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Eolico flottante, il Mite pubblica bando per nuovi impianti

Saranno istituiti tavoli per valutare i progetti pervenuti
















Sfruttare l'energia eolica con impianti collocati in mare, su piattaforme galleggianti. Il Ministero della Transizione Ecologica apre la manifestazione di interesse per l'innovativa tecnologia, rivolgendosi a tutti gli imprenditori del settore.

L'eolico flottante può accedere ai finanziamenti pubblici, ma necessita di una particolare attenzione per superare i problemi legati alla fase progettuale e al successivo percorso autorizzativo. Per questo il ministero della Transizione Ecologica pubblica sul proprio sito la richiesta di manifestazione d'interesse, rivolta a tutti i soggetti imprenditoriali che siano in grado di proporre progetti rientranti nella tipologia indicata.

Dopo 20 giorni dalla pubblicazione, il Ministero raccoglierà le proposte pervenute e istituirà tavoli per la valutazione, approvazione e realizzazione di ciascun progetto.

fonte: www.ansa.it



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Eolico offshore, gli USA vogliono 19 GW galleggianti nel Pacifico

L’ufficio Ocean Energy Management del Dipartimento dell’Interno sta vagliando 16 progetti per 19 GW complessivi localizzati sulla costa della California. Le prime aste possibili già a metà 2022



Dopo le acque al largo di Martha’s Vineyard, gli Stati Uniti spostano lo sguardo sulla costa del Pacifico e precisamente sulla bassa California. È qui che l’amministrazione Biden vuole puntare per potenziare il comparto dell’eolico offshore. Un percorso che il nuovo presidente ha appena iniziato, dando luce verde ai primi progetti della nazione localizzati sul versante atlantico.

Nei prossimi quattro anni, Washington punta ad approvare 16 progetti di eolico offshore che dovrebbero generare complessivamente 19 GW. I piani sul boom americano dell’energia dal vento sono al vaglio dell’ufficio Ocean Energy Management del Dipartimento dell’Interno.

Per vedere le prime turbine non bisognerà aspettare così tanto. La Casa Bianca ha annunciato di aver già identificato due aree al largo della costa della California per lo sviluppo eolico offshore. Le prime aste per l’assegnazione dei lotti potrebbero tenersi tra un anno, attorno alla metà del 2022.

“Think big, think bold”, ripete come uno slogan Gina McCarthy, la consigliera nazionale per il clima di Biden. Pensare in grande, pensare in modo audace descrive piuttosto da vicino la galoppata degli Stati Uniti nel campo dell’energia dal vento. Nei piani di Biden, al 2030 l’America deve avere almeno 30 GW di capacità installata di eolico. I progetti sulla costa occidentale mettono la nazione sulla buona strada per centrare l’obiettivo. Sull’audacia, va rilevato che l’Amministrazione punta sull’eolico galleggiante, tecnologia emergente dall’enorme potenziale e ancora largamente non sfruttato.

La sostituzione delle tradizionali fondamenta fisse con piattaforme flottanti permette agli aerogeneratori offshore di raggiungere nuove profondità. Di conseguenza apre le porte dello sviluppo eolico in mare a quei paesi con fondali troppo alti.

Sulla costa orientale, Washington ha da poco dato l’ok al progetto Vineyard Wind da 800 MW, a cui presto si potrebbero unire South Fork (132 MW) e Ocean Wind (1,1 GW). Nel 2016, il Department of Energy statunitense ha stimato che il potenziale dell’eolico offshore americano si aggira intorno ai 2.000 GW complessivi.

fonte: www.rinnovabili.it

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Eolico galleggiante: in Corea maxi-progetto da 6 GW

 



Entro il 2030, nel tratto di mare davanti a Ulsan (Corea del Sud) verrà realizzato il più grande parco eolico offshore del mondo su fondamenta galleggianti, della potenza di ben 6 GW.

L'annuncio è stato dato lo scorso 6 maggio dal presidente sudcoreano Moon Jae-in, che ha rivelato come il progetto richiederà complessivamente quasi 27 miliardi di euro e potrà creare circa 210mila posti di lavoro. Una volta completato, con i suoi 6 GW l'impianto potrà generare l'equivalente della fornitura di energia elettrica di 5,76 milioni di famiglie coreane.

