Visualizzazione post con etichetta #Sicilia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Sicilia. Mostra tutti i post

In Sicilia asfalto con gomma riciclata

Un bitume ingegnerizzato con polverino da PFU è stato steso su una strada nel centro di Alcamo.



Prosegue la sperimentazione di bitumi addizionati con gomma riciclata da pneumatici fuori uso (PFU): tremila metri quadrati di asfalto sono stati stesi nel centro di Alcamo, in provincia di Trapani, che si aggiungono ai circa 600 km di strade già realizzati nel nostro Paese.

L'aggiunta di polverino di gomma riciclata riduce il rumore dovuto al passaggio dei veicoli (fino a 5 dB) e aumenta la durabilità del manto stradale, anche del doppio rispetto alle soluzioni convenzionali.

Nell’ultimo decennio in Sicilia l’equivalente in peso di oltre 19 milioni di Pneumatici Fuori Uso sono stati raccolti e riciclati da Ecopneus, la società senza scopo di lucro principale operatore della gestione dei PFU in Italia.

“Gli interventi effettuati ad Alcamo rappresentano una concreta testimonianza dell’importanza del corretto recupero e riciclo dei Pneumatici Fuori Uso – spiega il Direttore Generale di Ecopneus, Federico Dossena –. Se ai vantaggi in termini di beneficio acustico, sommiamo la maggior durata della vita utile, che comporta a sua volta minori costi complessivi di manutenzione, appare evidente come le pavimentazioni con asfalti modificati siano una valida scelta strategica per la rete viaria nazionale, sia urbana che extra urbana”.

fonte: www.polimerica.it

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!


#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Orto Capovolto: a Palermo al posto del degrado nascono orti urbani

Dal 2015 a oggi sono più di cento i progetti compiuti nelle scuole e circa venti gli interventi di orti urbani realizzati per riqualificare spazi abbandonati di Palermo. Nata dall'idea di una donna architetto e di un educatore ambientale, Orto Capovolto sta cambiando il volto del capoluogo siciliano e diffondendo consapevolezza fra i suoi abitanti.



In questo periodo così opaco e scarso di emozioni belle, assembrate e colorate, in cui ogni cosa sembra perdere di senso e il significato delle azioni a volte è senza significante, la vita di prima del covid sembra un sogno lontano. Eppure Palermo prima della pandemia era un fiorire di iniziative, di tran tran di turisti e guide che urlavano “follow me” in giro tra i monumenti, di artigiani che aprivano botteghe, di startup geniali che nascevano, di comunità operose che valorizzavano il bene comune. La “città tutta porto” – questo vuol dire Palermo – era in continuo fermento.


In questo contesto pulsante di nuove energie e vibrante di emozioni, nasce Orto Capovolto, “la cooperativa sociale che vuole valorizzare il volto della città attraverso il verde commestibile” – questa la definizione che danno di loro stessi sul sito web del progetto. Ed era bello girare un angolo e stupirsi di trovarsi di fronte a cassoni pieni di terra con tanti ortaggi e fiori dentro. Succedeva spesso, in particolare durante Manifesta 12, la biennale di arte contemporanea che ha messo a soqquadro Palermo; c’era un progetto tutto curato da Orto Capovolto chiamato “Palermo, la città tutta orto”, dove gli orti urbani sono stati disseminati per il centro storico e non solo.

Ma come nasce l’idea di Orto Capovolto e con quali finalità? Ha origine dall’incontro di un architetto – Angelica – e un educatore ambientale – Giorgio –, che insieme immaginano una città più verde. Nel 2013 Angelica propone a un cliente di realizzare un orto sul tetto della sua casa e così inizia ad appassionarsi all’agricoltura urbana. Giorgio è convinto che solo partendo dalle nuove generazioni si può immaginare un futuro più sostenibile. Decidono quindi di aprire una startup – correva l’anno 2015 – con l’obiettivo di creare un orto diffuso a Palermo, per occuparsi tanto di progettazione e realizzazione di orti urbani, quanto di educazione ambientale e alimentare nelle scuole e non solo.



«Coltivare un orto in città non significa solo produrre la propria cena senza pesticidi», spiega Angelica Agnello. «Significa anche e soprattutto, imparare l’importanza della biodiversità, la stagionalità dei prodotti e concetti chiave come il chilometro zero, la filiera corta e l’importanza di tutti gli elementi naturali».

