Visualizzazione post con etichetta #Africa. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Africa. Mostra tutti i post

Okavango, 130.000 elefanti africani in pericolo a causa della ricerca di petrolio

La vita di migliaia di elefanti di savana è in pericolo a causa della ricerca di nuovi pozzi di petrolio nell’area del delta dell’Okavango, tra Namibia e Botswana.








Sono decine di migliaia gli elefanti africani (Loxodonta africana) minacciati dalle ricerche per i pozzi esplorativi del giacimento petrolifero scoperto tra Namibia e Botswana, in Africa, di cui avevamo raccontato qui.

L’area della licenza per il giacimento si estende per più di 34mila chilometri quadrati di terreno di cui circa il 70 per cento si trova in Namibia, il resto in Botswana, e comprende parte dell’area vitale del delta dell’Okavango, uno dei più grandi delta interni del mondo. Il territorio è ricchissimo di flora e fauna, tanto che nel 2014 è entrato a far parte dei siti dell’Unesco. Tra le tante specie che abitano l’area – leoni, ippopotami, giraffe, antilopi, aquile – ci sono anche 130mila elefanti di savana che costituiscono la più grande popolazione di elefanti di savana d’Africa. L’elefante di savana, che insieme all’elefante di foresta costituisce una delle due specie di elefante africano, è a rischio d’estinzione. La popolazione di entrambe le specie ha subìto un forte calo dal 2008 a causa di un aumento significativo del bracconaggio che ha raggiunto il picco nel 2011 ma continua, ancora oggi, a minacciare le popolazioni. Il cambio d’uso del suolo costituisce un’altra minaccia significativa. Inoltre, in alcune parti del Botswana, il conflitto tra elefanti e comunità locali è in aumento poiché la perdita di habitat costringe gli animali ad avvicinarsi sempre di più ai raccolti. Secondo i dati dell’International union for conservation of nature, su un periodo di 31 anni, il numero di elefanti di foresta è diminuito di oltre l’86%, mentre quello degli elefanti di savana è diminuito di almeno il 60% negli ultimi 50 anni.


Il delta di Okavango, Botswana. © Chris Jackson/Getty Images
Una minaccia per la più grande popolazione di elefanti di savana d’Africa

La compagnia che sta esplorando l’area per gas e petrolio è ReconAfrica, una società canadese, quotata in borsa in Canada, Stati Uniti e Germania.

“Meno di 450mila elefanti sopravvivono in Africa, rispetto ai milioni di anni fa: 130mila di questi hanno stabilito questa regione come casa, e i piani illegittimi di ReconAfrica li mettono direttamente a rischio”, ha detto al Guardian Rosemary Alles della Global march for rhinos and elephants. E ha aggiunto: “C’è una profonda ironia qui. Abbiamo centinaia di elefanti che muoiono a causa di una fioritura di alghe causata dal cambiamento climatico, e a pochi chilometri di distanza vogliono iniziare a trivellare per ottenere ancora più petrolio”.

Inoltre, sembra che le vibrazioni emesse durante i lavori d’esplorazione petrolifera disturbano notoriamente gli elefanti, e l’aumento dei lavori di costruzione delle strade e il traffico non solo allontanerebbe gli animali, ma aprirebbe anche la zona ai bracconieri.

“Soprattutto quando hanno dei piccoli, evitano le zone dove c’è un’attività umana, dove c’è rumore e ciò che percepiscono come un pericolo. Questo può allontanarli dalle loro antiche rotte migratorie e avvicinarli ai villaggi e alle aree agricole, portando a più conflitti uomo-elefante”. Secondo gli esperti, dunque, il giacimento potrebbe avere effetti devastanti sugli ecosistemi, sulla fauna selvatica e sulle comunità locali.

Il Delta dell’Okavango, poi, è tra le più frequentate destinazioni per quanto riguarda l’eco turismo. Le trivellazioni hanno il potenziale di risultare in perdite ingenti non soltanto da un punto di vista ecologico, ma anche economico – soprattutto per le comunità locali il cui sostentamento si basa anche sulle entrate fornite dall’eco turismo.

Danni alla biodiversità e all’ecosistema

Il governo namibiano ha fatto sapere che i pozzi esplorativi non sono situati in nessuna “area protetta o sensibile dal punto di vista ambientale e non avranno un impatto significativo sulla nostra fauna selvatica”, secondo quanto riportato dal Guardian. Ma gli scienziati, gli ambientalisti e le comunità locali dicono che il progetto potrebbe mettere in pericolo le forniture d’acqua e minacciare l’enorme area incontaminata del delta dell’Okavango in Botswana.