Secondo il Governo di Seul, il mare antistante Ulsan rappresenta un sito ideale per l'eolico galleggiante, grazie non solo alla profondità delle acque e alla forte ventosità media (oltre 8 m/s), ma anche all'ampia disponibilità di reti di trasmissione e distribuzione collegate alle centrali elettriche presenti sulla terraferma.

Il nuovo maxi-progetto consentirebbe di ridurre di 9,3 milioni di tonnellate le emissioni di anidride carbonica del settore energetico e contribuirebbe — da solo — a raggiungere il 50% del target nazionale per l'eolico offshore al 2030 (12 GW).

Interessante, inoltre, l'accenno da parte del presidente Moon Jae-in alla possibilità di utilizzare parte dell'elettricità generata per la produzione di idrogeno verde; le stime parlano di 84mila tonnellate annue di idrogeno verde, prodotte impiegando il 20% dell'energia elettrica prodotta dalle turbine.

fonte: www.nextville.it


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Eolico offshore, primo impianto Atlantico in Irlanda

Eolico offshore, il primo impianto atlantico in Irlanda: una grande centrale a carbone verrà riconvertita in un Green Energy Hub.









Un nuovo progetto di eolico offshore, in via di realizzazione in Irlanda, è pronto a conquistare un singolare traguardo: quello del primo impianto dell’Atlantico. È quanto hanno confermato le autorità irlandesi negli ultimi giorni, nell’annunciare la conversione di una grande struttura oggi impiegata per la produzione di energia da fonti fossili.

Il progetto è decisamente ambizioso e vedrà un investimento multi-miliardario. L’obiettivo è infatti non solo di realizzare l’impianto eolico offshore, ma anche di trasformare l’attuale centrale a carbone in un vero e proprio “Green Energy Hub”.

L’annuncio è arrivato dall’irlandese Electricity Supply Board (ESB) che, lo scorso venerdì, ha annunciato una importante rivoluzione per la centrale a carbone di Moneypoint, nel Clare. L’impianto è il più esteso del Paese per la produzione di energia elettrica, nonché l’unico a carbone.

In un’ottica di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di maggiore tutela dell’ambiente, nei prossimi anni la centrale dirà definitivamente addio al combustibile fossile, per convertirsi nell’hub verde più grande della nazione. Al largo delle coste del Claire sorgerà infatti un impianto eolico offshore da 1.4 GW, il primo presente nell’Atlantico. E si prospetta già una produzione di energia efficiente e continua, poiché sul versante europeo questo oceano segna perennemente correnti d’aria molto veloci.

Il Green Energy Hub si occuperà invece di sviluppare e implementare altre energie alternative, come il solare, ma soprattutto di idrogeno. Verranno infatti costruiti impianti per la produzione di idrogeno e siti di stoccaggio dello stesso. Il progetto richiederà circa 10 anni per poter essere realizzato e sarà in grado di alimentare ben 1.6 milioni di abitazioni irlandesi, inclusi i consumi futuri in aumento data la maggiore diffusione delle auto elettriche. Man mano che la disponibilità di energia verde risulterà in crescita, l’Irlanda ridurrà le importazioni di petrolio, carbone e gas naturale.

Fonte: ElecTrek


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L’eolico galleggiante si bagna nel Mare di Sicilia: maxi progetto da 2,9 GW

Renexia ha presentato al Ministero per l’Ambiente il progetto da 9 miliardi di euro: 190 turbine galleggiante in grado di fornire energia a 3,4 milioni di famiglie












Dal near-shore all’offshore. Dal porto di Taranto al mare di Sicilia. Renexia, società del Gruppo Toto, continua a credere nell’eolico marino e dopo il travagliato lancio del progetto nelle acque pugliesi con Beleolico, è pronta a fare le cose in grandi. Come? Con MeDWos, primo maxi impianto di eolico galleggiante in Italia. Sulla carta la futura centrale vanterà 190 turbine poste a 60 km dalla costa, per una capacità complessiva di ben 2,9 GW. Gli aerogeneratori saranno del tipo floating, ossia senza fondamenta fisse ma realizzati su piattaforme galleggianti. Questa tecnologia permette di lavorare in mare aperto, dove i fondali sono profondi anche 800 metri. Si tratta di un elemento fondamentale sia per catturare i venti più forti che soffiano lontani dalla costa, sia per tutti quei Paesi, come l’Italia, che possiedono pochi fondali bassi sfruttabili dall’eolico offshore.