La cosa che i fondatori di Orto Capovolto ritengono più importante sono i progetti di riqualificazione urbana, che sono realizzati sempre in partnership con altre realtà, come associazioni e comitati di quartiere. Attraverso questi progetti cercano di coinvolgere un target che sia il più ampio possibile, principio che cozza con la pandemia e infatti da circa un anno questo filone di attività è fermo.

Ma di certo il covid non può fermare l’immaginazione: «In questo momento – spiega Angelica – abbiamo sospeso quasi del tutto le attività; manteniamo pochi progetti, come quello in partenza al Malaspina, (il carcere minorile di Palermo, ndr) dal titolo “Le buone erbe”. La maggior parte delle nostre iniziative era con i bambini. Abbiamo deciso di rimanere quasi del tutto fermi aspettando tempi migliori perché i laboratori erano dentro ludoteche o scuole. Sono in stand-by anche i progetti di riqualificazione urbana, che generalmente partono in primavera. Ma la grande bellezza è il coinvolgimento di tanta gente, cosa che per adesso è impensabile. Facciamo l’indispensabile e aspettiamo l’anno prossimo». Va molto bene però la linea di design di Orto Capovolto, prodotti legati al giardinaggio come grembiuli da orto o le bombe di semi.



Una delle azioni che più sono rimaste impresse nella memoria della città è sicuramente l’intervento su Salita Raffadali, che per un periodo è stata chiusa al traffico, colorata e addobbata con alberi, fiori e ortaggi. Un intervento di riqualificazione che ha avuto una eco nazionale, ma che adesso rappresenta una grandissima delusione per Orto Capovolto e anche per Sos Ballarò, il comitato di quartiere: «È stato un intervento che sarebbe dovuto durare solo quattro settimane – aggiunge Angelica –, poi è piaciuto a tutti e si era deciso di farlo diventare permanente, ma non è stato così, l’amministrazione è scomparsa e la strada è tornata carrabile. Molto spesso i giardini che riqualifichiamo vengono abbandonati, per questo è importante fare innamorare i residenti del progetto».

Un intervento molto positivo è stato invece quello fatto alla Kalsa, in vicolo del Pallone: «Qui gli abitanti si sono messi davvero in gioco e hanno continuato a interagire con il giardino aggiungendo dettagli, come la statua di una madonnina; anche la vicina chiesa se ne prende cura, ha anche celebrato delle messe lì, all’aperto».

«Quello che ci manca di più è lavorare con i bambini», conclude Angelica. «Una cosa che vogliamo assolutamente fare appena torneremo alla vita di prima è mappare le aree urbane di Palermo non destinate a ospitare strutture e infrastrutture e che quindi possano essere dei luoghi di aggregazione dove far nascere delle aree verde e dei giardini condivisi».

fonte: www.italiachecambia.org


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

Proxima: una sartoria sociale dove ricucire tessuti e vite

Persone che hanno alle spalle un vissuto difficile e doloroso, vittime di tratta e sfruttamento, si ritrovano in questo laboratorio nel cuore della Sicilia per dare nuovo senso alla propria esistenza. Grazie a Proxima si incontrano, imparano un mestiere, vengono aiutate e formate dando corpo a un futuro che sembrava irrimediabilmente compromesso.



Persone ad alta vulnerabilità che hanno un vissuto di grave sfruttamento, con il dovuto sostegno maturano competenze personali importanti per il proprio percorso di autonomia, rafforzando anche l’integrazione e la collaborazione all’interno di un gruppo.

Sono loro le protagoniste delle attività di Proxima, una cooperativa sociale che in Sicilia lavora ogni giorno per aiutare gli ultimi, dando loro una seconda possibilità attraverso la valorizzazione del “saper fare”, del lavoro manuale, capace di unire, far sognare e ridare speranza.

La Cooperativa sociale Proxima nasce alla fine degli anni ’90 in provincia di Ragusa, gestendo un servizio per minori rivolto ai figli dei profughi Kosovari. Dal 2003 realizza progetti rivolti a vittime di tratta, offrendo un’opportunità di fuga, cambiamento, relazione, crescita personale e dando loro la possibilità di frequentare luoghi sicuri e adeguati.

Due sono i progetti principali sui quali la cooperativa fonda la propria attività: una sartoria e un orto, entrambi sociali. Già, perché la socialità e la condivisione di esperienze sono una risorsa fondamentale per ricominciare a sperare. Letizia Blandino, referente del progetto, comincia a raccontarci la storia del laboratorio sartoriale.

