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La mappa dell’inquinamento da plastica nel Mediterraneo









Ogni anno finiscono nel Mare Nostrum 17.600 t di rifiuti di plastica. Di questi, l’84% viene riportato a spiaggia dalle correnti, mentre il resto si distribuisce in tutta la colonna d’acqua. Un nuovo studio è riuscito a

Mare, una risorsa in pericolo





















Marine litter, inquinamento, perdita di biodiversità: il Mediterraneo è sempre più in pericolo. A minacciare gli ecosistemi marini non solo la plastica ma anche le drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici





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WWF: campagna GenerAzione Mare

Dalla pesca eccessiva allo sviluppo economico insostenibile e alle micro plastiche, il Mar Mediterraneo è sottoposto a una pressione senza precedenti con pesanti impatti sugli ecosistemi marini e la biodiversità ma anche su importanti settori economici come la pesca e il turismo



Con la Campagna GenerAzione, il WWF chiede un impegno concreto e immediato da parte dei governi per rafforzare la protezione del Mar Mediterraneo entro il 2030.

Il Manifesto stilato dal WWF mette in evidenza le minacce che incombono sul Mar Mediterraneo ma anche le soluzioni da adottare per scongiurarle. Le 5 principali minacce sono rappresentate da:

pesca insostenibile
perdita di biodiversità marina
corsa all’oro blu, ovvero sovrasfruttamento economico delle risorse legate al mare
cambiamento climatico
plastica.

Gli obiettivi da raggiungere:
recuperare e stabilizzare le popolazioni di specie chiave in tutto il Mediterraneo affinché mantengano il loro valore ecologico, economico e culturale per le generazioni future,
raggiungere la sostenibilità della pesca in tutto il Mediterraneo, in modo che le generazioni future possano continuare a pescare e nutrirsi dei prodotti del mare senza danneggiare l’ambiente marino,
ottenere una rete efficace di aree marine protette in tutto il Mediterraneo per preservare e ripristinare la salute degli ecosistemi marini e garantire i benefici che forniscono alle persone,
mantenere le ricchezze naturali del Mar Mediterraneo come fonte di benessere e prosperità per le generazioni future; un’economia blu sostenibile significa garantire che lo sviluppo non vada a scapito degli ambienti marini e costieri, ma mantenga e accresca il loro valore a lungo termine,
impedire che la plastica finisca in mare.

Come è possibile raggiungere tutti questi obiettivi ? Il WWF fa le sue proposte.

Per quanto riguarda la pesca sostenibile, questa si può raggiungere, garantendo che
il 100% degli stock ittici del Mediterraneo disponga di piani di gestione a lungo termine efficaci in modo che sia consentita la ripresa e si riducano gli impatti su altre specie ed ecosistemi
la gestione della pesca includa i pescatori locali e la pesca artigianale.

La perdita di biodiversità può essere arginata
sensibilizzando le persone ad acquistare in modo consapevole e responsabile
coinvolgendo l'industria ittica, che deve essere la prima a lavorare per la sostenibilità della filiera
sostenendo i pescatori artigianali del Mediterraneo a pescare meglio e vendere meglio.

La protezione della fauna marina si garantisce
riducendo in modo drastico le catture accidentali di mammiferi marini (squali, razze, tartarughe)
identificando e proteggendo alcune aree specifiche che possono accogliere popolazioni di mammiferi marini.
coinvolgendo anche la società civile nella salvaguardia della fauna marina anche attraverso progetti di citizen science.

L'implementazione della aree marine protette è un passaggio fondamentale per avere un habitat sano, questo obiettivo può essere raggiunto
incrementando l'efficacia della gestione delle aree marine protette (AMP) e dei siti Natura 2000 esistenti
assicurando che almeno il 30% delle aree costiere e marine sia protetto nel Mediterraneo e in Italia.

L'economia blu può trovare fondamento
realizzando un piano spaziale marino che tenga in adeguata considerazione la capacità di carico dell’ecosistema, integrando una rete efficace di aree marine protette e misure di protezione spaziale con valutazioni ambientali strategiche, per garantire che le attività umane in mare non abbiano effetti negativi su habitat, specie e/o processi ecologici particolarmente sensibili.

Infine, la riduzione della plastica in mare si può ottenere
ratificando un trattato vincolante per tutti i paesi del mondo per contrastare l'inquinamento marino da plastica
consentendo ai pescatori di trasportare a terra i rifiuti pescati accidentalmente per un loro corretto smaltimento
sensibilizzando e coinvolgendo la società civile nella lotta contro la plastica in mare.

Questi, secondo il WWF, sono gli steps per far sì che, entro il 2030, il Mediterraneo sia caratterizzato da ecosistemi marini e costieri sani, in grado di garantire il benessere umano basato su economie vivaci e sostenibili.