La società fa sapere di aver già presentato il suo progetto al Ministero dell’Ambiente per ottenere la necessaria VIA e aver fatto domanda a quello delle Infrastrutture per la concessione marittima. L’iter burocratico è dunque ancora tutto all’inizio e lavori non dovrebbero cominciare prima del 2023. A patto ovviamente di non scontrarsi con gli stessi problemi che hanno rallentato l’impianto di Taranto. A regime – la data ipotizzata per il fine lavori è il 2025 – l’impianto eolico galleggiante siciliano dovrebbe essere in grado di soddisfare il fabbisogno elettrico di 3,4 milioni di famiglie.

Come spiegato dal Gruppo Toto al Sole 24 ore la distanza delle turbine è stata “giudicata adeguata per non ostacolare in nessun modo Sial il traffico marittimo commerciale, sia quello turistico”. E ovviamente per non interferire con le rotte migratorie, né con la vista dalle spiagge.

Ma soprattutto l’impianto sarà il trampolino di lancio per lo sviluppo che attende del settore. Come ricordato solo qualche giorno fa il neonato Manifesto per l’eolico offshore italiano, il PNIEC presentato dal governo prevede di realizzare almeno di 900 MW eolici nelle acque mediterranee entro la fine del prossimo decennio.

fonte: www.rinnovabili.it


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Eolico offshore in Sardegna: sì ambientalisti, no da Regione e Comuni

Parco eolico offshore al largo della costa sarda: polemica tra le associazioni ambientaliste, favorevoli al progetto, e la Regione Sardegna, contraria.




Si conferma travagliato il percorso dell’eolico in Sardegna. A confermarlo anche l’iter che vede protagonista un impianto da 504 MW che dovrebbe essere realizzato 35 chilometri al largo della costa di Cala Domestica. Un parco eolico offshore quindi, le cui torri poggerebbero su piattaforme galleggianti. Un progetto che vede il favore delle associazioni ambientaliste (incluse Legambiente, WWF e Greenpeace), ma che si scontra con l’opposizione della Regione e di alcuni Comuni del Sulcis.

Il parco eolico offshore si comporrebbe di 42 unità, disposte in fila a 35 chilometri di distanza dalla costa sarda compresa tra Carloforte e Portoscuso. A presentare il progetto, ora in mano al Ministero dell’Ambiente per le valutazioni preliminari che precederanno la VIA, la Ichnusa Wind Power. Come indicato nella relazione della compagnia:

Grazie alla struttura galleggiante di sostegno delle turbine è stato possibile posizionare il parco eolico in acque distanti oltre 35 chilometri dalla costa della Sardegna, in modo da renderlo sostanzialmente impercettibile ad occhio nudo dalla terraferma.

Le turbine galleggianti costituiscono un innovativo sviluppo tecnologico del settore eolico, che permette di realizzare parchi eolici offshore su fondali profondi, avvalendosi di sistemi di ancoraggio ampiamente sperimentati poiché derivati dal settore Oil & Gas, che da tempo ha sviluppato tecnologie legate alle piattaforme galleggianti.

Regione e Comuni, timori legati a pesca e turismo

Sono pesca e turismo i due nodi centrali intorno ai quali si sviluppa il fronte opposto al progetto. A battere su questo punto è il vicesindaco di Portoscuso, Ignazio Atzori, secondo il quale il parco eolico non porterebbe alcun beneficio al territorio. Dal sindaco di Carloforte Salvatore Puggioni critiche per l’assenza di comunicazione, lamentando il fatto che il progetto è arrivato a conoscenze degli enti locali coinvolti soltanto attraverso i media. Secondo la Onlus Italia Nostra il parco eolico minaccerebbe l’istituzione di aree marine protette e la tutela dell’ecosistema marino:

Condizionerebbe in termini fortemente penalizzanti lo studio richiesto dal ministero dell’Ambiente all’Ispra per l’individuazione di un’Area Marina Protetta nell’Arcipelago del Sulcis e nella costa adiacente, attualmente in corso di istituzione.
Eolico offshore in Sardegna, sì delle associazioni

Impatto visivo minimo e scarse ripercussioni per il territorio secondo le associazioni ambientaliste, che vorrebbero evitare la metanizzazione dell’isola. Il WWF lamenta il fatto che a tenere banco sarebbero soprattutto posizioni ideologiche, non dettate da riscontri oggettivi:


Il confronto sul parco eolico previsto al largo delle coste sud-occidentali è caratterizzato più da argomenti ideologici che non da valutazioni puntuali e oggettive. Dibattito che appare ancora più singolare soprattutto se si considera che le obiezioni paesaggistiche sono state avanzate dalla Regione Sardegna. Cioè dallo stesso soggetto che ha stravolto la Legge Paesaggistica regionale sino al punto da farselo impugnare dallo Stato.

