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È il turismo il principale responsabile dei rifiuti marini che finiscono sulle spiagge delle isole del Mediterraneo

Il turismo produce l'80% dei rifiuti marini che si accumulano sulle spiagge delle isole del Mediterraneo in estate. La pandemia di Cobvid-19 è un'opportunità per ripensare il modello del turismo sostenibile




Lo studio “The generation of marine litter in Mediterranean island beaches as an effect of tourism and its mitigation”, pubblicato su Scientific Reports da Michaël Grelaud e Patrizia Zivieri dell’Institut de Ciència i Tecnologia Ambientals de la Universitat Autònoma de Barcelona (ICTA-UAB), mette in guardia sull’impatto che l’attuale modello turistico nelle isole del Mediterraneo ha sullo spiaggiamento di rifiuti marini e raccomanda di sfruttare la crisi del Covid.19 per ripensare a un nuovo modello di turismo più sostenibile.

Lo studio di mostra che «L’uso ricreativo delle spiagge delle isole del Mediterraneo durante l’estate è responsabile fino all’80% dei rifiuti marini che si accumulano su quelle spiagge e genera enormi quantità di microplastiche attraverso la frammentazione di grandi prodotti in plastic».

Lo studio internazionale ha analizzato negli ultimi 4 anni gli effetti dei rifiuti generati dal turismo su 24 spiagge, da siti remoti a siti altamente turistici, di 8 isole del Mediterraneo (Maiorca, Sicilia, Rab, Malta, Creta, Mykonos, Rodi e Cipro). All’ICTA-UAB ricordano che «I rifiuti marini, comprese le microplastiche, possono essere definiti come qualsiasi materiale solido persistente, prodotto o lavorato scartato, smaltito o abbandonato nell’ambiente marino e costiero. Derivano dall’attività umana e possono essere trovati in tutti gli oceani e i mari del mondo».

Grelaud sottolineano che «Questo problema ambientale sta minacciando la buona salute degli ecosistemi marini e può portare alla perdita di biodiversità. Può avere anche enormi impatti economici per le comunità costiere che dipendono dai servizi ecosistemici aumentando la spesa per la pulizia delle spiagge, la salute pubblica o lo smaltimento dei rifiuti».

La regione del Mediterraneo accoglie ogni anno circa un terzo del turismo mondiale ed è particolarmente colpita dall’inquinamento ambientale legato a questa industria che, come dicono spesso gli esperti, insieme a quella estrattiva è l’unica che “mangia” sé stessa. L’attrattività delle isole del Mediterraneo fa sì che la loro popolazione si moltiplichi fino a 20 volte durante l’alta stagione. I ricercatori evidenziano che «Si tratta di una sfida per i comuni costieri, che dipendono da questo settore ma devono adeguarsi e far fronte all’aumento dei rifiuti prodotti, anche sulle spiagge, dall’afflusso stagionale di turisti. Si prevede infatti che il turismo costiero sia una delle principali fonti di rifiuti marini terrestri».

Durante la bassa e alta stagione turistica del 2017, il team di ricerca ha condotto 147 indagini sui rifiuti marini nelle 8 isole e i risultati di mostrano che la stragrande maggioranza dei rifiuti raccolti sono di plastica, visto che rappresentano oltre il 94% dei rifiuti marini.

Dallo studio è emerso che, durante l’estate, sulle frequentatissime spiagge turistiche si accumulano in media 330 rifiuti per 1.000 m2 al giorno, 5,7 volte in più rispetto alla bassa stagione e che oltre il 65% della quantità di rifiuti marini che si accumulano sulle spiagge più frequentate dai turisti e costituito da mozziconi di sigarette, cannucce, lattine e alter tipologie di imballaggi usa e getta. I ricercatori avvertono che «Questo può aumentare fino all’80% se vengono incluse le microplastiche di grandi dimensioni. Come suggerito dai risultati: durante l’estate, gli articoli in plastica lasciati sulla spiaggia subiranno una frammentazione per gli effetti combinati dell’irraggiamento solare e dell’attrito con la sabbia, accelerati dall’elevato volume dei visitatori». Un fenomeno osservato in tutte le isole del Mediterraneo,

Nel 2019, e dopo l’attuazione di campagne di sensibilizzazione dei cittadini, c’è stata una diminuzione di oltre il 50% dei rifiuti associati alla frequentazione delle spiagge da parte dei turisti.

La Zivieri conclude: «Questi risultati molto incoraggianti beneficiano probabilmente della crescente attenzione dell’opinione pubblica verso l’inquinamento da plastica negli oceani o verso le misure adottate dalla Commissione europea per ridurre i rifiuti marini, come la direttiva sulla plastica monouso. Inoltre ci ricordano che il confinamento da Covid-19 e la relativa riduzione drastica e temporanea del turismo ci offre un’opportunità per ripensare l’importanza fondamentale del turismo sostenibile per garantire un futuro sano per l’ambiente e, quindi, anche per le persone».

fonte: www.greenreport.it

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Archeoplastica, il museo degli antichi rifiuti spiaggiati

Al via su Produzioni dal Basso la raccolta fondi per il progetto che consentirà di realizzare un museo virtuale per rendere disponibile a tutti l’osservazione di questi reperti e sensibilizzare sul tema dell’inquinamento da plastica dei nostri mari



Anno dopo anno il problema dell’inquinamento da plastica dei nostri mari si fa sempre più evidente. È sicuramente un problema di quantità perché ogni anno ne finiscono in mare quasi 9 milioni di tonnellate, ma i problemi sono anche altri.

Tra questi il fatto che la plastica è praticamente eterna, cioè non si decompone ma si degrada lentamente fino a formare pezzettini sempre più piccoli che costituiscono le cosiddette microplastiche. Anche Enzo Suma, guida naturalistica di Ostuni, si è accorto che la plastica è eterna, specialmente durante le raccolte in spiaggia dove ha trovato e conservato numerosi prodotti di vario tipo degli anni ’80, ’70 e molti anche degli anni ’60. Plastiche che hanno anche più di cinquant’anni di vita e che, in molti casi, sembrano intatte. Tutta la plastica che abbiamo buttato in mare fino ad ora è ancora lì, trasformando il Mediterraneo in un’enorme zuppa di plastica. Per sensibilizzare la gente sul grave problema di questo tipo di inquinamento perché non sfruttare il potenziale evocativo di questi antichi reperti di plastica? Perché non farne una mostra o un museo?