Leggi di più sulla campagna GenerAzione Mare e sul Manifesto del WWF per proteggere il capitale blu.

fonte: www.arpat.toscana.it



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Mediterraneo e cambiamento climatico

 

Le Nazioni Unite, il 5 giugno, giornata mondiale dell'ambiente, hanno dato avvio ad un nuovo decennio per la salvaguardia della biodiversità, che, insieme ai cambiamenti climatici, rappresenta una delle più importanti sfide ambientali che dovremo affrontare nel prossimo futuro.

In occasione, invece, della giornata mondiale degli oceani, l'attenzione è stata puntata sul Mediterraneo e il cambiamento climatico. Da una parte, il WWF ha pubblicato un nuovo report dal titolo “ Gli effetti del cambiamento climatico nel Mediterraneo. Sei storie da un mare sempre più caldo”, dove mette in luce come il cambiamento climatico abbia già influenzato e alterato il "nostro mare", per alcuni versi in modo irreversibile; dall'altra, Enea ha presentato un innovativo modello per proiezioni climatiche ad alta risoluzione dell’area mediterranea, dal nome ENEA-RegESM, che è in grado di simulare le dinamiche atmosfera-oceano in relazione con i processi fisici e biologici che avvengono sulla superficie terrestre, come flussi di calore, assorbimento di CO2 da parte degli ecosistemi terrestri e ciclo idrologico.

Secondo Enea, il Mar Mediterraneo è un "sorvegliato speciale". Da un punto di vista atmosferico, la regione mediterranea è una zona di transizione compresa tra la fascia temperata e quella tropicale caratterizzata da basse precipitazioni totali annue; durante l’inverno, la pioggia è portata dai venti occidentali, mentre le estati secche e calde dipendono dall’influenza innescata dal monsone indiano.

Conformazione del territorio, natura frastagliata delle aree costiere con un numero considerevole di isole e stretti e variabilità dell’orografia delle aree continentali interne rendono il bacino del Mediterraneo una regione particolarmente complessa.

Le temperature delle acque del Mediterraneo stanno aumentando il 20% più velocemente rispetto alla media globale, questo comporta gravi conseguenze, destinate ad aumentare nei prossimi decenni; se non verrà fatto nulla, assisteremo all’aumento del livello del mare che potrebbe superare il metro entro il 2100, con impatti su un terzo della popolazione che vive in questa regione.

Il WWF, nel suo nuovo report, evidenzia come siano necessarie azioni urgenti e significative, sia per ridurre ulteriori emissioni di gas serra, sia per adattarsi alle nuove condizioni con un mare sempre più caldo, pur consapevoli che non esiste un modo veloce per sconfiggere il cambiamento climatico. Infatti anche con un’azione globale immediata di riduzione delle emissioni di gas serra, le temperature probabilmente continuerebbero ad aumentare per decenni, quindi quello che dobbiamo fare è aumentare la resilienza e proteggere e ripristinare le risorse naturali del Mar Mediterraneo.

Nel report si sottolinea come sia in atto un'allarmante perdita di biodiversità marina, la fauna marina, sottoposta a enormi pressioni, sta diminuendo a causa di inquinamento, sviluppo costiero, eutrofizzazione, traffico marittimo, produzione di energia e altre attività antropiche. A questo si aggiunge una presenza sempre maggiore di specie non autoctone, nel Mediterraneo, si registrano 1.000 specie animali aliene tipiche dei mari tropicali, la cui sopravvivenza e diffusione, soprattutto verso nord e ovest del bacino, è favorita dall’aumento della temperatura media dell’acqua dovuta ai cambiamenti climatici.

Al tempo stesso, il cambiamento del clima comporta lo spostamento di alcune specie native, che stanno muovendo i propri areali verso nord per seguire le acque più fredde, mentre altre specie endemiche sono state spinte sull’orlo dell’estinzione.

Tutto questo determina
un'alterazione degli equilibri tra specie, come è evidente con la proliferazione di meduse, che affligge pescatori e turisti
l’emergere di nuovi patogeni
l’aumento di fenomeni atmosferici estremi, che sta devastando habitat marini fragili come quelli della Posidonia e i fondali corallini.

Per approfondimenti leggi: “Gli effetti del cambiamento climatico nel Mediterraneo. Sei storie da un mare sempre più caldo”

fonte: www.arpat.toscana.it


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È il turismo il principale responsabile dei rifiuti marini che finiscono sulle spiagge delle isole del Mediterraneo

Il turismo produce l'80% dei rifiuti marini che si accumulano sulle spiagge delle isole del Mediterraneo in estate. La pandemia di Cobvid-19 è un'opportunità per ripensare il modello del turismo sostenibile




Lo studio “The generation of marine litter in Mediterranean island beaches as an effect of tourism and its mitigation”, pubblicato su Scientific Reports da Michaël Grelaud e Patrizia Zivieri dell’Institut de Ciència i Tecnologia Ambientals de la Universitat Autònoma de Barcelona (ICTA-UAB), mette in guardia sull’impatto che l’attuale modello turistico nelle isole del Mediterraneo ha sullo spiaggiamento di rifiuti marini e raccomanda di sfruttare la crisi del Covid.19 per ripensare a un nuovo modello di turismo più sostenibile.

