Energia dalla sabbia. Un’azienda italiana presenta un sistema di accumulo di lunga durata
Batterie, dalle e-Bike agli impianti di accumulo di energia. Lions2Life arriva alla fase pilota
Ecco perché il fotovoltaico con batterie è più conveniente del nucleare
Sistemi di accumulo in Italia, fino a 272 MW sul territorio

Cresce il settore dello stoccaggio energetico nazionale ma l’attuale velocità non soddisfa le proiezioni al 2030. In realtà i sistemi di accumulo in Italia appaiono anche parecchio sotto al target che l’attuale PNIEC (a breve rivisto al rialzo) fissa per il 2023. Secondo il Piano in meno di un anno e mezzo dovremmo raggiungere una potenza installata di 8,4 GW, in termini di storage di rete o centralizzato. Oggi invece siamo a 7,4 GW, per lo più merito dei grandi impianti a pompaggio che da soli raggiungono una potenza di 7,3 GW. E per il 2030 i numeri dovrebbero lievitare a 17,4 GW con l’aiuto anche dello storage distribuito.
A ricordarlo è il report di Anie Rinnovabili che fornisce un panoramica del comparto aggiornata al 31 marzo 2021. Per quella data risultavano attivi nel paese 43.784 sistemi di accumulo elettrochimico distribuiti per una potenza complessiva di 212 MW e una capacità massima di 333 MWh. Di questi oltre 4mila sono quelli installati unicamente nei primi 3 mesi dell’anno. Il trend risulta in notevole crescita per numero, potenza e capacità di accumulo rispetto al primo trimestre del 2020. L’evoluzione di questo segmento è connesso direttamente ai trend del fotovoltaico di piccola taglia. Il 99,9% dei sistemi di accumulo installati in Italia risulta, infatti. abbinato ad un impianto fotovoltaico e di questi il 92% è abbinato ad un impianto di taglia residenziale. Al dato dello storage distribuito si aggiungono, infine le centrali elettrochimiche di Terna per altri 60 MW e 250 MWh. E solo 2 MW/3 MWh di elettrochimico centralizzato.
Energy storage, tipologie di impianto e taglia
Quando si escludono i pompaggi, la tecnologia più diffusa risulta quella a ioni Litio (96,6% circa del totale), seguita dal Piombo (3,1% circa) e dai Supercondensatori (0,1%) al pari con le batterie a volano (0,1%). E poiché la maggior parte è connessa al fotovoltaico su piccola scala, la quasi totalità (98,6%) dei sistemi risulta di taglia sotto i 20 kWh con una netta prevalenza di quelli fino ai 5 kWh (42,6%) e di quelli compresi nel range tra 5 kWh e 10 kWh (40,5%).
Analizzando la tipologia di configurazione si registra uno spostamento delle nuove installazioni a favore di quelle “lato produzione in corrente continua” rispetto ai periodi precedenti. “I sistemi di accumulo – Spiega Anie Rinnovabili – sono prevalentemente installati lato produzione in corrente continua (72%) e tale configurazione sta registrando una crescita negli ultimi anni (+17% in confronto al 2020), a discapito degli accumuli installati post-produzione (-14% rispetto allo scorso anno)”. Per i sistemi installati lato produzione in corrente alternata, invece, si registra un decremento rispetto al 2020 del 3%.
Il report mostra anche che tutte le Regioni hanno consolidato un segno positivo rispetto al primo trimestre del 2020 relativamente al numero di installazioni, alla potenza e capacità installate. La Lombardia è il territorio con il maggior numero di impianti installati (13.102 SdA per una potenza di 56 MW e una capacità di 94 MWh) seguita dal Veneto (7.270 SdA per una potenza di 33 MW e una capacità di 57 MWh), dall’Emilia Romagna (4.605 SdA per una potenza di 24 MW e una capacità di 37 MWh) e dal Piemonte (3.183 SdA per una potenza di 24 MW e una capacità di 32 MWh).
fonte: www.rinnovabili.it
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Nel Regno Unito uno dei più grandi impianti di accumulo elettrochimico d’Europa

Un sistema di accumulo elettrochimico con una potenza di 100 MW e una capacità di 100 MWh, destinato a fornire servizi per la regolazione della frequenza di rete e massimizzare l’uso delle energie rinnovabili in Gran Bretagna.
È questa la centrale che il produttore cinese di inverter e sistemi di stoccaggio Sungrow ha avviato a Minety, nel Regno Unito, in quello che si presenta come uno dei più grandi sistemi di stoccaggio di energia in Europa.
Il progetto è basato su due batterie da 50 MW sviluppate da Penso Power e finanziate dalle aziende statali cinesi China Huaneng Group e CNIC Corporation. La centrale, dotata inizialmente di un’unica batteria da 50 MW installata nel 2020, è stata completata da una seconda batteria aggiunta nel corso del 2021.