È così che nel 2018 nasce l’idea del progetto Archeoplastica. Ora però non è più solo un’idea. Dopo oltre due anni di selezione del materiale raccolto in spiaggia è nato un progetto in crowdfunding su Produzioni dal Basso – prima piattaforma italiana di crowdfunding e social innovation – finanziato direttamente dai cittadini. Un progetto che consentirà di realizzare un museo virtuale online per rendere disponibile a tutti l’osservazione di questi reperti, persino in 3D. I fondi serviranno anche per acquistare i materiali necessari per realizzare una mostra itinerante nelle scuole, in maniera tale da coinvolgere le giovani generazioni e, di riflesso, anche i loro genitori. Inoltre, verrà realizzato un opuscolo sul progetto che conterrà anche preziosi consigli su come consumare meno plastica, soprattutto quella usa e getta.

La raccolta fondi è stata lanciata da pochi giorni ma ha già una settantina di donatori che hanno creduto nella brillante idea. Ma la strada è ancora lunga e solo il 30% del budget del progetto è stato raggiunto. La realtà promotrice della raccolta fondi si chiama Millenari di Puglia di cui Enzo Suma ne è il fondatore. Si tratta di una realtà molto conosciuta nel territorio dell’alto Salento e della Valle d’Itria, impegnata dal 2013 nella valorizzazione del territorio pugliese, nelle attività di escursionismo e nel volontariato naturalistico.

A proposito di volontariato, il giorno di San Valentino, domenica 14 febbraio, organizzeranno una giornata di raccolta collettiva della plastica in uno dei luoghi naturali più significativi del territorio ostunese, l’area naturale costiera di Torre Pozzelle. Alle 10 i partecipanti si incontreranno per ripulire dalla plastica un bellissimo tratto di costa costituito da cinque splendide calette e una torre aragonese del 1500. Sarà certamente un’occasione per passare una domenica all’aria aperta in una location meravigliosa ma anche un modo per toccare con mano il grave problema che sta colpendo tutti gli oceani e in misura maggiore il Mediterraneo. In quell’occasione sarà possibile conoscere gli ideatori di Archeoplastica e della raccolta fondi per la realizzazione di questo importante progetto di sensibilizzazione.

Tutti coloro che decideranno di sostenere l’iniziativa riceveranno alcune ricompense in edizioni limitata, come la possibilità di partecipare gratuitamente ad un’escursione di mezza giornata con i Millenari di Puglia.

fonte: www.rinnovabili.it


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Bali, i monsoni sommergono le spiagge con la plastica

I rifiuti plastici sulle coste di Bali sono sempre di più: un fenomeno che si aggrava di anno in anno e che rischia di dare il colpo di grazia al turismo.



Un paradiso, sì, ma di plastica. In questo si stanno trasformando le spiagge di Bali, una delle mete esotiche più note e amate dai turisti di tutto il mondo. Secondo il quotidiano britannico The Guardian, negli ultimi giorni le piogge monsoniche e i venti che soffiano da ovest verso est avrebbero portato grandissime quantità di rifiuti plastici marini sulle principali spiagge dell’isola indonesiana, ovvero Kuta, Legian e Seminyak. A detta dell’agenzia per l’ambiente e i servizi igienico-sanitari della zona di Badung, una delle più turistiche di Bali, in soli tre giorni sarebbero state raccolte circa 90 tonnellate di plastica. Una ulteriore piaga per un settore, quello turistico, divenuto il principale motore dell’economia balinese e ora fermo causa pandemia di coronavirus.

Plastica sulle spiagge di Bali: una situazione non nuova

La situazione, certo, non è nuova: Denise Hardesty, ricercatrice dell’Agenzia nazionale delle scienze australiana (Csiro) ed esperta di inquinamento da plastica, ha tenuto a precisare che il problema del beach litter affligge l’arcipelago indonesiano da anni nel periodo monsonico. Tuttavia, nell’ultimo decennio il fenomeno ha visto un forte peggioramento, dovuto molto probabilmente all’aumento costante della quantità di plastica prodotta nel mondo e di rifiuti plastici dispersi nell’ambiente.


Basti solo ricordare che, se negli anni Sessanta venivano prodotte 15 milioni di tonnellate di questo materiale, oggi ne vengono realizzate oltre 300 milioni all’anno, di cui oltre otto milioni dispersi negli oceani del globo. La stima, secondo il Wwf, è che negli oceani del mondo vi siano oltre 150 milioni di tonnellate di plastica.


Sempre secondo il quotidiano britannico, a giocare un ruolo importante nell’inquinamento delle spiagge balinesi sono anche i cattivi sistemi di smaltimento locali. A detta degli esperti, infatti, molti dei rifiuti trovati sulle spiagge non provenivano da lontano. Per questo i gruppi ambientalisti indonesiani stanno lavorando per sensibilizzare la popolazione a un minore utilizzo della plastica. Inoltre, Csiro sta lavorando per implementare un sistema di monitoraggio con telecamere e intelligenza artificiale per tracciare i rifiuti e identificare i punti di provenienza.

Trovare soluzioni per far ripartire (anche) il turismo di Bali

Trovare una soluzione per ridurre il quantitativo di plastica sulle spiagge balinesi è d’obbligo anche per garantire una buona ripartenza del settore turistico alla fine della crisi: dal 2020, a causa della pandemia, sull’isola sono consentiti solo gli spostamenti interni. Bali è però una delle mete più gettonate al mondo – nel 2017 ha “vinto” il Travelers’ choice destinations awards della piattaforma per viaggiatori Tripadvisor e nel 2020 si è piazzata al quarto posto – ma è anche una di quelle prese maggiormente d’assalto dal turismo di massa.

Nel 2018 i turisti sono stati 5 milioni, una cifra di poco superiore al numero di abitanti totali dell’isola: una pressione seppur necessaria all’economia del paese, ormai poco sostenibile, con la progressiva distruzione degli habitat e l’aumento dell’inquinamento. Che il fermo causato dalla pandemia e il progressivo inquinamento delle coste siano il pretesto per ripensare al turismo sull’isola in chiave più sostenibile?

fonte: www.lifegate.it


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Indagine Beach Litter: 654 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia

Sulle spiagge italiane troppa plastica, guanti e mascherine usa e getta, cicche di sigarette e rifiuti edili




Il bilancio dell’indagine Beach Litter 2020, condotta dai Circoli di Legambiente, realizzata grazie al contributo di E.ON e Novamont e raccontata da Goletta Verde, è tutt’altro che incoraggiante: «Rifiuti a ogni passo: 654 quelli rinvenuti, in media, ogni cento metri percorsi lungo le spiagge monitorate da Legambiente. Dagli intramontabili mozziconi di sigaretta a contenitori per bevande e alimenti e stoviglie in plastica usa e getta, dal materiale da costruzione ai “nuovi arrivati” come guanti e mascherine, i cumuli di spazzatura trovati sono frutto d’incuria, maleducazione, mancata depurazione e cattiva gestione dei rifiuti sulla terraferma che, attraverso corsi d’acqua e scarichi, arrivano in mare e sui litorali».

