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Quattro proposte per sbloccare le rinnovabili italiane



Coordinamento Free: «Il Governo afferma che ci sono tutte le condizioni per installare, ma la realtà è che ad oggi è impossibile»

In Italia il costo delle bollette energetiche sta

Sistemi di accumulo in Italia, fino a 272 MW sul territorio

Al 31 marzo 2021 risultavano ben 43.784 sistemi installati sul territorio per una capacità massima di 333 MWh a cui si aggiungono i 250 MWh di impianti di Terna


Cresce il settore dello stoccaggio energetico nazionale ma l’attuale velocità non soddisfa le proiezioni al 2030. In realtà i sistemi di accumulo in Italia appaiono anche parecchio sotto al target che l’attuale PNIEC (a breve rivisto al rialzo) fissa per il 2023. Secondo il Piano in meno di un anno e mezzo dovremmo raggiungere una potenza installata di 8,4 GW, in termini di storage di rete o centralizzato. Oggi invece siamo a 7,4 GW, per lo più merito dei grandi impianti a pompaggio che da soli raggiungono una potenza di 7,3 GW. E per il 2030 i numeri dovrebbero lievitare a 17,4 GW con l’aiuto anche dello storage distribuito.

A ricordarlo è il report di Anie Rinnovabili che fornisce un panoramica del comparto aggiornata al 31 marzo 2021. Per quella data risultavano attivi nel paese 43.784 sistemi di accumulo elettrochimico distribuiti per una potenza complessiva di 212 MW e una capacità massima di 333 MWh. Di questi oltre 4mila sono quelli installati unicamente nei primi 3 mesi dell’anno. Il trend risulta in notevole crescita per numero, potenza e capacità di accumulo rispetto al primo trimestre del 2020. L’evoluzione di questo segmento è connesso direttamente ai trend del fotovoltaico di piccola taglia. Il 99,9% dei sistemi di accumulo installati in Italia risulta, infatti. abbinato ad un impianto fotovoltaico e di questi il 92% è abbinato ad un impianto di taglia residenziale. Al dato dello storage distribuito si aggiungono, infine le centrali elettrochimiche di Terna per altri 60 MW e 250 MWh. E solo 2 MW/3 MWh di elettrochimico centralizzato.

Energy storage, tipologie di impianto e taglia

Quando si escludono i pompaggi, la tecnologia più diffusa risulta quella a ioni Litio (96,6% circa del totale), seguita dal Piombo (3,1% circa) e dai Supercondensatori (0,1%) al pari con le batterie a volano (0,1%). E poiché la maggior parte è connessa al fotovoltaico su piccola scala, la quasi totalità (98,6%) dei sistemi risulta di taglia sotto i 20 kWh con una netta prevalenza di quelli fino ai 5 kWh (42,6%) e di quelli compresi nel range tra 5 kWh e 10 kWh (40,5%).

Analizzando la tipologia di configurazione si registra uno spostamento delle nuove installazioni a favore di quelle “lato produzione in corrente continua” rispetto ai periodi precedenti. “I sistemi di accumulo – Spiega Anie Rinnovabili – sono prevalentemente installati lato produzione in corrente continua (72%) e tale configurazione sta registrando una crescita negli ultimi anni (+17% in confronto al 2020), a discapito degli accumuli installati post-produzione (-14% rispetto allo scorso anno)”. Per i sistemi installati lato produzione in corrente alternata, invece, si registra un decremento rispetto al 2020 del 3%.

Il report mostra anche che tutte le Regioni hanno consolidato un segno positivo rispetto al primo trimestre del 2020 relativamente al numero di installazioni, alla potenza e capacità installate. La Lombardia è il territorio con il maggior numero di impianti installati (13.102 SdA per una potenza di 56 MW e una capacità di 94 MWh) seguita dal Veneto (7.270 SdA per una potenza di 33 MW e una capacità di 57 MWh), dall’Emilia Romagna (4.605 SdA per una potenza di 24 MW e una capacità di 37 MWh) e dal Piemonte (3.183 SdA per una potenza di 24 MW e una capacità di 32 MWh).

fonte: www.rinnovabili.it


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Gli Obiettivi dell’Agenda 2030 visti da vicino

“Agenda 2030. Un viaggio attraverso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”, analizza in modo puntuale gli SDGs per aiutare a comprendere i diversi temi relativi alla sostenibilità ambientale, economica e sociale




Agenda 2030. Un viaggio attraverso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile è il libro nato dalla collaborazione tra ASviS-Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile e Santa Chiara Lab dell’Università di Siena. I 17 capitoli del volume corrispondono ai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, un programma d’azione per le persone, il Pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.

La pubblicazione è nata nell’ambito di un progetto comune di Educazione allo Sviluppo Sostenibile con l’obiettivo di offrire un percorso di apprendimento tematico sui diversi temi relativi alla sostenibilità ambientale, economica e sociale di cui ciascun Goal è espressione.

Agenda 2030. Un viaggio attraverso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile contiene 25 contributi realizzati da 42 autori e autrici, in cui sono raccolti analisi e spunti di riflessione sui 17 SDGs. La pubblicazione intende fornire uno strumento di supporto a percorsi formativi sui vari temi dello sviluppo sostenibile in un’ottica di multidisciplinarità e di interconnessione tra i diversi argomenti affrontati. Il volume contiene anche riferimenti agli impatti della pandemia da Covid-19 che possono aver condizionato il raggiungimento dell’Agenda 2030.

Nel volume si parla di disuguaglianze e povertà, approfondite nell’ottica dell’equità e della giustizia sociale; sono approfonditi i temi inerenti a una sana alimentazione e nutrizione e alle buone pratiche di agricoltura sostenibile; sono analizzate le interazioni tra economia, felicità e benessere; si spiega, infine, il valore di un’istruzione di qualità e del raggiungimento della parità di genere ai fini dello sviluppo sostenibile.

Il testo esplora anche le tematiche relative alla sostenibilità delle risorse idriche, energetiche ed economiche; indaga gli aspetti caratterizzanti il fenomeno della mobilità e dell’immigrazione, delle disuguaglianze e della decrescita; evidenzia il ruolo rilevante ricoperto dalle imprese nel conseguimento della sostenibilità e nella promozione di modelli di produzione e consumo sostenibili; esamina il legame tra sostenibilità e sviluppo dei centri urbani; affronta il problema delle microplastiche e l’inquinamento dei fondali oceanici; illustra l’applicazione di soluzioni ecocompatibili grazie all’innovazione tecnologica; presenta i fondamenti biofisici e giuridici della sostenibilità, sottolineando infine l’importanza delle partnership globali per un’efficace attuazione dell’Agenda 2030.