National Geographic ha riferito che la società, tra l’altro, sta smaltendo le acque reflue senza permessi, secondo un ministro del governo: le perforazioni per il primo pozzo di prova sono iniziate a gennaio e i fluidi di scarto vengono immagazzinati in quello che sembra essere uno stagno non rivestito, dove potrebbero essere assorbiti dal terreno e contaminare la fornitura d’acqua.

Lo stop ai fossili e il riscaldamento globale

Il mese scorso l’Agenzia internazionale per l’energia ha pubblicato il rapporto 2021 nel quale delinea la rotta del settore energetico globale per arrivare allo zero netto di emissioni entro il 2050. Dal rapporto non solo è chiaro che gli impegni dei governi sono ben al di sotto di ciò che è necessario per azzerare le emissioni di gas serra del settore energetico entro il 2050 e mantenere l’aumento della temperatura media globale sotto i 1,5 gradi, ma anche che lo sfruttamento e lo sviluppo di nuovi giacimenti di petrolio e gas, e più in generale di combustibili fossili, deve fermarsi quest’anno se il mondo vuole rimanere entro i limiti di sicurezza posti dalla comunità scientifica. Non esiste più “la necessità” di nuovi investimenti fossili.

Questo giacimento petrolifero è solo la più recente delle minacce per gli elefanti della regione, centinaia dei quali sono morti misteriosamente nell’ultimo anno. Un gruppo di elefanti morti è stato segnalato per la prima volta nel delta dell’Okavango all’inizio di maggio 2020, con 169 individui morti entro la fine del mese. A metà giugno, il numero era più che raddoppiato, con il 70 per cento delle morti intorno alle pozze d’acqua.

Gli scienziati stanno cercando di trovare la causa delle morti, ma credono che possano essere legate ad una quantità crescente di alghe tossiche, i cianobatteri, comparse nelle pozze d’acqua dove gli animali vanno ad abbeverarsi e a lavarsi. Secondo gli esperti, la loro comparsa sarebbe una conseguenza del riscaldamento globale.

In dosi sufficientemente elevate, i cianobatteri possono uccidere i mammiferi interferendo con la capacità del sistema nervoso di inviare segnali in tutto il corpo. Questo può risultare nella paralisi e nell’insufficienza cardiaca o respiratoria. Molti degli elefanti morti in Botswana sono stati visti camminare in cerchio prima di crollare improvvisamente, ha riferito il Guardian.

In un momento in cui la biodiversità è gravemente minacciata dagli effetti della crisi climatica e dalla perdita di habitat, i governi dovrebbero agire con urgenza per tutelare il più possibile le popolazioni, soprattutto le specie che sono più a rischio e quelle aree che sono cruciali per la loro sopravvivenza, proprio come l’Okavango.

fonte: www.lifegate.it

 

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Costruita ad una velocità record la prima scuola stampata in 3D

Uso ottimizzato dei materiali e un’impronta di carbonio ridotta del 70% per la prima scuola realizzata con la stampa 3D, nel Malawi. Il progetto porta la firma di 14Trees, joint venture tra CDC con la società di costruzioni Holcim.



Solo 18 ore per “tirar su” le pareti e la prima scuola stampata in 3D ha segnato un nuovo record edilizio. Succede nel distretto nel villaggio di Kalonga, nel Malawi, dove 14Trees ha realizzato in pochissimo tempo il primo edifico stampato dedicato all’istruzione scolastica.

La produzione additiva nel settore edilizio sta lentamente ma progressivamente prendendo piede, mettendosi alla prova con progetti di varie dimensione ed altezze. Ma al di là della pura voglia di sperimentare, a far leva su questo trend è l’esigenza di realizzare velocemente e a bassi costi strutture edilizie di qualità. E di farlo direttamente dove ve ne è più bisogno impiegando materiali da costruzione convenzionali. In questo contesto si inserisce il lavoro di 14Trees, joint venture tra il gruppo CDC – l’istituto finanziario UK per lo sviluppo- e la multinazionale edilizia LafargeHolcim.


La nuova realtà è nata con l’obiettivo di accelerare la produzione e la commercializzazione di soluzioni edilizie ecologiche e convenienti in Africa, per rispondere all’attuale grave carenza di alloggi e scuole. Il nuovo progetto malawense dovrebbe costituire la prova che la stampa 3D può svolgere un ruolo chiave nel colmare il deficit infrastrutturale, fornendo spazi di alta qualità in modo sostenibile, conveniente e veloce su larga scala.

