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Il Portogallo dirà addio al carbone entro il 2021

L’impianto va offline in anticipo. A novembre chiuderà anche l’ultima centrale del paese. Che si unisce al ristretto club degli Stati europei coal-free



Ieri sera la centrale a carbone di Sines, in Portogallo, ha terminato definitivamente tutte le attività. Il clima ringrazia: da sola, produceva il 12% delle emissioni di gas serra del paese. Lo stop dell’impianto da quasi 1.300 MW è stato anticipato, in linea con la versione più aggiornata della strategia di decarbonizzazione di Edp (Energias de Portugal), l’azienda che lo ha gestito. Con questi progressi, la tabella di marcia permette al paese lusitano di dire per sempre addio al carbone già entro la fine di quest’anno.

I piani iniziali di Edp prevedevano la chiusura dei suoi impianti solo al 2030. Poi l’accelerazione nella transizione energetica impressa a livello europeo e la presa d’atto che il settore del carbone è sempre più in crisi hanno convinto l’azienda a velocizzare il tutto. Nell’annunciare prima l’anticipazione al 2023 e poi quella al 2021, Edp aveva citato l’aumento dei costi per le quote dell’ETS – il mercato dei crediti di carbonio europeo – e la competizione del gas naturale come fattori alla base della scelta.

Tutti gli occhi adesso sono puntati su Pego, l’ultima centrale a carbone ancora attiva in Portogallo. Anche per questo impianto è già stata decisa la data in cui chiuderà definitivamente i battenti: il prossimo novembre. A quel punto, il Portogallo sarà il 4° paese europeo ad aver abbandonato il carbone, dopo Belgio, Austria e Svezia.

“In quattro anni, il Portogallo è passato dall’avere una strategia approssimativa per uscire dal carbone entro il 2030, a piani concreti per essere senza carbone entro la fine dell’anno. Il fatto che Sines vada offline anche prima del previsto sottolinea questa realtà: una volta che un paese si impegna a produrre energia pulita, l’economia delle energie rinnovabili garantisce la transizione molto rapidamente “, ha affermato Kathrin Gutmann, campaign director per la Ong Europe

fonte: www.rinnovabili.it

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Clima e inquinamento: sei giovani portoghesi fanno causa a 33 paesi

Sei giovanissimi portoghesi tra gli 8 e i 21 anni hanno fatto causa a 33 Paesi per le troppe emissioni inquinanti prodotte: hanno intentato la causa presso la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.




Sei giovani e giovanissimi portoghesi, di eta' compresa tra gli 8 e i 21 anni, hanno intentato presso la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo una causa contro 33 Paesi per le troppe emissioni inquinanti prodotte. L'accusa mossa dagli attivisti agli Stati - tra i quali figurano, oltre ai 27 Paesi Ue, anche Svizzera, Turchia, Norvegia, Ucraina e Russia - e' di minare il diritto di stare all'aperto e di vivere senza ansia, a causa delle emissioni prodotte nei propri confini e a quelle dovute ai processi di estrazione e al commercio internazionale.

I giovani pertanto chiedono che la Corte faccia rispettare standard precisi per l'inquinamento.

Fonti concordanti indicano che si tratta della prima causa che interessa nello stesso momento piu' Paesi, chiamati a rispondere delle proprie azioni nei confronti del cambiamento climatico. L'azione legale e' stata intentata dopo che il Portogallo ha registrato il luglio piu' caldo degli ultimi 90 anni, ma l'idea era nata gia' tre anni fa, quando la zona di Leiria, da cui provengono quattro dei ragazzi, era stata distrutta da una serie di incendi che avevano ucciso 120 persone.