Lo studio di mostra che «L’uso ricreativo delle spiagge delle isole del Mediterraneo durante l’estate è responsabile fino all’80% dei rifiuti marini che si accumulano su quelle spiagge e genera enormi quantità di microplastiche attraverso la frammentazione di grandi prodotti in plastic».

Lo studio internazionale ha analizzato negli ultimi 4 anni gli effetti dei rifiuti generati dal turismo su 24 spiagge, da siti remoti a siti altamente turistici, di 8 isole del Mediterraneo (Maiorca, Sicilia, Rab, Malta, Creta, Mykonos, Rodi e Cipro). All’ICTA-UAB ricordano che «I rifiuti marini, comprese le microplastiche, possono essere definiti come qualsiasi materiale solido persistente, prodotto o lavorato scartato, smaltito o abbandonato nell’ambiente marino e costiero. Derivano dall’attività umana e possono essere trovati in tutti gli oceani e i mari del mondo».

Grelaud sottolineano che «Questo problema ambientale sta minacciando la buona salute degli ecosistemi marini e può portare alla perdita di biodiversità. Può avere anche enormi impatti economici per le comunità costiere che dipendono dai servizi ecosistemici aumentando la spesa per la pulizia delle spiagge, la salute pubblica o lo smaltimento dei rifiuti».

La regione del Mediterraneo accoglie ogni anno circa un terzo del turismo mondiale ed è particolarmente colpita dall’inquinamento ambientale legato a questa industria che, come dicono spesso gli esperti, insieme a quella estrattiva è l’unica che “mangia” sé stessa. L’attrattività delle isole del Mediterraneo fa sì che la loro popolazione si moltiplichi fino a 20 volte durante l’alta stagione. I ricercatori evidenziano che «Si tratta di una sfida per i comuni costieri, che dipendono da questo settore ma devono adeguarsi e far fronte all’aumento dei rifiuti prodotti, anche sulle spiagge, dall’afflusso stagionale di turisti. Si prevede infatti che il turismo costiero sia una delle principali fonti di rifiuti marini terrestri».

Durante la bassa e alta stagione turistica del 2017, il team di ricerca ha condotto 147 indagini sui rifiuti marini nelle 8 isole e i risultati di mostrano che la stragrande maggioranza dei rifiuti raccolti sono di plastica, visto che rappresentano oltre il 94% dei rifiuti marini.

Dallo studio è emerso che, durante l’estate, sulle frequentatissime spiagge turistiche si accumulano in media 330 rifiuti per 1.000 m2 al giorno, 5,7 volte in più rispetto alla bassa stagione e che oltre il 65% della quantità di rifiuti marini che si accumulano sulle spiagge più frequentate dai turisti e costituito da mozziconi di sigarette, cannucce, lattine e alter tipologie di imballaggi usa e getta. I ricercatori avvertono che «Questo può aumentare fino all’80% se vengono incluse le microplastiche di grandi dimensioni. Come suggerito dai risultati: durante l’estate, gli articoli in plastica lasciati sulla spiaggia subiranno una frammentazione per gli effetti combinati dell’irraggiamento solare e dell’attrito con la sabbia, accelerati dall’elevato volume dei visitatori». Un fenomeno osservato in tutte le isole del Mediterraneo,

Nel 2019, e dopo l’attuazione di campagne di sensibilizzazione dei cittadini, c’è stata una diminuzione di oltre il 50% dei rifiuti associati alla frequentazione delle spiagge da parte dei turisti.

La Zivieri conclude: «Questi risultati molto incoraggianti beneficiano probabilmente della crescente attenzione dell’opinione pubblica verso l’inquinamento da plastica negli oceani o verso le misure adottate dalla Commissione europea per ridurre i rifiuti marini, come la direttiva sulla plastica monouso. Inoltre ci ricordano che il confinamento da Covid-19 e la relativa riduzione drastica e temporanea del turismo ci offre un’opportunità per ripensare l’importanza fondamentale del turismo sostenibile per garantire un futuro sano per l’ambiente e, quindi, anche per le persone».

fonte: www.greenreport.it

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Occorrono sforzi maggiori per ottenere un Mediterraneo più pulito

Rapporto congiunto dell'Agenzia europea e di quella Onu per l'ambiente



Il raggiungimento di un Mar Mediterraneo più pulito richiede una migliore attuazione delle politiche e dati e informazioni ambientali migliorati, secondo il rapporto congiunto dell'Agenzia europea dell'ambiente EAEA) e del Piano d'azione mediterraneo del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP / MAP) "Verso un Mar Mediterraneo più pulito: un decennio di progressi".