Non v’è dubbio che si tratta di un progetto importante, di grandi dimensioni, le cui valutazioni sono ancora in corso. Ma non vi è altrettanto dubbio sul fatto che parlare di “impatti visivi” a distanza di 19 miglia marine dalla costa significa strumentalizzare un aspetto percettivo tutto da dimostrare dal momento che, sebbene si parli di torri di circa 280 metri queste, a 35 chilometri di distanza possono risultare, in giornate di tempo buono e cielo terso, come poco più di un segno all’orizzonte.

Non si valuta abbastanza invece l’aspetto innovativo del progetto che prevede piattaforme galleggianti per sostenere le torri. Già questo indica come si tratti di impianti che in futuro possono avere una possibilità di rimozione certamente più facilitate che non le strutture tradizionali.

Punto di vista condiviso anche da Luca Iacoboni, responsabile Energia e Clima di Greenpeace, che ha dichiarato:


Opporsi all’eolico in Sardegna e promuovere la metanizzazione significa legare il territorio sardo, e chi lo vive, a tecnologie inquinanti e che diventeranno sempre più marginali nel mercato.

Stessa linea a supporto delle fonti rinnovabili anche per Legambiente, che ha sottolineato:

La visibilità dell’impianto dalla costa è trascurabile, e l’impatto paesaggistico non presenta alcuna criticità dalla costa sarda, per cui la valutazione è positiva.


fonte: www.greenstyle.it




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L’Italia può fare da battistrada dell’industria dell’eolico offshore galleggiante

Le potenzialità dell'eolico galleggiante per l'Italia sono enormi anche per gli sviluppi legati all'indotto. Ne parliamo con Luigi Severini, l'ingegnere che ha progettato il primo impianto nazionale a Taranto, e con Alex Sorokin, esperto energetico.





Dall’industria fotovoltaica fuggita in Oriente, fino alle auto elettriche ignorate dal maggior produttore automobilistico nazionale: di treni per agganciare la transizione energetica a un rilancio e ammodernamento della produzione industriali, l’Italia ne ha persi un bel po’.

Adesso un altro convoglio si sta avvicinando alla “Stazione Italia”, ma riusciremo a saltarci sopra?

Il treno si chiama eolico offshore galleggiante, una tecnologia di cui si parla ormai da molti anni, ma che nessuna nazione ha ancora sviluppato, preferendo, finché c’è spazio, continuare a costruire turbine piantate in terra o sul fondo di mari profondi meno di 30 metri.

Nei nostri mari l’eolico offshore tradizionale non lo si può installare, perché fondali così bassi, accoppiati a venti forti e costanti, sono presenti quasi sempre solo a ridosso delle coste, e gli impianti sarebbero troppo invasivi: ci servono turbine montate sopra grossi galleggianti ancorati sul fondo, da mettere molto al largo.

Che lo si possa fare lo ha dimostrato dal 2017 la norvegese Statoil, che ha installato di fronte alla Scozia sei Hywind, turbine da 5 MW montate su lunghi cilindri immersi, che da allora funzionano con un’altissima produttività, resistendo a furiose tempeste. E ci sono altri prototipi in fase di test in giro per il mondo, come quelli dell’Università del Maine.

Eppure, adesso, l’Italia potrebbe essere la prima nazione a utilizzare in modo massiccio questa tecnologia, diventando anche un centro di produzione e sviluppo di macchine per fondali profondi, da esportare nei tanti paesi, dal Giappone alle Hawaii, dalla Grecia alla California, con gli stessi nostri problemi geografici.

Sono infatti state depositate al ministero dell’Ambiente due domande per la costruzione di impianti eolici galleggianti, uno nel Canale di Sicilia, fra Pantelleria e Lampedusa, a 35 km dalla costa più vicina, e l’altro a 32 km al largo di Buggerru, sulla costa sudoccidentale sarda: il primo dovrebbe avere una potenza di 250 MW con 25 turbine Siemens da 10 MW l’una, il secondo sarebbe composto da 42 turbine GE da 12 MW l’una per 504 MW di potenza complessiva.