Grazie a una campagna di crowdfunding, pubblicata sulla piattaforma CrowdJustice, i querelanti hanno raccolto 30.000 euro con cui pagare le spese legali iniziali. Uno dei ragazzi, Sofia Oliveira, di 15 anni, ha raccontato al quotidiano britannico 'The Guardian': "Abbiamo visto ondate di caldo insopportabili che causano carenza d'acqua e danneggiano la produzione di cibo e violenti incendi che ci fanno paura. Se vediamo gia' questi fenomeni estremi nel 2020, come sara' il futuro?".

Gerry Liston, uno degli avvocati dell'ong Global Legal Action Network (Glan), che sostiene la causa, ha dichiarato al portale Climate Home News che il caso potrebbe "esercitare un livello significativo di pressione sui governi europei affinche' adottino riduzioni delle emissioni richieste dalla scienza".




fonte: www.ilcambiamento.it


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Portogallo: contro la crisi, via libera all’autoconsumo rinnovabile

Il ministro dell’Ambiente e dell’azione per il clima, João Pedro Matos Fernandes, ha firmato un’ordine che consente a 220 progetti di piccoli prosumer di iniziare subito a produrre energia verde




Via libera all’autoconsumo rinnovabile per aiutare i cittadini colpiti dalla crisi a risparmiare sulle bollette energetiche. Questa la mossa del Portogallo che oggi si rivolge direttamente ai piccoli prosumer nazionali. Il ministro dell’Ambiente dell’Azione climatica, Joao Pedro Matos Fernandes, ha firmato il 9 aprile, l’ordine per sbloccare 220 progetti di autoconsumo rinnovabile e di solare di piccola taglia. Si tratta di impianti residenziali che, come da norme portoghesi, stavano attendendo una serie di autorizzazioni prima di poter essere connessi e iniziare a produrre energia.

Nel dettaglio, l’iter burocratico prevede l’ottenimento di un certificato di operatività, che è legato ad un’ispezione preventiva. La crisi del coronavirus ha però determinato forti restrizioni anche per queste attività e il Governo è corso ai ripari.

“Poiché la situazione attuale e la sua durata sono caratterizzate da grandi incertezze, la Direzione Generale dell’Energia, su richiesta del Ministero dell’Ambiente ha proposto di sostituire il certificato di operatività con un certificato provvisorio che rimarrà in vigore per la durata lo stato di emergenza“. Il Dicastero ha sbloccato così 220 progetti in attesa dell’ispezione, per una potenza complessiva di 30 MW di energia pulita.

Le autorizzazioni, ha sottolineato Fernandes, sono state concesse per consentire ai proprietari dei sistemi di iniziare a produrre subito energia e beneficiare così di bollette più basse durante la pandemia di Covid-19. Il normale regime burocratico verrà ripristinato una volta revocato lo stato di emergenza.

Il governo portoghese ha redatto norme ad hoc sull’autoconsumo rinnovabile e l’accumulo residenziale a ottobre del 2019. Le regole, entrate in vigore il primo gennaio 2020, stabiliscono per la prima volta che l’energia dei piccoli impianti domestici e commerciali possa essere venduto al mercato spot o mediante accordi bilaterali di acquisto.
Inoltre forniscono un quadro legislativo per le cosiddette “comunità energetiche”, consentendo a cittadini e imprese che desiderano diventare prosumer di aggregare i propri sforzi in progetti collettivi.

fonte: www.rinnovabili.it


                                
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La più grande turbina eolica galleggiante inizia a generare energia

Il progetto WindFloat Atlantic entra nel vivo della fase pre-commerciale accendendo il primo dei tre aerogeneratori da 8,4 MW a largo della costa di Viana do Castelo
















La più grande turbina eolica galleggiante al mondo ha iniziato a produrre energia al largo delle coste del Portogallo. L’aerogeneratore, un MHI Vestas da 8,4 MW di potenza, fa parte del progetto WindFloat Atlantic nato per testare la tecnologia di sfruttamento del potenziale eolico in mare a profondità superiori a 40 metri.