Iniziata nel 2014 sulle spiagge del Mediterraneo, l’indagine Beach Litter di Legambiente rappresenta una delle più grandi esperienze di citizen science a livello internazionale. Il protocollo utilizzato è sviluppato nell’ambito dell’iniziativa Marine Litter Watch dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, cui diverse associazioni comunicano i dati raccolti, con l’obiettivo di creare uno dei più ampi database sui rifiuti spiaggiati costruiti dai volontari a livello europeo.

I volontari di Legambiente, protagonisti della prima attività associativa nazionale in presenza organizzata nel post-lockdown hanno monitorato 43 le spiagge – 1 in Basilicata; 2 in Calabria; 10 in Campania; 2 in Emilia-Romagna; 2 in Friuli Venezia Giulia; 3 nel Lazio; 1 in Liguria; 1 nelle Marche; 5 in Puglia; 8 in Sardegna; 4o in Sicilia; 3 in Veneto; 1 in Umbria (sul lago Trasimeno) – per un totale di 28.137 rifiuti censiti in un’area di 189.000 m2 e dicono che «Su circa la metà delle spiagge campionate, la percentuale di plastica eguaglia o supera il 90% del totale dei rifiuti, mentre in una spiaggia su tre sono stati rinvenuti guanti, mascherine e altri oggetti riconducibili all’emergenza sanitaria. Sebbene il numero di rifiuti rilevati sia in lieve calo rispetto allo scorso anno – complice il sostanziale stop di ogni attività durante il lockdown – il Covid-19 rischia di rendere meno efficaci i passi avanti fatti proprio nella riduzione della plastica e dell’usa e getta».

Legambiente spiega che «Complessivamente l’80% dei rifiuti rinvenuti sulle spiagge nel 2020 è in plastica, la quale si attesta al primo posto tra i materiali censiti, seguita da vetro/ceramica (10%), metallo (3%), carta/cartone (2%), gomma (2%), legno lavorato (1%). Il restante 2% è costituito da altri materiali. A farla da padrone per i polimeri artificiali sono per lo più frammenti di plastica e polistirolo con dimensioni comprese tra 2,5 e 50 cm, mozziconi di sigaretta, tappi e coperchi per bevande. Vetro e ceramica si ritrovano soprattutto in forma di frammenti e di materiale da costruzione come tegole, mattonelle, calcinacci».

Il Cigno Verde definisce «Allarmante la quantità elevata, e in alcuni casi incalcolabile, di materiale da costruzione rinvenuta sulle spiagge del Baraccone a Bari, del Caterpillar a Salerno e di Romagnolo a Palermo, diventate vere e proprie discariche abusive. Il metallo è rappresentato soprattutto da lattine, tappi e linguette, mentre carta e cartone si ritrovano in frammenti, ma in misura importante anche come pacchetti di sigarette».

La principale fonte di questi rifiuti è classificabile come indefinita, frammenti che non possono cioè essere associati a oggetti o riconosciuti (40%), seguita da fonti varie (20%), dagli imballaggi, non solo per alimenti e in vari materiali (15%), e dai rifiuti derivanti da abitudini dei fumatori, principalmente mozziconi di sigaretta, ma anche accendini, pacchetti di sigarette e loro imballaggi (15%). Chiudono la lista, i rifiuti legati al consumo di cibo, come stoviglie, tappi, cannucce (10%). Oltre la metà (il 67%) dei rifiuti registrati è costituita da sole dieci tipologie di oggetto.

Legambiente ha anche fatto la top ten dei rifiuti in spiaggia: tra le prime dieci tipologie di oggetti rinvenuti nel monitoraggio di Legambiente troviamo, in ordine di classifica, pezzi di plastica (14%); mozziconi di sigaretta (14%); pezzi di polistirolo (12%); tappi e coperchi (7%); materiale da costruzione (5%), tra cui calcinacci e mattonelle, tubi di silicone e materiale isolante; pezzi di vetro o ceramica non identificabili (4%); bottiglie e contenitori di bevande (3%); stoviglie usa e getta, tra cui bicchieri, cannucce, posate e piatti di plastica (3%); cotton fioc in plastica (3%); buste, sacchetti e manici (2%).

Da Beach Litter 2020 viene fuori che «Il 42% di tutti i rifiuti monitorati da Legambiente riguarda i prodotti usa e getta al centro della direttiva europea che vieta e limita gli oggetti in plastica monouso. Tra questi, le bottiglie e i contenitori di bevande (inclusi tappi e anelli), ritrovati in più di 3 mila pezzi da Legambiente; i mozziconi di sigaretta (onnipresenti sulle spiagge europee), rinvenuti con una media di uno a ogni passo; le reti e gli attrezzi da pesca e acquacoltura in plastica, per il 28% calze per la coltivazione dei mitili; i contenitori per alimenti e i bicchieri in plastica, che rappresentano rispettivamente il 49% e il 26% dei rifiuti derivanti da consumo di cibi da asporto censiti da Legambiente, ma per i quali attualmente è stato posto solo un obiettivo di riduzione nel consumo; i cotton fioc in plastica, anch’essi ritrovati con una media di uno per ogni passo sulla sabbia. Al centro di una recente battaglia di Legambiente che ha contribuito alla loro messa bando in Italia dal gennaio 2019 (in anticipo sul divieto di commercializzazione contenuto nella proposta della direttiva Ue), i bastoncini cotonati sono anche simbolo della cattiva abitudine di buttare i rifiuti nel wc e della mala depurazione per cui ciò che viene gettato negli scarichi di casa arriva a inquinare l’ambiente marino».

