dalla collaborazione con R3direct, una start-up con sede in provincia di Lucca che utilizza tecnologie di stampa 3D di grande formato per la produzione di oggetti durevoli in plastica riciclata post consumo.
Proprio in questi giorni Revet Recycling e R3direct hanno siglato un accordo finalizzato ad avviare un percorso di ricerca e sviluppo sulle potenzialità della stampa 3D con l’utilizzo di plastiche riciclate per individuare una nuova generazione di semilavorati (filamenti e/o granuli) e prodotti finiti. Le possibilità che si celano all’interno di questo nuovo percorso d’innovazione industriale sono però già state toccate con mano a Ecomondo 2018 – la fiera internazionale dell’economia circolare, che si è appena conclusa a Rimini –, dove modellini di barche stampate in 3D sono state consegnate ai protagonisti del progetto Arcipelato pulito, di cui più volte abbiamo dato conto sulle nostre pagine.
Queste barchette sono il simbolo di una doppia sfida: da una parte Arcipelago pulito – un progetto tutto toscano, lanciato dalla Regione in collaborazione con molti soggetti come la stessa Revet, Legambiente, Unicoop Firenze e i pescatori di Livorno – ha permesso di dimostrare che è possibile collaborare con i pescatori per rendere più puliti i nostri mari, dando il là ad iniziative legislative, in Italia e in Europa, per correggere un’evidente anomalia normativa che impone ai pescatori di rigettare in mare i rifiuti accidentalmente pescati con le loro reti.
Dall’altra parte la “flotta” stampata in 3D e battente la doppia bandiera Revet-R3direct costituisce uno dei primi esempi al mondo di stampa 3D da granulo poliolefinico proveniente da riciclo degli imballaggi in plastica mista delle raccolte differenziate. Finora infatti la tecnologia 3D ha sviluppato in particolar modo solo la stampa da filamenti, quasi sempre a matrice  PLA o comunque monopolimeri vergini.

La scelta di Revet e R3direct va invece in direzione diversa, quella di provare a nobilitare la frazione plastica delle raccolte differenziate più difficile da riciclare: il plasmix appunto. Un percorso che durante la scorsa legislatura sembrava potesse finalmente ricevere una spinta anche a livello nazionale, grazie a un credito d’imposta rivolto al riciclo del plasmix, introdotto (per la prima volta nella storia della legislazione italiana) nella legge di Bilancio 2018. Da allora è passato quasi un anno però, i decreti attuativi non si sono visti e la misura è di fatto ferma. Ma la Toscana va avanti.

fonte: www.greenreport.it

Se la stampa 3D passasse alla cellulosa














La diffusione della stampa 3D arriva in un momento in cui il Pianeta si sta finalmente ponendo sul serio il problema dei rifiuti della plastica. Ma i polimeri impiegati nelle stampanti tridimensionali sono ancora di difficile riciclo. Come far sì, allora, che il settore della produzione additiva possa conciliare diffusione e rispetto ambientale? La risposta arriva dalla University of Technology and Design (SUTD) di Singapore, la stessa che sta lavorando ormai da tempo sulle tecniche di recupero e reimpiego dei fotopolimeri termoindurenti (leggi anche La plastica della stampante 3D? A Singapore hanno scoperto come riciclarla).
I ricercatori stanno testando materiali alternativi che possano adattarsi alla stampa 3D senza tuttavia effetti inquinati. Il più promettente è la cellulosa, uno dei composti organici naturali e allo stesso tempo sottoprodotto industriale più abbondante e diffuso sulla Terra. Il team di scienziati è riuscito a dimostrare l’uso della cellulosa nella fabbricazione sostenibile di oggetti di grandi dimensioni, stampati tridimensionalmente.

L’approccio, messo a punto nei laboratori del SUTD, non si focalizza sulle piante verdi bensì sugli oomiceti, organismi viventi classificati un tempo come funghi (e oggi assegnati al regno dei Chromista) e la parete cellulare è formata da una miscela di composti cellulosici. I ricercatori hanno riprodotto la loro parete introducendo piccole quantità di chitina tra le fibre di cellulosa. Il materiale risultante è forte, leggero ed economico, e può essere modellato o lavorato usando tecniche del legno. E, soprattutto, è completamente ecologico, scalabile, riproducibile ovunque senza strutture specializzate e completamente biodegradabile in condizioni naturali.