L’iniziativa è portata avanti dal consorzio Windplus, che comprende l’utility portoghese EDP Renewables con una quota del 54,4%, il colosso dell’energia francese Engie con il 25%, la spagnola Repsol con il 19,4% e Principle Power, lo sviluppatore dell’innovativa piattaforma galleggiante su poggia la turbina. Ed è proprio la piattaforma l’elemento chiave del progetto: in grado di adattarsi agli aerogeneratori multi MW, la struttura è semi-sommergibile e ancorata al fondale marino attraverso dei cavi. La sua stabilità è dovuta all’uso di “piastre di intrappolamento dell’acqua” sul fondo dei tre pilastri, associate a un sistema di zavorra statica e dinamica. 

L’assenza delle tradizionali fondamenta permette di implementare progetti in acque più profonde rispetto agli attuali parchi eolici offshore, riducendo l’impatto visivo e aumentando la capacità potenziale. Per alcuni mercati privi di zone poco profonde disponibili, come la California o il Giappone, le basi flottanti potrebbero fare la differenza per l’avvio di un comparto offshore praticabile e scalabile.
L’avvio della gigantesca turbina eolica galleggiante rappresenta in realtà l’inizio della fase pre-commerciale del progetto; alle spalle ci sono 5 anni di test pilota che hanno verificato e migliorato le prestazioni della tecnologia.
A regime l’impianto, localizzato a 20 chilometri dalla costa du Viana do Castelo, dove la profondità dell’acqua raggiunge i 100 metri, sarà costituito da tre aerogeneratori – tutte unità MHI Vestas – per una capacità totale di oltre 25 MW. E dovrebbe produrre energia sufficiente a soddisfare i fabbisogni elettrici di 60mila case. Questa tecnologia, ci tengono a sottolineare i partner, possiede dei grandi vantaggi che la rendono più accessibile e conveniente, a partire dal suo assemblaggio con gru onshore standard a livello del porto e l’uso di metodi comuni di trasporto marittimo, come i rimorchiatori, invece di costose navi per installazioni offshore.

Nel 2016, un impianto simile era stato approvato in Francia, con quattro piattaforme che utilizzavano però turbine eoliche da 6 MW, montate sulla struttura WindFloat. E anche in questo caso il progetto, battezzato con il nome “Les éoliennes flottantes du golfe du lion” (EFGL), portava la firma di Engie e EDP Renewables.

fonte: www.rinnovabili.it

La spinta dal basso che illumina il fosco futuro climatico

Con la strada per la decarbonizzazione globale piena di curve e tutta in salita quale peso potranno avere i movimenti di ribellione per il clima?
