“Sono molto orgoglioso di come i nostri colleghi di 14Trees abbiano implementato una tecnologia di stampa 3D all’avanguardia per risolvere un’esigenza così essenziale”, ha dichiarato Miljan Gutovic, Responsabile regionale della Holcim Group nei mercati europeo, africano e mediorientale. “Ora che abbiamo dimostrato il concept in Malawi, non vediamo l’ora di estendere questa tecnologia in tutta la regione, con progetti già in cantiere in Kenya e Zimbabwe”. Come in altri progetti simili, il team ha impiegato un grande estrusore per formare le pareti della scuola stampata. Quindi un gruppo di lavoro specializzato ha aggiunto finestre, porte, coperture e accessori vari. Un approccio che può ridurre notevolmente i tempi di costruzione ma anche l’impatto. Il Gruppo CDC sostiene che la tecnica riduca l’impronta ambientale del 50%.

Credits: CDC Group

Spiega Juliana Kuphanga Chikandila, Consulente per l’Istruzione Primaria: “Prima avevamo 12 scuole nella zona di Yambe; ora con questa nuova scuola stampata in 3D, sono 13. Per aumentare la nostra offerta di istruzione ai bambini, abbiamo bisogno di altri 4 edifici nella zona di Yambe, ma come distretto abbiamo le strutture necessarie salgono a 50″. Nel solo Malawi, l’UNICEF stima una carenza di 36.000 aule che richiederebbero 70 anni per essere costruite con metodi convenzionali. Secondo 14Trees, questo divario infrastrutturale potrebbe essere colmato in appena un decennio con la produzione additiva.

Ecco perché la jv sta collaborando con una serie di ONG per diffondere la tecnologia a partire dalle famiglie e dalle comunità più bisognose. “Questi progetti – scrive CDC – sosterranno la creazione di posti di lavoro qualificati assumendo e formando esperti locali in ruoli dinamici come operatori di macchine 3D e specialisti dei materiali che lavoreranno in collaborazione con i costruttori locali”.

fonte: www.rinnovabili.it



#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

La transizione all'economia circolare è un'opportunità da un miliardo di dollari per l'Africa



I lavoratori preparano schermi per il viso da plastica riciclata al seminario Zaidi Recyclers come misura per fermare la diffusione della malattia da coronavirus (COVID-19) a Dar es Salaam, in Tanzania, il 21 maggio 2020.

COVID-19 ha ridotto le economie di tutto il mondo. Tuttavia, la crisi rappresenta un'opportunità unica per molti di ricostruire il verde e potenzialmente riprendersi più forte che mai.

Questa opportunità è particolarmente evidente per il continente africano se si considera l'economia circolare. Mentre i prodotti e le risorse vengono realizzati, utilizzati e smaltiti in una "economia lineare", in un'economia circolare vengono riciclati, riparati e riutilizzati. Questo approccio elimina gli sprechi, rafforza la resilienza e sta rapidamente guadagnando terreno come nuovo modello di crescita sostenibile.

Con il giusto ambiente favorevole, un'economia circolare offre una promettente opportunità per lo sviluppo economico, la creazione di valore e lo sviluppo delle competenze. E con la pandemia COVID-19 che costringe i paesi di tutto il mondo a ristrutturare le proprie economie, l'Africa è in una posizione forte per trarre vantaggio da queste opportunità emergenti.

In un nuovo rapporto, l'iniziativa sull'economia circolare del Forum economico mondiale e l'African Circular Economy Alliance hanno esaminato quali nuove industrie potrebbero rappresentare le maggiori opportunità per le persone e il pianeta. Secondo questo rapporto, " 5 grandi scommesse per l'economia circolare in Africa ", una maggiore circolarità in questi settori sosterrà l'economia, l'occupazione e l'ambiente nel continente a lungo termine.

Fare "grandi scommesse" su questi settori può portare a una serie di vantaggi per l'Africa, come catene di approvvigionamento di valore più elevato e ritrovata resilienza. A livello globale, questi cambiamenti possono aiutare la transizione del mondo verso una crescita sostenibile e garantire la protezione delle risorse.

Ecco alcune nuove industrie che potrebbero rimodellare l'Africa:
Grande scommessa n. 1: l'industria della conversione dei rifiuti

COVID-19 ha peggiorato i problemi di sicurezza alimentare in tutto il continente. Tuttavia, i metodi circolari possono aiutare a prevenire la fame stimolando l'economia e proteggendo l'ambiente. Ad esempio, la formazione degli agricoltori su metodi come il recupero delle acque reflue per l'irrigazione può aiutare a spostare la produzione verso modelli più rispettosi del clima. Inoltre, convertire i rifiuti alimentari in fertilizzanti organici può rafforzare la produzione verde e aumentare la circolarità nei sistemi alimentari. Ripensare l'agricoltura può essere fondamentale per il continente poiché il settore impiega il 60% della forza lavoro subsahariana e comprende quasi un quarto del PIL del continente.