Il rettore dell’Università di Siena, Francesco Frati, sottolinea il fatto che la sostenibilità è una delle direttrici strategiche dell’Università da oltre dieci anni. «La pubblicazione sarà sicuramente un utile supporto al nostro impegno per la formazione degli studenti sul tema, un impegno testimoniato da oltre 60 insegnamenti in 25 corsi di laurea di 12 diversi dipartimenti, oltre che da quattro corsi di laurea magistrale interamente dedicati alla sostenibilità in diversi ambiti. Inoltre l’Ateneo organizza, secondo un approccio transdisciplinare, il Corso sulla Sostenibilità, rivolto non solo a tutta la comunità accademica ma anche a partecipanti esterni, che nel 2017 è stato premiato come best practice degli atenei della RUS-Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile».

Gli fa eco Angelo Riccaboni, Presidente di Santa Chiara Lab – Università di Siena: «Promuovere una cultura della sostenibilità soprattutto nell’attuale fase di ripresa post pandemia richiede un impegno concreto per sensibilizzare, educare e formare giovani e adulti sulle sfide dello sviluppo sostenibile. A meno di dieci anni dalla realizzazione dell’Agenda 2030, l’acquisizione di adeguate conoscenze e competenze nell’ambito della sostenibilità riveste un ruolo più che mai decisivo per promuovere una partecipazione attiva, a livello globale, verso uno sviluppo equo, inclusivo e realmente sostenibile».

La pubblicazione è disponibile in versione digitale sulle pagine del sito ASviS (https://bit.ly/3hV3CTn) e del sito Santa Chiara Lab – Università di Siena (https://bit.ly/3xTh5QQ) dove è possibile consultarlo e scaricarlo gratuitamente.

fonte: www.rinnovabili.it


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Transizione e idrogeno: attenzione alle follie energetiche

Sarebbe un enorme spreco di energia e tempo usare l’idrogeno dove ci sono già soluzioni più efficienti, pulite e mature, come nel riscaldamento domestico o nella mobilità leggera. La nostra video intervista a Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Cnr.














Abbiamo di fronte una sfida enorme: per evitare gli effetti più disastrosi del cambiamento climatico e raggiungere i target europei, nel campo dell’energia dobbiamo fare in tempi strettissimi una ristrutturazione tecnologica senza precedenti.

Potrebbe essere fatale continuare a investire in tecnologie da abbandonare al più presto, come il gas, rincorrere soluzioni poco mature e incerte, come la cattura della CO2 o, peggio, affidarsi a idee ancora in fase sperimentale, come la fusione nucleare.

Bisogna “fare in fretta quello che sappiamo fare già ora”, cioè dispiegare fonti già mature come le rinnovabili, fotovoltaico in testa. Un vettore chiave come l’idrogeno, se può essere prezioso quando prodotto da Fer e usato nel modo giusto, può diventare però controproducente per la transizione energetica se prodotto in maniera “sporca” o se utilizzato in maniera inefficiente, ad esempio miscelandolo al gas.

Questa, in estrema sintesi, la visione fornitaci nella video-intervista (video qui sotto e trascrizione integrale qui) con Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Cnr e autore di vari saggi sulla transizione energetica, tra cui il nuovo “Emergenza energia, non abbiamo più tempo” (Edizioni Dedalo, settembre 2020).




Nell’intervista, tra le altre cose, Armaroli spiega che tagliare del 55% delle emissioni entro il 2030 vuol dire che “moltiplicare per 9 lo sforzo” dato che, dovendole diminuire del 45% in 9 anni dai livelli attuali, dobbiamo effettuare una riduzione tre volte maggiore in un terzo del tempo, rispetto a quanto fatto dal ‘90.

In questa sfida finte soluzioni “ponte” come il gas per Armaroli “sono parte del problema” e anche l’idrogeno cosiddetto blu, prodotto cioè da metano con cattura della CO2 risultante dal processo, rischia di essere un boomerang.

L’unica strada sostenibile per l’idrogeno, sottolinea, è produrlo con rinnovabili, ma allora bisogna accelerare su questo fronte e “i 5GW aggiuntivi al 2026 citati nel Pnrr sono troppo poco, serve almeno cinque volte tanto e al 2030 dieci volte tanto”.

Pessima poi l’idea di miscelare l’idrogeno al metano nelle condotte: oltre agli ostacoli tecnici, questo vettore non va usato dove ci sono già soluzioni pulite alternative, come nella mobilità leggera o nel riscaldamento. Scaldare un edificio con l’idrogeno verde, ad esempio, sarebbe una follia in termini energetici: “richiederebbe cinque volte più elettricità rispetto a usare una pompa di calore”.

fonte: www.qualenergia.it


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Il Wwf lancia una nuova campagna, 10 anni per rigenerare la natura italiana

Si chiama ‘ReNature Italy’. E’ un grande progetto per la natura del nostro Paese in un’ottica ambiziosa sulle cose da fare da qui al 2030. Quattro le parole chiave: connessione, ripristino, protezione, e ritorno in natura di specie importanti









L’Italia ha 10 anni di tempo per rigenerare la sua natura, e ricomporre il suo grande mosaico di biodiversità. Questo lo spirito con cui il Wwf lancia una nuova campagna, ‘ReNature Italy‘; si tratta di un grande progetto per la natura del nostro Paese che tiene insieme la visione ambiziosa su come dovremo trasformare l’Italia di qui al 2030. Sono quattro i capisaldi e le parole chiave: connessione, ripristino, protezione e rewild, cioè il ritorno in natura di specie importanti.

Secondo  Alessandra Prampolini, direttore di Wwf Italia, “in un momento in cui abbiamo la possibilità di tradurre in azione quello che ci ha insegnato la pandemia, ovvero che gli ecosistemi naturali sono cruciali per il nostro benessere e le nostre vite, dobbiamo fare il possibile per ridare spazio alla natura, ricostruendo quello che abbiamo distrutto. Il nostro messaggio è semplice: dobbiamo rigenerare l’Italia, passando da un sistema ‘nature negative’ ad una sfida ‘nature positive’”.

La campagna ‘ReNature Italy’ è la risposta concreta agli allarmi sulla perdita di biodiversità a livello globale e nazionale: una specie su due di vertebrati in Italia è minacciata d’estinzione, l’86% degli habitat europei è in cattivo stato di conservazione, perdiamo ogni giorno 16 ettari di territorio naturale sotto la pressione di cemento e degrado. Suolo fertile, ecosistemi con i loro servizi, piccoli e grandi habitat vengono trasformati e distrutti – osserva il Wwf – centinaia di tessere naturali si perdono quotidianamente, e silenziosamente, in ogni angolo del paese, e si erodono poco per volta le connessioni vitali di un ecosistema sempre piu’ fragile e il nostro capitale di natura.

La prima richiesta che viene rivolta alle istituzioni dal Wwf è quella di riportare al centro della politica il ruolo della natura, dedicando fondi significativi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) alla conservazione e al ripristino della natura. In questo modo si potrebbe cogliere la sfida della Strategia europea per la biodiversità e avviare la nuova Strategia nazionale per la Biodiversità al 2030.