Scena 1
Ogni anno le stime sulle dinamiche dei veicoli elettrici diventano più interessanti. Bloomberg valutava nel 2017 che la competitività rispetto alle auto convenzionali sarebbe arrivata nel 2026, cioè nove anni dopo; nel 2018 la stima era scesa a sei anni, cioè nel 2024, mentre oggi si parla del 2022.
E parallelamente si alzano le valutazioni sulla quota di auto elettriche che circoleranno nel 2025 e nel 2030. Con la Norvegia in fuga, dove a marzo addirittura il 58% delle auto vendute erano elettriche.
Scena 2
Nel 1999 veniva installato nel mondo meno di 1 GW fotovoltaico, lo scorso anno sono stati realizzati più di 100 GW, grazie ad una riduzione dell’84% del costo dei moduli rispetto ai valori del 2010.
E in tutti gli ultimi otto anni gli investimenti mondiali nelle rinnovabili hanno oscillato attorno ai 300 miliardi $. Una bella cifra, ma la cosa interessante è il dato che, a parità di investimenti, la potenza solare ed eolica installata nel 2018 è risultata 2,4 volte superiore rispetto a quella del 2011.
Per finire, due flash. Uno dalla Germania dove nel mese di marzo le rinnovabili hanno generato il 54% dell’elettricità. Il secondo dal Portogallo dove l’anno scorso le rinnovabili hanno generato il 52% dei kWh.
Ma le disruptive technologies non bastano
Le scene di questi successi delle “disruptive technologies” potrebbero continuare, evidenziando le portentose opportunità fornite da soluzioni sempre più efficienti e meno costose.
Ma pare sempre più evidente che queste tecnologie, seppure indispensabili, da sole non bastano.
Nell’ultimo biennio le emissioni mondiali di anidride carbonica sono infatti aumentate di 1,1 miliardi di tonnellate, una quantità pari a tre volte la produzione italiana di CO2.
E, pur essendo in forte crescita, la produzione aggiuntiva delle rinnovabili nel 2018 è riuscita a soddisfare meno della metà dell’incremento mondiale della domanda elettrica.
Dunque le emissioni crescono, mentre per non superare l’incremento di 2 °C dovremmo iniziare a diminuirle, arrivando ad azzerare il loro contributo netto entro 40-50 anni. Uno scenario che per i paesi industrializzati comporterà necessariamente uno sforzo maggiore rispetto a quello richiesto a quelli in via di sviluppo, con una decarbonizzazione da raggiungere entro la metà del secolo, un obbiettivo fatto proprio dall’Europa. Naturalmente i tagli sarebbero decisamente più incisivi se si volesse evitare di superare l’incremento di 1,5 °C.
E questa è solo una delle criticità ambientali. Basti pensare alla perdita di biodiversità che sta raggiungendo livelli impressionanti, tanto che gli scienziati ritengono che siamo entrati nella sesta estinzione di massa nella storia del pianeta.
Il futuro è dunque decisamente problematico.
La ribellione climatica
Ecco, è proprio la contraddizione tra la crescita delle emissioni e le indicazioni della comunità scientifica sui rischi della crisi climatica e sui tagli che sarebbero necessari che fa scattare la protesta dei giovani, dagli scioperi studenteschi di Greta ai blocchi pacifici dei ponti di Londra di Exctintion Rebellion, al Green New Deal sostenuto da Alexandra Ocasio Cortez.
Tutti con indicazioni molto radicali sia sul versante ambientale, che su quello sociale. “Giustizia climatica” è una loro comune richiesta proprio per sottolineare le responsabilità di chi ha iniziato il disastro e le ripercussione che colpiscono maggiormente i più deboli.
Per intenderci, la proposta statunitense indica una serie di obbiettivi tanto ambiziosi da risultare impraticabili, come quello di arrivare entro 10 anni al 100% di elettricità rinnovabile.
Ma proprio queste proposte e le mobilitazioni connesse hanno riaperto il dibattito portando consensi inaspettati. Un recente sondaggio sui contenuti energetici del Green New Deal ha evidenziato come il 40% dei cittadini Usa si dica decisamente d’accordo con questi scenari e solo il 18% si dichiari contrario.