Si stima che insieme i due impianti produrrebbero circa 2,7 TWh l’anno, aumentando del 16% la produzione eolica annuale italiana. Queste turbine sarebbero montate su un galleggiante a tetraedro, stabilizzato da una zavorra triangolare, ideato dalla società danese Stiesdal.

 


Per rassicurare gli scettici sul fatto che sia una cosa seria, diciamo subito che dietro a questi due giganteschi progetti, c’è l’ingegnere Luigi Severini, l’uomo che “ha fatto l’impresa”: riuscire cioè a progettare, far approvare e ora costruire il primo impianto eolico offshore d’Italia (e del Mediterraneo), quello di Taranto.

«In realtà l’impianto di Taranto non è stato ancora completato. Dopo i noti problemi nati da ricorsi che ci hanno fatto perdere anni preziosi e il fallimento del fornitore tedesco delle turbine Senvion, abbiamo dovuto trovare una nuova turbina e adeguare il progetto ad essa. Adesso contiamo di riuscire a produrre la prima elettricità entro il 2021».

Ecco, proprio considerate tutte le difficoltà incontrate per installare appena 30 MW di eolico offshore davanti a una acciaieria, questo “rilancio” di centinaia di MW in mare aperto sembra un po’ il solito annuncio velleitario di megaimpianti che non vedremo mai…

«A finanziare questo progetto sarà la società danese Copenhagen Offshore Partners, una delle maggiori al mondo nello sviluppo di parchi eolici offshore, che intende investire in questi due impianti 2,1 miliardi di euro. Loro ci credono».

Come ha fatto a convincerli?

«Con le società 7SEASmed e ICHNUSA Wind Power, abbiamo prodotto business plan credibili e spiegato che l’Italia è un paese che ha grandi capacità industriali, infrastrutture adatte e che nei prossimi anni dovrà installare molti GW di eolico per rispettare gli impegni sul clima, ma non ha lo spazio a terra o in mari bassi per farlo. L’unica strada realistica per noi è installare impianti eolici galleggianti in alto mare, e, se ci riusciremo qui, poi potremo esportare la tecnologia in tutto il mondo. Dopo una accurata verifica dei progetti ci hanno dato fiducia».

Però lei sa meglio di chiunque altro quanto sia difficile fare eolico offshore in questo paese. Non teme ambientalisti, sovraintendenze e comitati del no, scatenati contro le sue turbine?


«Guardi, ci siamo riletti i 25 progetti di eolico offshore respinti in Italia, prima che approvassero quello di Taranto. Abbiamo capito che il rifiuto di tali impianti, molte volte giustificato, si è basato su tre ragioni principali: interferenza con paesaggio, ambiente e navigazione. Per cui questi due nuovi progetti li abbiamo tarati proprio per evitare queste tre obiezioni. Li metteremo così al largo che per vederli da terra servirà un binocolo, in zone di scarso traffico navale, ancorandoli a fondali di 250-300 metri, dove la luce non arriva e la vita vegetale sui fondali è inesistente».

In realtà un primo parere del WWF sull’impianto siciliano non sembra proprio entusiasta: secondo loro potrebbe danneggiare gli uccelli migratori.

«Abbiamo preso in considerazione anche quell’aspetto, e comunque gli ambientalisti dovrebbero applicare un metro di giudizio più completo, considerando il contributo che questo tipo di impianti fornirà al contenimento della principale minaccia per la Natura: il climate change».

Comunque, sembra che l’idea sia quella di evitare ad ogni costo i ritardi di Taranto.

«Ovviamente, ma questa volta è ancora più importante, perché si tratta di tecnologie nuove e costose e la remunerazione in Italia per l’elettricità da offshore, 215 €/MWh, è giusto sufficiente a rientrare dell’investimento. Siamo sul filo e dobbiamo procedere senza intoppi. Per capirci, in Francia danno 240 €/MWh all’eolico offshore».

Perché non avete costruito lì, allora?

«Diciamo che entrare nel mercato di quel paese non è facilissimo. Loro stanno lavorando sul galleggiante, ma attraverso progetti e industrie francesi».

