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L’Italia ritorni alla sua vocazione agricola e artigianale



Nel seguire l’impossibile coesistenza di un sistema della crescita infinita in un pianeta dalle risorse finite, l’Italia ha stravolto la sua natura e vocazione. Scimmiottando i paesi anglosassoni si è pensato di competere sul piano della potenza industriale. Una gara che ci ha visto sempre rincorrere affannosamente anche per la mancanza di risorse interne di fonti fossili e ora per l’impossibilità di uscire economicamente vincitori da una competizione con paesi come la Cina.

Inoltre una industrializzazione senza freni e scrupoli, ha il non indifferente contraccolpo della distruzione ambientale, quindi delle nostre risorse e ricchezze. L’Italia infatti è storicamente un paese a vocazione agricola e artigianale. La capacità di produrre con la nostra inventiva e le nostre mani si riflette anche nelle bellezze artistiche che ci sono sulla penisola in una innumerevole quantità.

Non è certo un caso che l’Italia sia meta turistica ambita anche per le sue realizzazioni create da persone di una capacità artigianale eccezionale che erano lo specchio di una conoscenza diffusa nella popolazione. Che gli italiani siano ottimi artigiani dalla grande creatività è un fatto evidente. Inoltre la nostra ricchezza e varietà dal punto di vista agricolo e alimentare è testimoniata anche dal movimento Slow Food diffuso a livello internazionale. Dove se non in Italia una realtà con queste caratteristiche poteva nascere? Un paese dove cresce una varietà e qualità strepitosa di piante commestibili e alberi da frutto, dove in ogni angolo, anche il più remoto, c’è una specialità alimentare.

Tutto questo è stato progressivamente messo in pericolo dalla massiccia e costante importazione di “cinafrusaglie” e di cibo spazzatura prodotto da paesi che hanno una cultura e ricchezza del cibo neanche lontanamente paragonabile a quella italiana. Cibo e altri prodotti realizzati con prezzi ambientali e umani altissimi e quindi conseguentemente con costi irrisori. Come si fa a competere con chi utilizza milioni di lavoratori super sfruttati e pagati miserie e non mette in nessun conto i disastri ambientali che provoca nella realizzazione delle merci?

Tentare di competere su piani che ci vedono sconfitti in partenza, non solo è illusorio ma assai poco intelligente e per nulla lungimirante. Non è certo correndo la corsa alla produzione illimitata di merci, per lo più superflue e dannose per l’ambiente, che faremo un servizio al nostro paese che invece deve necessariamente ritrovare la sua inclinazione, la sua natura che è il saper fare e il saper coltivare. Artigianato, agricoltura e benessere quindi sono la risposta, laddove il nostro “saperci godere la vita” ci è invidiato proprio da quei paesi anglosassoni e non, continuamente protesi alla performance, al segno più, mentre la loro vita si consuma in grafici e numeri. Anche noi però rischiamo di non saperci più godere la vita in questa impossibile rincorsa alla “performance” che con la nostra natura e saggezza mediterranea, hanno ben poco a che vedere.

E se si ritiene che ritrovare la via dell’artigianato e dell’agricoltura sia impossibile, anacronistico, utopico, si valuti se è più realistico proseguire a sfruttare tutte le risorse possibili e immaginabili, produrre quantità incalcolabili e ingestibili di rifiuti, competere con il mondo per vendere qualsiasi cosa, crescere in una corsa sfrenata verso il nulla e con ciò ottenere solo due risultati: una vita impazzita priva di senso e una natura distrutta dal nostro agire che ci porterà all’inevitabile suicidio collettivo.

Quindi volenti o nolenti, anche a causa dell’esaurimento delle risorse e della catastrofe ambientale, bisognerà ritornare a quello che ci contraddistingue e in cui siamo grandi maestri: costruire una società a misura di persona il più possibile autosufficiente e con un forte tessuto artigianale ed agricolo. Agendo in questo modo si possono ridurre drasticamente le importazioni di merci superflue, spesso dannose e ambientalmente impattanti, considerato che tutto quello che arriva da lontano lascia una scia di inquinamento non indifferente. Cosa c’è poi di più bello che creare con le proprie mani o coltivare vedendo crescere e assaporare i propri alimenti? Si può in questa direzione calibrare e pianificare una industria utile e sostenibile, alimentata da fonti rinnovabili, per le quali, a differenza delle fonti fossili, abbiamo potenzialità enormi e che supporti i settori artigianale e agricolo biologico.