Il rapporto fa il punto sui progressi compiuti e sulle sfide future nell'iniziativa dell'Unione per il Mediterraneo Horizon 2020 per un Mediterraneo più pulito (H2020).

Secondo il rapporto, gli attuali interventi sono efficaci per tenere il passo con le crescenti pressioni ambientali, ma la loro portata potrebbe non essere sufficiente per migliorare lo stato ambientale del Mediterraneo. Questo messaggio principale è coerente con i risultati del "Rapporto sullo stato dell'ambiente e dello sviluppo nel Mediterraneo" che sarà presto pubblicato da Plan Bleu, un Centro di attività regionale del sistema UNEP / MAP-Convenzione di Barcellona.



Il riciclaggio non riesce a tenere il passo con l'aumento della produzione di rifiuti in diversi paesi della sponda meridionale del Mediterraneo, a causa del costo relativamente elevato rispetto allo scarico aperto.

Allo stesso modo, il rapporto mostra che l'accesso a servizi igienico-sanitari gestiti in modo sicuro sta aumentando lentamente, ma almeno 5,7 milioni di persone nelle aree urbane e 10,6 milioni di abitanti rurali non hanno ancora accesso a sistemi igienico-sanitari migliorati.

Un'altra area che necessita di attenzione è la gestione integrata dell'inquinamento, comprese ad esempio politiche efficaci di riutilizzo dell'acqua che affronterebbero la crescente domanda e la diminuzione della disponibilità di acqua.



Nonostante gli sforzi per la transizione verso approcci circolari, importanti settori economici si basano ancora su modelli di business lineari che fanno affidamento su un consumo di risorse e catene di approvvigionamento non sostenibili.

La relazione rileva inoltre la necessità di una gestione più efficace dei rifiuti pericolosi. Finanziamenti adeguati e capacità di costruzione per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti pericolosi in tutto il bacino sono sia critici che urgenti.

Una delle sfide principali è che il panorama politico complesso ed eterogeneo della regione rende difficile affrontare le sfide ambientali in modo olistico. La relazione chiede una migliore applicazione delle politiche, che richiede informazioni ambientali più solide e condivise, nonché lo sviluppo di capacità a livello locale, nazionale e regionale. Sebbene i sistemi di dati regionali siano migliorati in modo significativo, il rapporto indica che c'è stato uno scarso miglioramento nella disponibilità e nella qualità dei dati a livello nazionale.

Per approfondimenti leggi Verso un Mar Mediterraneo più pulito: un decennio di progressi

fonte: www.arpat.toscana.it


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Pesca sostenibile: il video WWF con Maccio Capatonda

Maccio Capatonda protagonista di un video del WWF Italia a sostegno del consumo responsabile e della pesca sostenibile.



Ogni momento è quello giusto per scegliere prodotti ittici da pesca sostenibile. L’ha imparato anche Maccio Capatonda, protagonista “vittima” del nuovo spot del WWF. Il video è stato pubblicato come anteprima di quella che sarà la Giornata mondiale dell’Alimentazione, in programma venerdì 16 ottobre 2020.

Il video realizzato con Maccio Capatonda è uno dei tasselli che compone la Food Week, lanciata dall’associazione con l’hashtag #Menu4Planet. Il WWF ricorda come il 33% degli stock ittici sia sovrapescato, mentre un ulteriore 60% venga sfruttato al massimo delle sue possibilità. Grave la situazione del Mediterraneo, che risulta sfruttato oltre il livello di sostenibilità per il 78% dei suoi stock ittici.

Pesca sostenibile, Maccio Capatonda e WWF Italia

Di consumo responsabile e pesca sostenibile ha parlato Giulia Prato, responsabile mare di WWF Italia:

Imparare a consumare responsabilmente è una scelta che dobbiamo fare da subito. Ad esempio potremmo tutti cominciare da questo sabato sera, chiedendo al ristoratore informazioni sulla provenienza e il metodo di cattura dei prodotti ittici che troviamo a menù, oppure cominciando a ordinare specie locali meno comuni, ma altrettanto buone come lo ‘zerro’ o il ‘sugarello’. Ci sono piccoli criteri che possiamo mettere in atto cambiando modo di consumare, ma non c’è tempo da perdere perché: il futuro dipende anche dalla determinazione con cui siamo disposti a rendere i nostri stili di vita più sostenibili.

Lo stesso Maccio Capatonda si è detto sorpreso delle disastrose condizioni in cui versano gli oceani e la popolazione ittica:

Prima pensavo, come tutti, che per dare una mano al Pianeta bastasse ridurre il consumo di carne nella mia dieta. Poi, grazie al WWF, ho scoperto le condizioni disastrose in cui si trovano gli oceani e penso che abbiamo il dovere di fare subito qualcosa per salvare i nostri mari e far sì che dentro continuino a esserci i pesci. Non è un problema solo di chi verrà dopo di noi perché ormai questa è un’emergenza che si declina nel presente!



fonte: www.greenstyle.it


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Presto nel Mediterraneo ci saranno più mascherine che meduse: le immagini dei fondali della Costa Azzurra



















Nel Mediterraneo presto ci saranno più mascherine che meduse. E’ l’allarme lanciato da un’organizzazione ecologista francese che ha denunciato la comparsa di questi rifiuti sulle coste e i fondali del paese.