Ma se i margini sono così ristretti, perché avete scelto la tecnologia della Stiesdal, che non è mai stata testata in mare?
«È stata abbondantemente testata in vasca navale, simulando condizioni anche molto peggiori di quelle del Mediterraneo, con ottimi risultati e già oggi è pronto un primo prototipo per una turbina da 3,6 MW. Quella tecnologia ha comunque un grande vantaggio sulle altre: i galleggianti sono costituiti con le stesse strutture delle torri eoliche e si possono assemblare con le turbine in un porto, per poi rimorchiarli al largo, evitando costosi e rischiosi lavori di montaggio in mare».

Questo però richiederà di avere delle basi a terra, dove effettuare il montaggio.

«Certo, e ciò crea una enorme opportunità per l’Italia: saremo i primi a valorizzare porti, bacini e industrie dedicati all’offshore galleggiante, acquisendo un know-how unico, da spendere poi nel mondo. Abbiamo già individuato porti adatti in Sicilia e Sardegna».

E a questo, dite, si aggiungerebbe la richiesta di acciaio che potrebbe arrivare all’Ilva di Taranto per la costruzione delle torri e dei galleggianti.

«Avremo bisogno di circa 270mila tonnellate proprio del tipo di prodotti in acciaio di alta qualità che lo stabilimento tarantino è in grado di offrire: sarà una commessa preziosa dopo il suo rilancio in chiave green. E non c’è solo l’acciaio. Il nostro progetto apre un’altra opportunità industriale: le grandi turbine offshore sono oggi progettate per i mari del nord, quindi per venti medi di 10-12 metri al secondo, contro i 6-8 del Mediterraneo. Questo ci obbliga a usare macchine sovradimensionate, più costose e meno efficienti di quanto sarebbero modelli “mediterranei”. La nostra industria potrebbe produrre turbine tarate per i nostri e altri mari nel mondo con venti simili».

Come sta andando l’iter autorizzativo?

«Abbiamo presentato la richiesta di Valutazione di Impatto Ambientale, e attendiamo dai ministeri le prime risposte. C’è stato qualche mese di ritardo anche per il covid-19, ma ora contiamo di ricevere la risposta a breve, le prime interlocuzioni con i ministeri sono andate molto bene, c’è comprensione e interesse per questo nuovo progetto. Superata la Via, le cose potrebbero procedere spedite ed entro due o tre anni potremmo cominciare a vedere le prime turbine galleggiare nel Mediterraneo. Evidentemente Taranto, nonostante i tanti intoppi, ha rotto il ghiaccio che bloccava l’offshore in Italia e tanti ne comprendono oggi le potenzialità».


Vedremo se sarà così. Ma siccome è troppo facile chiedere all’oste se il vino è buono, abbiano sentito un esperto indipendente per un giudizio su questa iniziativa, l’ingegner Alex Sorokin, che da molti anni ha la scomoda parte del “profeta inascoltato”, colui cioè che indica nell’eolico offshore galleggiante una scelta obbligata per il nostro paese, ma finora senza troppo successo.

Allora ingegner Sorokin, qualcuno finalmente l’ha ascoltata?

«Più che ascoltare me, qualcuno ha ascoltato il buon senso: nella condizione geografica italiana, quella è l’unica via percorribile per un eolico massivo. E anche per la nostra industria, che ha bisogno di rilanciare la siderurgia e ha grande esperienza nella cantieristica e nelle piattaforme offshore; è l’uovo di Colombo».

Ma questi progetti le sembrano realistici? Non peccano un po’ di megalomania?

«Sono fatti molto bene, con grande professionalità. Le loro grandi dimensioni non devono sorprendere: l’unico modo per rendere profittevoli iniziative così innovative, è puntare alle economie di scala e quindi ai grandi numeri. Il solo punto su cui ho qualche dubbio è il sistema di galleggiamento, molto interessante e innovativo, ma mai testato in grande scala e in mare aperto, ma immagino, vista l’esperienza nell’offshore dei finanziatori danesi, che chi lo produce abbia ben dimostrato la sua affidabilità».

Ma veramente l’ingegner Severini riuscirà a farseli approvare in tempi ragionevoli?

«La burocrazia italiana è forse la maggiore incognita di questa impresa, ma visti gli impegni climatici presi in sede europea, considerato che ormai l’eolico offshore dilaga nel mondo, dimostrandosi affidabile e molto produttivo, viste le enormi ricadute positive per il sistema industriale del nostro paese che arriveranno da questi due impianti, e, non ultimo, considerata anche la fiducia che i danesi sembrano riporre in noi, voglio sperare che si farà veramente di tutto per agevolarne l’iter. Anche al farsi male da soli c’è un limite, persino in Italia».