Il grande progetto ‘ReNature Italy’ permetterà di migliorare l’efficacia delle aree protette esistenti, arrivando a proteggere il 30% di territorio nazionale, con un 10% tutelato integralmente, e mettendo in sicurezza tutte le foreste vetuste e più naturali d’Italia. Bisognerà ricostruire e completare la rete ecologica nazionale puntando su tre grandi corridoi ecologici principali – alpino, appenninico e della valle del Po – capaci di connettere le aree protette e sostenere la biodiversità anche a fronte degli impatti dei cambiamenti climatici e custodire il capitale naturale. Un salto di qualità è possibile soprattutto rigenerando almeno il 15% del territorio nazionale, rinaturando almeno 1.600 chilometri di fiumi, a cui negli ultimi 50 anni abbiamo tolto circa 2mila chilometri quadrati di spazio vitale, e rigenerando la natura in almeno il 10% della superficie agricola, soprattutto per gli impollinatori.

“Nessun Recovery fund ci traghetterà fuori dalla crisi in maniera duratura se non affrontiamo le radici dei problemi che stiamo vivendo, tra cui la distruzione della natura gioca un ruolo prominente – continua il Wwf – capitale naturale, biodiversità, servizi degli ecosistemi, devono entrare nei fatti e concretamente nei fondi per la ripresa e la resilienza. Cogliamo questo momento del nostro Paese, oggi abbiamo l’opportunità di ripensare il nostro modello di sviluppo anche grazie ai fondi e investimenti che nascono come Next Generation EU”. Ed è nella “profonda revisione” del Pnrr promessa dal governo Draghi che sarà possibile costruire un’occasione per delineare il futuro dell’Italia.

fonte: www.rinnovabili.it


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Economia circolare, dall'europarlamento via libera al piano della Commissione UE

Il Parlamento europeo approva la relazione sul Piano d'azione per l'economia circolare presentato dalla Commissione Ue, ma chiede obiettivi vincolanti al 2030 sull'impronta ambientale di materiali e prodotti











fonte: Ricicla.tv


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Il Portogallo dirà addio al carbone entro il 2021

L’impianto va offline in anticipo. A novembre chiuderà anche l’ultima centrale del paese. Che si unisce al ristretto club degli Stati europei coal-free



Ieri sera la centrale a carbone di Sines, in Portogallo, ha terminato definitivamente tutte le attività. Il clima ringrazia: da sola, produceva il 12% delle emissioni di gas serra del paese. Lo stop dell’impianto da quasi 1.300 MW è stato anticipato, in linea con la versione più aggiornata della strategia di decarbonizzazione di Edp (Energias de Portugal), l’azienda che lo ha gestito. Con questi progressi, la tabella di marcia permette al paese lusitano di dire per sempre addio al carbone già entro la fine di quest’anno.

I piani iniziali di Edp prevedevano la chiusura dei suoi impianti solo al 2030. Poi l’accelerazione nella transizione energetica impressa a livello europeo e la presa d’atto che il settore del carbone è sempre più in crisi hanno convinto l’azienda a velocizzare il tutto. Nell’annunciare prima l’anticipazione al 2023 e poi quella al 2021, Edp aveva citato l’aumento dei costi per le quote dell’ETS – il mercato dei crediti di carbonio europeo – e la competizione del gas naturale come fattori alla base della scelta.

Tutti gli occhi adesso sono puntati su Pego, l’ultima centrale a carbone ancora attiva in Portogallo. Anche per questo impianto è già stata decisa la data in cui chiuderà definitivamente i battenti: il prossimo novembre. A quel punto, il Portogallo sarà il 4° paese europeo ad aver abbandonato il carbone, dopo Belgio, Austria e Svezia.

“In quattro anni, il Portogallo è passato dall’avere una strategia approssimativa per uscire dal carbone entro il 2030, a piani concreti per essere senza carbone entro la fine dell’anno. Il fatto che Sines vada offline anche prima del previsto sottolinea questa realtà: una volta che un paese si impegna a produrre energia pulita, l’economia delle energie rinnovabili garantisce la transizione molto rapidamente “, ha affermato Kathrin Gutmann, campaign director per la Ong Europe

fonte: www.rinnovabili.it

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Solo auto elettriche in vendita dal 2030, svolta in Giappone

Il Giappone ha deciso per la svolta in direzione della mobilità sostenibile, dal 2030 saranno in vendita soltanto auto elettriche.




Soltanto auto elettriche in vendita dal 2030. Accadrà in Giappone, come annunciato nelle ultime ore dall’emittente statale NHK. Una svolta epocale in direzione della mobilità sostenibile per il Paese nipponico, nel quale da quella data sarà vietata la vendita di veicoli alimentati a benzina o diesel.

Il piano è stato presentato, seppure non ancora definitivamente approvato. Questo apre ancora uno spiraglio per le vetture a combustione interna, le quali potrebbero riuscire a strappare ancora qualche anno di “vita”. Nei fatti il destino sembra segnato, con il Giappone pronto a guardare in maniera decisa alle auto elettriche.

Pur in ritardo rispetto ad alcuni altri Stati, anche europei, il Giappone si conferma tra i protagonisti della mobilità sostenibile. Non a caso quasi tutti i maggiori marchi nipponici hanno inserito tra le loro fila diversi modelli 100% elettrici. Tra queste Toyota, Hyundai, Honda, ma anche quella Nissan che con la Leaf è stata a lungo protagonista del mercato mondiale delle zero emissioni.

Solo auto elettriche dal 2030, l’accoglienza in Giappone

Entusiasta l’accoglienza della popolazione all’annuncio da parte dell’emittente televisiva. A pesare sul crescente sostegno dei giapponesi alle auto elettriche anche gli elevati livelli di inquinamento nelle grandi città del Paese. Poco gradita è stata tuttavia la possibilità che i veicoli ibridi possano restare sul mercato giapponese oltre la data prefissata.

L’abbandono della vendita di veicoli alimentati a benzina o diesel non dovrebbe essere radicale. Se è vero che verrà vietato l’acquisto di auto a combustione termica esclusiva, un certo periodo di tolleranza verrà accordato alle vetture ibride. Di fatto il pieno passaggio alla mobilità elettrica dovrebbe avvenire intorno al 2035.

Fonte: Electrek


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I costi del fotovoltaico diminuiti del 30%. Già oggi è possibile riciclare il 90% dei materiali dei pannelli

La finanza sia pronta a investire per raggiungere gli obiettivi 2030. Campagna di elettricità Futura per il Green Deal






















Dal webinar “Investire nel Green Deal: i Fondi di Investimento e l’opportunità nell’Economia Sostenibile”, organizzato dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e da GreenHill Advisory, è venuta la conferma che negli ultimi 5 anni il solare fotovoltaico ha subito una vera e propria rivoluzione, attraversando rapidamente diverse fasi, dagli incentivi al consolidamento; dalla rimodulazione del programma Conto energia (la cosiddetta Feed-in Tariff) alla compressione dei rendimenti; fino all’attuale slancio dato dall’innovazione tecnologica, che oggi ha reso il settore ancora più sostenibile rispetto alle fonti tradizionali, anche in assenza di incentivi statali, raggiungendo prima del previsto la grid parity.