Le immagini che arrivano dalla Francia sono davvero terribili. A scattarle e a diffonderle è stata l’organizzazione Opération Mer Propre che durante diverse operazioni di pulizia effettuate ad Antibes e nella baia del Golfe-Juan, situata sulla Costa Azzurra, ha raccolto dai fondali un gran numero di mascherine e guanti in lattice.


“Li stavamo aspettando, sono arrivati, ma non nel posto giusto… Le prime maschere sono apparse nel Mediterraneo” si legge nel post pubblicato sulla pagina Facebook dell’associazione.

Purtroppo quanto si temeva da tempo sta accadendo. Proprio di recente, un’analisi dell’Ispra ha messo in luce che il fabbisogno giornaliero di mascherine della cosiddetta Fase 2 si aggirrà intorno ai 35/40 milioni di pezzi. Di conseguenza la produzione di rifiuti giornaliera in Italia sarà tra 250 e 720 tonnellate.


“Utilizzando il peso medio di 11 grammi (che prende in considerazione tutte le tipologie di mascherine) e un fabbisogno intermedio di 37,5 milioni, si avrebbe una produzione giornaliera di circa 410 tonnellate. La produzione calcolata sino a fine 2020 (circa 240 giorni) si attesterebbe, pertanto, tra le 60.000 e le 175.000 tonnellate di rifiuti, con un valore sulla media di circa 100.000 tonnellate”

Purtroppo tali rifiuti stanno contribuendo in maniera esponenziale all’aumento del marine littering, come mostrano le immagini pubblicate da Opération Mer Propre. Secondo l’associazione, i dispositivi di protezione individuale usati contro il coronavirus popolano il fondo marino insieme a materie plastiche e lattine, aumentando il problema della contaminazione delle acque.

Nelle immagini scattate dal fondatore dell’associazione, Laurent Lombard, si può vedere coi propri occhi lo scempio e il degrado presente nei mari francesi.




©Opération Mer Propre


©Opération Mer Propre


©Opération Mer Propre


©Opération Mer Propre

Il fondatore dell’associazione, Laurent Lombard, ha spiegato che sapendo che ne sono state acquistate più di 2 miliardi di mascherine, presto ci saranno più mascherine che meduse nelle acque del Mediterraneo.

Per questo insiste sul fatto che è responsabilità di tutti evitare che il mare venga ulteriormente inquinato:


“La crisi sanitaria ci ha permesso di vedere il meglio e il peggio in noi, se non facciamo nulla è la cosa peggiore che succederà mentre è semplicemente una questione di buon senso per evitare tutto questo. Direi solo che basta differenziare correttamente una maschera usa e getta, buttandola nella spazzatura come tutti gli altri rifiuti”.

fonte: www.greenme.it


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Inquinamento marino: le microplastiche di superficie sono solo l’1% del totale

Quelle galleggianti in superficie sono soltanto la punta dell’iceberg. Il 99% delle microplastiche che finiscono in mare si deposita sui fondali. Una nuova ricerca ha campionato una piccola area del Tirreno scoprendo i livelli di concentrazione più elevati mai registrati sul fondo






Quella in superficie è solo la punta dell’iceberg, cioè 1% del totale. La maggiore concentrazione di plastica e microplastiche si trova sul fondo del mare, trasportata dalle correnti oceaniche e lì accumulatasi.

A rivelarlo è un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science e condotta dalle Università di Manchester, di Durham e di Brema insieme al National Oceanography Centre e all’IFREMER. La ricerca ha mostrato come le correnti di acque profonde fungono da veri e propri “nastri trasportatori” che trascinano piccoli frammenti e fibre di plastica sui fondali profondi.

“Quasi tutti hanno sentito parlare delle famigerate isole di plastica galleggianti – ha spiegato Ian Kane, professore dell’Università di Manchester e autore principale dello studio – ma siamo rimasti scioccati dalle alte concentrazioni di microplastiche che abbiamo trovato nel mare profondo. Abbiamo scoperto che le microplastiche non sono distribuite uniformemente ma, al contrario, sparse dalle correnti profonde e concentrate in determinate aree”.

Le microplastiche depositate sui fondali sono costituite principalmente da fibre tessili e di abbigliamento: “frammenti” che, non essendo efficacemente filtrati dagli impianti di trattamento delle acque reflue domestiche, penetrano facilmente nei fiumi fino agli oceani. Qui, “catturati” dalle correnti, vengono trasportati lungo i canyon sottomarini, fino al fondale. Una volta nel mare profondo, le microplastiche sono “raccolte” dalle correnti di fondo, che le distribuiscono in modo non uniforme sui fondali.