Il programma delle giovani e agguerrite rappresentanti nel Congresso ha anche una forte valenza sociale, come dimostra la proposta di realizzare l’assistenza sanitaria universale.
Una cosa è certa: queste “provocazioni” hanno decisamente innalzato l’attenzione sulle scelte politiche da adottare e sulla possibilità di avviare una trasformazione ecologica dell’economia.
Così il sindaco di New York Bill De Blasio lo scorso 22 aprile, giornata della Terra, ha lanciato il suo Green New Deal con l’obbiettivo di ridurre entro il 2030 del 40% le emissioni della metropoli, concentrandosi sugli incredibili sprechi energetici dei grattacieli di vetro e acciaio.
“Se non li riqualificheranno entro la fine del prossimo decennio pagheranno multe milionarie. E in futuro non si potranno più costruire edifici inefficienti”, ha detto il sindaco, confortato anche dai risultati della riqualificazione in atto dell’iconico Empire State Building che consentirà di ridurre i consumi del 38%.
Ma programmi ambiziosi vengono elaborati in giro per il mondo.
Un Green New Deal è stato proposto anche dagli ambientalisti per l’Europa con obbiettivi molto netti: zero emissioni entro il 2045, 100% elettricità pulita entro il 2040, un risparmio energetico di almeno il 50% al 2030 dei consumi attuali e l’introduzione di una tassazione socialmente giusta e sostenibile della CO2.
Sia in Cina che in India è forte la discussione su come accelerare le politiche ambientali, la diffusione delle rinnovabili, il decollo dei veicoli elettrici…
E c’è chi propone un Green New Deal su scala globale come unica soluzione per vincere la sfida climatica, puntando cioè ad un Accordo di Parigi dotato di seri strumenti di intervento, ipotizzando un gigantesco fondo mondiale alimentato in parte con una tassazione dei grandi gruppi in funzione dei loro profitti.
Separare la crescita economica dalle emissioni climalteranti
Per evitare i rischi climatici e affrontare le altre criticità ambientali ci si deve porre la domanda: l’attuale sistema economico sarà in grado di evitare una crisi ambientale irreversibile?
Per capirlo, analizziamo in che modo sta variando il rapporto tra crescita economica ed emissioni.
Negli Usa e in Europa nell’ultimo decennio si è avuto un disaccoppiamento assoluto con un’economia in crescita e la produzione di CO2 in calo, mentre in altri paesi si è riscontrato un disaccoppiamento relativo, nel senso che le emissioni sono cresciute meno del Pil.
Ma la situazione complessiva non è rosea. Infatti, mentre tra il 1960 e il 2000 l’economia globale si è decarbonizzata ad un tasso annuo dell’1,28%, e in questo scorcio di secolo il trend ha subito una decelerazione.
Non siamo dunque sulla strada giusta. La crisi climatica infatti, oltre a richiedere un “decoupling” assoluto, un disaccoppiamento raggiunto da pochi, impone la questione “tempo”. Occorre infatti un’accelerazione tale da evitare il sforare il limite di 1,5 o 2 °C senza superare i miliardi di tonnellate di CO2 che potranno ancora essere emesse.
Analizziamo quindi gli scenari elaborati dall’IPCC per capire quali strumenti e politiche possiamo attivare.
La larga maggioranza delle modellizzazioni effettuate per verificare la possibilità di stare sotto i 2 °C prevede l’impiego di BECCS, cioè della coltivazione di foreste con successiva combustione della biomassa e cattura della CO2.
Una soluzione controversa e costosa che prevede la forestazione di superfici enormi e la realizzazione di migliaia di impianti di combustione connessi a centri di iniezione dell’anidride carbonica nel sottosuolo.
D’altra parte, senza l’impiego dei BECCS le emissioni globali dovrebbero ridursi del 4% l’anno per stare sotto i 2 °C e del 6,8% per non superare 1,5 °C. Una dinamica assolutamente impraticabile senza una riduzione significativa dei consumi di energia.
Un percorso di questo tipo è stato analizzato in uno scenario denominato LED (Low Energy Demand) inserito nell’ultimo rapporto dell’IPCC.