Un traguardo che gli ecoscettici e la lobby dei combustibili fossili ritenevano irraggiungibile e che ora apre la strada a una maggiore diffusione delle energie rinnovabili per riuscire a rispettare gli obiettivi energetici dell’Italia per il 2030 che richiedono una forte accelerazione per installazione nuova capacità rispetto a quanto fatto registrare negli ultimi 2 anni.

Intervenendo al convegno, Giuseppe La Loggia, head of energy infratructures di EOS IM Group, ha sottolineato che «Un’evoluzione del settore è quindi necessaria per consolidare il cambiamento, e contribuire al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi nazionali ed europei di green energy. La sfida attuale, in altre parole, è garantire agli investitor in economia reale opportunità in grado di sfruttare le potenzialità delle energie rinnovabili in assenza di incentivi statali. Per noi, le nuove opportunità per lo sviluppo sono progetti greenfield operanti in grid-parity, grazie al sostanziale miglioramento tecnologico raggiunto».

Secondo un’analisi realizzata da EOS IM su dati International Technology Roadmap for Photovoltaic e LONGi, «L’investimento nell’energia rinnovabile da fonte solare gode oggi di un vantaggio per cui, solo negli ultimi 5 anni, il LCOE (costo) si è ridotto di quasi il 30% dal 2015 al 2019. Negli ultimi 5 anni sono state introdotte su vasta scala innovazioni come le celle mono-cristallino, la “passivazione” (PERC) e la resa bifacciale del pannello fotovoltaico. L’avanzamento tecnologico ha portato a un importante rilancio dello sviluppo del settore, permettendo il raggiungimento delle condizioni di viabilità e di indipendenza economica degli impianti solari senza necessità di sussidi pubblici. In 30 anni la degradazione dei pannelli solari, grazie al cambio di tecnologia, è diminuita di 14 punti percentuali, permettendo una mitigazione sostanziale del rischio regolatorio, con un contestuale aumento della produzione annua e della vita utile del progetto, una maggiore produzione di energia garantita, e più a lungo. Inoltre, abbiamo oggi un minore impatto ambientale legato al decommissioning, ovvero lo smaltimento, oltre ad una notevole riduzione delle superfici occupate».

La Loggia aggiunge che «Ulteriori vantaggi legati al progressivo consolidamento tecnologico sono legati alle tecnologie di storage dell’energia nei picchi giornalieri e stagionali di produzione, che non corrispondono sempre a quelli di utilizzo, per cui tutti i nostri nuovi investimenti prevedranno la possibilità di cogliere tali opportunità».

Il convegno ha anche evidenziato «L’impatto positivo e rilevante in termini di indotto per l’economia reale della zona coinvolta da sviluppo di nuovi impianti di generazione di energia, dato il concreto potenziale in termini di occupazione e valorizzazione del territorio».

Ne è convinta anche Elettricità Futura di Confindustria che ha lanciato la campagna social “La transizione energetica: dalle parole ai fatti!” per diffondere la cultura della transizione energetica e che evidenzia la soluzione di un altro problema: quello del riciclo dei pannelli solari.

A elettricità Futura ricordano che «Quello elettrico è di fatto uno dei settori più legati all’economia circolare, dall’efficienza energetica allo smaltimento dei rifiuti. Con le tecnologie attuali si arriva tecnicamente a poter riciclare il 90% dei materiali dei pannelli fotovoltaici. La prospettiva tecnologica ci suggerisce un incremento di questa percentuale, grazie anche all’utilizzo di materiali innovativi, e di conseguenza anche dei benefici legati».
L’Associazione confindustriale cita uno studio dell’International Renewable Energy Agency ed evidenzia che «Se al 2050 riutilizzassimo in un’ottica di economia circolare i 78 milioni di tonnellate di quantitativo di materiale degli impianti fotovoltaici a fine vita, avremmo come benefici 15 miliardi di dollari in termini di ricchezza in nuove aziende e posti di lavoro locali e qualificati che si occupino di recupero dei materiali, la possibilità di ottenere 2 miliardi di nuovi pannelli e che a loro volta potrebbero creare 630 gigawatt di nuova capacità elettrica. Puntare sull’economia circolare vuol dire dare una seconda vita ai pannelli fotovoltaici, facilitando il riutilizzo di componentistiche ancora funzionanti favorendo lo sviluppo di un mercato secondario. Splende il sole sull’economia circolare. Vero! Già oggi è possibile riciclare il 90% dei materiali dei pannelli fotovoltaici. La normativa valorizzi la circolarità del solare. Green Deal ora!»

La campagna delle imprese del settore elettrico e di Elettricità Futura per il Green Deal non si ferma al fotovoltaico ma punta a «Superare le opposizioni ideologiche alla diffusione degli impianti necessari alla transizione, smentendo i miti più comuni che alimentano l’opposizione dell’opinione pubblica allo sviluppo impiantistico e che creano un’errata percezione degli impatti della decarbonizzazione per l’economia e il sistema energetico. Accrescere la cultura della transizione energetica favorendo la creazione di opinioni libere da preconcetti ideologici e basate su fatti e numeri. Tenere alta l’attenzione dei media riguardo alla necessità di impiegare le risorse del Recovery Fund per la transizione energetica».ùElettricità Futura sottolinea che «Per raggiungere il target del Green Deal 2030 è necessario realizzare in Italia almeno 65 GW di nuova potenza da fonti rinnovabili entro il 2030. In questo contesto ambizioso, acquistano significato le iniziative finalizzate a dare nuovo impulso agli investimenti per l’ulteriore sviluppo delle fonti rinnovabili. L’Italia dovrà mettere in campo azioni e politiche per favorire gli investimenti nelle rinnovabili, definendo regole chiare e armonizzate per realizzare impianti che producano più energia verde e a prezzi competitivi. Lo stesso PNIEC riconosce, all’interno della strategia per lo sviluppo delle energie rinnovabili, misure finalizzate a sostenere la salvaguardia e il potenziamento del parco di impianti esistenti. Il repowering è infatti il rinnovamento delle centrali elettriche che producono energia rinnovabile, compresa la sostituzione integrale o parziale di impianti o apparecchiature e sistemi operativi al fine di sostituire capacità o di aumentare l’efficienza o la capacità dell’impianto».

Per questo, «E’ necessario migliorare l’efficienza dei parchi eolici grazie al repowering lavorando sulla semplificazione normativa. La durata delle procedure autorizzative per l’eolico (quindi anche per il repowering) è nel nostro Paese pari a 5 anni, di gran lunga superiore a quella stabilita dalla Direttiva RED II di un anno, massimo due per casi eccezionali. Infatti, durante iter tanto lunghi, cambiano le tecnologie di riferimento, le condizioni al contorno (incluso lo sviluppo della rete e il contesto normativo regolatorio) e i progetti da autorizzare rischiano di arrivare al permitting già vecchi!»