Poiché tali correnti trasportano anche acqua ossigenata e sostanze nutritive, il rischio è che le microplastiche vadano a depositarsi in ecosistemi popolati da importanti comunità biologiche in grado di assorbirle.

Il team di ricercatori ha raccolto campioni di sedimenti dal fondo del Mar Tirreno combinandoli con modelli calibrati di correnti oceaniche profonde ed una dettagliata mappatura di fondali. In laboratorio, le microplastiche sono state separate dai sedimenti, contate al microscopio e ulteriormente analizzate mediante spettroscopia infrarossa per determinare i tipi di plastica e stabilire eventuali correlazioni con le aree in cui queste s’erano depositate. Oltre a dimostrare come le correnti controllano la ripartizione delle microplastiche sui fondali marini, lo studio ha anche rilevato i livelli di microplastiche più elevati mai registrati sul fondo, con concentrazioni fino a 1,9 milioni di frammenti su una superficie di un solo m2.

“La plastica è ormai diventata un nuovo tipo di sedimento che viene distribuito sul fondo del mare insieme a sabbia, fango e sostanze nutritive”, ha detto Florian Pohl del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Durham.
“La nostra ricerca – ha aggiunto il professor Mike Clare del National Oceanography Centre – ha dimostrato come studi dettagliati sulle correnti dei fondali marini possano aiutarci a collegare i percorsi di trasporto della microplastica in acque profonde e trovare così le microplastiche “mancanti”. I risultati evidenziano la necessità di interventi politici che limitino in futuro lo sversamento di plastica negli ambienti naturali riducano al minimo gli impatti sugli ecosistemi oceanici”.

Eppure, ricordano dall’IFREMER, ad oggi sono più di 10 milioni le tonnellate di rifiuti plastici che vengono ogni anno gettate negli oceani.

fonte: www.rinnovabili.it 


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Perché le tartarughe mangiano la plastica?


















Nei mari del Pianeta sono circa settecento le specie che soffrono l’inquinamento da plastica direttamente, sia perché la ingeriscono sia perché restano intrappolate in cumuli di rifiuti. Tra queste ci sono alcune specie di invertebrati e uccelli marini, ma anche gli animali più iconici che popolano i nostri mari come i delfini, le balene, i capodogli e le tartarughe.

Sempre più spesso ci imbattiamo nelle immagini di quest’ultime intrappolate in reti da pesca o negli anelli di plastica delle lattine di birra. Oppure con lo stomaco pieno di sacchetti e teli di plastica. Proprio questo è successo alla tartaruga Hermaea della specie Caretta caretta, la più comune nel Mediterraneo, che abbiamo liberato lo scorso giugno in Sardegna insieme al personale dell’Area Marina Protetta di Tavolara e del Centro di Recupero del Sinis (CReS)


A baby green sea turtle in a plastic cup on the beach on Bangkaru Island, Sumatra.

Fino ad oggi si pensava che l’attrazione delle tartarughe per la plastica, in particolare per i sacchetti, fosse dovuta alla loro somiglianza al cibo e in particolare alle meduse, preda preferita di molte specie. Infatti, un sacchetto di plastica capovolto può ricordare nella forma una medusa con i manici a formare i tentacoli. Tuttavia, sono state trovate tartarughe intrappolate in cavi di plastica e altri oggetti che non assomigliano affatto a meduse, e ciò sembrava più difficilmente spiegabile. Evidentemente, ci dovevano essere altre ragioni.

Una ricerca recente condotta da un team di scienziati statunitensi sembrerebbe averne capito i motivi. Sarebbe infatti l’odore emanato dalla plastica a trarre in inganno le tartarughe e spingerle a mangiarla. Questo perché la plastica che rimane a lungo nei mari può essere ricoperta di alghe e microorganismi incrostanti che le conferiscono un odore simile a quello del cibo.

Per dimostrare ciò, gli scienziati hanno analizzato le risposte comportamentali di 15 tartarughe marine della specie Caretta caretta, immergendole in piccole vasche e sottoponendole, separatamente, a quattro diversi stimoli olfattivi: acqua distillata, cibo, plastica pulita e plastica lasciata per cinque settimane in mare. I risultati dei test hanno dimostrato che le risposte comportamentali delle tartarughe erano le stesse in presenza del cibo e della plastica lasciata in mare, evidenziando peraltro che bastano solo cinque settimane per trasformare la plastica in un inganno, a volte mortale, per le tartarughe.

