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Plastic tax, Italia Viva vuole il rinvio. L’esperto: “È utile, in mare tanti imballaggi. Tassa sulle imprese? Lo è se pensano solo al loro mercato”

Franco Borgogno da anni studia l'inquinamento da plastiche in mare: "Serve un'alleanza per abbandonare il monouso. Un bicchiere usato per un minuto rimarrà in fondo all'oceano per secoli. La politica e la ricerca aiutino le aziende a convertire la produzione. Importante andare avanti con le leggi". La misura deve entrare in vigore a luglio, ma i renziani vogliono posticiparla al 2021





“La maggior parte degli oggetti che troviamo in mare sono superflui, si tratta di confezioni e packaging. Dobbiamo smettere di produrli e consumarli”. Franco Borgogno, giornalista, tutor al Master di giornalismo ‘Giorgio Bocca‘ all’Università di Torino e ricercatore dell’European Research Institute, dal 2015 racconta e collabora allo studio della presenza delle microplastiche e macroplastiche nell’oceano globale. Nel mare che circonda le isole Svalbard, nell’Artico profondo, ha partecipato a novembre alla campagna oceanografica HighNorth, coordinata dall’Istituto Idrografico della Marina italiana. Nel suo libro ‘Un mare di plastica‘ ha raccontato il viaggio effettuato nel Passaggio a Nord Ovest nel 2016, per raccogliere dati sulle microplastiche nell’estremo mare Artico. La sua esperienza racconta che la plastic tax “può aiutare” a tutelare l’ambiente e soprattutto a eliminare l’utilizzo del monouso. La tassa green introdotto con la manovra del governo giallorosso dovrebbe entrare in vigore a luglio, dopo essere stata già depotenziata per via dell’ostruzionismo di Italia Viva. Ora, passato lo scoglio delle elezioni in Emilia Romagna – dove sono presenti la maggior parte delle imprese del settore – sono di nuovo i renziani a mettersi di traverso. Questa settimana si voterà infatti l’emendamento al Milleproroghe che rinvia l’entrata in vigore della plastic tax al primo gennaio 2021. “È importante andare avanti con le leggi”, sottolinea però Borgogno, spiegando che a suo avviso la misura green diventa “un aggravio solo se le imprese del settore puntano esclusivamente a mantenere la quota di mercato e non a tutelare l’interesse della società”.

Il peso delle plastiche in mare supererà quello dei pesci nel 2050, un’immagine che rende l’idea del problema?


Se l’uso e il consumo di plastica continuerà come adesso, non è che vedremo il mare pieno di bottiglie ma aumenterà la densità delle microplastiche, quelle con un diametro inferiore ai 5mm, praticamente invisibili ad occhio nudo. La plastica non ha colpa: è un bene fondamentale, per esempio in campo medico. Il problema è l’uso insensato che ne facciamo: un bicchiere di plastica viene usato per pochi minuti ma rimarrà in fondo al mare per secoli e negli abissi non potrà iniziare la degradazione per mancanza di luce, ossigeno e per le basse temperature. La plastica ha una lunga vita e dobbiamo utilizzarla al meglio, considerando che la ricerca offre alternative. È un materiale prezioso e non è adatto al monouso.

A novembre ha partecipato a una spedizione oceanografica per studiare la presenza delle plastiche nell’Artico. Cosa ha scoperto?

Le plastiche galleggianti sono solo una piccola parte di ciò che troviamo in tutto l’oceano globale, fino ai fondali. Sempre nell’ambito del progetto pluriennale HighNorth, l’anno scorso siamo arrivati all’estremo dell’Artico, in zone mai campionate prima. La calotta polare è diventato un grande magazzino di plastica e abbiamo trovato e documentato 156 macroplastiche, frammenti o interi oggetti anche di grandi dimensioni, un numero enorme per quei luoghi remoti e isolati. È stata una scoperta inedita fino a quel momento, anche se non sorprendente conoscendo le correnti oceaniche, che ci racconta come lo scioglimento dei ghiacci stia liberando anche una gran quantità di plastica accumulata nei decenni passati.

Non solo Artico, le microplastiche e macroplastiche non sono lontane da noi, cosa succede nel Mar Mediterraneo?