La direttiva Ue (Single Use Plastics), si concentra su 10 prodotti in plastica monouso e sulle reti e gli attrezzi da pesca e acquacoltura, in quanto tutti insieme rappresentano il 70% dei rifiuti maggiormente rilevati sulle spiagge europee. Il testo propone che il divieto di utilizzo (a partire dal 2021) dei prodotti per i quali esistono alternative (posate, piatti, bastoncini cotonati, cannucce, mescolatori per bevande e aste dei palloncini) venga esteso anche ai prodotti di plastica oxodegradabile e ai contenitori per cibo da asporto in polistirene espanso. Per i prodotti monouso per cui, invece, non ci sono alternative, gli Stati membri dovranno mettere a punto misure per ridurne significativamente l’utilizzo, mentre per altri sono stati definiti obiettivi di riciclo, raccolta e revisione della progettazione del prodotto.

Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, evidenzia che «Quasi la metà dei rifiuti monitorati riguarda proprio i prodotti al centro della direttiva europea sulla plastica monouso: anche alla luce di questi risultati l’Italia deve recepirla prima della scadenza del luglio 2021 –Dopo la messa al bando dei cotton fioc non biodegradabili e delle microplastiche nei cosmetici, cui abbiamo contribuito con le nostre instancabili denunce, diverse delibere comunali hanno anticipato il bando delle stoviglie usa e getta, mentre intere catene di supermercati ne hanno abolito la vendita: non possiamo vanificare gli sforzi fatti verso l’adeguamento alla direttiva, che vieterà alcuni prodotti monouso sul territorio nazionale e indicherà forti limitazioni e la responsabilità estesa dei produttori ad altri prodotti. Alla luce dell’ipotesi di varare una tassa europea sulla plastica per cofinanziare il Recovery Fund, ribadiamo la nostra richiesta di non prorogare ulteriormente, oltre l’1 gennaio 2021, l’avvio della plastic tax varata con la legge di bilancio a dicembre. Si deve poi arrivare, al più presto, all’approvazione della legge SalvaMare che consentirebbe ai pescatori di riportare a terra i rifiuti pescati accidentalmente: il disegno di legge, approvato a ottobre alla Camera, è completamente fermo al Senato, in Commissione ambiente, sottraendo tempo prezioso al recupero dei rifiuti affondati, il 70% di quelli che finiscono in mare, con danni alla biodiversità e all’economia della pesca. Servono passi avanti nella leadership normativa in contrasto al marine litter. Importante includere anche i bicchieri di plastica nel bando nazionale, che la direttiva europea prevede solo di limitare, e consentire l’uso di oggetti sostitutivi fatti con materiali biodegradabili e compostabili non derivanti dal petrolio, così da potenziare la filiera del compostaggio dei rifiuti organici in cui l’Italia è leader in Europa. Misure utili ad accompagnare la transizione».

Legambiente ricorda che «Per combattere l’emergenza globale dei rifiuti in mare, occorrono leggi e indirizzi dei Governi, la riconversione industriale verso l’economia circolare, ma anche l’impegno di cittadini e consumatori nel prevenire la produzione di rifiuti. Pertanto, l’associazione sollecita a non disperdere nell’ambiente oggetti inquinanti di quotidiano utilizzo e smaltirli correttamente. L’emergenza Covid-19, in particolare, sta alimentando il falso mito che dall’utilizzo di dispositivi usa e getta derivi una migliore prevenzione del contagio, nonostante non vi siano motivazioni scientifiche o epidemiologiche a supporto». Per questo il Cigno Verde invita a scegliere, ad esempio, mascherine lavabili e riutilizzabili per preservare risorse e ambiente in modo decisivo e chiede ai cittadini partecipare alla sfida social dell’estate, la #GolettaChallenge: a chi aderirà sarà chiesto di ripulire dai rifiuti un pezzetto di spiaggia e di condividere la foto sui social, sfidando tre o più amici a fare altrettanto e includendo nel post il tag di Legambiente e l’hashtag #GolettaChallenge»,

Di fronte alle illegalità sempre in agguato, Legambiente punta a non abbassare la guardia: «Come dimostra l’episodio di dispersione in mare di oltre 130 milioni di filtri provenienti dal depuratore di Capaccio-Paestum che nel 2018 hanno inquinato tutto il Mar Tirreno, con ritrovamenti persino in Francia e Spagna. Da subito l’associazione ha denunciato la vicenda, chiedendo venisse applicata la legge sugli ecoreati e intraprendendo un’azione di pulizia straordinaria delle spiagge: adesso, arriva la notizia dell’inizio del procedimento penale in cui Legambiente Campania è stata riconosciuta come persona offesa e che a ottobre vedrà sul banco degli imputati i dirigenti della multinazionale Veolia Water Technologies, funzionari del Comune di Capaccio e tecnici. Sono accusati di avere prodotto l’esondazione dei reflui dall’impianto, con conseguente dispersione in mare dei dischetti, tramite una condotta “abusiva negligente, imperita e imprudente, commissiva e omissiva”».

fonte: www.greenreport.it


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Mascherine in mare, è già allarme

Per ridurre al minimo quello che si prospetta come un inevitabile aumento dell’usa e getta, NaturaSì, l’azienda leader del bio in Italia, rende disponibili alla vendita le mascherine in cotone lavabili fino a 15 volte, realizzate dalla Cooperativa sociale Quid















Tutto il mondo è a caccia delle mascherine chirurgiche, aziende di ogni tipo stanno convertendo la loro produzione e si stanno preparando a sfornarne un numero sempre maggiore, i Comuni e la Protezione civile a distribuirle gratuitamente laddove mancano. Un dispositivo indispensabile per ridurre il rischio di contagio da Covid-19 che però rischia di tramutarsi in una vera e propria tragedia ambientale per i nostri mari e le specie che li abitano.

A lanciare l’allarme è Silvio Greco, biologo marino e dirigente di ricerca della Stazione Zoologica Anton Dohrn: “ci segnalano già adesso che siamo in un periodo di quarantena – afferma lo scienziato – la presenza di centinaia di mascherine sulle spiagge, così come sappiamo che altrettante ne vengono pescate in mare. Non oso immaginare cosa succederà quando, finita la quarantena, di mascherine ne circoleranno miliardi”.