Questo modello ipotizza una riduzione del 40% della domanda di energia al 2050 ed un declino del 20% del consumo di materie prime. Risultati ottenibili grazie ad un processo di dematerializzazione dello sviluppo favorito dall’espansione delle soluzioni di sharing e da un miglioramento dell’efficienza nell’uso dei materiali.
Se questo scenario è particolarmente spinto, va detto che il contenimento dei consumi energetici svolge un ruolo centrale in tutti gli scenari di decarbonizzazione.
Ma ridurre la domanda di energia su scala globale non è semplice, tanto più in presenza di una dinamica che porterà nei prossimi trent’anni ad una aumento di 2,3 miliardi abitanti.
Un recente rapporto sull’efficienza energetica della IEA stima che, in presenza di un raddoppio del Pil mondiale al 2040, anche con politiche molto incisive i consumi energetici rimarrebbero leggermente più alti degli attuali livelli (+7%).
Va però evidenziato come lo studio, mentre tratta in dettaglio tutte le opzioni per migliorare l’efficienza nei vari comparti (edilizia, trasporti, industria), sfiora soltanto il ruolo dei cambiamenti comportamentali e non parla, ovviamente, di una rivisitazione del modello di sviluppo.
Il fatto è che per ottenere riduzioni più significative questi due elementi dovranno assolutamente entrare in gioco.
In questo senso è interessante l’obbiettivo della Svizzera di tagliare di due terzi i consumi pro capite al 2100 abbinando politiche sull’efficienza e modifiche degli stili di vita. E questa decisione del governo, ratificata da un referendum, ci riporta indirettamente ai movimenti di questi giorni.
Greta viaggia in treno, è vegana (non sottovalutiamo l’impatto dell’allevamento e dell’alimentazione negli squilibri climatici) e oltre ad accusare l’inettitudine dei governi sottolinea l‘importanza dei comportamenti individuali.
Larga parte delle emissioni dipendono infatti dalle nostre scelte, dagli acquisti che facciamo, da cosa mangiamo, da come ci spostiamo ed è fondamentale, anche se non semplice, riuscire a metterle in discussione.
“I ragazzi che scendono in piazza per il clima sono i veri adulti. Noi adulti invece ci stiamo comportando come bambini”, ha dichiarato William Nordhaus, premio Nobel 2018 per l’economia.
Exctintion Rebellion evidenzia la necessità di adottare incisive e creative forme di lotta non violenta per dare la sveglia ai politici.
Il Green New Deal di Alexandra Cortez negli Usa, indica politiche avanzate e smuove l’opinione pubblica.
Cosa accomuna queste mobilitazioni e queste proposte ambiziosissime? Certo la consapevolezza dei rischi a cui andiamo incontro, ma anche l’attenzione sulla variabile “tempo”.
Infatti, non c’è più tempo. Non sono più in pericolo solo le generazioni future. I giovani capiscono che è la qualità della loro stessa vita ad essere in gioco.
L’aspetto interessante è che questi movimenti iniziano ad incidere.
Così se a Dubai l’anno prossimo verrà inaugurata la follia di un grattacielo con una pista da sci di 1,2 km, a New York si combatte l’edilizia affamata di energia. E, se l’Eni è stata la prima compagnia a trivellare nell’Artico, in Norvegia vengono proibite le esplorazioni nei pressi delle isole Lofoten.
E negli UK il Labour si sveglia e presenta, in un Parlamento bloccato da due anni in estenuanti discussioni sulla Brexit, una mozione per dichiarare l’emergenza climatica, analogamente a quanto deciso dai governi della Scozia e del Galles.
Perché deve essere chiaro che per battere la crisi climatica, alla fine, sarà decisivo il ruolo delle istituzioni e dei governi. Andrà rivisitata la fiscalità per ridurre le diseguaglianze e per colpire i fossili. Si tratta di rimettere in discussione l’attuale sistema economico trovando stimoli e regole che consentano di dare maggiore importanza alla prosperità dei cittadini, piuttosto che sull’unico parametro della crescita.
Proprio come recita uno slogan che risuona spesso nelle manifestazioni di queste settimane: “System change not climate change”.
fonte: www.qualenergia.it