È un bacino di mare circondato da paesi densamente popolati che negli ultimi 70 anni hanno fatto largo uso di plastica. Nel Mediterraneo troviamo la maggiore concentrazione di microplastiche al mondo, da 2 a 10 chilogrammi per chilometro quadrato, più alta anche delle cosiddette ‘isole di plastica’ del Pacifico dove le microplastiche raggiungono gli 850-900 grammi per chilometro quadrato. Se non le vediamo o non riusciamo a fotografarle non vuol dire che non ci siano, sono pezzettini piccolissimi che sono ovunque nei nostri mari, laghi, fiumi e oceani, che percorrono le acque della terra.

La plastic tax può essere utile?

Tutto ciò che contribuisce a ridurre l’utilizzo di plastica non necessaria è utile. La plastic tax può aiutare. Dobbiamo utilizzarne meno, ciò non significa ridurre il numero di oggetti ma abbandonare e sostituire il monouso con le alternative riutilizzabili.

È un aggravio per le imprese del settore oppure una misura per arginare il problema?
Non si tratta di eliminare i posti di lavoro ma di convertire la produzione. Lo spauracchio dei posti di lavoro si supera producendo in un altro modo perché certi prodotti hanno conseguenze gravi per la società. Si tratta di un aggravio solo se le imprese del settore puntano esclusivamente a mantenere la quota di mercato e non a tutelare l’interesse della società. L’obiettivo della plastic tax non deve essere mettere in pericolo i posti di lavoro, bensì favorire una transizione ecologica. Non è che fatta la tassa sia risolto il problema: la politica e la ricerca devono aiutare le aziende a trovare soluzioni alternative al monouso. Non è semplice ma è necessario perché la vita sulla terra dipende direttamente dalla salute del mare, che ci permette di respirare, bere, mangiare e lavorare. Non si tratta di essere buoni con gli orsi polari, parliamo della nostra casa e della nostra esistenza. È un nostro interesse concreto. La maggior parte degli oggetti che troviamo in mare sono superflui, si tratta di confezioni e packaging. Dobbiamo smettere di produrli e consumarli, è necessario cambiare il design industriale, non basta il riciclo.

Come potrebbe essere migliorata?

È necessario favorire la ricerca e l’innovazione, trovare un’alleanza col mondo produttivo. La chiave è un’economia circolare dove i prodotti e i materiali non diventano mai rifiuti, ma cambiano la loro funzione. La politica ha un ruolo fondamentale per offrire soluzioni. Nel frattempo è possibile usare tutte strategie possibili per diminuire il nostro impatto sull’ambiente, come la plastic tax o il riciclo.

La Finlandia ha tassato la plastica dal 1997, in Norvegia si paga sugli imballaggi a perdere e in Gran Bretagna nel 2022 entrerà in vigore una tassa sulla plastica monouso. Arriviamo in ritardo?

Tutti i Paesi del nostro continente seguono le indicazioni dell’Unione Europea, se non ci avesse spinto non avremmo fatto queste scelte. È importante andare avanti con le leggi, prendendo ispirazione dalle buone pratiche degli altri Paesi e adattandole al nostro contesto.

Intanto i nostri supermercati sono ancora pieni di imballaggi di plastica, la distribuzione con lo sfuso è ancora limitata, cosa non sta funzionando?

Se compro un’arancia sbucciata in una scatoletta di plastica le aziende continueranno a produrla e a venderla. Se compro solo l’arancia, smetteranno e me la venderanno sfusa. Le confezioni vengono prodotte perché continuiamo a comprarle. La prima soluzione è fare scelte sostenibili, non comprare prodotti con troppi imballaggi. Nel caso dell’arancia, la compro e la sbuccio da solo. Il nostro ruolo come consumatori e consumatrici è centrale, così come le leggi e l’impegno delle aziende.

Il bicchiere di plastica dove beviamo per pochi minuti durerà più di noi?