Greco parla di una vera e propria tragedia per le tartarughe e i mammiferi marini che, scambiando le mascherine e i guanti per cibo, finiranno per mangiarli come già succede con gli altri rifiuti in plastica che arrivano in mare. “Da non sottovalutare il fatto – aggiunge- che si tratta di plastiche che, una volta sfaldate, si tramutano in micro e nano plastiche e vengono ingerite anche dai pesci fino a risalire la catena alimentare e arrivare all’uomo”. Già oggi nei nostri mari finiscono ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica, se a questo dato aggiungiamo uno scorretto smaltimento delle mascherine, così come dei guanti e degli altri dispositivi di sicurezza necessari per proteggere la nostra salute, arriviamo a numeri stratosferici. Ma tutto ciò evitabile? Ovviamente sì, partendo innanzitutto da comportamenti individuali responsabili fino ad arrivare a un corretto riciclo e smaltimento del rifiuto. Ancora meglio “sarebbe se mettessero in mercato mascherine e guanti mono-materiali e non, come oggi, poliaccoppiati (come la plastica utilizzata, fatta di polietilene e polipropilene) impossibili da differenziare e riciclare, o se si riducesse a monte il problema, eliminando il monouso e ricorrendo, per esempio, a mascherine in tessuto”, spiega il ricercatore del Dohrn.

Sono in molti che stanno comunque cercando di capire come orientarsi in quella che sembra essere una lunga fase di transizione in cui le mascherine e i guanti saranno obbligatori o almeno consigliati. Le multiutility si cominciano a interrogare sul come gestire 1 miliardo e 200 milioni di mascherine che si calcola verranno gettate da qui alla fine del 2020, assieme a un numero ancora non definitivo di guanti usa e getta che rischiano, appunto, di finire nella catena alimentare marina, aggravando la situazione di sofferenza già alta delle popolazioni di delfini, balene e tartarughe. La più grande azienda del biologico in Italia, NaturaSì, ha annunciato che nei propri punti vendita saranno disponibili mascherine in cotone lavabili fino a 15 volte, realizzate dalla Cooperativa sociale Quid di Verona. A certificarle è l’Istituto Superiore di Sanità che le classifica come maschera a uso medico di Tipo I. Le confezioni di mascherine lavabili saranno messe a disposizione di tutto il personale del Gruppo, compresi gli addetti ai negozi, oltre che vendute al pubblico.

''Le mascherine in cotone garantiscono la protezione richiesta ma con un impatto sull'ambiente ridotto di 15 volte. Una scelta in linea con quanto abbiamo fatto fino ad ora per ridurre il più possibile il ricorso all'usa e getta, e quindi la produzione di rifiuti, a partire dalla spesa'', spiega Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì. L'azienda è più volte intervenuta, negli ultimi due anni, per la riduzione dell’usa e getta, eliminando le bottiglie in plastica in quasi 60 negozi, dove sono stati installati degli erogatori per l'acqua, e introducendo la vendita di 22 prodotti secchi sfusi che prima venivano venduti solo in confezioni di plastica. Il lavaggio delle mascherine – fanno sapere dalla Cooperativa Quid - è semplice: basta immergerle in 1 litro di acqua con 5 grammi di candeggina, sciacquare con acqua corrente e fare asciugare all'aria per poi stirare a massima temperatura fino al quindicesimo utilizzo. Ma la strada per arginare le centinaia di milioni di presidi sanitari dispersi nell’ambiente è ancora in buona parte da esplorare.




fonte: www.lastampa.it


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Gli eroi del riciclo, 10 persone comuni che stanno cambiando il mondo

Dal movimento nigeriano che promuove jogging e raccolta di rifiuti al progetto filippino che trasforma le vecchie divise scolastiche in nuovi prodotti di valore. Sono i vincitori dei 10mila dollari in premi, assegnati dalla Global Recycling Foundation















Dieci eroi del riciclo. Dieci persone, associazioni o società che stanno portando avanti con dedizione e spirito innovativo progetti di riciclo locale. La Global Recycling Foundation li ha selezionati tra oltre 2.000 realtà nel mondo, per supportarli con un piccolo riconoscimento e un premio in denaro: mille dollari per portare avanti il loro lavoro, facendo conoscere i loro sforzi al resto del mondo. “Collettivamente ci aiutano a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2030, ed è loro che vogliamo celebrare in occasione del Giornata mondiale del riciclaggio 2020”, scrive la fondazione.
I dieci eroi del riciclo provengono da otto paesi di tutto il mondo. E le esperienze selezionate coprono un ampio numero di settori, dalla raccolta dei rifiuti in plastica agli articoli per la casa.
“Siamo orgogliosi di fornire un riconoscimento ai #RecyclingHeroes, bambini, scuole, insegnanti e professionisti, aziende e comunità, e tutti gli altri”, ha spiegato Ranjit S. Baxi, fondatore e presidente della Global Recycling Foundation. “Chiunque può essere un ero del riciclo – non importa quanto grandi o piccole siano le loro iniziative”.

Chi sono i 10 eroi del riciclo?

Plogging Club (Nigeria) ispira i giovani nei campus nigeriani ad agire per l’ambiente combinando l’attività di jogging con quella di raccolta dei rifiuti.
Reform Africa (Uganda) gestisce lo smaltimento dei rifiuti di plastica trasformandoli in sacchetti sostenibili, impermeabili e durevoli. L’iniziativa impiega i giovani nella raccolta e le madri single nella rielaborazione dei prodotti.
U-Recycle (Nigeria) è un’organizzazione no profit, fondata da alcuni ragazzi, che lavora per promuovere un’economia circolare in Nigeria attraverso il rafforzamento culturale nelle scuole e nelle comunità.
They Are These Foundation (Sudafrica) è un’organizzazione senza scopo di lucro che lavora con i bambini delle scuole nelle aree rurali insegnando loro i vantaggi, così come le cose da fare e da non fare per ottenere un futuro ecologico pulito a livello nazionale.
Anuya Trivedi, fondatrice di Greenbuddies (India) ha creato “aree di gioco riciclate” eco-progettate ed economiche a partire da pneumatici e altri scarti riutilizzabili.
Aribe Bajwa, fondatore degli ambasciatori sociali della gioventù (Pakistan) Con la sua organizzazione lavora per il potenziamento della comunità sul fronte ambientale, con azioni come la piantumazione di nuove alberi o sessioni formative per le istituzioni.
Made by TREID (Filippine) estende la vita di vecchi vestiti e uniforme scolastiche, trasformandoli in prodotti di valore superiore come scarpe, borse multifunzionali, accessori per la casa e nuovi tessuti. Non solo. Il progetto offre al contempo opportunità di lavoro alle persone svantaggiate.
Ecolana (Messico), società a impatto sociale focalizzata sulle pratiche di riciclaggio inclusive in Messico. Da un lato offre una piattaforma digitale con una guida al riciclaggio (una mappa e un dizionario dei materiali di scarto) per i consumatori, e dall’altro aiuta i marchi di consumo a sviluppare programmi di riciclo.
Cappabue National School (Irlanda). Questa piccola scuola di Cork sta aumentando la consapevolezza nei confronti dell’inquinamento delle spiagge attraverso un video, “One Small Change”, divenuto oggi virale.
Nick Oettinger, amministratore delegato e fondatore di The Furniture Recycling Group (Regno Unito) ha dato il via a un progetto che preleva ogni anno 400mila materassi dalle discariche britanniche. Ad oggi la società ha raccolto e riciclato oltre 1,5 milioni di materassi.
fonte: https://www.rinnovabili.it