Grande scommessa n. 2: industria del riciclaggio dei rifiuti di plastica

Il riciclaggio è emerso come una soluzione alla crescente domanda di beni con imballaggi in plastica, ma deve essere ridimensionato sia per mitigare gli effetti ambientali sia per avere un impatto significativo. Per affrontare queste tendenze, sono necessari nuovi incentivi di ispirazione circolare. Per i consumatori, questo potrebbe presentarsi sotto forma di sistemi di deposito di bottiglie per indurre nuovi comportamenti. Per le imprese, ciò potrebbe avvenire sotto forma di legislazione e incentivi fiscali per aumentare gli investimenti negli impianti di riciclaggio. Tali investimenti potrebbero rappresentare un'opportunità significativa: l'economia globale deve affrontare perdite fino a 120 miliardi di dollari all'anno legate al ridotto valore della plastica dopo il primo utilizzo.


Grande scommessa n. 3: industria del legno di massa

Man mano che le città africane crescono, crescono anche le emissioni. Si prevede che le emissioni di gas serra in Africa aumenteranno di oltre 2,5 volte entro il 2050 a causa delle grandi trasformazioni nell'urbanizzazione, nell'industrializzazione e nell'elettrificazione. L'abbattimento di queste emissioni è possibile attraverso la promozione di infrastrutture a basse emissioni di carbonio. I progetti incentrati sul pianeta che utilizzano legname di massa possono ridurre i rifiuti, preservare le foreste e gestire le emissioni nelle città africane che crescono al doppio della media globale.

Grande scommessa n. 4: industria del riciclaggio dei rifiuti elettronici

La gestione dei rifiuti elettronici è diventata una sfida importante per molti paesi africani a causa della mancanza di consapevolezza, legislazione ambientale e risorse finanziarie limitate. Attrarre maggiori investimenti per il riciclaggio dei rifiuti elettronici sosterrà la creazione di posti di lavoro verdi e una maggiore acquisizione di valore. Un'opportunità chiave risiede nello sviluppo del settore del riciclaggio dei rifiuti elettronici e di notevoli strutture di raccolta. Ciò richiederà beni prodotti pensando alla longevità, progettati per il riciclaggio o la riparazione. Comprenderà anche una legislazione che limita i rifiuti elettronici stranieri. Tali cambiamenti potrebbero creare nuovi posti di lavoro e spostare molti raccoglitori di rifiuti dall'economia informale a quella formale.

Grande scommessa n. 5: industria degli indumenti riciclati

L'attuale sistema di produzione, distribuzione e utilizzo dell'abbigliamento opera su un modello prevalentemente di prendere-fare-smaltire. Una nuova economia tessile, basata sui principi dell'economia circolare, porterebbe a risultati migliori. Un'opportunità immediata per questo settore include la conversione dei rifiuti tessili e della moda in capi di abbigliamento per i mercati di esportazione commerciali. Ma i cambiamenti possono anche venire all'agricoltura, utilizzando pratiche rigenerative per la coltivazione di colture come il cotone che rinnovano il suolo, e pratiche che si allontanano dal "fast fashion" verso nuovi modelli di business basati sull '"upcycling" degli indumenti esistenti. Queste mosse potrebbero anche affrontare gli sprechi su una serie di livelli poiché meno dell'1% del materiale utilizzato per gli indumenti viene riciclato (con una perdita annua di 100 miliardi di dollari). Inoltre,il settore della moda utilizza 342 milioni di galloni di petrolio ogni anno per produrre fibre a base di plastica.





A dire il vero, tali cambiamenti non avverranno dall'oggi al domani. Tali cambiamenti richiederanno collaborazione e una serie di sistemi e strutture "abilitanti" che aiutano a realizzare il cambiamento. Tali fattori abilitanti includono politiche, sostegno alle imprese, incentivi finanziari, nuove tecnologie e infrastrutture.

Tuttavia, questi investimenti possono portare nuove opportunità e resilienza al continente africano, proteggendone le risorse e le persone. Con tali mosse, l'Africa potrebbe servire da modello per il mondo su come rendere la transizione circolare una realtà, plasmando il modo in cui viviamo e lavoriamo nei giorni e negli anni a venire.

fonte: www.greenbiz.com


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Rifiuti elettronici, ogni anno 20mila tonnellate vengono rubate (ecco dove finiscono)



















Ogni anno quasi 20mila tonnellate di rifiuti elettronici vengono rubati per essere re-immessi in circuiti clandestini. Delle 420mila tonnellate di Raee prodotti è questa la quantità che scompare, per una perdita complessiva di 14 milioni di euro, causando gravi danni ambientali. I risultati emergono dall’analisi “La cannibalizzazione dei Raee” a cura di Assoraee, presentato alla fiera della green economy Ecomondo.