Migliorando l’efficienza dei parchi eolici e frealizzandone di nuovi si potrebbe avere un contributo di 37 miliardi di euro per il PIL Ue e dare lavoro a 300.000 persone. In Italia occorrono 5 anni in Italia per il repowering, REDII ne prevede massimo 2 con meno burocrazia.

L’unione europea vuole raggiungere la carnbon neutrality entro il 2050, con una qualità dell’aria migliore e impatti economici positivi. Elettricità Futura fa notare che «I 55 progetti di tecnologie sostenibili analizzate da Capgemini Invent nell’ambito del rapporto “55 Tech Quests to Accelerate Europe’s Recovery and Pave the Way to Climate Neutrality” sono in grado di generare investimenti per 790 miliardi di euro l’anno e di ridurre fino a 871 milioni di tonnalle di emissioni di CO2».

Le imprese elettriche delle rinnovabili italiane sono convinte che «Il Green Deal è un’opportunità di sviluppo economico e sociale per il Paese. Nel nostro settore verranno generati benefici anche sull’occupazione e mobiliterà nei prossimi 10 anni in Italia nel solo settore elettrico circa 50.000 nuovi occupati permanenti al 2030 e 40.000 nuovi occupati temporanei annui per un totale di 90.000 nuovi occupati al 2030. Per cogliere questa grande occasione è necessario lavorare per una transizione energetica equa ed inclusiva attraverso l’adozione di policy in grado di generare benefici in termini di PIL, occupazione e riduzione delle disuguaglianze. In Italia realizzare il Green Deal significa creare 90.000 nuovi posti di lavoro al 2030 e ridurre disuguaglianze sociali. Vero! La transizione energetica favorisce occupazione e aumenta equità!»

Elettricità Futura conclude: «Per conseguire gli obiettivi del Green Deal e la proposta di innalzare il target di decarbonizzazione europeo dal 40% ad almeno il 55%, il nostro Paese dovrà impegnarsi attraverso un Piano al 2030 più ambizioso del PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima approvato dal Governo italiano a gennaio 2019). Il 70% dell’energia elettrica consumata in Italia dovrà infatti provenire entro il 2030 da fonti rinnovabili! Ciò significa che al 2030 dovremo raggiungere circa 120 GW di potenza da fonti rinnovabili rispetto ai 55 GW attuali. Un incremento di 65 GW in dieci anni che sembra ancora utopistico, se consideriamo che dovremmo costruire ogni anno impianti per 6,5 GW. Negli ultimi anni la media in Italia è stata invece di circa 1 GW. L’Italia sta perdendo l’opportunità del Green Deal: è falso che siamo sulla buona strada! Acceleriamo o di questo passo raggiungeremo i target del 2030 nel 2085!»

fonte: www.greenreport.it

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L’idrogeno attirerà investimenti per 400 miliardi di dollari fino al 2035

La stima è di Rystad Energy. Ma vediamo cosa si nasconde dietro i numeri, tra opportunità e incognite, anche secondo altri analisti.




Nelle ultime settimane si è aperta la gara a chi investirà di più nell’idrogeno, soprattutto quello “verde”, vale a dire quel vettore prodotto con elettricità 100% rinnovabile.

C’è la strategia Ue che prevede 40 GW di elettrolizzatori al 2030; ci sono i piani annunciati da vari Paesi, tra cui Germania, Francia, Spagna e anche l’Italia punta a essere della partita; ci sono progetti e iniziative avviati da utility e grandi consorzi industriali, ad esempio in Olanda per creare una “Hydrogen Valley” con elettrolizzatori alimentati da parchi eolici offshore.

Anche le lobby europee delle rinnovabili si sono mosse: Wind Europe e Solar Power Europe hanno appena lanciato una nuova coalizione che ambisce a far decollare la produzione europea dell’idrogeno pulito.

Così stanno girando numeri da capogiro sui potenziali dell’idrogeno a zero emissioni e sull’entità dei futuri investimenti, tenendo conto che l’idrogeno sta assurgendo a pilastro del Green Deal europeo volto ad azzerare le emissioni di anidride carbonica entro metà secolo.

Secondo Rystad Energy, la nuova filiera dell’idrogeno comporterà investimenti per 400 miliardi di dollari da qui al 2035 su scala globale.

La fetta più ampia della torta – si veda il grafico sotto – arriverà dai progetti per sviluppare tutte le infrastrutture e i sistemi di trasporto dell’idrogeno: si parla di 130 miliardi di dollari.



A seguire, scrive Rystad in una nota, ci saranno gli investimenti per la costruzione degli impianti (facility construction), con 120 miliardi di $, mentre il mercato delle attrezzature assorbirà, secondo Rystad, una settantina di miliardi di dollari in quindici anni.

Da precisare che la torta complessiva dei 400 miliardi include non solo i progetti per produrre idrogeno verde, ma anche quelli per produrre il cosiddetto “idrogeno blu” ricavato da fonti fossili con successiva cattura della CO2.

Peraltro, Rystad fa notare che le tecnologie CCS (Carbon capture and storage) per catturare le emissioni di carbonio, richiederanno investimenti aggiuntivi per quasi 35 miliardi di dollari nella sola Europa.

Per quanto riguarda l’idrogeno verde, Rystad si aspetta almeno 30 GW di capacità pienamente operativa entro il 2035 in tutto il mondo, su un totale di 60 GW di capacità proposta.

Il punto è che in questo momento è molto difficile valutare quali e quanti progetti saranno effettivamente realizzati, date le numerose incertezze che circondano un’industria, quella dell’idrogeno 100% da rinnovabili, ancora immatura, priva di economie di scala e bisognosa di sussidi pubblici.

Una recente analisi di S&P Global Ratings ammorbidisce un po’ lo slancio verso l’idrogeno.

L’idrogeno “pulito”, afferma S&P, è ancora un “atto di fede” (leap of faith) per le utility europee, perché molti ostacoli e incertezze si frappongono alla realizzazione di un’economia basata sull’uso di idrogeno su vasta scala.

Secondo gli analisti, molte aziende stanno “testando l’acqua” con una certa cautela, sviluppando impianti-pilota tra 10-100 MW di capacità.

E nei prossimi 3-5 anni, secondo S&P Global Ratings, con ogni probabilità i progetti rimarranno di piccola taglia e la loro realizzazione dipenderà in larga parte dalla disponibilità di fondi e incentivi pubblici.

S&P stima che nei prossimi tre anni le 15 maggiori utility europee investiranno non più di 1 miliardo di euro l’anno, in totale, in progetti di idrogeno verde. Per fare un paragone, i loro investimenti tradizionali ammontano complessivamente a circa 65 miliardi di euro l’anno.