Una persona in cinquant’anni invecchia, invece la plastica rimane potenzialmente intatta. Sulle spiagge italiane si trovano oggetti di plastica prodotti 50 anni fa. Lo scorso inverno ho trovato su una spiaggia dell’Adriatico un flacone prodotto tra il 1967 e il 1971. Era ancora integro e solido. Il bicchiere che usiamo per pochi minuti ci mette svariate decine di anni a degradarsi, dura molto di più della nostra vita.

Cosa possiamo fare, quali azioni potrebbero fare la differenza?

Durante la giornata possiamo fare la differenza con le nostre scelte. Ad esempio, usando la borraccia: significa risparmiare centinaia di bottiglie l’anno. Portare la borsa di tela al mercato, rifiutare le cannucce, evitare gli oggetti che userò solo per un minuto e che ci metteranno più della mia vita a degradarsi. Usiamo molte migliaia di oggetti monouso durante le nostre esistenze, un’enorme montagna, che resterà sulla terra dieci volte la durata delle nostre vite, il tutto moltiplicato per la popolazione della terra e per le generazioni. Le nostre scelte hanno un peso che ricadrà e muoverà i produttori e la politica. I comportamenti individuali sono l’interruttore del cambiamento.

fonte: www.ilfattoquotidiano.it

Mediterraneo: 50.000 esemplari di 116 specie diverse hanno ingerito plastica














Almeno 116 specie diverse nel Mediterraneo hanno ingerito plastica (l'ingestione è il principale effetto noto della plastica in mare); il 59% di queste sono pesci ossei. inclusi in questa percentuale anche quelli di interesse commerciale come sardine, triglie, orate, merluzzi, acciughe, tonni, scampi, gamberi rossi; il restante 41% è costituito da altri animali marini come mammiferi, crostacei, molluschi, meduse, tartarughe, uccelli.
Questi alcuni dei risultati di uno studio, condotto anche da ricercatori dell’Ispra, incluso nel capitolo del libro "Plastics in the Aquatic Environment - Current Status and Challenges" pubblicato dalla Springer Nature, in cui si aggiorna la letteratura scientifica disponibile per descrivere l'impatto dei rifiuti sulla vita marina nel Mediterraneo, un ecosistema sensibile, caratterizzato da elevata biodiversità ma anche uno degli ecosistemi più minacciati al mondo dai rifiuti marini, su scala globale composti principalmente da plastica.
Sono stati analizzati 128 documenti che riportavano impatti dei rifiuti marini su 329 categorie di organismi del Mediterraneo. Si tratta ad oggi dello studio più ampio ed aggiornato sull’intero Mediterraneo. Se c’è troppa plastica nello stomaco dei pesci, accade anche che buste e bottigliette diventino vettore di trasporto o ambiente di vita per diverse specie. Sono state rintracciate 168 categorie di organismi marini trasportati da oggetti galleggianti (principalmente di plastica), anche in ambienti in cui non erano stati rintracciati prima; tra questi, ci sono anche batteri patogeni che possono causare malattie nei pesci che li ingeriscono. Gli organismi più comuni trasportati dai rifiuti marini sono gli artropodi (crostacei) e gli Cnidari (gorgonie, coralli).
I rifiuti marini, in particolare lenze e reti da pesca, possono inoltre distruggere, ferire e soffocare colonie di coralli e gorgonie anche in ambienti molto profondi e remoti. La produzione mondiale di plastica è passata dai 15 milioni del 1964 agli oltre 310 milioni attuali, e ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate finiscono negli oceani del mondo. La plastica raggiunge il mare a causa di una cattiva gestione dei rifiuti, ma anche per la sovrapproduzione di imballaggi e prodotti monouso che vengono messi in circolazione dall’industria alimentare e non solo.
Per limitare i danni, l’Unione europea ha approvato una direttiva contro la plastica monouso, che rappresenta una delle principali tipologie di plastica trovate nel Mediterraneo. La plastica può colpire gli organismi marini attraverso l'ingestione e l’intrappolamento e gli impatti variano a seconda del tipo e delle dimensioni. Almeno 44 specie marine sono soggette ad intrappolamento nella plastica, in particolare reti da pesca.
L'intrappolamento spesso determina la morte per affogamento, strangolamento o denutrizione, soprattutto per i mammiferi marini; la tartaruga marina Caretta caretta è la specie mediterranea più soggetta ad intrappolamento ed è anche una delle principali specie del Mediterraneo note per ingerire plastica (le prime evidenze di ingestione di rifiuti da parte della Caretta risalgono a metà anni '80): è infatti stata identificata come specie indicatrice dell'ingestione di rifiuti nell'ambito della Strategia Marina.
Diverse specie minacciate e quindi incluse nella Lista Rossa dell'International Union for Conservation of Nature (IUCN) - dal corallo rosso, passando per il tonno rosso, lo spinarolo, e arrivando al capodoglio - risultano compromesse dai rifiuti marini. Mentre dallo studio emergono gli effetti diffusi dei rifiuti marini, e in particolare della plastica, sugli organismi marini del Mediterraneo, al contrario, non ci sono evidenze scientifiche di effetti negativi dell'ingestione di microplastiche nei pesci, nè tantomeno del trasferimento delle microplastiche fino all'uomo.