Il costo del FLAM (questo il nome con cui è stato battezzato) è nella gamma delle materie plastiche prime e 10 volte inferiore al costo dei comuni filamenti per la stampa 3D, come il PLA (acido polilattico) e l’ABS (acrilonitrile-butadiene-stirene). “Riteniamo che questo primo processo di produzione additiva su larga scala con i polimeri biologici diffusi sarà il catalizzatore per il passaggio a modelli di produzione ecocompatibili e circolari, in cui i materiali vengono prodotti, utilizzati e degradati in sistemi regionali chiusi”, spiega Javier Gomez Fernandez, co-autore dello studio. “[…] si tratta probabilmente di uno dei risultati tecnologici di maggior successo nel campo dei materiali bioispirati”.

fonte: www.rinnovabili.it

La plastica della stampa 3D? A Singapore hanno scoperto come riciclarla

Sviluppato un processo di polimerizzazione in due fasi che permette di riciclare completamente i fotopolimeri termoindurenti stampati in 3D

















La stampa 3D? Aiuta l’approccio modulare e può essere un significativo contributo all’economia circolare. Peccato che i materiali utilizzati spesso non possono essere rimodellati o riciclati. E le ripercussioni sull’ambiente di un settore che è in espansione, e produce dunque rifiuti, potrebbero essere serie. Il problema risponde al nome di “fotopolimeri termoindurenti”, che rappresentano circa la metà del mercato mondiale della stampa 3D. Una volta utilizzati dalle stampanti, la forma che prendono è permanente. Ma un gruppo di ricercatori dell’Università di Tecnologia e Design di Singapore potrebbe aver trovato una soluzione.
La ricetta sembra essere semplice: una strategia di polimerizzazione in due fasi. Un progetto di laboratorio condotto dai ricercatori dimostra infatti che sia gli oggetti stampati 3D completamente compromessi che quelli intatti possono essere riparati o fusi e trasformati in altri prodotti tramite un processo chiamato auto-riparazione termica.



I trattamenti termici sono stati condotti posizionando campioni trattati con raggi UV in un forno a 180 °C per quattro ore. La “cavia” del primo test di laboratorio è stato un coniglio stampato in 3D. Alla scultura mancavano entrambe le orecchie, ma sono state facilmente ripristinate grazie ai maggiori livelli di malleabilità ottenuti dal processo.
 Il campione riparato ha recuperato circa il 100% della rigidità e il 93% della resistenza del materiale. Ciò indica che il progresso di riparazione “lega saldamente” le parti separate e ripristina le prestazioni meccaniche del materiale.
Oltre alla riparazione, sarebbe possibile anche il riciclo. I ricercatori sono infatti riusciti a macinare dei campioni riducendoli in polveri che sono state poi pressate tra piastre di metallo rivestite di alluminio.

fonte:www.rinnovabili.it

In Olanda la stampa 3D trasforma i rifiuti in panchine di design















Dai rifiuti di plastica ad arredi ottenuti da stampa 3D e destinati ad abbellire gli spazi pubblici. Una scommessa vinta quella di Print Your City!, un progetto ideato dallo studio di design The New Raw di Rotterdam, messo in pratica però nella città di Amsterdam. I designer avevano una gran mole di materia prima con cui lavorare, dal momento che il 25% dei rifiuti urbani sono costituiti da plastica. Tutto questo materiale è stato triturato, lavato e dato in pasto alle stampanti 3D, dalle quali è uscito il primo prototipo: la panchina XXX.
La panca pesa 50 chili, misura 150 centimetri ed è riciclabile al 100%. Vuole rappresentare un possibile reimpiego dei rifiuti, da osservare come risorsa piuttosto che unicamente come scarti. Gli abitanti di Amsterdam generano in media 23 chili di rifiuti di plastica pro capite, abbastanza per stampare in 3D una panca ogni due persone ogni anno.



stampa 3D 

«Le città rappresentano un terreno adatto per applicazioni con plastica riciclata di grandi dimensioni – ha spiegato lo studio in una nota – In questo campo, la tecnologia della stampa 3D consente di chiudere il ciclo della plastica con un breve percorso di riciclo e un processo di produzione a rifiuti zero, oltre a combinare riparazione modulare e personalizzazione, per immaginare una città più orientata all’economia circolare, con cittadini più impegnati e meno emissioni di CO2».
La panca XXX può ospitare da due a quattro persone e funziona come una sedia a dondolo, che oscilla solo con il movimento coordinato di chi la occupa. Un esempio plastico di come sia necessario lavorare insieme per chiudere il ciclo della plastica.

fonte: www.rinnovabili.it