Quali sono le attività in cui sono coinvolte le persone che seguite?

La sartoria è un luogo di formazione, produzione, apprendimento e scambio continuo di esperienze. Attraverso il riciclo tessile, con la supervisione di una sarta specializzata, i ragazzi trasformano questo hobby creativo in una competenza sempre più professionalizzante, costruendosi così un’opportunità di lavoro e riscatto personale. La tecnica maggiormente usata in laboratorio è quella del patchwork, grazie al quale si ottengono creazioni artigianali uniche che spaziano da accessori per la persona ad oggettistica per la casa, con un occhio sempre attento all’etica ed all’ecologia. Dando vita nuova a questi tessuti, con la realizzazione di oggetti unici, questi ragazzi tessono i fili per un nuovo percorso di rinascita, dove le ferite passate si trasformano in autodeterminazione.

Come nasce l’idea di un laboratorio di Sartoria Sociale all’interno della cooperativa Proxima?

L’idea di avviare un laboratorio di Sartoria Sociale è nata per assecondare un particolare interesse dimostrato nei confronti dell’attività sartoriale da parte dei beneficiari dei progetti della Cooperativa Sociale Proxima, vittime di tratta e grave sfruttamento, con il fine di offrire un opportunità di riscatto sociale, integrazione ed autonomia.

In che modo, attraverso il cucito e all’interno di un gruppo, i ragazzi accrescono la propria autonomia e proseguono lungo il loro percorso?

Il laboratorio si configura simbolicamente come mezzo per “RI-CUCIRE le ferite”. Infatti, durante l’attività, i partecipati hanno la possibilità di confrontarsi, condividere idee ed esperienze e crescere insieme attraverso un costante apprendimento e formazione sulle tecniche sartoriali utilizzate per creare manufatti artigianali che poi vengono immessi nel mercato mediante e-commerce e punto vendita.



Ci sono stati ragazzi o ragazze che, pur uscendo dai progetti della cooperativa, hanno portato avanti lavori e passioni che si avvicinano alla vostra mission?

C’è stato qualche caso di ragazzi che una volta usciti dai nostri programmi di protezione hanno deciso di acquistare in autonomia una macchina da cucire e portare avanti la propria passione creando dei prodotti tessili in proprio. Ad ogni modo, l’attività di sartoria, oltre a offrire una formazione relativa al settore sartoriale, è organizzata mediante un regolamento specifico pensato anche per fornire ai beneficiari dei nostri progetti delle linee guida da seguire nella vita di tutti i giorni ed in particolar modo in ambiente lavorativo. Pertanto, credo che i ragazzi che fuori escono dai nostri progetti hanno comunque la possibilità di mettere in pratica i nostri insegnamenti e così soddisfare a pieno la nostra mission.

Quali progetti avete in mente per il futuro?

Per il futuro, speriamo di poter ampliare la nostra attività continuando a soddisfare sempre al meglio le richieste che ci arrivano, riuscire a cambiare location creando un punto vendita in sinergia con il laboratorio e magari specializzarci anche nel settore delle riparazioni sartoriali e degli indumenti e accessori personalizzati.

Puoi raccontarci qualcosa anche dell’orto sociale?

Questo progetto nasce nel 2017 ed è una tra le più recenti attività di Proxima. È un luogo dove terre, energie, tradizioni e innovazioni si fondono dando vita a un progetto ambizioso, che si pone l’obiettivo di riqualificare un terreno in totale stato d’abbandono, dove la cittadinanza ragusana può acquistare e assaporare prodotti carichi di passione che rispettano ogni ciclo stagionale. Frutta e verdura vengono selezionate con la massima cura e le eccedenze di produzione non vengono sprecate ma trasformate in golosissime conserve.

fonte: www.italiachecambia.org

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

L’eolico galleggiante si bagna nel Mare di Sicilia: maxi progetto da 2,9 GW

Renexia ha presentato al Ministero per l’Ambiente il progetto da 9 miliardi di euro: 190 turbine galleggiante in grado di fornire energia a 3,4 milioni di famiglie