fonte: www.greencity.it

WWF: a Caprera l'evento finale di 'Mediterraneo plastic free a partire dalle scuole'














Evento di clean up nella bellissima spiaggia dei due mari, Isola di Caprera, Arcipelago della Maddalena. Si conclude così il progetto WWF Mediterraneo plastic free a partire dalle scuole, presenti I.C. La Maddalena e ITIS Falcone Borsellino di Palau. Circa cento tra ragazzi e professori hanno raccolto da una spiaggia apparentemente pulita 10 sacchi rifiuti. il dato interessante è che sono stati raccolti anche decine di filtrini, i tristemente noti dischetti di plastica rilasciati a decine di migliaia nel 2018 da un depuratore vicino Paestum.
Partiti dal Golfo di Salerno per un incidente a un depuratore, i dischetti sono stati spinti a migliaia dalle correnti lungo tutte le coste tirreniche e oltre, arrivando fino in Spagna. Lo sversamento ha avuto luogo nel febbraio 2018 per il cedimento di una griglia del depuratore di Varolato. I dischetti sono arrivati sino in Francia, in Spagna e lungo tutte le coste della Corsica, la Sardegna e la Sicilia e adesso vengono utilizzati per lo studio della dispersione dei rifiuti solidi nel Mediterraneo. Questi piccoli filtri sono stati ritrovati anche nel canale digerente di alcune tartarughe marine: sono dunque già entrati nella catena alimentare ma si sono depositati anche nei fondali marini. 
Nel 2018 un artista toscana ha creato dei dischetti che si trovavano a migliaia sul litorale della provincia di Grosseto una bella spilla-fenicottero, un esempio concreto di riciclo creativo e solidale. I dischetti erano stati raccolti dai volontari coinvolti dall'Oasi WWF di Burano nelle periodiche giornate di pulizia della spiaggia in primavera.


fonte: www.greencity.it

Il Mediterraneo di plastica. Le strategie italiane viste da Amsterdam

Oltre 62 milioni di detriti di macro-plastiche galleggiano in un mare “chiuso” da 21 Paesi e quasi 500 milioni di abitanti. “Per ridurre e contrastare il fenomeno del ‘marine litter’ in Italia sono state messe in campo iniziative valide. Ciò che manca è la loro corretta implementazione”. Intervista a Cristian Passarello, studente italiano che ha analizzato gli strumenti adottati dal nostro Paese