La centrale servirà ad evitare inconvenienti come quello verificatosi nel Regno Unito un paio di anni fa, quando un calo momentaneo della frequenza di rete provocò un’interruzione della distribuzione di corrente su larga scala. Sulla scia di questo incidente, le autorità britanniche hanno dato priorità alla costruzione di grandi impianti di stoccaggio per evitare che questo tipo di problemi si ripeta.
Anche allora, l’uso di alcuni grandi sistemi di stoccaggio già installati all’epoca, contribuì a prevenire un tracollo totale del sistema elettrico del paese.
La costruzione del grande impianto di stoccaggio di Minety è iniziata alla fine del 2019. Sungrow ha fornito sia soluzioni di batterie al nichel-manganese-cobalto (Nmc) che al litio-ferro-fosfato (Lep) con un alto livello di integrazione. Queste soluzioni hanno ridotto il fabbisogno di spazio, accorciato il tempo di messa in servizio e abbassato i costi del sistema del 5%, secondo l’azienda cinese.
Il nuovo sistema di stoccaggio soddisfa il più recente requisito britannico di regolazione della frequenza, il contenimento dinamico. Ciò significa che il sistema deve reagire alle istruzioni di potenza della rete entro un secondo. Solo circa il 30% dei grandi impianti di stoccaggio in Gran Bretagna è dotato di questa funzione, secondo una nota di Sungrow.
Frattanto, Shell Energy Europe Limited, la controllata per il gas e l’elettricità del gigante petrolifero anglo-olandese, ha siglato un power purchase agreement (PPA), cioè un accordo di acquisto di energia a lungo termine dalla centrale di Minety, i cui termini però non sono stati resi noti.
fonte: www.qualenergia.it
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Vedrà la luce in Sardegna la prima batteria alla CO2

L’anidride carbonica potrebbe finalmente avere la possibilità di diventare una soluzione della crisi climatica anziché una delle cause. Come? Ad esempio attraverso l’innovativa “batteria alla CO2“, progettata e realizzata dall’italiana Energy Dome. Una soluzione all’avanguardia che potrebbe conservare l’energia a meno della metà del costo delle grandi batterie a ioni di litio. D’altra parte il biossido di carbonio, spiega l’azienda, costituisce il fluido perfetto per immagazzinare elettricità a costi contenuti. Rappresenta infatti uno dei pochi gas condensabili e conservabili come un liquido a pressione e temperatura ambiente.
La batteria alla CO2 rappresenta un’evoluzione del cosiddetto Liquid Air Energy Storage (LAES), tecnologia che utilizza l’elettricità per raffreddare l’aria fino a quando non si liquefa. Per fornire energia, i sistemi LAES riportano l’aria liquida allo stato gassoso, utilizzando quel gas per far girare una turbina e generare elettricità. In questo caso l’impianto di base è simile ma la soluzione di Energy Dome consente l’accumulo ad alta densità senza la necessità di impiegare temperature criogeniche.
Il primo sistema di questo genere sorgerà in Sardegna con una taglia di 2,5MWe e 4MWh, ma sarà progettato per consentire future espansioni di capacità. “Questo progetto dimostrativo – spiega la società – è pensato per essere gestito commercialmente e generare entrate operando sui mercati dell’energia e dei servizi ausiliari”. La tecnologia Energy Dome offre prestazioni eccezionali, raggiungendo un’efficienza di “round-trip” (ovvero da energia elettrica ad energia elettrica). E un costo di stoccaggio livellato (LCOS) altamente competitivi per accumuli da 3 a oltre 16 ore.
“L’impianto CO2 Battery Demo dimostrerà sia l’efficienza della tecnologia sia la capacità della tecnologia di fornire servizi energetici e di regolazione sulla rete elettrica, testando la tecnologia su scala rilevante e superando i rischi tecnici, che si riferiscono principalmente al rischio di integrazione dei componenti (TRL 9)”.
fonte: www.rinnovabili.it
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Sax Storage, la batteria domestica che fa a meno dell’inverter

Il fotovoltaico residenziale ha trovato negli ultimi anni un alleato fidato: l’energy storage. Gli impianti di accumulo permettono, infatti, di conservare l’energia prodotta e non utilizzata sul momento, per soddisfare le esigenze elettriche anche quando non splende più il sole. Tra i tanti prodotti arrivati sul mercato, fa capolino anche Sax Storage, batteria domestica della startup tedesca Sax Power. Il prodotto si è aggiudicato un posto in finale per l’ees AWARD 2021, il riconoscimento assegnato annualmente a quei prodotti e soluzioni all’avanguardia nel campo dello stoccaggio energetico.
Cosa ha di innovativo il sistema Sax Storage? La facilità di integrazione negli impianti fotovoltaici esistenti. Si tratta di una batteria domestica – disponibile anche in una versione “plug and play” – che fa a meno dell’inverter. Immagazzina quindi corrente continua, fornendo però elettricità sia in CA che in CC. La conversione non viene effettuata da transistor ma da un avanzato software di gestione che permette anche di bilanciare in modo ottimale lo stato di carica delle celle. Quelle più deboli non hanno quasi alcuna influenza sulle prestazioni dell’intera batteria.