Portogallo, la produzione da rinnovabili supera il fabbisogno elettrico




















Nel mese di marzo, gli impianti da fonti rinnovabili in Portogallo hanno prodotto un quantitativo di energia elettrica in grado di soddisfare il 103,6% del fabbisogno elettrico nazionale.
Nel periodo analizzato, l'incidenza percentuale delle rinnovabili ha registrato un minimo dell'86% il 7 marzo e un massimo del 143% l'11 marzo. A partire dal 9 marzo, per oltre 70 ore consecutive il consumo è stato interamente coperto dalle rinnovabili, seguito da un altro periodo di 69 ore iniziato il 12 marzo. Ci sono stati, quindi, momenti in cui le centrali a fonti fossili e/o l'import sono dovuti intervenire per soddisfare l'intera domanda elettrica, ma sono stati "pienamente compensati da periodi di maggiore produzione da fonti rinnovabili." Il precedente record su base mensile risaliva al febbraio 2014, quando era stata raggiunta una copertura da rinnovabili del 99,2%.
Questa elevata penetrazione di fonti rinnovabili ha influito positivamente sul prezzo medio di mercato giornaliero, pari a 39,75 €/MWh; un prezzo inferiore rispetto a quello registrato nello stesso periodo dell'anno precedente (€ 43,94/MWh), quando il peso delle rinnovabili era stato del 62%.
I numeri conseguiti dal Portogallo sono stati favoriti da condizioni climatiche particolarmente favorevoli, con un clima piovoso e ventoso che ha spinto la produzione da idroelettrico e da eolico, portandola a coprire rispettivamente il 55% e il 42% del fabbisogno elettrico nazionale.
Secondo un comunicato congiunto dell'associazione portoghese per le energie rinnovabili (APREN) e del gruppo ambientalista ZERO, ciò che è accaduto nel mese di marzo rappresenta solo un assaggio di ciò che ci riserva il prossimo futuro. Entro il 2040, infatti, le rinnovabili potranno assicurare, in modo economicamente vantaggioso, il consumo totale annuo di elettricità del Portogallo. Anche allora, però, sarà necessario il supporto tempestivo garantito dalle centrali a gas naturale, oltre naturalmente alle interconnessioni della rete elettrica e al ruolo – sempre crescente – dei sistemi di stoccaggio dell'energia elettrica.

fonte: http://www.nextville.it/

Studenti denunciano 47 governi europei per l’inazione sul clima

Un gruppo di giovani portoghesi, dopo il flagello degli incendi boschivi, vuole fare causa agli stati europei firmatari della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
















Portare 47 paesi d’Europa davanti alla Corte internazionale dei diritti umani. La missione di un gruppo di ragazzini portoghesi non è delle più facili: vogliono ottenere una condanna per tutti i governi che non hanno fatto abbastanza per proteggerli dal cambiamento del clima e dalle sue manifestazioni più estreme, minacciando il loro diritto alla vita. Le temperature bollenti di questa estate hanno flagellato il Portogallo con gli incendi boschivi, esplosi nella regione di Leiria, al cuore dello stato, uccidendo più di 60 persone ferendone centinaia. Il gruppo di studenti è rappresentato da avvocati inglesi esperti di legislazione ambientale e climatica. Con il supporto della rete di ONG Global Legal Action Network (Glan), stanno cercando di raggiungere i 40 mila euro per portare il caso davanti alla Corte europea dei diritti umani. Lo strumento è quello del crowdfunding, partito lunedì sulla piattaforma CrowdJustice, che in passato ha radunato milioni di euro a beneficio di migliaia di persone che non potevano pagarsi le spese legali.
Si tratterebbe dell primo caso in cui così tanti governi vengono portati dinanzi a un tribunale per il loro fallimento nella mitigazione dei cambiamenti climatici. L’azione legale riguarderà infatti i 47 principali emettitori tra i paesi che hanno firmato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, tra cui naturalmente i più grandi: Regno Unito, Germania, Francia, Italia. Tutti questi stati vengono indicati come responsabili di circa il 15% delle emissioni globali e continuano a consumare una quota significativa delle riserve di combustibili fossili.