Nei 21 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo vivono 466 milioni di persone; ognuna di queste genera all’anno tra i 208 e 760 chilogrammi di rifiuti. “Ed è a causa di queste pressioni antropiche che il bacino Mediterraneo è diventato estremamente inquinato dai rifiuti, con oltre 62 milioni di detriti di macro-plastiche che galleggiano in mare”. Cristian Passarello è convinto che l’Italia possa giocare un ruolo decisivo nella tutela di una delle regioni con la più alta concentrazione di detriti plastici al mondo dalle pesanti conseguenze dovute al marine litter. Non a caso ha dedicato al punto la sua tesi nell’ambito di un master in “Environment & Resource Management” presso l’Institute for Environmental Studies di Amsterdam, specializzandosi in servizi ecosistemici e biodiversità.
“Mi sono concentrato sullo sviluppo di varie misure volte alla riduzione del fenomeno del ‘marine litter’ in Italia -spiega Passarello- ed in particolare, dell’inquinamento plastico, il quale risulta essere un problema ormai universale poiché i più comuni tipi di plastica (polipropilene, polietilene, e il polietilene tereftalato) si degradano lentamente (tramite il processo di fotodegradazione), rimanendo quindi per tempi molto lunghi nell’ambiente con tutte le conseguenze del caso. L’inquinamento plastico produce impatti negativi di tipo ecologico, sociale, ed economico; i quali aumenteranno se non verranno implementate soluzioni efficaci per la riduzione dell’input di plastica nell’ambiente”.
Stima della massa di rifiuti di plastica mal gestiti (in milioni di tonnellate) immessi negli oceani dalle popolazioni costiere - (Jambeck et al., 2015)
Stima della massa di rifiuti di plastica mal gestiti (in milioni di tonnellate) immessi negli oceani dalle popolazioni costiere – (Jambeck et al., 2015)
Per prima cosa, Passarello ha raccolto e messo in fila i dati: “Globalmente -si legge nell’elaborato-, tra 4,8 e 12,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici entrano ogni anno nell’oceano e la tendenza è destinata ad aumentare ulteriormente nei prossimi decenni. Inoltre, stando a ricerche recenti, si attesterebbero tra 1,15 e 2,41 milioni di tonnellate i detriti di plastica immessi negli oceani attraverso i sistemi fluviali”. Dopodiché -tenendo a mente che a livello globale l’80% circa di tutti i detriti provengono dall’entroterra- ha analizzato le strategie messe in campo dal nostro Paese.
Quali sono le principali misure e strategie dell’Italia in tema di inquinamento plastico nel Mediterraneo?
CP Benché non tutte le direttive europee inerenti alle tematiche ambientali siano state recepite in tempo e correttamente dall’Italia, il nostro Paese si è impegnato molto negli ultimi anni riguardo all’inquinamento marino. Oltre alle numerose direttive europee e convenzioni internazionali (le quali hanno principalmente un effetto secondario sull’inquinamento plastico marino), l’Italia ha implementato diversi strumenti nazionali. Fra le varie misure troviamo il decreto legislativo 2/2012 che ha messo al bando la commercializzazione degli shopper di plastica non conformi alla certificazione. La legge sulle disposizioni in materia ambientale del 28 dicembre 2015, la quale oltre a facilitare la transizione verso un’economia circolare, regolarizza la selezione dei porti per la raccolta dei rifiuti raccolti durante le varie attività a mare, incentiva la raccolta differenziata ed il riciclaggio, e prevede che i comuni installino contenitori per la raccolta di mozziconi di sigarette. La stessa legge prevede poi l’utilizzo di campagne di sensibilizzazione e introduce sanzioni per coloro che abbandonano rifiuti nell’ambiente. C’è poi il decreto legislativo 152 del 3 aprile 2006, il quale classifica tutti i rifiuti giacenti sulle spiagge e rive dei fiumi come rifiuti urbani non speciali, facilitandone -in teoria- la raccolta. Mentre il decreto legislativo 182 di giugno 2003 dichiara che i rifiuti pescati accidentalmente durante le attività di pesca possono essere conferiti in porto senza il bisogno di pagare nessuna tariffa (anche se non viene specificato chi dovrebbe farsi carico di questi costi di smaltimento). Più recentemente il Parlamento Italiano ha approvato il decreto Mezzogiorno 2017, il quale recependo la direttiva europea 720, ha introdotto (a partire dallo scorso 1° gennaio 2018) l’obbligo di utilizzare solo sacchetti biodegradabili per frutta e verdura. Infine, la legge di Bilancio 