Dal near-shore all’offshore. Dal porto di Taranto al mare di Sicilia. Renexia, società del Gruppo Toto, continua a credere nell’eolico marino e dopo il travagliato lancio del progetto nelle acque pugliesi con Beleolico, è pronta a fare le cose in grandi. Come? Con MeDWos, primo maxi impianto di eolico galleggiante in Italia. Sulla carta la futura centrale vanterà 190 turbine poste a 60 km dalla costa, per una capacità complessiva di ben 2,9 GW. Gli aerogeneratori saranno del tipo floating, ossia senza fondamenta fisse ma realizzati su piattaforme galleggianti. Questa tecnologia permette di lavorare in mare aperto, dove i fondali sono profondi anche 800 metri. Si tratta di un elemento fondamentale sia per catturare i venti più forti che soffiano lontani dalla costa, sia per tutti quei Paesi, come l’Italia, che possiedono pochi fondali bassi sfruttabili dall’eolico offshore.

La società fa sapere di aver già presentato il suo progetto al Ministero dell’Ambiente per ottenere la necessaria VIA e aver fatto domanda a quello delle Infrastrutture per la concessione marittima. L’iter burocratico è dunque ancora tutto all’inizio e lavori non dovrebbero cominciare prima del 2023. A patto ovviamente di non scontrarsi con gli stessi problemi che hanno rallentato l’impianto di Taranto. A regime – la data ipotizzata per il fine lavori è il 2025 – l’impianto eolico galleggiante siciliano dovrebbe essere in grado di soddisfare il fabbisogno elettrico di 3,4 milioni di famiglie.

Come spiegato dal Gruppo Toto al Sole 24 ore la distanza delle turbine è stata “giudicata adeguata per non ostacolare in nessun modo Sial il traffico marittimo commerciale, sia quello turistico”. E ovviamente per non interferire con le rotte migratorie, né con la vista dalle spiagge.

Ma soprattutto l’impianto sarà il trampolino di lancio per lo sviluppo che attende del settore. Come ricordato solo qualche giorno fa il neonato Manifesto per l’eolico offshore italiano, il PNIEC presentato dal governo prevede di realizzare almeno di 900 MW eolici nelle acque mediterranee entro la fine del prossimo decennio.

fonte: www.rinnovabili.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Abyss Cleanup: la nuova avventura del videomaker Igor D’India



















AutoElettrica: Produrre litio in Italia? Si può, grazie alle saline

In Italia, con la mobilità elettrica, si pensa di non risolvere comunque il problema della dipendenza di materie prime dall’estero. Sul nostro territorio, infatti, non ci sono riserve di litio, fondamentale nella produzione di batterie. Ma è davvero così?





La mobilità elettrica ha iniziato la sua fase ascendente e la domanda che si fanno in molti è se l’Italia riuscirà o meno a ritagliarsi un ruolo di primo piano in questo campo, come è stato negli scorsi decenni a livello motoristico, o se sta rischiando di perdere un treno che non ripasserà. Tra tutto ciò che riguarda la produzione di veicoli elettrici, la filiera delle batterie rappresenta forse l’aspetto più importante. L’Italia, pronta a diventare un punto di riferimento nel riciclo delle batterie, potrebbe anche diventare un produttore di litio, e quindi di celle destinate ad accumulatori sia per auto elettriche che altro. Come? Ce lo spiega Gianfranco Pizzuto, esperto del settore ed imprenditore recentemente intervenuto alla nona edizione di No Smog Mobility tenutasi a Palermo.

Quando si parla di mobilità elettrica, non si può fare a meno di parlare del litio e delle sue riserve, che però in Italia non ci sono. Ma è davvero così?

Assolutamente no, nei nostri mari sono disciolte quantità nell’ordine di centinaia di milioni di tonnellate di litio, attualmente la produzione mondiale di litio è di t. 43.000 (dati del 2017). In Italia potremmo estrarre il litio dalle nostre saline. Certo il processo di estrazione sarebbe un po’ più lungo e costoso di quello del Salar de Atacama (grande lago salato nelle Ande cilene) ma se per farlo si utilizzasse esclusivamente energia rigenerativa prodotta da impianti fotovoltaici, visto che in Sicilia di sole ce n’è, il costo di produzione calerebbe di molto. Ma non solo, poco distante dalle saline di Trapani, a Termini Imerese, in provincia di Palermo, si trova un’ex fabbrica Fiat che da molti anni non viene utilizzata (o comunque molto poco, con quasi 1000 dipendenti in cassa integrazione straordinaria da 9 anni) che sarebbe perfetta per installare un impianto per la produzione di celle.