Ma questi progetti iniziali, senza economie di scala innescate da impianti di grandi dimensioni, non riusciranno ancora ad abbattere i costi per produrre un H2 verde competitivo con H2 da fonti fossili, sempre secondo le stime di S&P.

Un altro possibile ostacolo, si legge nell’analisi, è dato dalla necessità di dedicare parecchi GW di rinnovabili alla produzione di idrogeno: si parla di 10-12 GW per alimentare 6 GW di elettrolizzatori nel 2024 come previsto dalla strategia Ue.

È una ricetta difficile da attuare nel breve termine, considerando che la crescita di potenza installata nelle fonti rinnovabili servirà ai paesi Ue anche per uscire da carbone e nucleare nel settore termoelettrico.

Poi ci sono da considerare gli enormi investimenti richiesti per realizzare nuove infrastrutture e potenziare quelle esistenti: reti di trasporto e distribuzione, impianti di stoccaggio.

Anche la futura domanda di idrogeno verde resta un’incognita, da valutare in base alla diffusione delle altre tecnologie, tra cui soprattutto le batterie per l’accumulo energetico stazionario.

fonte: www.qualenergia.it


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Sinkevicius: “Covid-19 non sia scusa per smettere di proteggere l’ambiente”















Lo scorso novembre, il lituano Virginijus Sinkevičius è diventato a soli 28 anni il più giovane commissario europeo di sempre, ricevendo in dote un portafoglio ambizioso e che guarda al domani come quello all’Ambiente.

Il millennial chiamato da Ursula von der Leyen a lavorare sui problemi della generazione Z ha concesso una lunga intervista esclusiva a EURACTIV Italia per fugare ogni dubbio su possibili ritardi nell’ambiziosa agenda verde Ue causati dalla crisi del Covid. Sinkevičius ha anche detto la sua su alcuni temi di dibattito in Italia, dalla plastic tax al problema dei rifiuti a Roma.

La Commissione europea ha inquadrato la nuova strategia Ue per la Biodiversità, presentata lo scorso 20 maggio, tra gli elementi centrali del piano di rilancio europeo post pandemia. In che modo salvaguardare la natura può rappresentare una spinta alla crescita economica?

Mantenere la natura ‘in salute’ e ripristinare il nostro capitale naturale è al centro della crescita sostenibile ed è particolarmente importante adesso per aumentare la nostra resilienza. La biodiversità è alla base di molte attività economiche e un pianeta sano è un prerequisito per la crescita delle imprese e per la ripresa dell’economia. Questo è vero in Europa ed è vero in tutto il mondo. I tre maggiori settori economici – edilizia, agricoltura, alimentazione e bevande – generano quasi 7,3 trilioni di euro e sono tutti fortemente dipendenti dalle risorse naturali.

Investire nella natura significa posti di lavoro e opportunità di business. Un periodo di alta disoccupazione e bassi tassi di interesse è il momento ideale per investire in progetti come guardino al ripristino della natura, alle aree protette, all’agricoltura biologica e alle infrastrutture verdi e blu. Ad esempio, studi sui sistemi marini stimano che ogni euro investito in aree marine protette genera un ritorno che triplica l’investimento iniziale, con un aumento dei profitti derivanti dalla protezione delle coste, dalla pesca, dal turismo, dalle attività ricreative e dallo stoccaggio del carbonio. Analogamente, il Nature Fitness Check del 2016 ha dimostrato che la rete di Natura 2000 apporta ogni anno benefici per un valore di 200-300 miliardi di euro e che gli investimenti necessari per realizzare questa rete dovrebbero sostenere fino a mezzo milione di posti di lavoro aggiuntivi. Tutto ciò dimostra che proteggere gli ecosistemi significa anche contribuire alla resilienza dell’economia locale.

La strategia per la biodiversità è anche saldamente al centro del Green Deal europeo.

Perché questa è la strada del Green Deal. Alla fine si ritorna sempre al Green Deal e alle sue componenti che costituiscono la via verso un futuro diverso, più sostenibile, e una ripresa giusta e rapida. Se non la seguiamo e torniamo a distruggere gli ecosistemi invece che proteggerli, limiteremo le opportunità di business e ridurremo il nostro potenziale di sviluppo socio-economico. Non possiamo permetterci di farlo, perché i costi sarebbero enormi. Assisteremmo a eventi meteorologici più frequenti e a un maggior numero di catastrofi naturali. Finiremmo per ridurre il Pil complessivo dell’Ue fino al 2%. E la situazione sarebbe molto peggiore soprattutto nei paesi dell’Europa meridionale, che vedrebbero il loro Pil diminuire di oltre il 4% sul lungo termine.

La crisi causata dalla pandemia ha cambiato temporaneamente le abitudini dei consumatori. Per esempio, se prima si preferiva andare a cena fuori, per un po’ si è stati costretti a ordinare cibo da asporto. Ritiene che questi aspetti dell’economia “take away” potrebbero aumentare la dipendenza dalla plastica monouso?

La crisi ha effettivamente modificato il nostro comportamento e stiamo seguendo attentamente questi cambiamenti per individuare le tendenze che influenzeranno le nostre politiche a lungo termine. La domanda di certi cibi da asporto può essere cresciuta, ma molto probabilmente si tratta di un fenomeno temporaneo, limitato alla durata del confinamento. D’altra parte, ci sono altre importanti tendenze che emergono dall’attuale crisi e che sono legate più ai diversi modelli di lavoro e di tempo libero, all’accesso agli spazi verdi, alle opzioni di mobilità pulita e a una maggiore attenzione alle opportunità di risparmio.

Costruire la sostenibilità e la resilienza nel tessuto della nostra società, nelle nostre abitudini, è più importante che mai. Le sfide ambientali non sono scomparse con la crisi. Il cambiamento climatico si sta aggravando, portando una pressione ancora maggiore sulla nostra fragile natura e sulla biodiversità. L’inquinamento da plastica rimane una delle nostre principali preoccupazioni ed è ancora importante cambiare le nostre abitudini sul monouso.

Crede che questo fenomeno temporaneo possa insidiare quel divieto alla plastica monouso che sarà in vigore in Ue dal 2021?

Pur considerando appieno le conseguenze della crisi, le misure dell’Ue per affrontare gli usi non sostenibili e i rifiuti sono state ampiamente sostenute, e non credo che questo cambierà. Ad ogni modo, la legislazione dell’Ue non vieta i contenitori per alimenti monouso, ma richiede una sostanziale riduzione del loro utilizzo. D’altronde, chi ha detto che gli imballaggi per il cibo da asporto devono essere monouso? Gli argomenti a favore degli imballaggi riutilizzabili non sono cambiati. Ci sono molti esempi di buone pratiche in tutta l’Ue, e ne verranno sviluppati altri. La riduzione dei rifiuti è al centro di molte iniziative del nuovo Piano d’azione per l’economia circolare, in particolare per quanto riguarda gli imballaggi e la plastica.