2018 prevede il divieto (dal 2020) dell’utilizzo di microplastiche nei prodotti cosmetici e l’obbligo di commercializzare (dal 2019) solo bastoncini per le orecchie (cotton fioc) unicamente in materiale biodegradabile e compostabile, vietando la vendita e la produzione di quelli in plastica. Inerenti al problema dei rifiuti marini, ci sono poi molte attività intraprese dalle varie organizzazioni ambientaliste italiane, come ad esempio le varie campagne di sensibilità, azioni di pulizia spiagge, monitoraggi, etc. Infine, ci sono numerosi progetti -come il CleanSea LIFE e MEDSEALITTER, e Plastic Busters- che affrontano direttamente il problema del marine litter nel Mediterraneo.
In tema di “performance ambientali” ha fotografato un Paese con profonde differenze. Quali?
CP Con le dovute eccezioni, le regioni del Nord tendono in media ad avere percentuali di riciclo maggiori rispetto alle regioni del Sud, dove invece prevale il ricorso alle discariche. Come detto, in Italia risultano esserci molte leggi volte alla riduzione dell’inquinamento plastico (ad esempio il divieto ai sacchetti, il divieto di gettare rifiuti, etc.) ma purtroppo queste leggi non sembrano essere state implementate in maniera corretta ed uniforme. Tutt’oggi non è raro vedere buste di plastica in tanti mercati cittadini, o trovare oggetti abbandonati nell’ambiente (soprattutto mozziconi di sigarette), il che suggerisce il bisogno di rafforzare ed aumentare i controlli da parte delle forze dell’ordine ed una migliore cooperazione fra i vari enti. In Italia c’è poi uno dei più grandi consumi mondiali di acqua in bottiglia di plastica; un primato di cui non dovremmo essere fieri, soprattutto tenendo conto l’eccellente qualità dell’acqua che esce dalla maggior parte delle fontane pubbliche e rubinetti di casa.
Durante la ricerca ha intervistato diversi interlocutori. Compresi i pescatori, riscontrando ancora dei luoghi comuni.
CP Esatto. Penso ad esempio al fatto che i pescatori da me intervistati erano convinti che nel caso avessero portato in porto i rifiuti trovati nelle reti, avrebbero dovuto pagare una tariffa per lo smaltimento, quando il decreto legislativo menzionato prima li esenta da pagar alcunché.
Per ottenere un quadro definito degli attori in campo, Passarello ha selezionato 20 attori chiave tra ministeri, organizzazioni ambientaliste, ricercatori e aziende. In sette non hanno nemmeno risposto alla richiesta di intervista.
CP La ricerca è stata di tipo qualitativo e tutti i dati necessari sono stati collezionati consultando letteratura accademica e tramite varie interviste condotte in Italia nel 2017. La selezione degli attori è stata fatta tramite una mappatura iniziale seguita da un’analisi approfondita per identificare gli attori più rilevanti riguardo al fenomeno investigato e capire il loro livello di potere ed interesse. Alcuni degli intervistati hanno poi suggerito ulteriori stakeholder, i quali sono stati contattati ma purtroppo, non tutti hanno risposto (o risposto positivamente per l’intervista). Ho condotto interviste con il ministero dell’Ambiente, ISPRA, le principali organizzazioni ambientaliste italiane, il Parco delle Cinque Terre, un ricercatore della Università Roma Tre, ed altre aziende coinvolte nel management dei rifiuti.
Pur riconoscendo passi avanti importanti, sostiene che il nostro Paese debba adottare necessarie “misure supplementari”. Quali?
CP Penso alla creazione e promozione di campagne nazionali di sensibilizzazione sul tema dei rifiuti marini e sull’eccessivo uso di plastica, l’implementazione di una tariffa più elevata per il conferimento di rifiuti in discarica, l’introduzione di agevolazioni fiscali per le aziende che utilizzano prodotti sostenibili alternativi alla plastica o che iniziano efficaci attività per contrastare il fenomeno, l’installazione di barriere per la raccolta dei detriti lungo i corsi d’acqua più critici, il divieto di l’utilizzo di plastiche monouso in zone sensibili, come piccole isole o all’interno di aree protette e premiare coloro che iniziano queste attività. Altre azioni importanti potrebbero essere intraprese dai consorzi di raccolta imballaggi, con l’introduzione di schemi di vuoto a rendere per bottiglie di plastica, anche se è un tema molto complesso. A livello nazionale sono state comunque introdotte valide leggi, quel che manca è la loro corretta implementazione e su questo le forze dell’ordine possono rafforzare i controlli.