Come si può dalle saline ottenere litio utile alla produzione di celle per batterie?

Prima dell'effettivo processo di separazione del litio, la salamoia delle saline viene pompata in vasche supplementari e concentrata ulteriormente per mezzo dell’evaporazione. Infine, la soluzione concentrata subisce un secondo processo in cui viene purificata e il litio può essere separato meccanicamente, con una serie di speciali filtri, o chimicamente, utilizzando una soluzione organica insolubile.

Produrre litio dalle saline sulle nostre coste non sarebbe eccessivamente impattante a livello ambientale?

Assolutamente no. Se lo fosse lo sarebbe anche estrarre il sale, cosa che si fa senza particolari pericoli per l’ambiente fin dall’antichità.

Cosa comporterebbe un utilizzo di questo tipo delle saline in termini economici ed occupazionali?

Bloomberg prevede che la domanda di litio, e batterie al litio, da qui al 2030 crescerà di almeno 10 volte rispetto alla domanda attuale, fino a raggiungere una produzione mondiale di almeno 2.000 GWh/anno. L’accoppiata mobilità elettrica e produzione di energia da fonti rigenerative richiederà una sempre maggiore quantità di sistemi di accumulo a batteria dove il litio avrà ancora per molti anni un ruolo primario. Nella sola Sicilia potrebbero trovare impiego molte migliaia di lavoratori e se si calcola che un kWh di batteria Li-ion oggi viene acquistato dalle case automobilistiche a circa € 150, anche in prospettiva di una riduzione del 50% del prezzo attuale (previsto nei prossimi anni, quindi € 75 per kWh) il fatturato annuale - con una produzione stimata di 30 GWh - fabbisogno odierno della sola Tesla - arriverebbe a ben oltre 2 miliardi di euro.

Secondo alcuni l’Italia potrà presto giocare un ruolo importante nel riciclo delle batterie, più che nella produzione delle stesse. È d’accordo?

Se abbiamo la pazienza di aspettare altri 10 anni, forse. Al momento non ci sono abbastanza batterie Li-ion da riciclare perché una volta terminata la vita utile in un’auto elettrica (8-10 anni) vengono riutilizzate per progetti “second life”, come per esempio le batterie di 150 Nissan Leaf di prima generazione che oggi fungono da “back up” allo stadio Amsterdam Arena in Olanda. Nel caso mancasse l’energia elettrica durante una manifestazione, rimpiazzano i tradizionali generatori diesel. La vita utile di una batteria Li-ion è quindi di almeno 20 anni prima di doverla riciclare per recuperare fino al 97% i materiali utilizzati in origine (come dimostra il progetto di Volkswagen presso l'impianto di Salzgitter, dove il gruppo tedesco si sta dedicando alla produzione di celle).

Ma le batterie ed i materiali di cui sono composte le batterie sono veramente riciclabili?

Dipende dal costruttore delle celle e dai materiali che si sono scelti per la produzione. La maggior parte dei componenti delle celle sono metalli come litio, rame, alluminio, cobalto, che possono essere riutilizzati per fabbricare altre celle o altri componenti. Nel progetto Northvolt, per esempio, le celle sono prodotte solo con materiali riciclabili al 100%, riducendo al minimo l’utilizzo di terre rare.





Cita spesso il progetto Northvolt. Di cosa si tratta?

Northvolt è un’azienda svedese fondata nel 2016 da alcuni ex-manager Tesla che hanno deciso di dar vita ad un progetto totalmente sostenibile per produrre celle Li-ion in Svezia ed in altri Paesi europei. Hanno già ottenuto importanti partnership con aziende di livello mondiale come per esempio Siemens, ABB, BMW e Volkswagen giusto per nominarne alcuni. Il loro progetto prevede la costruzione di una prima “Gigafactory” da 32 GWh di celle/anno con inizio della produzione prevista per il 2021 e hanno in pratica già venduto la loro capacità produttiva per i prossimi anni benché la fabbrica non sia ancora in funzione, tanto è l’interesse da parte di alcune case automobilistiche di avere un fornitore di celle e batterie europeo.

Pensa quindi che, tornando alle saline siciliane, in Italia si possa parlare della creazione di una “Southvolt”?