“Il sistema SAX non necessita di un costoso inverter ibrido lato batteria nell’installazione”, spiega l’azienda sul proprio sito. “Basta collegarlo a una presa sicura utilizzando la tradizionale connessione via cavo. Ciò consente di risparmiare costi e spazi”. E grazie un’elettronica di potenza integrata, vanta un’efficienza del 99 per cento.
Inoltre non contiene cobalto. La batteria domestica di Sax Power impiega celle al litio ferro fosfato offrendo una potenza di 4,6 kW (3,7 kW nella versione plug-and-play), una capacità di 5,2 kWh, per un peso complessivo di 52 kg. Tuttavia può essere ampliata con moduli aggiuntivi fino a 15,6 kWh. Il sistema può anche comunicare via wireless con il contatore intelligente. Sax Power offre una garanzia di 10 anni per la sua nuova batterie domestica.
fonte: www.rinnovabili.it
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Batterie di accumulo, è possibile “resuscitare” il litio
Uno dei motivi di tale decadimento è l’inattivazione del litio stesso. In alcune batterie di accumulo si innescano meccanismi di degradazione a livello dell’anodo che portano alla formazione del cosiddetto “litio morto”, materiale isolato e inattivo. La diretta conseguenza è una riduzione dell’efficienza coulombica, influendo su prestazioni e durata della batteria.
I ricercatori della Zhejiang University of Technology in Cina e dell’Argonne National Laboratory negli Stati Uniti hanno trovato una strategia per “resuscitarlo”. Il processo, delineato in un articolo pubblicato su Nature Energy (testo in inglese), si basa su una reazione chimica nota come ossidoriduzione (redox) dello iodio. Lo studio si è focalizzato sull’interfase solido-elettrolita (SEI), strato passivante e isolante che viene prodotto sull’anodo delle batterie di accumulo agli ioni di litio durante i primi cicli di carica. Il SEI svolge un ruolo cruciale nel garantire l’efficienza, la stabilità e la sicurezza delle batterie.
In una tipica cella a unioni di litio con un convenzionale anodo in grafite, questa interfase è composta da fluoruro di litio (LiF), combinato con carbonato di litio (Li2CO3), alchil carbonato e altre sostanze. Studi recenti hanno dimostrato che nelle batterie con anodo al litio metallico, il SEI è costituito principalmente da ossido di litio (Li2O), piuttosto che da LiF. In questa tipologia di batterie la formazione di litio inattivo è un problema più frequente. Tuttavia, i potenziali vantaggi che offre come ricaricabile (es. elevata densità di carica) ne fanno il più papabile erede della tradizionale tecnologia agli ioni.
Nel loro articolo, Chengbin Jin e colleghi hanno cercato di quantificare la quantità di Li2O nello strato SEI formato sugli anodi metallici. Inoltre, hanno studiato il ruolo delle interfase nella produzione di litio morto. I risultati raccolti dal gruppo suggeriscono che una perdita di litio nel SEI e la presenza di dendriti aghiformi rotti sono le cause principali del decadimento delle prestazioni. Per ripristinare il tutto hanno utilizzato una reazione di ossidoriduzione.
“Presentiamo un metodo di ripristino del litio basato su una serie di reazioni redox dello iodio che coinvolgono principalmente I3−/I−“, hanno spiegato i ricercatori nel loro articolo. “Utilizzando una capsula ospite in biochar per lo iodio, dimostriamo che l’ossidoriduzione […] avviene spontaneamente, ringiovanendo efficacemente il litio compensado la perdita”.
Utilizzando questa strategia di progettazione il gruppo ha creato una cella con pochissimo litio nell’anodo, una durata di vita di 1.000 cicli ed un’efficienza coloumbica del 99,9%. In futuro, la strategia potrebbe portare a nuove batterie al litio metallico con prestazioni migliori o essere impiegata per estendere la vita di quelle a ioni di litio.
fonte: www.rinnovabili.it
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Tesla, i Supercharger alimentati solo con fonti rinnovabili

Tesla vuole alimentare i suoi Supercharger unicamente con fonti rinnovabili, affinché la ricarica delle auto elettriche sia il più verde possibile. È questo l’annuncio fatto dall’azienda di Elon Musk in occasione dell’ultimo Earth Day, una dichiarazione in realtà passata un po’ in sordina e ripresa poi dalla redazione di ElecTrek.
Non è la prima volta che la società californiana annuncia di voler rendere completamente rinnovabile tutta la sua catena di approvvigionamento energetico, anche se il proposito non è al momento stato raggiunto. Se tutto dovesse procedere secondo i piani, Tesla potrebbe raggiungere il traguardo entro la fine del 2021.