I materiali più ricercati

L’analisi rivela come alcune tipologie di prodotti dismessi dai consumatori non raggiungano gli impianti di trattamento, in particolare i beni che mantengono un maggiore valore economico, come frigoriferi, condizionatori, congelatori, televisori e laptop, LCD o plasma, computer e apparecchi informatici, telefoni, apparecchi di illuminazione, pannelli fotovoltaici. Oltre alla sottrazione dell’intero prodotto, molto spesso i rifiuti vengono cannibalizzati durante la fase di raccolta o, talvolta, mentre il materiale è stoccato, prima del suo conferimento agli impianti per il trattamento. I materiali più ricercati sono i compressori (in 4 casi su 10 spariscono dal rifiuto), i cavi di alimentazione e le schede elettroniche.

I rischi per l’ambiente

Ci sono poi le ricadute ambientali: l’asportazione dei compressori da frigoriferi e congelatori provoca i maggiori danni in quanto vengono rilasciati in atmosfera i gas utilizzati nei circuiti refrigeranti, in particolare quelli contenenti sostanze ozono-lesive, quali Cfc ed Hcfc. C’è anche la dispersione di mercurio, dovuta agli schermi piatti.

L’inchiesta del Salvagente

All’argomento, il Salvagente ha dedicato un’inchiesta firmata da Massimo Solani, che si concentrava soprattutto sulla fine che fanno molti dei Raee trafugati: in immense discariche illegali in Africa. Di seguito il video che accompagna l’inchiesta.
fonte: https://ilsalvagente.it

A Ecomondo torna la green night della FIMA: il 6 novembre presso Augeo Art Space, Rimini

Una serata di riflessione sulle problematiche dell’informazione ambientale e non solo, accompagnata da un gustoso menù a chilometro zero in un prestigioso contesto d’arte e cultura





Una serata di riflessione sulle problematiche dell’informazione ambientale e non solo, accompagnata da un gustoso menù a chilometro zero in un prestigioso contesto d’arte e cultura. Torna a Rimini, in occasione della fiera Ecomondo, la green night della Federazione Italiana Media Ambientali (Fima): l’associazione che raccoglie giornalisti, comunicatori, blogger, formatori e operatori del social network impegnati sul fronte della sostenibilità.

Quest’anno l’ormai tradizionale appuntamento della Fima si terrà mercoledì 6 novembre (ore 20.30) nella cornice di Augeo Art Space (Corso d'Augusto 217, all'interno di Palazzo Spina) al fianco di Amref, la più grande organizzazione sanitaria no-profit presente in Africa e ruoterà intorno alla comune esigenza di garantire un’informazione libera dai cliché e capace di leggere i fenomeni della nostra epoca con rigore, autonomia e originalità.

In apertura dell’evento si discuteranno, infatti, i dati contenuti in “L’Africa mediata”, il dossier appena presentato da Amref che evidenzia gli stereotipi e le distorsioni che caratterizzano il racconto del continente in tv, sulla stampa, nei social e nella fiction. L’incontro, introdotto da Marco Fratoddi, segretario generale della Fima, vedrà la partecipazione di Paola Barretta dell’Osservatorio di Pavia che ha curato il rapporto, Serena Gentile e Chiara Natalini di Amref che si confronteranno con il giornalista Sergio Ferraris e il comunicatore Sergio Vazzoler, entrambi dell’Ufficio di presidenza della Fima.

La serata, organizzata per tavoli e isole di confronto, con buffet locale, vino biologico del territorio offerto dall’Azienda agricola Terre di fiume e servizio rigorosamente low carbon e plastic free, permetterà quindi ai presenti di approfondire e mettere in comune valori, aspettative e strumenti di lavoro utili a promuovere una narrazione giornalistica più equa e responsabile, libera da condizionamenti e adeguata alla sfida sociale e ambientale che abbiamo davanti, quella contro i cambiamenti climatici che gravano innanzitutto sulle fasce più povere della popolazione globale. Infine sarà possibile conoscere da vicino il progetto Africa Classic 2020, una gara in mountain bike alla scoperta dell’Africa vera, oltre gli stereotipi.

La prenotazione per la cena (al prezzo di 30 euro, comprensivi d’iscrizione alla Fima per il 2020) è obbligatoria tramite l’indirizzo info@fimaonline.it (info al numero 3886410723). I partecipanti potranno inoltre ammirare alle pareti le opere della mostra “Due Strade” degli artisti Lola Schnabel (Usa) e Luca Giovagnoli (Italia). Mentre nella corte di Augeo Art Space sarà a disposizione dei partecipanti una spillatrice di Birra Amarcord, produttore riminese che utilizza bottiglie in vetro con tappo in ceramica riutilizzabile, partner durante tutta l’estate della campagna lanciata dall’associazione “Basta plastica in mare”.