Considerando che ogni minuto l’equivalente di un camion pieno di rifiuti in plastica finisce nei mari del Pianeta, possiamo dire con certezza che i nostri oceani sono pieni di trappole mortali per le tartarughe. Purtroppo, ad oggi, non esiste un sistema che ci consenta di pulire i mari dalla plastica: l’unico modo efficace per intervenire sul problema prima che sia troppo tardi è ridurre la produzione di plastica a partire da quella frazione, spesso inutile e superflua, rappresentata dall’usa e getta. Per questo abbiamo lanciato una petizione (no-plastica.greenpeace.it) per chiedere alle grandi aziende di smetterla con la plastica monouso. Solo così riusciremo ad impedire che sempre più tartarughe saranno vittime dell’inquinamento da plastica.

fonte: www.greenpeace.org

Plastic tax, Italia Viva vuole il rinvio. L’esperto: “È utile, in mare tanti imballaggi. Tassa sulle imprese? Lo è se pensano solo al loro mercato”

Franco Borgogno da anni studia l'inquinamento da plastiche in mare: "Serve un'alleanza per abbandonare il monouso. Un bicchiere usato per un minuto rimarrà in fondo all'oceano per secoli. La politica e la ricerca aiutino le aziende a convertire la produzione. Importante andare avanti con le leggi". La misura deve entrare in vigore a luglio, ma i renziani vogliono posticiparla al 2021





“La maggior parte degli oggetti che troviamo in mare sono superflui, si tratta di confezioni e packaging. Dobbiamo smettere di produrli e consumarli”. Franco Borgogno, giornalista, tutor al Master di giornalismo ‘Giorgio Bocca‘ all’Università di Torino e ricercatore dell’European Research Institute, dal 2015 racconta e collabora allo studio della presenza delle microplastiche e macroplastiche nell’oceano globale. Nel mare che circonda le isole Svalbard, nell’Artico profondo, ha partecipato a novembre alla campagna oceanografica HighNorth, coordinata dall’Istituto Idrografico della Marina italiana. Nel suo libro ‘Un mare di plastica‘ ha raccontato il viaggio effettuato nel Passaggio a Nord Ovest nel 2016, per raccogliere dati sulle microplastiche nell’estremo mare Artico. La sua esperienza racconta che la plastic tax “può aiutare” a tutelare l’ambiente e soprattutto a eliminare l’utilizzo del monouso. La tassa green introdotto con la manovra del governo giallorosso dovrebbe entrare in vigore a luglio, dopo essere stata già depotenziata per via dell’ostruzionismo di Italia Viva. Ora, passato lo scoglio delle elezioni in Emilia Romagna – dove sono presenti la maggior parte delle imprese del settore – sono di nuovo i renziani a mettersi di traverso. Questa settimana si voterà infatti l’emendamento al Milleproroghe che rinvia l’entrata in vigore della plastic tax al primo gennaio 2021. “È importante andare avanti con le leggi”, sottolinea però Borgogno, spiegando che a suo avviso la misura green diventa “un aggravio solo se le imprese del settore puntano esclusivamente a mantenere la quota di mercato e non a tutelare l’interesse della società”.

Il peso delle plastiche in mare supererà quello dei pesci nel 2050, un’immagine che rende l’idea del problema?


Se l’uso e il consumo di plastica continuerà come adesso, non è che vedremo il mare pieno di bottiglie ma aumenterà la densità delle microplastiche, quelle con un diametro inferiore ai 5mm, praticamente invisibili ad occhio nudo. La plastica non ha colpa: è un bene fondamentale, per esempio in campo medico. Il problema è l’uso insensato che ne facciamo: un bicchiere di plastica viene usato per pochi minuti ma rimarrà in fondo al mare per secoli e negli abissi non potrà iniziare la degradazione per mancanza di luce, ossigeno e per le basse temperature. La plastica ha una lunga vita e dobbiamo utilizzarla al meglio, considerando che la ricerca offre alternative. È un materiale prezioso e non è adatto al monouso.

A novembre ha partecipato a una spedizione oceanografica per studiare la presenza delle plastiche nell’Artico. Cosa ha scoperto?

Le plastiche galleggianti sono solo una piccola parte di ciò che troviamo in tutto l’oceano globale, fino ai fondali. Sempre nell’ambito del progetto pluriennale HighNorth, l’anno scorso siamo arrivati all’estremo dell’Artico, in zone mai campionate prima. La calotta polare è diventato un grande magazzino di plastica e abbiamo trovato e documentato 156 macroplastiche, frammenti o interi oggetti anche di grandi dimensioni, un numero enorme per quei luoghi remoti e isolati. È stata una scoperta inedita fino a quel momento, anche se non sorprendente conoscendo le correnti oceaniche, che ci racconta come lo scioglimento dei ghiacci stia liberando anche una gran quantità di plastica accumulata nei decenni passati.

Non solo Artico, le microplastiche e macroplastiche non sono lontane da noi, cosa succede nel Mar Mediterraneo?