Le auto elettriche rappresentano la soluzione oggi più immediata per ridurre le emissioni dovute ai trasporti. Durante il loro utilizzo, queste vetture non emettono infatti gas di scarico né anidride carbonica, non contribuendo così allo smog. Un certo quantitativo di CO2 è però rilasciato in fase di produzione delle vetture, mentre la ricarica potrebbe non sempre rappresentare una misura amica dell’ambiente. Se il veicolo viene infatti collegato a colonnine alimentate con energia derivata da fonti fossili, i vantaggi ambientali dovuti alla guida vengono annullati. Pertanto, anche la rete di ricarica deve risultare il più possibilmente rinnovabile.
Nel corso dell’ultimo Earth Day, Tesla ha confermato la volontà di rendere la sua rete Supercharger completamente alimentata da fonti rinnovabili. Lo ha affermato Justin Lange, a capo proprio della divisione Supercharger del gruppo, in un breve aggiornamento sui social network:
"Tutta l’energia dei Supercharger sarà rinnovabile entro il 2021".
Per alimentare la propria rete di colonnine, Tesla solitamente si avvale della partnership con i produttori locali. A seconda delle tecnologie disponibili sul luogo di implementazione di ricarica, il gruppo di Elon Musk cerca di scegliere la fonte più sostenibile dal punto di vista ambientale. Ad esempio, in Canada ha avviato una collaborazione con Hydro Quebec per collegare tutti i Supercharger alla rete idroelettrica dell’operatore. In altri luoghi del mondo, però, questo non è sempre possibile.
Una delle soluzione che Tesla potrebbe adottare è l’implementazione di impianti fotovoltaici nei pressi delle stazioni di ricarica. Questa soluzione è in via di sperimentazione in California, dove alcuni centri Supercharger sono stati dotati di pannelli solari e grandi batterie per l’accumulo di energia, affinché la ricarica delle auto elettriche non pesi troppo sul network locale.
Fonte: ElecTrek
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Batterie auto elettriche: tipologie, vantaggi e durata
Orientarsi in questo universo non è semplice, anche perché ogni produttore garantisce delle innovazioni specifiche per aumentare la capacità di carica, l’autonomia e ridurre il più possibile i tempi di ricarica. Di seguito, qualche informazione utile.
Batterie per auto elettriche: come funzionano

Le batterie per auto elettriche non si differenziano molto, a livello di funzionamento, dalle analoghe componenti incluse in molti strumenti di uso quotidiano, dagli smartphone a molti altri dispostivi. Grazie a una reazione chimica, viene non solo prodotta energia elettrica, ma quest’ultima può essere anche immagazzinata.
Così come qualsiasi altra batteria, si può semplificare il concetto alla base come quello di una comunissima pila. Grazie a specifiche reazioni chimiche, un anodo cede un flusso di elettroni a un catodo, sfruttando un elettrolita. Quest’ultimo può essere liquido – come nella maggior parte delle batterie oggi in commercio – oppure solido. Non a caso chiamate “batterie allo stato solido”, rappresentano una grande scommessa per il futuro: sono infatti in grado di accumulare grandi quantità di energia e, di conseguenza, di estendere sensibilmente l’autonomia del veicolo.
Batterie: le tipologie

Sono diverse le tipologie di batterie che possono essere presenti all’interno di una vettura, sia classica che elettrica. Nel primo caso, la componente viene utilizzata per alimentare dispositivi interni all’abitacolo, nonché per la fase di avviamento del motore e garantire l’illuminazione di fari e altre luci montate sul veicolo. Nel secondo alimentano invece il motore, oltre che ad assolvere a tutte le altre funzioni già elencate. Fra i più comuni tipi di accumulatori, si elencano:
Batterie al piombo: tra le prime batterie inventate, già ormai più di un secolo fa, hanno rappresentato le candidate ideali per i primi esperimenti di mobilità elettrica negli anni ’90. Con un’autonomia di poco più di 100 chilometri e tempi di ricarica oltre le 10 ore, oggi vengono usate perlopiù per piccoli mezzi da lavoro;
Batterie al nichel-metallo: note anche come NiMH, sono molto apprezzate per la loro durata nel tempo, anche se l’autonomia non è delle migliori a oggi raggiunte. Montate sulle prime auto elettriche moderne, soffrono però di problematiche relative all’autonomia: perdono capacità con il crescere dei cicli di ricarica;
Batterie agli ioni di litio: oggi le più diffuse non solo sulle auto elettriche, ma anche su una lunga serie di dispositivi elettronici, offrono una buona capacità e tempi di ricarica sempre più ridotti. Alcuni produttori hanno addirittura raggiunto livelli di autonomia record – basti pensare a Tesla e alla soglia delle 400 miglia – e i tempi di alimentazione si riducono sempre di più. La loro efficienza varia però a seconda della temperatura, mentre la capacità diminuisce lentamente con i cicli di carica;
Batterie al litio allo stato solido: evoluzione delle precedenti, rappresentano oggi una vera e propria sfida per il mercato. L’elettrolita non è più liquido ma solito: in questo modo si aumenta la densità energetica della componente, garantendo un’autonomia più generosa.