Alla scoperta delle operazioni di monitoraggio dei rifiuti spiaggiati















Nell’ambito della Strategia Marina, che vede Arpal e la Liguria capofila per il Mediterraneo Occidentale, un’attività rilevante è rappresentata dal monitoraggio dei rifiuti spiaggiati.
Cinque le spiagge disseminate lungo la costa ligure nelle quali, due volte l’anno viene effettuata la catalogazione dei rifiuti. Abbiamo seguito i tecnici Arpal nelle operazioni di monitoraggio effettuate nei giorni scorsi a Lavagna: ecco il servizio.



fonte: https://www.snpambiente.it

WWF: a Caprera l'evento finale di 'Mediterraneo plastic free a partire dalle scuole'














Evento di clean up nella bellissima spiaggia dei due mari, Isola di Caprera, Arcipelago della Maddalena. Si conclude così il progetto WWF Mediterraneo plastic free a partire dalle scuole, presenti I.C. La Maddalena e ITIS Falcone Borsellino di Palau. Circa cento tra ragazzi e professori hanno raccolto da una spiaggia apparentemente pulita 10 sacchi rifiuti. il dato interessante è che sono stati raccolti anche decine di filtrini, i tristemente noti dischetti di plastica rilasciati a decine di migliaia nel 2018 da un depuratore vicino Paestum.
Partiti dal Golfo di Salerno per un incidente a un depuratore, i dischetti sono stati spinti a migliaia dalle correnti lungo tutte le coste tirreniche e oltre, arrivando fino in Spagna. Lo sversamento ha avuto luogo nel febbraio 2018 per il cedimento di una griglia del depuratore di Varolato. I dischetti sono arrivati sino in Francia, in Spagna e lungo tutte le coste della Corsica, la Sardegna e la Sicilia e adesso vengono utilizzati per lo studio della dispersione dei rifiuti solidi nel Mediterraneo. Questi piccoli filtri sono stati ritrovati anche nel canale digerente di alcune tartarughe marine: sono dunque già entrati nella catena alimentare ma si sono depositati anche nei fondali marini. 
Nel 2018 un artista toscana ha creato dei dischetti che si trovavano a migliaia sul litorale della provincia di Grosseto una bella spilla-fenicottero, un esempio concreto di riciclo creativo e solidale. I dischetti erano stati raccolti dai volontari coinvolti dall'Oasi WWF di Burano nelle periodiche giornate di pulizia della spiaggia in primavera.


fonte: www.greencity.it

Un caffè gratis in cambio di una busta di rifiuti: l'iniziativa di una spiaggia del Cilento merita un applauso

In un pianeta Terra in cui l'inquinamento ambientale sta divenendo una problematica sempre più pressante ed urgente, sono i piccoli gesti che ognuno può fare per sé e per gli altri a poter cambiare le cose in meglio. Le iniziative green a favore dell'ambiente sono sempre più numerose, soprattutto nel territorio italiano. La storia che coinvolge questa torrefazione della regione Campania dovrebbe essere presa come modello di sensibilità alle tematiche odierne e piacere...tutto italiano!














L'imprenditore cilentano Leo Palladino, responsabile della torrefazione Caffè Cilento in provincia di Salerno, ha inaugurato sulle bianchissime spiagge che donano al Parco Nazionale del territorio la sua attrattiva maggiore una serie di iniziative di raccolta differenziata per ripulire le spiagge affollate di turisti dalla grande quantità di plastica e di rifiuti lasciati dall'incuria dell'uomo. A chi raccoglierà una busta di rifiuti dalle spiagge e si recherà in un stabilimento convenzionato con il Caffè Cilento, in cambio verrà restituito un bicchiere di caffè gratuito!






















Così Leo Palladino parla della sua straordinaria iniziativa: "“Con questo piccolo gesto vogliamo sensibilizzare i turisti e i residenti ad avere maggior cura delle nostre spiagge, del nostro mare e del nostro splendido territorio [...] Basterà recarsi al bar con una busta di immondizia raccolta sul litorale e si riceverà in cambio un bicchierino di caffè, rigorosamente in plastica!"
Un bell'esempio di tutela dell'ambiente che, con l'arrivo della stagione estiva, dovrebbe essere preso come modello di salvaguardia e sensibilizzazione nei confronti delle nuove generazioni che non hanno di certo bisogno di lezioni, ma sicuramente di buoni esempi. Come quello di Leo Palladino.

fonte: https://www.curioctopus.it

Plastica: 414 milioni di pezzi trovati in una remota isola australiana

Trovati oltre 414 milioni di pezzi di plastica nelle remote Isole Cocos, a 2mila chilometri dall'Australia.




Invasione di plastica in un piccolo e remoto arcipelago australiano. Si tratta delle Cocos Islands (Keeling), lungo le cui coste sono stati rinvenuti oltre 414 milioni di pezzi composti da materiali plastici. Tra questi più di un milione di scarpe e un numero di spazzolini da denti superiore a 370mila. A riportarlo uno studio pubblicato sulla rivista “Scientific Reports“.

L’inquinamento da plastica avrebbe raggiunto con tutta probabilità le Cocos Islands via mare, spiegano nel report, in quanto le 238 tonnellate di rifiuti individuate non corrisponderebbero all’esiguo numero di abitanti (circa 500). Questo arcipelago è inoltre composto da 27 piccole isole, di cui la maggior parte risulta disabitata, distanti 2.750 chilometri da Perth (costa occidentale australiana). Talmente lontana dagli stili di vita consumistici da venire soprannominata dai turisti “l’ultimo paradiso incontaminato dell’Australia“.