Si potrebbe chiedere a Northvolt di formare una joint venture per la produzione di celle anche in sud Italia, perché no. Di certo ci sarebbe bisogno dell’appoggio del governo italiano, unitamente ad un primario gruppo industriale privato interessato ad investire nel progetto.

Se le sue proposte non verranno accolte in Italia, pensa di orientarsi altrove?

In effetti questa estate ho ricevuto un’offerta da un Paese sudamericano per andare ad organizzare una fabbrica per assemblare moduli per batterie per poi passare, in una fase successiva, ad un progetto molto più ambizioso che prevede anche la produzione di celle. La cosa mi stimola molto e dovrò prendere una decisione a breve.

Per quello che vede nel suo campo, l’Italia rischia di accumulare ritardi nello sviluppo di queste nuove tecnologie e quindi nelle opportunità che queste offrono, oppure siamo al passo con gli altri Paesi?

Rispetto ai leader mondiali (Cina, Corea, Giappone e Stati Uniti) l’Italia è indietro di 10 anni, mentre con il resto dell’Europa il gap è meno evidente, ma comunque c’è. Quello che manca in Italia è la presenza di una grande azienda che con lungimiranza capisca l’importanza strategica che, oggi più che mai, le batterie avranno in un futuro prossimo in realtà già arrivato. Quello che vediamo oggi non è neppure la punta dell’iceberg. Ogni tanto penso, con amarezza, al fatto che nonostante noi italiani siamo stati gli inventori della “pila”, con Alessandro Volta più di 200 anni fa, non ne abbiamo ancora capito l’importanza.


fonte: www.lastampa.it

Un’opera d’arte realizzata con rifiuti plastici recuperati dal mare

Il simbolo del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto realizzato a Catania con plastiche recuperate dal mar Mediterraneo. Si apre così un ciclo di eventi organizzati dalla fondazione OELLE con l'obiettivo di sensibilizzare i siciliani sul tema dell'inquinamento marino utilizzando il linguaggio dell'arte.


















Grazie a Fondazione OELLE Mediterraneo antico, per la prima volta in Italia sarà eseguito in mare il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto in un Progetto-evento a Catania che unisce impegno per l’ambiente, cultura e arte contemporanea per un Mediterraneo da valorizzare e difendere dal plastic littering.

L’opera collettiva Terzo Paradiso, ammirata in tutto il mondo, sarà la prima creata con rifiuti di plastica recuperati in mare e realizzata in acqua, portando alla ribalta il tema dell’inquinamento marino da rifiuti plastici e dell’emergenza ambientale per il futuro dell’umanità.

Promosso da Fondazione OELLE con il patrocinio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e di associazioni ambientaliste, la collaborazione di molti operatori del settore prenderà il via da metà maggio culminando l’8 giugno, rientrando tra le iniziative del Festival dello Sviluppo Sostenibile.

Secondo il Ministero dell’ambiente la plastica rappresenta l’85% dei rifiuti marini trovati in Italia lungo coste e mare. Una minaccia per la vita del Mediterraneo dove, secondo stime più globali, si deposita il 7% di tutta la microplastica rilasciata nel mondo e in generale degli oceani che, entro il 2050, potrebbero contenere più plastica che pesci.

Denunciare l’inquinamento da rifiuti plastici marini nel Mediterraneo, celebrare il potere trasformativo dell’arte come gesto di responsabilità collettiva, affermare una visione alternativa del mare Mediterraneo non più solo associata ai flussi migratori, ma come cuore della nostra civiltà e finestra dell’Europa sul mondo.

Questi in sintesi gli obiettivi di un grande progetto-evento che si terrà a giugno a Catania grazie alla Fondazione OELLE Mediterraneo antico, nel quadro della Giornata Mondiale dell’Ambiente del 5 giugno e delle numerose iniziative di mobilitazione e sensibilizzazione che stanno interessando il nostro Paese e coinvolgendo giovani di tante parti del mondo nei confronti dell’emergenza ambientale. Tra le più gravi a livello globale, insieme al cambiamento climatico, c’è infatti quella legata all’inquinamento marino, in massima parte causato dal cosiddetto plastic o marine litter, i rifiuti plastici.

Il Progetto è promosso da Fondazione OELLE Mediterraneo antico, a cui dal 2017 l’imprenditrice Ornella Laneri con una nuova governance dà il proprio imprinting allo scopo di valorizzare il patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale del Mediterraneo attraverso i linguaggi dell’arte, il recupero della memoria civica e la responsabilità sociale d’impresa.