Così come già accennato, oggi gli accumulatori più utilizzati per le auto elettriche sono quelli agli ioni di litio, in attesa che le batterie allo stato solido vengano distribuite su larga scala. Queste ultime vedono un ciclo di vita esteso e anche una buona capacità di utilizzo. Tendono infatti a ridurre la propria capacità di carica tra i sei e gli otto anni di utilizzo, per poi trovare altra vita altrove.
Quando la capacità di carica scende a livelli non più sufficienti per il corretto funzionamento della vettura e per garantire l’autonomia, le batterie delle auto elettriche possono essere sostituite e riutilizzate per gli impianti domestici. Ad esempio in abbinato a pannelli solari, per recuperare energia preziose per la casa anche per altro 10-15 anni dopo la rimozione dalle quattro ruote.
Costi e manutenzione
Il pacco batteria purtroppo rappresenta ancora una delle componenti più costose di un’automobile alimentata a energia elettrica. Oggi la media mondiale è di circa 100 dollari per kWh, di conseguenza per una vettura utilitario o un city car pesano sul listino di 3.000-4.000 euro.
La manutenzione è molto ridotta, fatta eccezione per la sostituzione al termine del ciclo di vita.
fonte: www.greenstyle.it
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Mercato europeo accumuli: ottime prospettive per il 2021
fonte: infobuildenergia.it
Queste sono le previsioni contenute nella quinta edizione dell'European Market Monitor on Energy Storage (EMMES) pubblicato il 23 marzo dalla European Association for Storage of Energy (EASE), la principale associazione che rappresenta le organizzazioni attive lungo l'intera filiera dello stoccaggio energetico, con il supporto della Delta-EE, società leader per la ricerca e la consulenza sull'energia.
I numeri mostrano come l'anno da poco trascorso sia stato segnato da un forte rallentamento nelle installazioni dei sistemi di accumulo nei segmenti commerciali, industriali e anche residenziali, ovvero in quelle soluzioni "behind the meter" caratterizzate da una molteplicità di tanti (più o meno) piccoli impianti distribuiti.
Viceversa, nel 2020 hanno dimostrato di saper resistere meglio alla crisi da Covid-19 tutte le installazioni di accumuli "front of the meter", cioè di quei sistemi di media-grande taglia che agiscono direttamente sulle reti elettriche fornendo ad esempio servizi ancillari (frequenza, tensione, ecc.) e di bilanciamento. In particolare, Regno Unito, Paesi scandinavi e Italia hanno contribuito con la quota più significativa all'installato "front of the meter" del 2020.
Come abbiamo già accennato, è previsto che per il 2021 le installazioni totali di sistemi di accumulo in Europa raggiungeranno i 3.000 MWh; una cifra da record, pari a più del doppio dell'installato del 2020 (1.700 MWh) e capace da sola di rappresentare quasi la metà della potenza cumulativa totale di stoccaggio elettrochimico presente in Europa, attualmente pari a circa 5.400 MWh.
Patrick Clerens, segretario generale della European Association for Storage of Energy, ha commentato: "Le eccellenti prospettive di stoccaggio per il 2021 testimoniano l'importanza di una politica di supporto e di un quadro di mercato per lo stoccaggio: l'implementazione del Clean Energy Package sta aprendo nuovi mercati in Europa e migliorando il 'business case' per gli accumuli. Il forte impegno dei responsabili politici per il Green Deal europeo e una piano verde di uscita dalla crisi causata dal Covid-19 sono estremamente promettenti per il settore dello stoccaggio".
Riferimenti
EMMES 5.0: Total Annual Energy Storage Market in Europe Expected to Reach 3,000 MWh in 2021
il comunicato stampa della EASE
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Batteria al litio ferro fosfato, l’economica che si ricarica in 10 min

L’ansia d’autonomia non abbandona il settore dei veicoli elettrici puri. Nei paesi dove la rete di rifornimento è ancora scarsa, le auto con la spina sono inevitabilmente relegate all’ambito urbano e ai piccoli tragitti quotidiani. Ecco perché il settore dell’e-mobility continua a spingere sull’accumulo, alla ricerca di un dispositivo che garantisca un lungo chilometraggio e alte velocità di ricarica. Obiettivo raggiunto, almeno sulla carta, dalla nuova batteria al litio ferro fosfato (LiFePO4) della Penn State University.
L’unità in questione non è altro che una batteria a ioni di litio che impiega litio ferro fosfato come materiale catodico e un elettrodo in carbonio come anodo. Questa tecnologia – attualmente impiegata nelle auto ibride – offre diversi vantaggi di base per il comparto dello storage. A partire dalla completa assenza di cobalto e nichel, materiali costosi e connessi a diversi criticità. Inoltre offre un ciclo di vita più lungo rispetto ad altri approcci agli ioni di litio e una tensione di scarica molto costante. Economiche, a bassa tossicità e con prestazioni ben definite, le batterie LiFePO4 possiedono tuttavia un’energia specifica inferiore rispetto alle cugine a base di cobalto.