La gente vuole questo cambiamento e lavoreremo a stretto contatto con tutte le industrie interessate. Nell’ambito della strategia “Farm to Fork” ci impegniamo ad aiutare l’intera industria alimentare a ridurre il proprio impatto ambientale. Ciò significa anche lanciare iniziative legislative per rivedere la legislazione sui materiali a contatto con gli alimenti per migliorare la sicurezza alimentare e la salute pubblica, per sostenere l’uso di soluzioni di imballaggio innovative e sostenibili con materiali ecologici, riutilizzabili e riciclabili.

Il governo italiano ha rinviato di un anno l’entrata in vigore di una plastic tax che rispettava gli obiettivi Ue di riduzione delle materie plastiche. Si aspetta simili passi indietro da altri Stati membri?
Gli impatti della crisi sulla nostra economia e sulla società sono di vasta portata e in molti Stati membri sono addirittura drammatici. Senza dubbio porteranno molti cambiamenti. La Commissione ha fatto tutto il possibile per fornire flessibilità laddove è veramente necessario e dovremo certamente tenere conto dell’impatto diretto della crisi nella pianificazione del nostro lavoro futuro. Per questo motivo, ad esempio, abbiamo modificato il programma di lavoro della Commissione per il 2020, al fine di riorientare i nostri sforzi e dare priorità alle azioni necessarie per stimolare la ripresa e la resilienza dell’Europa.

Ma quello che non possiamo certo fare è usare la crisi come scusa generale per indebolire gli sforzi per proteggere il nostro ambiente e la nostra salute dalle pressioni causate dall’inquinamento. Una corretta gestione dei rifiuti che pone la prevenzione dei rifiuti al vertice rimane una priorità. Continuiamo a sostenere gli Stati membri nell’attuazione della legislazione comunitaria in materia. Laddove vediamo un aumento dei rifiuti legati all’attuale crisi sanitaria, in particolare dei rifiuti delle strutture sanitarie, lavoriamo a stretto contatto con gli Stati membri per affrontare le sfide che si trovano ad affrontare. Stiamo anche monitorando la situazione generale della produzione di rifiuti. Le esperienze di precedenti periodi di difficoltà economiche indicano che la produzione di rifiuti può effettivamente diminuire in generale.

Stiamo anche continuando il nostro lavoro per ridurre l’inquinamento da plastica. Il termine ultimo per il recepimento della direttiva Ue sulle materie plastiche monouso nella legislazione nazionale è luglio 2021 ma le misure necessarie possono essere introdotte gradualmente. Così, ad esempio, la riduzione del consumo per quanto riguarda i contenitori per alimenti monouso sarà valutata entro il 2026, rispetto ai livelli del 2022. Questi obiettivi, molti dei quali non devono essere raggiunti nell’immediato futuro, non sono cambiati e non credo che cambieranno.

Tornando sulla plastic tax, è stata molto criticata dall’industria italiana del packaging, tra i leader mondiali in questo campo. Come si può convincere il settore a sostenere gli obiettivi di riduzione, invece che combatterli?

Avremo sempre bisogno di imballaggi e, probabilmente, ci sarà sempre un posto per gli imballaggi di plastica nell’industria. L’imballaggio protegge il prodotto, aumenta la durata di conservazione degli alimenti e può essere utilizzato per trasmettere informazioni importanti ai consumatori. Ma c’è una grande differenza tra questo ruolo importante e gli imballaggi non necessari che sono semplicemente uno spreco di risorse. E se non smetteremo di gettare indistintamente i rifiuti di plastica, la pressione ad adottare misure sempre più severe sulla plastica non è affatto destinata a diminuire, in quanto si tratta di una questione di seria preoccupazione per l’opinione pubblica.

L’intera economia dell’Ue deve migrare da un modello lineare, in cui utilizziamo e buttiamo via risorse preziose con sempre maggiore velocità, a un modello circolare, in cui manteniamo i materiali nell’economia il più a lungo possibile. Lo stesso vale per l’imballaggio. Si deve passare ad alternative riutilizzabili, riducendo al minimo la quantità e la complessità dei materiali utilizzati e garantendo che l’imballaggio sia effettivamente riciclato. Questo significa anche una migliore progettazione, ed è per questo che la Commissione sta attualmente lavorando ad una revisione dei requisiti essenziali per l’immissione sul mercato Ue degli imballaggi.

L’obiettivo è che, entro il 2030, tutti gli imballaggi immessi sul mercato siano riutilizzabili e riciclabili in modo economicamente conveniente. I decisori politici stabiliscono gli obiettivi, creano condizioni quadro favorevoli e forniscono sostegno. Ma abbiamo bisogno che le aziende del settore del packaging apportino le innovazioni di cui la società ha bisogno. Questi investimenti daranno i loro frutti e apriranno nuovi mercati. È un’opportunità per il settore, un’opportunità per andare avanti.

In Italia c’è anche l’annoso problema delle discariche illegali, finora costato caro per via delle multe che arrivano da Bruxelles. La nuova strategia Ue per l’economia circolare può aiutarci in qualche modo?

Il nuovo Piano d’azione per l’economia circolare è stato concepito per fornire un percorso per affrontare la sfida dei rifiuti che sia orientato al futuro. Riducendo la quantità di rifiuti prodotti, si riduce anche la pressione sulla gestione dei rifiuti e, a sua volta, su opzioni come lo smaltimento in discarica. In questo modo, l’Italia potrebbe finire per investire molto meno nella costruzione e nella manutenzione delle discariche. E naturalmente ci sono anche fondi Ue disponibili per progetti di selezione rifiuti, raccolta differenziata e aumento del riciclaggio.

In Italia il problema delle discariche è ancora molto reale e una maggiore circolarità, combinata a ulteriori sforzi per una corretta gestione dei rifiuti, porterebbe notevoli benefici. Già nel 2014 la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha imposto sanzioni finanziarie all’Italia per almeno 200 discariche non conformi. La Commissione deve applicare questa sanzione fino a quando tutte queste discariche non saranno rese conformi. Da allora, molte sono stati riabilitate, ma ce ne sono ancora una quarantina che richiedono ulteriore lavoro. E dobbiamo essere sicuri che ci siano controlli frequenti ed efficaci per prevenire casi simili in futuro.

Poi però ci sono casi conclamati come quello di Roma che ha preferito ‘spedire’ altrove migliaia di tonnellate di rifiuti in passato.

La situazione rifiuti a Roma si fa notare. Gli impianti di trattamento dei rifiuti organici e delle discariche sono insufficienti e ci sono state segnalazioni di problemi concreti che la raccolta e la gestione pongono alle autorità responsabili per la raccolta e la gestione di tutti i rifiuti prodotti. Una soluzione è stata quella di spedire i rifiuti in altre regioni italiane. Ciò è legalmente possibile, a condizione che le spedizioni siano monitorate e aderiscano a un quadro giuridico che ne garantiscano la tracciabilità. Ma non è la soluzione migliore, inoltre la spedizione di tali rifiuti in altri Stati membri si è rivelata particolarmente problematica.