Lo studio avrebbe riportato indicazioni tutt’altro che in linea con questo soprannome: le spiagge dell’arcipelago sarebbero costellate di scarpe, sandali, tappi di bottiglia e cannucce. Come ha sottolineato Jennifer Lavers, autrice dello studio ed eco-tossicologa marina della University of Tasmania, la stima di 414 milioni di detriti è conservativa (non potendo misurare al di sotto dei 10 cm di profondità e non avendo accesso ad alcune spiagge considerate “estremamente inquinate da detriti”):


L’inquinamento da plastica è ovunque nei nostri oceani e le isole remote sono il posto ideale per uno sguardo obiettivo sul volume di detriti in plastica che stanno circolando nel mondo. Isole come queste sono come i canarini nelle miniere di carbone e sta diventando sempre più urgente agire nei confronti degli avvertimenti che ci stanno inviando.





Fonte: Eurekalert

Spiagge nuove discariche: l’80% dei rifiuti è plastica

L'inquinamento da plastica sta trasformando le spiagge italiane in discariche a cielo aperto: i dati ISPRA sui rifiuti a terra e in mare.





La plastica sta trasformando le spiagge in vere e proprie discariche. Anche quelle italiane secondo quanto reso noto dall’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che ha presentato i risultati di uno studio commissionato dal Ministero dell’Ambiente. Nello specifico tale materiale rappresenterebbe l’80% dei rifiuti rinvenuti lungo i litorali.

Stando ai dati ISPRA ogni 100 metri di spiaggia in Italia si troverebbero intorno ai 770 rifiuti, dei quali l’80% sarebbe costituito da plastica. Un materiale che non sempre risulta riciclabile e che in diversi casi è sottratto alla filiera della raccolta differenziata attraverso l’abbandono nell’ambiente. Un danno gravissimo per gli ecosistemi, inclusi quelli marini: a rischio non soltanto la qualità delle acque, ma anche la sopravvivenza di varie specie animali e vegetali. Senza dimenticare la possibilità che tali frammenti plastici arrivino fino alle tavole attraverso il pescato.


I dati ISPRA provengono da analisi svolte su oltre 60 spiagge in Italia tra il 2015 e il 2017. Tra i rifiuti plastici maggiormente presenti bottigliette e sacchetti, solo per citare quelli a più alto numero di ritrovamenti. Se sulla terraferma il bilancio è poco rassicurante, la situazione non migliora di molto per quanto riguarda i fondali marini.
I fondali dei mari italiani contengono fino a 99 oggetti per chilometro quadrato di fondale: di questi il 77% è composto da plastica. Preoccupante anche lo stato della superficie marina, sulla quale galleggiano circa 3 rifiuti plastici per km quadrato. Senza contare la presenza di circa 28 miliardi di micro-rifiuti.


Contro questo crescente livello di inquinamento da plastica hanno deciso di muoversi alcuni governi, istituzioni, ma anche personaggi noti dello spettacolo. Tra questi virale il video diffuso da Jason Momoa, attore hawaiano celebre per aver interpretato personaggi come Khal Drogo (Trono di Spade) e Arthur Curry/Aquaman (Justice League), nel quale si rasa la barba per sostenere l’utilizzo dell’alluminio al posto del più inquinante materiale d’origine fossile.

fonte: www.greenstyle.it

Plastica: scoperti rifiuti degli anni 70 nella spiaggia di Lacona















Un insieme di oggetti di plastica abbandonati. È questa l’immagine che si è venuta a creare nelle dune della spiaggia di Lacona, in Provincia di Livorno, in seguito alle mareggiate che nelle settimane scorse hanno colpito il luogo.
Il maltempo che si è abbattuto in molte zone del nostro Paese ha portato alla luce in questo caso una serie di rifiuti di plastica che nel corso degli anni sono stati gettati nell’area. Le segnalazioni relative alla plastica abbandonata sono arrivate da parte della pagina sul social network Facebook di Lacona Beach Supporters, che è stata messa a punto dal gruppo di Orti di Mare.
Sono stati messi in evidenza i ritrovamenti di rifiuti di plastica nella spiaggia, in alcuni casi anche risalenti a tantissimi anni fa. Tutto questo dimostra come l’inquinamento da plastica sia così pericoloso. Ad esempio nella pagina si parla della presenza nelle dune della spiaggia della confezione del gelato Lippo, un prodotto che dimostra come in questa zona ci siano rifiuti di plastica risalenti anche a 40 anni fa. Si tratta di un ghiacciolo che era in vendita negli anni ’70.
I rifiuti riscontrati sono presenti fino a una profondità di più di un metro. In alcuni casi sono state trovate anche delle taniche di plastica con delle radici all’interno. Nelle dune centrali della spiaggia, che si sono create nel corso degli ultimi 70 anni, è stata riscontrata la presenza di ferro e di vetro, anche se in minore quantità. Si legge nella pagina Facebook:
Forse fra qualche decennio ci sarà meno plastica di grandi dimensioni, dalle radici non spunteranno più cannucce, come vediamo in queste foto, ma saranno le radici stesse a contenere importanti quantità della micro e della nano-plastica con cui stiamo inquinando l’ambiente.
fonte: www.greenstyle.it 