Ma questo non sarà l’unico appuntamento con la Fima a Ecomondo. Il presidente della Fima, Roberto Giovannini, parteciperà infatti al convegno organizzato dall’Asvis “Comunicare il valore della sostenibilità ambientale, sociale ed economica all’epoca delle fake news” (venerdì 8 novembre, ore 10.00, Sala Ravezzi 1, Hall Sud).

Sarà inoltre aperto durante tutti e quattro i giorni della fiera lo stand della Fima (Padiglione B5, stand n. 202) con incontri e momenti di confronto che saranno comunicati via social.

fonte: www.ecodallecitta.it

Creare protesi riciclando bottiglie di plastica? Si può. Lo hanno fatto due designer svizzeri

Un’idea che nasce dall’idea di ridurre la spazzatura dispersa in Kenya e cresce aiutando anche le persone (e sono tante) che hanno perso gli arti in incidenti o in azioni di guerra





Si comincia cercando di pulire l’ambiente, si finisce aiutando (davvero) le persone. È, in poche parole, la storia di Fabian Engel e Simon Oschwald, due designer svizzeri. Erano partiti per il Kenya con l’obiettivo di trovare una soluzione alle distese di rifiuti, sempre più alte e diffuse, che si incontrano nella zona. E hanno invece scoperto un modo per creare protesi partendo dai rifiuti di plastica. È un modo per venire in soccorso a una delle tante piaghe dell’Africa: le amputazioni dovute a scontri di guerra o a incidenti automobilistici (purtroppo molto frequenti).

Il costo di un arto artificiale è proibitivo. Chi non può permettersi l’acquisto (e in Africa sono tanti, anche se nel mondo si tratta di 30/40 milioni di persone, almeno secondo le stime dell’Oms) si trova costretto a una mobilità limitata. Trovare lavoro, in quelle condizioni, diventa quasi impossibile. Molto difficile, sottolineano i due designer, è anche svolgere attività normali, se si considera che, molto spesso, non dispongono neppure di servizi igienici.

È qui che, allora, intervengono Engel e Oschwald. I loro arti artificiali costano pochissimo, sono fatti impiegando persone del posto e, soprattutto, vengono prodotti con i rifiuti che continuano ad aumentare nelle discariche a cielo aperto.

L’idea è stata geniale, la sua realizzazione ha richiesto però molta fatica. Come raccontano in questo video, ci sono state varie difficoltà, tanto che più volte il team di designer è stato tentato di mettere da parte il progetto. “È stata una crisi: non riuscivamo a trovare un modo per produrre una giuntura che funzionasse come una caviglia e che costasse poco”. Ma non hanno mai smesso.

Ora, in più, accreditano come collaboratori tutti coloro che utilizzano i loro prodotti: i loro consigli, che sono anche quelli più interessati e importanti, si sono rivelati fondamentali.

fonte: https://www.linkiesta.it

Mini-grid, potrebbero fornire elettricità a 500mln di persone nel 2030

La Banca Mondiale fa il punto sull’industria e il mercato globale, analizzando costi e innovazioni tecnologiche
















Da soluzione di nicchia a tecnologia mainstream per colmare l’attuale divario di accesso all’energia e accelerare la decarbonizzazione: questo il destino che attende le mini-grid (letteralmente “mini-reti”) con le giuste politiche di supporto. A sostenerlo è la World Bank nella pubblicazione Mini Grids for Half a Billion People: Market Outlook and Handbook for Decision Makers. Il rapporto è lo studio più completo mai effettuato sino ad oggi sul tema: il documento fa il punto sull’industria e il mercato globale, analizza i costi e le innovazioni tecnologiche e mostra l’importanza della microfinanza e delle attività che producono reddito. E stima che questa soluzione possa fornire elettricità a 500 milioni di persone entro il 2030, aprendo a strada ad un’espansione infrastrutturale più redditizia di quella attuale.

Cosa sono le mini-grid?