Forse questo treno che corre sull’acqua, non ce lo faremo scappare.

fonte: www.qualenergia.it



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La più grande turbina eolica galleggiante inizia a generare energia

Il progetto WindFloat Atlantic entra nel vivo della fase pre-commerciale accendendo il primo dei tre aerogeneratori da 8,4 MW a largo della costa di Viana do Castelo
















La più grande turbina eolica galleggiante al mondo ha iniziato a produrre energia al largo delle coste del Portogallo. L’aerogeneratore, un MHI Vestas da 8,4 MW di potenza, fa parte del progetto WindFloat Atlantic nato per testare la tecnologia di sfruttamento del potenziale eolico in mare a profondità superiori a 40 metri.

L’iniziativa è portata avanti dal consorzio Windplus, che comprende l’utility portoghese EDP Renewables con una quota del 54,4%, il colosso dell’energia francese Engie con il 25%, la spagnola Repsol con il 19,4% e Principle Power, lo sviluppatore dell’innovativa piattaforma galleggiante su poggia la turbina. Ed è proprio la piattaforma l’elemento chiave del progetto: in grado di adattarsi agli aerogeneratori multi MW, la struttura è semi-sommergibile e ancorata al fondale marino attraverso dei cavi. La sua stabilità è dovuta all’uso di “piastre di intrappolamento dell’acqua” sul fondo dei tre pilastri, associate a un sistema di zavorra statica e dinamica. 

L’assenza delle tradizionali fondamenta permette di implementare progetti in acque più profonde rispetto agli attuali parchi eolici offshore, riducendo l’impatto visivo e aumentando la capacità potenziale. Per alcuni mercati privi di zone poco profonde disponibili, come la California o il Giappone, le basi flottanti potrebbero fare la differenza per l’avvio di un comparto offshore praticabile e scalabile.
L’avvio della gigantesca turbina eolica galleggiante rappresenta in realtà l’inizio della fase pre-commerciale del progetto; alle spalle ci sono 5 anni di test pilota che hanno verificato e migliorato le prestazioni della tecnologia.
A regime l’impianto, localizzato a 20 chilometri dalla costa du Viana do Castelo, dove la profondità dell’acqua raggiunge i 100 metri, sarà costituito da tre aerogeneratori – tutte unità MHI Vestas – per una capacità totale di oltre 25 MW. E dovrebbe produrre energia sufficiente a soddisfare i fabbisogni elettrici di 60mila case. Questa tecnologia, ci tengono a sottolineare i partner, possiede dei grandi vantaggi che la rendono più accessibile e conveniente, a partire dal suo assemblaggio con gru onshore standard a livello del porto e l’uso di metodi comuni di trasporto marittimo, come i rimorchiatori, invece di costose navi per installazioni offshore.

Nel 2016, un impianto simile era stato approvato in Francia, con quattro piattaforme che utilizzavano però turbine eoliche da 6 MW, montate sulla struttura WindFloat. E anche in questo caso il progetto, battezzato con il nome “Les éoliennes flottantes du golfe du lion” (EFGL), portava la firma di Engie e EDP Renewables.

fonte: www.rinnovabili.it

L’eolico galleggiante, una scelta obbligata per l’Italia

Il notevole contributo che dovrà dare l'eolico al mix elettrico del nostro paese non potrà venire da impianti su terraferma. Le macchine flottanti a oltre 20 km dalla costa sono la soluzione. Ne parliamo con l'ing. Alex Sorokin.


