In questo campo, gli ingegneri della Penn State hanno messo a segno importanti miglioramenti tecnologici. Come? Creando in laboratorio una batteria al litio ferro fosfato con un’autonomia di oltre 400 km, in grado di ricaricarsi in appena 10 minuti. “Abbiamo sviluppato una batteria abbastanza intelligente per i veicoli elettrici del mercato di massa a parità di costi con i veicoli con motore a combustione”, ha dichiarato Chao-Yang Wang, professore di ingegneria chimica e di scienza dei materiali. “Non c’è più l’ansia da ricarica e la batteria è conveniente”.
La super batteria al litio della Penn State
I ricercatori sostengono che la tecnologia possa mostrare una vita di almeno 3 milioni di km e riportano su Nature Energy, i segreti della loro innovazione. La chiave per una lunga durata e un “pieno” veloce è la capacità della batteria di riscaldarsi rapidamente fino a 60°C, durante i cicli di carica scarica. E di raffreddarsi altrettanto velocemente quando cessano queste operazioni.
La batteria al litio ferro fosfato di Wang e colleghi utilizza un approccio autoriscaldante. La tecnologia sfrutta una sottile lamina di nichel con un’estremità attaccata al terminale negativo e l’altra che si estende all’esterno della cella. “L’unità ha ridotto peso, volume e costo”, ha aggiunto Wang spiegando che un veicolo elettrico con questa batteria potrebbe andare da zero a 95 km l’ora in 3 secondi.
fonte: www.rinnovabili.it
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Auto elettriche, autonomia ridotta d’inverno: motivi e cosa fare
Auto elettriche e batterie durante i mesi invernali, i motivi del calo di resa nei periodi freddi e qualche possibile contromisura.
Le auto elettriche sono indicate da più parti come il futuro dei trasporti. A giocare un ruolo di primo piano sullo sviluppo del settore sono le batterie e l’autonomia che sono in grado di offrire, anche in termini di velocità di ricarica.
L’arrivo dell’inverno rappresenta un momento critico per chi possiede un’auto elettrica. Chi ha già avuto modo di passare dai mesi più caldi a quelli freddi avrà notato un calo netto nelle prestazioni delle batterie. Sistemi di accumulo che subiscono le basse temperature invernali per diversi motivi.
Uno dei motivi principali della minore resa delle batterie durante l’inverno è nella combinazione chimica dei sistemi di accumulo. In sostanza la ridotta autonomia è causata dalla presenza al loro interno di un elettrolita liquido, che con le rigide temperature invernali tende a diventare più denso.
Questo processo interferisce con la capacità di rilasciare energia durante la fase di scarica, in virtù del minore spostamento di ioni. Influisce in realtà anche sulla ricarica, tanto da rendere questa fase più lunga rispetto al solito. Una soluzione potrebbe essere quella di adottare batterie allo stato solido, che in assenza di un elettrolita liquido subirebbero in misura minore l’arrivo delle basse temperature.
Un esempio è quello offerto in questi giorni da Toyota, che ha annunciato batterie capaci di ricaricarsi per l’80% in appena 10 minuti.
Altri possibili aspetti negativi legati al clima freddo sono quelli della densità dell’aria e dell’utilizzo di pneumatici invernali. Durante i mesi più rigidi l’aria offre una maggiore resistenza al passaggio della vettura in quanto contiene un maggior numero di molecole rispetto alla bella stagione.
Gli pneumatici invernali favoriscono la sicurezza riducendo il rotolamento, “sprecando” parte della potenza erogata dalla batteria producendo un movimento parziale rispetto a quello delle gomme estive. Da considerare in ultimo l’efficienza dei sistemi di accumulo in caso di utilizzo dell’impianto di riscaldamento, affidato unicamente all’aria condizionata (mancando il motore termico che permette la diffusione del calore con la semplice ventola).
Alcune case automobilistiche hanno iniziato a mettere a punto diverse soluzioni per limitare il fenomeno. Contromisure a dire il vero necessarie anche nei mesi estivi, in quanto la resa migliore delle batterie avviene a una temperatura prossima ai 20 gradi.
Si tratta di sistemi di riscaldamento/raffrescamento delle batterie, dalla più o meno elevata efficacia. Utile in questo senso informarsi, prima di procedere con l’acquisto della nuova auto elettrica, sulla tipologia e l’efficienza del sistema applicato.
Altro consiglio è quello di ricaricare, se possibile, la propria vettura all’interno di un garage dotato di un buon isolamento termico. Si limiterà così l’effetto negativo delle basse temperature invernali quantomeno in fase di ricarica.