Cuore del progetto-evento sarà Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto a cura di Cesare Biasini Selvaggi e Carmelo Nicosia, presentato per la prima volta alla Biennale di Venezia del 2005, poi divenuto famoso in tutto il mondo. Una grande opera collettiva che, da allora, ha coinvolto migliaia di persone delle città di ogni continente – dagli spazi antistanti il Louvre di Parigi a piazza Duomo a Milano, dalla sede dell’ONU a Ginevra all’isola di Cuba – per proporre un messaggio di rispetto verso la natura e gli spazi urbani, attraverso un coinvolgimento creativo che pone l’arte al centro della trasformazione sociale responsabile.
terzo paradiso catania
A Catania Terzo Paradiso sarà per la prima volta realizzato in mare e con rifiuti di plastica recuperati dall’ambiente marino: sarà, quindi, di particolare impronta scenografica e con un forte impatto visivo, grazie anche alle sue dimensioni, circa 20 metri di lunghezza. Un progetto che si propone di stimolare in ciascuno di noi delle riflessioni. Al riguardo, commenta Pistoletto: “Quale azione deve ognuno fare perché la plastica non finisca in mare?”. Non solo è necessario pulire, ma assumersi la responsabilità di non inquinare.
                                 
Il progetto-evento prenderà il via da fine maggio fino a fine giugno con un percorso articolato di iniziative sul territorio, rivolte in particolare ai giovani. Negli ultimi giorni di maggio è stato realizzato il simbolo del Terzo Paradiso (due cerchi ricongiunti da un terzo centrale) riutilizzando i rifiuti recuperati in mare o abbandonati nell’ambiente con la partecipazione di cittadini, associazioni, istituzioni e studenti dell’Accademia di Belle Arti di Catania.

La mattina del 7 giugno Michelangelo Pistoletto terrà una lectio magistralis presso l’Accademia di Belle Arti di Catania, ricevendo la laurea honoris causa in arti visive. La mattina dell’8 giugno il Terzo Paradiso sarà ultimato da Pistoletto presso la Passeggiata del molo Foraneo di Levante del Porto di Catania, collocato su un “pontone” galleggiante, una piattaforma di 800 mq, dove resterà esposto fino al 15 luglio.

“La performance alla base del Progetto intende sottolineare la responsabilità collettiva verso la salute del mare e un ruolo del Mediterraneo come luogo di diffusione e transito di culture millenarie che guardano al futuro in positivo, con una visione alternativa al percepito delle cronache esclusivamente problematiche, in particolare associate al tema dei flussi migratori e in cui la Sicilia e il territorio catanese sono snodo. – ha commentato la presidente della Fondazione OELLE Mediterraneo antico, Ornella Laneri – Come Fondazione che punta a rilanciare la ricchezza culturale, i valori storici, sociali e ambientali del territorio italiano, a partire dalla Sicilia dove noi operiamo, siamo convinti che il linguaggio dell’arte contemporanea sia il più adatto per accendere i riflettori sulle grandi questioni ambientali che oggi devono essere al centro della responsabilità sociale d’impresa, dell’azione delle istituzioni e della coscienza collettiva, in particolare dei giovani”.
terzo paradiso catania 2
Il cosiddetto marine litter è tra i principali nemici della biodiversità marina e una grave minaccia per il Mediterraneo, dove si concentra il 7% della microplastica dispersa a livello globale, e dove i materiali plastici, secondo il Ministero dell’ambiente, rappresentano l’85% dei rifiuti trovati in mare e lungo le coste. Si stima che ogni anno finiscano in mare almeno 8 milioni di tonnellate di plastica e che, entro il 2050, gli oceani potrebbero contenere più plastica che pesci, secondo la Fondazione Ellen MacArthur.

Il progetto si avvale del Patrocinio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle associazioni ambientaliste: Fondazione Cetacea, Cittadinanzattiva Sicilia, Italia Nostra Catania, Legambiente, Marevivo, WWF. Collaboreranno operatori e istituzioni del territorio, tra cui Guardia Costiera, Capitaneria di Porto, Autorità Portuale Catania, Accademia di Belle Arti di Catania. Tra i media partner c’è anche Italia Che Cambia.

Il progetto-evento rientra tra le iniziative della terza edizione del Festival dello Sviluppo Sostenibile, organizzato dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS).

fonte: www.italiachecambia.org