È un bacino di mare circondato da paesi densamente popolati che negli ultimi 70 anni hanno fatto largo uso di plastica. Nel Mediterraneo troviamo la maggiore concentrazione di microplastiche al mondo, da 2 a 10 chilogrammi per chilometro quadrato, più alta anche delle cosiddette ‘isole di plastica’ del Pacifico dove le microplastiche raggiungono gli 850-900 grammi per chilometro quadrato. Se non le vediamo o non riusciamo a fotografarle non vuol dire che non ci siano, sono pezzettini piccolissimi che sono ovunque nei nostri mari, laghi, fiumi e oceani, che percorrono le acque della terra.

La plastic tax può essere utile?

Tutto ciò che contribuisce a ridurre l’utilizzo di plastica non necessaria è utile. La plastic tax può aiutare. Dobbiamo utilizzarne meno, ciò non significa ridurre il numero di oggetti ma abbandonare e sostituire il monouso con le alternative riutilizzabili.

È un aggravio per le imprese del settore oppure una misura per arginare il problema?
Non si tratta di eliminare i posti di lavoro ma di convertire la produzione. Lo spauracchio dei posti di lavoro si supera producendo in un altro modo perché certi prodotti hanno conseguenze gravi per la società. Si tratta di un aggravio solo se le imprese del settore puntano esclusivamente a mantenere la quota di mercato e non a tutelare l’interesse della società. L’obiettivo della plastic tax non deve essere mettere in pericolo i posti di lavoro, bensì favorire una transizione ecologica. Non è che fatta la tassa sia risolto il problema: la politica e la ricerca devono aiutare le aziende a trovare soluzioni alternative al monouso. Non è semplice ma è necessario perché la vita sulla terra dipende direttamente dalla salute del mare, che ci permette di respirare, bere, mangiare e lavorare. Non si tratta di essere buoni con gli orsi polari, parliamo della nostra casa e della nostra esistenza. È un nostro interesse concreto. La maggior parte degli oggetti che troviamo in mare sono superflui, si tratta di confezioni e packaging. Dobbiamo smettere di produrli e consumarli, è necessario cambiare il design industriale, non basta il riciclo.

Come potrebbe essere migliorata?

È necessario favorire la ricerca e l’innovazione, trovare un’alleanza col mondo produttivo. La chiave è un’economia circolare dove i prodotti e i materiali non diventano mai rifiuti, ma cambiano la loro funzione. La politica ha un ruolo fondamentale per offrire soluzioni. Nel frattempo è possibile usare tutte strategie possibili per diminuire il nostro impatto sull’ambiente, come la plastic tax o il riciclo.

La Finlandia ha tassato la plastica dal 1997, in Norvegia si paga sugli imballaggi a perdere e in Gran Bretagna nel 2022 entrerà in vigore una tassa sulla plastica monouso. Arriviamo in ritardo?

Tutti i Paesi del nostro continente seguono le indicazioni dell’Unione Europea, se non ci avesse spinto non avremmo fatto queste scelte. È importante andare avanti con le leggi, prendendo ispirazione dalle buone pratiche degli altri Paesi e adattandole al nostro contesto.

Intanto i nostri supermercati sono ancora pieni di imballaggi di plastica, la distribuzione con lo sfuso è ancora limitata, cosa non sta funzionando?

Se compro un’arancia sbucciata in una scatoletta di plastica le aziende continueranno a produrla e a venderla. Se compro solo l’arancia, smetteranno e me la venderanno sfusa. Le confezioni vengono prodotte perché continuiamo a comprarle. La prima soluzione è fare scelte sostenibili, non comprare prodotti con troppi imballaggi. Nel caso dell’arancia, la compro e la sbuccio da solo. Il nostro ruolo come consumatori e consumatrici è centrale, così come le leggi e l’impegno delle aziende.

Il bicchiere di plastica dove beviamo per pochi minuti durerà più di noi?

Una persona in cinquant’anni invecchia, invece la plastica rimane potenzialmente intatta. Sulle spiagge italiane si trovano oggetti di plastica prodotti 50 anni fa. Lo scorso inverno ho trovato su una spiaggia dell’Adriatico un flacone prodotto tra il 1967 e il 1971. Era ancora integro e solido. Il bicchiere che usiamo per pochi minuti ci mette svariate decine di anni a degradarsi, dura molto di più della nostra vita.

Cosa possiamo fare, quali azioni potrebbero fare la differenza?

Durante la giornata possiamo fare la differenza con le nostre scelte. Ad esempio, usando la borraccia: significa risparmiare centinaia di bottiglie l’anno. Portare la borsa di tela al mercato, rifiutare le cannucce, evitare gli oggetti che userò solo per un minuto e che ci metteranno più della mia vita a degradarsi. Usiamo molte migliaia di oggetti monouso durante le nostre esistenze, un’enorme montagna, che resterà sulla terra dieci volte la durata delle nostre vite, il tutto moltiplicato per la popolazione della terra e per le generazioni. Le nostre scelte hanno un peso che ricadrà e muoverà i produttori e la politica. I comportamenti individuali sono l’interruttore del cambiamento.

fonte: www.ilfattoquotidiano.it

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