Siamo a ridosso di una rivisitazione del Piano energia e clima nazionale per gli obiettivi al 2030, target che saranno poi determinanti per definire gli scenari di medio-lungo periodo e di decarbonizzazione del sistema elettrico italiano.
Una delle questioni presenti e future più delicate riguarda la difficoltà di trovare gli spazi per realizzare gli impianti in grado di generare così tanta elettricità da rinnovabili in grado di soddisfare gradualmente l’intero fabbisogno del paese. In particolare, il problema è fortemente connesso con l’importante contributo che dovrà necessariamente dare l’eolico. Dove collocare allora così tante e grandi turbine sul nostro territorio?
Riprendiamo questo tema con il consulente ed esperto energetico Alex Sorokin, dopo averne già parlato con lui quasi un anno fa (QualEnergia.it).
Ingegner Sorokin, perché la generazione elettrica da eolico in Italia, soprattutto in una prospettiva del 100% rinnovabili, non potrà essere soddisfatta dai soli impianti a terra?
Se arrotondiamo per comodità le cifre, la richiesta di energia elettrica in Italia ammonta a circa 300 TWh l’anno. In un futuro scenario al 100% rinnovabile, circa 100 TWh di questi potranno essere prodotti da fonti rinnovabili programmabili, quali idroelettrico, geotermia e l’insieme delle energie “bio”, tutte però limitate da vincoli territoriali per cui non molto incrementabili. Altri 100 TWh potranno essere prodotti dal solare. I rimanenti 100 TWh dovranno essere prodotti dall’eolico. Ma per ottenere questo livello di produzione eolica, se realizzata tutta sulla terraferma, occorre disporre di un parco eolico di 50 GW, ovvero cinque volte la capacità eolica installata oggi in Italia. È difficile immaginare di poter quintuplicare la potenza eolica italiana, che peraltro è concentrata in gran parte, ovviamente, nelle zone di maggiore ventosità, soprattutto sulle isole e nell’appennino apulo-campano.
Se pensiamo allora all’eolico in mare, quale tecnologia vede come più favorevole e fattibile per l’offshore?
L’Italia è una penisola circondata da immensi spazi di mare che, inoltre, offrono maggiore ventosità rispetto alla terraferma. Quindi perché non sfruttare il mare installando turbine offshore? Purtroppo, questa idea si scontra con un vincolo tecnico: la tecnologia dell’eolico offshore è stata sviluppata in Danimarca, Germania e Gran Bretagna si adatta ai loro mari, con fondali particolarmente bassi, circa 20-50 metri di profondità. Escluso l’Adriatico settentrionale, con venti scarsi, i nostri mari sono invece profondi anche 3000 metri. In Italia è impossibile realizzare parchi eolici offshore appoggiati sul fondale a distanze oltre i 20 km dalla costa, come avviene nel nord Europa, in modo da non provocare proteste e non inficiare il settore turistico. Pertanto, per l’Italia la scelta dell’eolico offshore galleggiante o flottante è obbligata.
La IEA ha fornito interessanti scenari per l’eolico offshore nel suo complesso, ma da noi quali sono i tempi per una possibile realizzazione per questi impianti flottanti?
Attraverso un programma di 10 anni si potrebbero realizzare in mare circa 30.000 MW di parchi eolici. Diciamo circa 3000 turbine galleggianti da 10 MW ciascuna da posizionare in mare aperto a distanze dalla costa che vanno dai 20 ai 40 km; macchine che sarebbero pressoché invisibili da terra.
E per quanto concerne la maturità della tecnologia flottante per l’eolico?
Un primo prototipo posizionato nel 2009 da Statoil al largo della costa norvegese è stato un pieno successo. L’energia prodotta ha superato ogni aspettativa. L’impianto ha affrontato bene tempeste con onde alte 19 metri e venti da 145 km/h. Un passo successivo è stato in Scozia. Si tratta di un primo parco eolico industriale funzionante dal 2017, composto da 5 turbine da 6 MW per un totale 30 MW, che si è dimostrato anche qui un totale successo. I costi di queste prime realizzazioni sono ancora alti, ma con l’avvio di una filiera industriale standardizzata e con una produzione in serie è plausibile prevedere che scenderanno a livelli competitivi.
Un primo sviluppo di queste installazioni in Italia potrebbe essere fatto a largo delle coste della Sardegna. Quali aspetti tecnici-anemometrici vanno considerati e quale potenziale è possibile stimare per la regione?
Sardegna e Sicilia saranno certamente protagoniste in questo nuovo scenario di eolico offshore. I fondali adatti intorno alla Sardegna, a oltre 20 km dalla costa, ammontano a circa 5.000 kmq, per cui, sfruttandone anche soltanto una piccola parte, la Sardegna potrebbe ospitare oltre 1000 turbine per un totale di 10.000 MW di potenza installata. In questo modo l’isola potrebbe produrre dal vento il triplo dell’attuale proprio fabbisogno elettrico (oggi 9 TWh, ndr), che sarebbe poi pari al 10% del fabbisogno nazionale, con la possibilità di esportare questa elettricità verso il continente. La forza lavoro in Sardegna necessaria per la realizzazione, manutenzione e logistica di questo scenario è valutabile in circa 10.000 posti di lavoro.
fonte: www.quelenergia.it