Fonte: DMove
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La batteria più grande d’Europa parlerà inglese
L’impianto avrà la capacità di alimentare fino a 300.000 abitazioni per due ore. Tuttavia, verrà utilizzato principalmente per sostenere e stabilizzare la rete elettrica. Il lavori di costruzione inizieranno probabilmente nel 2022, per entrare nella fase operativa nel 2024. Ad oggi, tuttavia, non sono stati forniti ulteriori dettagli tecnici o finanziari. “Siamo lieti di aver ottenuto il consenso da BEIS per il progetto Gateway”, ha dichiarato il CEO di InterGen, Jim Lightfoot. “La nostra missione è fornire le soluzioni elettriche flessibili su cui fare affidamento in un mondo a basse emissioni di carbonio e questo progetto è un’importante dichiarazione di intenti”.
La società sta anche portando avanti un secondo progetto di accumulo a batterie su larga scala a Spalding, Lincolnshire. Anche per questo ha ottenuto già le prime autorizzazioni e, a regime, dovrebbe vantare una potenza di 175 MW e una capacità di 350 MWh.
fonte: www.rinnovabili.it
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Così l’intelligenza artificiale sta accelerando lo sviluppo di batterie più veloci, efficienti e durature

Sarà l’intelligenza artificiale a far decollare le prestazioni delle batterie?
È ancora presto per dare una risposta sicura, ma nei laboratori si stanno già sperimentando algoritmi che potrebbero aiutare a sviluppare accumulatori di energia sempre più efficienti, sicuri e veloci da ricaricare.
D’altronde, ottimizzare il rendimento e la durata delle batterie al litio è un obiettivo essenziale, nell’ambito della transizione verso la mobilità elettrica e verso l’impiego massiccio di fonti rinnovabili nella generazione di elettricità, con la conseguente necessità di installare impianti di accumulo stazionario.
Così tra 2019 e 2020 un gruppo di scienziati di università e centri di ricerca negli Stati Uniti – tra cui Stanford University, Massachusetts Institute of Technology e Toyota Research Institute – ha utilizzato l’intelligenza artificiale per elaborare delle previsioni su prestazioni e durata delle batterie.
In pratica, hanno usato quelle che un articolo di Wired chiama “camere elettrochimiche della tortura” dove le celle delle batterie sono caricate/scaricate rapidamente decine di volte al giorno.
L’obiettivo è generare un flusso di dati da dare in pasto agli algoritmi di autoapprendimento.
E l’intelligenza artificiale, a forza di elaborare enormi quantità di dati, impara a svolgere autonomamente dei compiti che le sono stati assegnati in fase di training (apprendimento/allenamento), in questo caso a predire, sulla base delle esperienze passate, il tasso di rendimento delle batterie durante il loro ciclo di vita.
Il punto è che normalmente gli esperimenti di questo tipo richiedono parecchi mesi: bisogna, infatti, testare continuamente le batterie finché iniziano a degradarsi, per raccogliere i dati che consentono di predire le prestazioni future delle batterie sotto determinate condizioni di utilizzo.
Con l’intelligenza artificiale, invece, si può velocizzare tutto.
Possono bastare poche ore di autoapprendimento con flussi continui di dati, per formulare previsioni attendibili.
In una seconda ricerca, gli stessi scienziati hanno impiegato l’intelligenza artificiale per definire protocolli ottimali per la ricarica veloce delle batterie.
In circa un mese hanno ottenuto risultati che, senza algoritmi, avrebbero richiesto un paio d’anni di lavoro.
Gli algoritmi di autoapprendimento, infatti, macinando flussi di dati, hanno scoperto metodi ottimali per caricare le batterie al litio in pochi minuti senza deteriorare le prestazioni in termini di affidabilità e durata; ricordiamo che la carica super-veloce è un fattore di elevato stress per le batterie, quindi la sfida è trovare l’equilibrio tra velocità e durata.
Con gli algoritmi poi si possono testare molti altri aspetti delle batterie: uso di differenti materiali, ricette chimiche, composizione di anodo/catodo, densità energetica ottimale, e così via.
Vedremo se, a un certo punto, queste sperimentazioni usciranno dai laboratori, per sfociare in nuove batterie realizzate sulla base dei dati e delle previsioni uscite dai super computer delle intelligenze artificiali.
fonte: www.qualenergia.it
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California, avviato il più grande sistema di accumulo a batterie
L'inaugurazione dell'impianto, che consentirà di migliorare l'affidabilità della rete, avviene proprio nei giorni in cui lo stato della California è alle prese con numerosi blackout dovuti all'eccezionale ondata di calore.
Il progetto Gateway Energy Storage, da 250 MW/250 MWh, è stato realizzato nella contea di San Diego dall'azienda LS Power, utilizzando celle agli ioni di litio LG Chem. Il nuovo impianto batte il record finora detenuto dalla Hornsdale Power Reserve, un sistema di accumulo da 150 MW/193 MWh realizzato Australia con batterie fornite dalla Tesla di Elon Musk.
L'obiettivo del nuovo impianto è di ridurre i costi energetici dei clienti e di migliorare l'affidabilità della rete elettrica. Proprio lo scorso fine settimana, l'operatore della rete elettrica californiana ISO ha dovvuto effetture diverse interruzioni, per l'impossibilità di gestire l'aumento della domanda elettrica dovuto all'ondata di caldo che ha fatto impennare la domanda di energia per l'aria condizionata.