Ad oggi non esiste ancora una definizione universale di “mini rete”. Il termine identifica, generalmente, un sistema di distribuzione elettrica off-grid che coinvolga la produzione di energia su piccola scala e con una potenza nominale inferiore a 15 MW. Nati nei Paesi sviluppati e ad alto reddito, questi impianti rappresentano oggi la migliore soluzione per portare energia alle comunità remote nelle economie in via di sviluppo grazie ad una serie di vantaggi finanziari, tecnici e ambientali. Relativamente veloci e facili da implementare in aree senza elettricità, le mini-grid non richiedono necessariamente una fonte di combustibile tradizionale per essere alimentate. Possono infatti funzionare grazie a impianti solari, eolici, a biomasse o ibridi, riducendo i costi operativi e le emissioni associate.
Non solo: l’uso di mini reti diminuisce il tempo di funzionamento dei generatori a basso carico aumentando così l’efficienza dell’intero sistema. 

Le potenzialità delle mini-grid

“Le mini reti rappresentano oggi una delle soluzioni principali per la chiusura del gap di accesso energetico – spiega Riccardo Puliti, Senior Director of Energy and Extractives presso la Banca Mondiale – Siamo convinti che via sia un grande potenziale per il loro sviluppo su larga scala e stiamo lavorando con i Paesi per mobilitare attivamente investimenti pubblici e privati”. Globalmente, sono state installate almeno 19.000 mini-grid in 134 Nazioni, per un investimento totale di 28 miliardi di dollari e fornitura di elettricità che soddisfa 47 milioni di persone. L’Asia vanta attualmente il numero maggiore di installazioni, mentre l’Africa ha la quota maggiore di progetti pianificati. 

Tuttavia, la strada da compiere è ancora lunga: per portare l’elettricità ai quei 500 milioni di persone sopracitati serviranno 210mila nuovi impianti in questi due Continenti, per un investimento totale di 220 miliardi di dollari. “Ciò – spiega l’istituto – può essere ottenuto istituendo politiche che supportino programmi di elettrificazione completi, promuovendo modelli di business fattibili e fornendo finanziamenti pubblici, ad esempio attraverso sovvenzioni basate sulle prestazioni”.
Secondo gli autori del rapporto la maggior parte delle nuove mini-grid dovrebbe essere caratterizzata da un mix di fotovoltaico con batterie. Raggiungere un tale traguardo vedrebbe i costi dei moduli fotovoltaici scendere da 690 a 140 dollari il kWp (entro il 2030) mentre le batterie agli ioni di litio passerebbero da 598 $/ kWh a 62 $/ kWh.

fonte: www.rinnovabili.it

Nigeria: le rette scolastiche si pagano riciclando bottiglie di plastica

Una scuola di Lagos, la capitale nigeriana, ha avviato il progetto Recycle Pay che permette ai genitori degli studenti di pagare parte della retta scolastica tramite il riciclo di bottiglie in PET, lattine e cartone.

















Chi l’ha detto che l’inquinamento da plastica sia solo ed esclusivamente un fenomeno dannoso per le comunità, specie quelle più povere? A Ajegunle, uno dei quaryieri più popolosi della capitale nigeriana, Lagos, WeCyclers, una piccola organizzazione no profit, sta provando a trasformare un enorme problema ambientale in una risorsa per la popolazione locale. Come? Permettendo ai genitori degli alunni di una scuola di pagare parte delle rette scolastiche con bottiglie di plastica, lattine, giornali e altri scarti utili alla raccolta differenziata.

Intendiamoci: l’inquinamento è e resta un problema di difficile soluzione, specie in regioni carenti in infrastrutture dedicate al recupero e al riciclo, dove spesso gli scarti finiscono sversati nell’ambiente o bruciati. La soluzione adottata dall’organizzazione African Clean Up Initiative, coordinatrice dell’iniziativa, rappresenta però un tentativo efficace di mettere a sistema diverse necessità (ambientali, educative, sociali e lavorative).

I genitori degli alunni che non riescono a pagare integralmente la retta della Morit International School di Ajegunle (circa 9,74 euro) possono compensare recuperando materiali riciclabili, bottiglie in plastica soprattutto, che, dopo essere stati pesati e “trasformati” in percentuali della retta scolastica, vengono vendute a una ditta specializzata in quello che è stato denominato il Recycle Pay Project.

Per la prima volta in Africa viene creato un sistema che permette ai genitori di pagare le rette scolastiche grazie al riciclo di bottiglie di plastica– spiega in un’intervista alla BBC, Alexander Akhigbe, fondatore dell’African Clean Up Initiative – Per noi è una maniera di restituire qualcosa alla comunità, è per questo che partecipiamo con tanta passione al progetto”.
  
Una situazione in cui tutti vincono, come spiega uno dei portavoce della scuola: ambiente e ragazzi soprattutto (la Nigeria è il Paese con il più alto tasso di abbandono scolastico al mondo), ma anche i genitori degli studenti, che risparmiano risorse preziose, la comunità, che si aggrega intorno a un’iniziativa virtuosa e la scuola stessa, capace di acquisire fondi con continuità e più rapidamente di quanto potrebbe basandosi solo sulle disponibilità degl’iscritti.