La Plastica di Coca-Cola, Pepsi e Nestlè inquina il pianeta
















Appartengono a Coca-Cola, Pepsi e Nestlé la maggior parte dei contenitori e imballaggi usa e getta identificati nel corso di 239 attività di pulizia e catalogazione dei rifiuti – brand audit – condotti in 42 Paesi e sei continenti da Break Free From Plastic, la coalizione internazionale di cui fanno parte più di mille organizzazioni, tra cui Greenpeace.
Dalla catalogazione di oltre 187 mila rifiuti in plastica, sono stati identificati migliaia di marchi i cui imballaggi sono principalmente monouso. In particolare, gli imballaggi in plastica usa e getta appartenenti a Coca-Cola sono risultati i più comuni su scala globale e sono stati identificati in 40 dei 42 Paesi in cui le attività di brand audit sono state svolte.
«I brand audit offrono una prova innegabile del massiccio contributo delle grandi multinazionali alla grave crisi globale dell’inquinamento da plastica», afferma Von Hernandez, coordinatore globale della coalizione Break Free From Plastic. «Continuando ad inondare il mercato con enormi quantità di imballaggi in plastica usa e getta, queste aziende sono responsabili dello stato di contaminazione del Pianeta. È il momento che le grandi multinazionali si assumano le proprie responsabilità e la smettano di colpevolizzare i cittadini per l’utilizzo dei loro prodotti inquinanti e, il più delle volte, inutili e superflui».
L’applicazione del protocollo del Brand Audit, oltre a prevedere la raccolta di tutti i rifiuti, permette la catalogazione dei rifiuti in plastica e la loro suddivisione per tipologia di plastica (polimero) e, laddove possibile, l’identificazione del marchio di appartenenza. Nel complesso, il polistirolo, che non è riciclabile nella maggior parte delle nazioni, è risultato il tipo più comune di plastica, seguito da vicino dal PET (Polietilene Tereftalato), una tipologia di plastica utilizzata su scala globale per produrre bottiglie, contenitori e altri imballaggi usa e getta.
Gli audit, condotti dalla coalizione Break Free From Plastic, hanno rilevato che Coca-Cola, PepsiCo, Nestlé, Danone, Mondelez International, Procter & Gamble, Unilever, Perfetti van Melle, Mars Incorporated e Colgate-Palmolive sono stati, nell’ordine, i marchi individuati con maggior frequenza. In Italia Greenpeace ha condotto 11 attività di pulizia e catalogazione dei rifiuti in plastica in undici spiagge, tra cui Bari, Napoli, Genova, Trieste, Palermo, Pisa e Chioggia. Di tutti i rifiuti in plastica di cui è stato possibile identificare i marchi di appartenenza, gli imballaggi e contenitori più comuni sono riconducibili a Coca Cola, San Benedetto, Ferrero e Nestlé.
«I nostri mari pagano il prezzo della dipendenza delle multinazionali del cibo e delle bevande dalla plastica usa e getta», dichiara Chiara Campione, responsabile della Corporate Unit di Greenpeace Italia. «Grazie ai risultati dei brand audit, possiamo finalmente indirizzare le responsabilità nella giusta direzione, e chiedere alle grandi aziende di non utilizzare la plastica monouso per confezionare i propri prodotti», conclude.
Nei mesi scorsi Greenpeace ha lanciato una petizione (no-plastica.greenpeace.it), sottoscritta da quasi due milioni di persone in tutto il mondo, con cui chiede ai grandi marchi come Coca-Cola, Pepsi, Nestlé, Ferrero, Unilever, San Benedetto, Procter & Gamble e McDonald’s di assumersi le proprie responsabilità, partendo dalla riduzione di contenitori e imballaggi in plastica monouso immessi sul mercato.
fonte: http://www.beppegrillo.it

UN CAFFÈ PER L’AMBIENTE

Nel Brindisino, il mare della riserva di Torre Guaceto è pulitissimo. Ma i turisti sporcano la spiaggia. Grazie ad un'iniziativa originale, "plastic for coffee", c'è chi si è messo a pulire.




 

Tg3



Clean Sea Life, 1/3 rifiuti sulle spiagge dovuto a turismo

Monitoraggio su 27 spiagge in 9 regioni italiane





















Il turismo balneare è una delle fonti principali di plastica in mare, dopo la cattiva gestione dei rifiuti e le discariche illegali. Il monitoraggio del progetto Clean Sea Life su 27 spiagge di 9 regioni italiane mostra come un terzo dei rifiuti sulle spiagge sia riconducibile al turismo balneare: giocattoli, puntali d'ombrellone, flaconi di creme solari, occhiali, ciabatte, costumi, riviste, involucri di gelati, caramelle, snack, mozziconi di sigaretta, bicchieri, cannucce, piatti, posate e bottiglie monouso 'dimenticati' in spiaggia ogni giorno dai turisti o dispersi a causa della limitata capacità di gestione dei rifiuti delle località balneari, spesso insufficiente a fronteggiare l'affluenza di Ferragosto.

"Basta scendere in spiaggia la mattina presto per trovare decine di bicchieri e cannucce di plastica degli happy hour - conferma Eleonora de Sabata, portavoce del progetto, co-finanziato dal programma LIFE della Commissione Europea, il cui capofila è il Parco Nazionale dell'Asinara -. Ma a fine giornata anche i cestini alle spalle della spiaggia sono spesso stracolmi: a quel punto basta un colpo di vento o il passaggio di un animale randagio per disperdere i rifiuti nell'ambiente.

Ogni oggetto dimenticato e non raccolto finisce per sbriciolarsi in una nuvola di frammenti di plastica - ed è anche per questa ragione che alcune zone del Mediterraneo, un mare praticamente chiuso, hanno la più alta concentrazione di microplastiche al mondo. La soluzione? Riportare i propri rifiuti a casa e smaltirli correttamente, dove possibile differenziandoli".

fonte: www.ansa.it

Lewis Hamilton pulisce la spiaggia dalla plastica

Lewis Hamilton, la superstar della F1, ha preso una pausa da una vacanza in Grecia per ripulire una spiaggia piena di rifiuti di plastica, condividendo la sua rabbia sui social media.

In un video pubblicato sulle sue pagine Instagram e Twitter, il campione di Formula1 dichiara tutto il suo supporto alle campagne ambientaliste ideate per ridurre la plastica e il polistirene, come quelle di Greenpeace, esortando i suoi follower a boicottare quelle aziende che producono le bottiglie di plastica, a causa dell’impatto negativo che stanno avendo sull’ambiente.


Ok ragazzi, sono qui in questa bellissima parte del mondo, abbiamo trovato questo spazio pieno di spazzatura e siamo venuti a ripulire. Volevo solo che voi ragazzi vedeste l’impatto che avete quando acquistate la plastica e la gettate via. È qui che finisce. È disgustoso.


I’m in just one of so many beautiful parts of the world today when we stumbled across this mess. We couldn’t stand by, we had to do something. We all need to act, we must stop supporting companies that are blindly fixated on their profits at the expense of our beautiful planet!🌎


Come riferito, Hamilton si trova in vacanza nell’isola greca di Mykonos, un paradiso naturale ormai travolto dall’inquinamento. Il quattro volte campione di F1 chiede dunque a tutti di agire, di fare qualcosa per aiutare l’ambiente: “basta che non compri nemmeno il polistirolo, la plastica, tutte queste cose. Non sostenere queste aziende”, afferma la star, incoraggiando così le persone a riflettere sull’impatto che gli acquisti hanno sull’ambiente in cui viviamo.
fonte: www.greenstyle.it