I sovraccarichi di rete si verificano quasi sempre nei momenti in cui il sole tramonta, quando cioè viene meno il fondamentale apporto del fotovoltaico. Caricando le batterie quando la produzione fotovoltaica è al massimo e/o nelle ore fuori picco, il sistema potrà fornire elettricità alla rete proprio nei momenti di massima richiesta, contribuendo così a ridurre o evitare le interruzioni nella fornitura.
La capacità di accumulo dell'impianto, attualmente pari a 250 MWh, verrà nel corso del prossimo anno aumentata a 750 MWh e successivamente fino a 1 GWh.
Riferimenti
• World’s largest battery storage system brought on line in California as blackouts loom
l'articolo su rechargenews.com
fonte: www.nextville.it
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Pile e accumulatori, raccolta +5% nel 2019 secondo il CDCNPA

Cresciuta del 5% nel 2019 la raccolta di pile e accumulatori portatili. A segnalarlo è il Centro di Coordinamento Nazionale Pile e Accumulatori (CDCNPA), che ha analizzato i dati raccolti attraverso i Sistemi Collettivi e Individuali che lo compongono. Il totale dei rifiuti recuperati lo scorso anno è stato di 10.968.215 chilogrammi, che portano il totale dal 2012 a circa 76 milioni di kg.
Due le fonti di ingresso considerate per quanto riguarda pile e accumulatori. La prima è quella relativa all’attività di raccolta operata dai Consorziati presso soggetti e strutture abilitati, iscritti al CDCNPA. La seconda avviene su base volontaria, sfruttando il servizio offerto dai Consorziati agli altri soggetti che detengono tali rifiuti.
A cambiare non sono state soltanto le quantità, sostiene il CDCNPA, ma le tipologie merceologiche. Frutto anche del sempre maggiore peso sul mercato delle batterie ricaricabili. I sistemi di accumulo al litio sono passati ad esempio dall’11% del 2014 all’attuale 25%. Le unità sono destinate a durare sempre di più, portando il termine del ciclo vita oltre i due anni. Alberto Canni Ferrari, presidente del CDCNPA:
Anche quest’anno abbiamo il piacere di pubblicare il rapporto annuale contenente i dati relativi alle nostre attività svolte nel 2019. Cresce la raccolta delle pile e degli accumulatori portatili e l’obiettivo europeo è ormai veramente a un passo. C’è un altro aspetto rilevante: il vero e proprio balzo in avanti del numero di Luoghi di Raccolta dove i cittadini possono conferire le pile. Sono stati soprattutto gli esercizi commerciali a richiedere l’iscrizione al CDCNPA e diventare così protagonisti della raccolta, con un servizio di prossimità verso i propri clienti.
Pile e accumulatori, i Luoghi di Raccolta
Come sottolineato dal presidente Alberto Canni Ferrari i Luoghi di Raccolta hanno registrato un vero e proprio “balzo in avanti”. Secondo i dati 2019 del CDCNPA quei luoghi sono risultati 10.229, aumentando del 38,3% rispetto al 2018. Un incremento di particolare rilievo, grazie soprattutto all’iscrizione dei tabaccai.
Escludendo la raccolta su base volontaria, quella operata direttamente dal CDCNPA è particolarmente elevata al Nord: 3.663.171 kg raccolti, circa tre quarti del totale, con un +9,4% rispetto al 2018. Il Centro è in flessione, -3,2%, mentre crescono del 15% Sud e Isole. Tra gli incrementi maggiori quelli registrati da Calabria (+82,44%), Puglia (+46,12%) e Veneto (+31,44%). Sul fronte accumulatori industriali e per veicoli il CDCNPA ha gestito nel 2019 176.269.000 kg di rifiuti (-4% rispetto al 2018).
Nel 2020 il CDCNPA ha continuato a garantire la continuità del servizio, senza interruzione nonostante le incertezze del periodo di lockdown. Per quanto riguarda il 2019 infine, diverse anche le iniziative di sensibilizzazione e di educazione ambientale:
Il CDCNPA e i consorziati hanno investito anche sulla comunicazione e su campagne di sensibilizzazione per diffondere buone pratiche di raccolta differenziata. Nel 2019 si è svolta la seconda edizione del progetto di educazione ambientale “Una Pila Alla Volta” che ha coinvolto centinaia di scuole e migliaia di ragazzi e ragazze in tutta Italia in un percorso didattico e un contest dedicato al riciclo delle batterie e nel 2020 è stato dato avvio a una campagna pubblicitaria nazionale in cui il team comico Casa Surace ha dispensato consigli su cosa fare con le pile esauste.
Sul fronte operativo il CDCNPA ha concordato con ANCI una proroga delle condizioni di raccolta presso le isole ecologiche gestite dai Comuni e si sta lavorando al rinnovo dell’Accordo di Programma con l’associazione stessa.
fonte: www.greenstyle.it
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