clima 
















«Chiederemo alla Corte di emanare due provvedimenti – spiegano i promotori dell’iniziativa – innanzitutto, di imporre agli Stati membri un rafforzamento significativo delle loro politiche per la riduzione delle emissioni; in secondo luogo, di impegnarsi a lasciare la maggior parte delle riserve di combustibili fossili che possiedono sottoterra».
Se il crowdfunding va a buon fine (sono stati già raccolti oltre 11 mila euro in tre giorni), potrebbe essere la seconda volta che uno stato perde una causa sul tema del cambiamento climatico. Due anni fa un gruppo di cittadini olandesi, guidato dalla ONG Urgenda, ha citato con successo il governo per l’immobilismo consapevole sulla riduzione delle emissioni, che avrebbe portato ad una violazione dell’obiettivo massimo dei 2 °C di riscaldamento globale. Tre giudici hanno ordinato al governo olandese di tagliare le proprie emissioni del 25% entro il 2020, qualificando come illegali i target più bassi fissati in precedenza.

fonte: www.rinnovabili.it

Il Portogallo mette il fotovoltaico a mollo sull’idroelettrico

840 pannelli solari galleggianti stanno regalando un piccolo surplus ai 68 MW di capacità della diga Alto Rabagão
















Il Portogallo ha dato il benvenuto al suo primo impianto ibrido fotovoltaico-idroelettrico: da pochi giorni 840 pannelli solari galleggianti stanno regalando un piccolo surplus (220 kWp) ai 68 MW di capacità della diga Alto Rabagão, nel Parco Nazionale di Peneda-Gerês.
La società che ha realizzato il progetto, lo presenta come la prima centrale al mondo di questo tipo ma, in realtà, la scelta di integrare la tecnologia solare nelle dighe e nei bacini idroelettrici sta rapidamente contaminando le strategie energetica di diversi Paesi.

Il Brasile, a marzo 2016 ha annunciato il via libera ai lavori d’istallazione di un impianto fotovoltaico galleggiante da 1 MW sulla diga idroelettrica di Balbina. Un progetto simile ha preso copro qualche giorno dopo anche presso la centrale idroelettrica di Sobradinho, a Bahia.
Anche l’India sarà a breve della partita: la National Hydroelectric Power Corporation ha presentato i piani per realizzare un sistema solare flottante da 600 MW su la centrale di Koyna, uno dei più grandi complessi idroelettrici indiani. Ma se si amplia lo sguardo a tutta la classe del fotovoltaico galleggiante, sono decine e decine i progetti che stanno prendendo corpo. Attualmente esistono più di 100 MWp di energia solare galleggiante installata a livello mondiale e si prevede  che saliranno a 5.000 MWp entro la fine del 2017.

Perchè scegliere l’idroelettrico per il fotovoltaico galleggiante?

Rispetto alle sue controparti tradizionali (su terra ed edifici), questa tecnologia consente di ottenere diversi benefici se usata con intelligenza. Uno dei vantaggio dell’impianto ibrido  integrato all’idroelettrico deriva dal poter utilizzare le reti elettriche esistenti, compresi dispositivi di accesso e di trasformazione della tensione. Ciò riduce drasticamente i costi totali del capex e rende più rapidi i progetti.

La presenza dell’acqua permette di realizzare un sistema di raffreddamento naturale che abbassando la temperatura, è in grado di evitare surriscaldamenti e le conseguenti perdite di potenza. Inoltre, la superficie dell’acqua riflette i raggi solari, comportandosi come una sorta di concentratore a specchio: in questo modo i moduli possono catturare anche la luce riflessa aumentando ulteriormente la produzione. AM i vantaggi sono reciproci, dal momento che il fotovoltaico galleggiante è in grado di ridurre l’evaporazione dell’acqua e la crescita delle alghe grazie all’ombreggiatura. Le piattaforme flottanti, inoltre sono completamente riciclabili, resistenti alla corrosione e progettate per resistere a qualsiasi stress fisico, tifoni compresi.


fonte: www.rinnovabili.it