Nei prossimi mesi, il Recycle Pay Project dovrebbe essere adottato anche dalla Monarch Private School di Alagbado, sempre a Lagos. Il progetto punta a coinvolgere 10 mila studenti nei prossimi 6 anni ma potrebbe allargarsi oltre i confini della comunità in cui è nato e diffondersi come un modello vincente in tutta la Nigeria.

fonte: www.rinnovabili.it

Fair Plastic Alliance: i rifiuti diventano risorsa sociale e ambientale












Dei 350 milioni di tonnellate di plastica prodotta ogni anno nel mondo, solo il 15% viene riciclata. Il 25% viene bruciato in inceneritori o termovalorizzatori e il restante 60% va invece in discarica o disperso nell’ambiente. Due conseguenze sono particolarmente gravi: da una parte i milioni di tonnellate di rifiuti che finiscono negli oceani, rovinando irrimediabilmente l’ecosistema marino; dall’altra lo sviluppo di un’economia informale, in particolare nei paesi del Sud del mondo, che espone i lavoratori ad abusi e pericolosi rischi sanitari.
Per combattere contro tali ingiustizie ed ispirandosi ad alcune esperienze fatte in Nigeria e Sud Africa,  nasce Fair Plastic Alliance: un network composto da realtà molto diverse. Tra queste, Serioplast, azienda internazionale attiva nel settore della produzione di plastica per conto delle principali multinazionali globali; Oxfam e Cesvi, organizzazioni non profit impegnate da anni in progetti di rafforzamento delle capacità locali e di sviluppo economico e comunitario;  WeCyclersuna startup nigeriana capace di implementare un modello innovativo e sostenibile di raccolta con il pieno rispetto dei diritti dei lavoratori, e numerose cooperative di baseche riuniscono i lavoratori informali del settore per offrire loro opportunità di sviluppo e una vita dignitosa.
L’idea è quella di contrastare lo sviluppo di un’economia informale che non dà alcun tipo di tutela lavorativa ai “raccoglitori” di rifiuti, attraverso un intervento che invece punti a valorizzare un lavoro che può avere, se riconosciuto nel modo giusto, un impatto positivo importante sia a livello sociale che ambientale.










Tra le realtà parte del network, molto interessante è WeCyclers: costituitasi a Lagos, si tratta di un’impresa innovativa e virtuosa che propone servizi low-cost per famiglie a basso reddito residenti nella megalopoli africana. In particolare, la start-up ha creato una piattaforma online, per cui, chi lo desidera può richiedere una raccolta porta a porta dei rifiuti riciclabili; questi vengono successivamente portati, dai “raccoglitori” che utilizzano cargo bikes, nei centri di trattamento dei rifiuti e trattati. Tale meccanismo fa sì che, da una parte i nuclei familiari in difficoltà possano trarre un beneficio economico dalla loro attenzione per il riciclo (tramite buoni acquisto che vengono loro consegnati al termine del servizio), dall’altra, che venga riconosciuto il lavoro dei bikers che, con il loro operato, contribuiscono alla diminuzione dei rifiuti in città e di conseguenza al miglioramento delle condizioni di vita di tutti.
Come afferma la co-founder di WeCyclers, Bilikiss Adebiyi Abiola“Lagos, con i suoi 25 milioni di abitanti, soffre di un cronico inquinamento da rifiuti sversati ovunque e senza regole per strada. Grazie alla nostra realtà, la plastica qui è diventata per tanti lavoratori una risorsa che consente di mandare i figli a scuola, avere un reddito stabile, curarsi”.












Associandosi con altre realtà aziendali e non, quali quelle citate sopra, la start-up avrà la possibilità di far conoscere il proprio modello al resto del mondo e di stimolare la nascita di un dibattito che coinvolga le multinazionali che utilizzano plastica per gli imballaggi, i policy maker, le comunità locali e i consumatori. Come confermato Delia Innocenti, CEO di Serioplast “La Fair Plastic Alliance intende affrontare in modo innovativo le problematiche ambientali e sociali generate dalla plastica, facendo leva sull’inclusione attiva dei lavoratori informali. Questo è possibile adottando un modello di business che rimetta questi lavoratori al centro. Un modello in cui gli investitori rinunciano ai dividendi e reinvestono i profitti per l’inclusione e lo sviluppo delle comunità locali garantendo la sostenibilità economica, ambientale e sociale dell’attività e dando impulso ad una trasformazione dal basso, sostenuta e supportata dalla filiera industriale.”
fonte: www.envi.info