Siamo ben consapevoli delle difficoltà di Roma, in parte dovute ai forti flussi della popolazione, ma i problemi di fondo devono ancora essere affrontati. È in corso di approvazione un nuovo piano di gestione dei rifiuti per la Regione Lazio, e mi auguro che corrisponda alla nuova normativa comunitaria sulla gestione dei rifiuti adottata nel 2018. Abbiamo bisogno di un approccio integrato, con una rete adeguata di impianti di trattamento dei rifiuti per affrontare il problema. Un nuovo piano di gestione dei rifiuti, insieme a un significativo cambiamento della legislazione sui rifiuti, è l’occasione perfetta per correggere le carenze individuate in passato, e spero vivamente che possa aprire la strada a soluzioni sostenibili per la gestione dei rifiuti in tutta la regione.

Un altro punto del suo mandato da commissario riguarda la microplastica, ma in realtà se ne sa molto poco. Cosa bolle in pentola?

È un problema serio, e ne stiamo imparando di più ogni giorno. Sappiamo che le microplastiche sono diffuse nell’ambiente, nell’aria, nel suolo, nei sedimenti, nelle acque dolci, negli oceani, nelle piante, negli animali e in parti della catena alimentare. Comprensibilmente, i cittadini sono preoccupati. Come annunciato nel nuovo Piano d’azione per l’economia circolare, stiamo sviluppando misure per limitare l’uso di microplastiche aggiunte intenzionalmente nei prodotti e per affrontare le emissioni involontarie di prodotti come i tessuti, i pneumatici e i pellet.

Stiamo tenendo conto del parere dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche, che sta attualmente lavorando su un dossier di restrizione Reach [la direttiva del 2006 sulle sostanze chmiche]. La restrizione si applicherebbe a tutta l’Ue e potrebbe riguardare le microplastiche aggiunte intenzionalmente in molteplici applicazioni. Inoltre, tale restrizione, che potrebbe essere in vigore già nel corso del 2021, potrebbe portare a una riduzione delle emissioni di microplastiche di circa 500 mila tonnellate nei prossimi 20 anni.

Per quanto riguarda i rilasci non intenzionali di microplastiche, lanceremo presto uno studio per analizzare le possibili soluzioni per affrontarli da tre categorie di fonti: i pellet di plastica di pre-produzione, i tessuti sintetici e i pneumatici per auto. Tutti i soggetti interessati saranno naturalmente consultati. Lo studio sarà utilizzato come base per la valutazione dell’impatto di future azioni legali in questo settore.

fonte: https://euractiv.it


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Mille miliardi di dollari in rinnovabili sono tanti? La lotta per il clima ne chiede molti di più

Analisi e considerazioni dal nuovo rapporto Unep-BNEF sugli investimenti in tecnologie pulite.


Se investire 1000 miliardi di dollari in fonti rinnovabili nei prossimi dieci anni in tutto il mondo vi sembra tanto, siete sulla strada sbagliata.
Dal 2010 al 2019 le fonti rinnovabili – esclusi i grandi impianti idroelettrici – hanno attirato investimenti per quasi tre volte tanto: 2.700 miliardi di dollari su scala globale. E quei mille miliardi impallidiscono anche di fronte allo sforzo richiesto per raggiungere gli obiettivi climatici fissati dall’accordo di Parigi, cioè limitare ben sotto 2 gradi l’aumento delle temperature medie terrestri in confronto all’età preindustriale.
Queste considerazioni emergono dal rapporto Global Trends in Renewable Energy Investment 2020 realizzato dal programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep: UN Environment Programme) in collaborazione con Bloomberg New Energy Finance (BNEF).
Torniamo ai mille miliardi di $: con questa cifra, secondo gli esperti che hanno preparato lo studio, si andrebbero a installare circa 826 GW di nuove fonti rinnovabili al 2030 a livello mondiale – sempre escludendo il grande idroelettrico – sommando i piani dei governi e quelli delle multinazionali.
Quindi meno dei 1.200 GW di rinnovabili sviluppati nel decennio precedente al costo di circa 2.700 miliardi di $; è bene ricordare che con il passare del tempo le tecnologie pulite, come l’eolico e il solare, diventano sempre più competitive perché diminuiscono i costi per l’installazione, operatività, manutenzione e così via: si parla di valori LCOE, Levelized Cost of Electricity, cioè il costo “tutto compreso”  per produrre energia elettrica con una data tecnologia per il suo intero ciclo di vita.
Ecco perché, ad esempio, nel 2019 gli investimenti in rinnovabili sono rimasti sostanzialmente piatti in confronto al 2018, con 282 miliardi di dollari vs 280 miliardi l’anno precedente, ma la capacità “verde” che si è potuta installare con quella somma di denaro è aumentata di una ventina di GW da un anno all’altro, da 164 GW nel 2018 a 184 GW dodici mesi dopo.
Tuttavia, il traguardo climatico fissato dall’accordo di Parigi richiederebbe di realizzare circa 3.000 nuovi GW di fonti pulite da qui al 2030, più del triplo di quanto già pianificato da governi e aziende.
Mille miliardi di dollari e 826 GW sono tanti, ma non così tanti, se i paesi puntano davvero a ridurre in modo drastico e urgente le emissioni di anidride carbonica per combattere il cambiamento climatico.
Di conseguenza, osserva l’amministratore delegato di BNEF, Jon Moore, “l’energia rinnovabile è a un bivio nel 2020”, perché “gli obiettivi ufficiali per il 2030 sono lontani da ciò che è richiesto per affrontare il cambiamento climatico”.
Tra i progressi ottenuti nel 2019, BNEF ricorda: 118 GW di nuova potenza installata nel fotovoltaico (record annuale); 30 miliardi di dollari investiti nell’eolico offshore, +19% sul 2018 (record annuale anche questo); 78 GW di potenza rinnovabile assegnata tramite aste competitive in tutto il mondo (un altro record, così come i 20 GW di rinnovabili assegnati con contratti PPA aziendali).
La lista dei record potrebbe continuare; eppure, governi e multinazionali sono chiamati a compiere uno sforzo maggiore, soprattutto adesso che si sta decidendo come spendere i finanziamenti multi-miliardari previsti dai piani di rilancio economico post-Covid.
Vedremo se l’Europa riuscirà a tenere il passo. Intanto una cinquantina di aziende e utility – tra cui Enel – che aderiscono alla piattaforma Re-Source, hanno scritto una lettera ai governi degli Stati membri Ue chiedendo di favorire, nei pacchetti di ripresa economica, gli investimenti in rinnovabili e in particolare gli investimenti regolati dai contratti corporate PPA, quei contratti di lungo termine che garantiscono forniture di energia 100% verde alle imprese.
Documenti allegati:
fonte: www.qualenergia.it

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