fonte: https://altreconomia.it








Plastica degli oceani riciclata per bottiglie di detersivi - A seguire nota di Enzo Favoino

Sara' presente sul mercato nel 2018


















Per ridurre la plastica che inquina gli oceani (12,7 milioni di tonnellate all'anno, secondo Greenpeace), un sistema è recuperarla e riciclarla in bottiglie per detersivi. E' l'idea che ha avuto il colosso statunitense dei detersivi Procter Gamble: la nuova bottiglia del suo detersivo per piatti Fairy è fatta al 100% di plastica riciclata, e al 10% di plastica recuperata dagli oceani. La "Oceans Plastic Bottle", realizzata insieme all'azienda americana del riciclo TerraCycle, arriverà sul mercato nel 2018, con un primo stock di 320.000 bottiglie.
"Come numero 1 del detersivo liquido per piatti al mondo - ha spiegato la vicepresidente di Procter Gamble, Virginie Helias - vogliamo utilizzare Fairy per aumentare la consapevolezza sulla situazione critica del nostro oceano e sulla importanza del riciclo. I nostri consumatori tengono molto a questo tema, e usando la plastica degli oceani speriamo di mostrare che le opportunità sono infinite quando ripensiamo il nostro approccio ai rifiuti". Procter Gamble utilizza in media il 40% di plastica riciclata nei propri contenitori, togliendo 8.000 tonnellate di materiale all'anno dalle discariche.

fonte: www.ansa.it

Di seguito la nota di Enzo Favoino

Mi riferisco qui a quella sulla bottiglia fatta da plastica recuperata dagli Oceani 
 
La cosa ha certo il merito di amplificare ulteriormente l'attenzione verso un problema che sta esplodendo in tutta la su drammaticità . Inoltre, richiama l'impiego di tecnologie (densificazione/estrusione) che stiamo promuovendo come strategia transitoria per affrontare il problema del plasmix. Dunque, bene, anche se i numeri già  ad una prima valutazione (320.000 flaconi nella prima partita, con solo il 10% di plastica recuperata dal mare) sono infinitesimi rispetto alla portata globale del problema, e dunque la cosa ha più il sapore di una strategia di marketing, che punta ad intercettare l'attenzione mediatica al tema dell'inquinamento dei mari.

Attenzione tuttavia alla individuazione di meriti e responsabilità : come Piattaforma BreakFreeFromPlastics, che raccoglie ben 800 Organizzazioni in tutto il mondo, e come Rethink Plastics che ne è una articolazione europea, abbiamo iniziato ad esercitare i "Brand Audits" (Classificazioni di Marca): in altri termini, quando promuoviamo i Clean Up, le giornate di pulizia delle spiagge, prima di mandare tutto a recupero o smaltimento, facciamo una analisi di quanto abbiamo raccolto, stilando le classifiche dei marchi più ricorrenti - avete già capito a cosa punta: a mettere in risalto quali sono i marchi maggiormente responsabili della dispersione di plastica nell'ambiente, per farli sentire responsabili e prendersi dunque 'impegno a cambiare le loro strategie industriali e in particolare le scelte sugli imballaggi.

Bene, qui sotto la classifica dell'ultimo Brand Audit che abbiamo condotto, potete trarre le conclusioni da soli, nelle prime 10 posizioni c'è anche chi vuole fare il flacone con la plastica recuperata in mare. 
Dunque: e' importante produrre qualche flacone di detersivo a partire dalla plastica raccolta in mare, ma ancora più importante cercare di fermare lo sversamento continuo di plastica in mare e sulla terraferma (la strangrande parte della plastica marina deriva dalla terraferma)  da parte di quello stesso qualcuno ;-)

Altrimenti, sembra la tela di Penelope, continuamente tessuta e disfatta. Ma con la differenza che in questo caso la magnitudo dello sfilacciamento (la plastica riversata nell'ambiente) è ben superiore a quella della tessitura (il flacone realizzato con una parte di quella plastica)




Enzo Favoino Scuola Agraria del Parco di Monza
Scientific Coordinator, Zero Waste Europe
Zero
                                Waste Europe
Phone: +39 335 355 446
Skype: favoinomail
www.zerowasteeurope.eu
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