L’Italia può ridiventare un giardino fiorito pieno di creatività, saggezza e prelibatezze, dove finalmente vivere e non competere, dove aiutarsi, cooperare e non farsi la guerra, tanto alla fine non ci sarà nessun vincitore e saremo tutti perdenti. Abbiamo il nostro paese che è già potenzialmente un paradiso terrestre, bisogna solo riscoprirlo e riscoprire i nostri talenti e le nostre capacità. Possiamo diventare un faro internazionale per un cambiamento epocale, sta a noi renderlo possibile.

fonte: www.ilcambiamento.it



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WWF: campagna GenerAzione Mare

Dalla pesca eccessiva allo sviluppo economico insostenibile e alle micro plastiche, il Mar Mediterraneo è sottoposto a una pressione senza precedenti con pesanti impatti sugli ecosistemi marini e la biodiversità ma anche su importanti settori economici come la pesca e il turismo



Con la Campagna GenerAzione, il WWF chiede un impegno concreto e immediato da parte dei governi per rafforzare la protezione del Mar Mediterraneo entro il 2030.

Il Manifesto stilato dal WWF mette in evidenza le minacce che incombono sul Mar Mediterraneo ma anche le soluzioni da adottare per scongiurarle. Le 5 principali minacce sono rappresentate da:

pesca insostenibile
perdita di biodiversità marina
corsa all’oro blu, ovvero sovrasfruttamento economico delle risorse legate al mare
cambiamento climatico
plastica.

Gli obiettivi da raggiungere:
recuperare e stabilizzare le popolazioni di specie chiave in tutto il Mediterraneo affinché mantengano il loro valore ecologico, economico e culturale per le generazioni future,
raggiungere la sostenibilità della pesca in tutto il Mediterraneo, in modo che le generazioni future possano continuare a pescare e nutrirsi dei prodotti del mare senza danneggiare l’ambiente marino,
ottenere una rete efficace di aree marine protette in tutto il Mediterraneo per preservare e ripristinare la salute degli ecosistemi marini e garantire i benefici che forniscono alle persone,
mantenere le ricchezze naturali del Mar Mediterraneo come fonte di benessere e prosperità per le generazioni future; un’economia blu sostenibile significa garantire che lo sviluppo non vada a scapito degli ambienti marini e costieri, ma mantenga e accresca il loro valore a lungo termine,
impedire che la plastica finisca in mare.

Come è possibile raggiungere tutti questi obiettivi ? Il WWF fa le sue proposte.

Per quanto riguarda la pesca sostenibile, questa si può raggiungere, garantendo che
il 100% degli stock ittici del Mediterraneo disponga di piani di gestione a lungo termine efficaci in modo che sia consentita la ripresa e si riducano gli impatti su altre specie ed ecosistemi
la gestione della pesca includa i pescatori locali e la pesca artigianale.

La perdita di biodiversità può essere arginata
sensibilizzando le persone ad acquistare in modo consapevole e responsabile
coinvolgendo l'industria ittica, che deve essere la prima a lavorare per la sostenibilità della filiera
sostenendo i pescatori artigianali del Mediterraneo a pescare meglio e vendere meglio.

La protezione della fauna marina si garantisce
riducendo in modo drastico le catture accidentali di mammiferi marini (squali, razze, tartarughe)
identificando e proteggendo alcune aree specifiche che possono accogliere popolazioni di mammiferi marini.
coinvolgendo anche la società civile nella salvaguardia della fauna marina anche attraverso progetti di citizen science.

L'implementazione della aree marine protette è un passaggio fondamentale per avere un habitat sano, questo obiettivo può essere raggiunto
incrementando l'efficacia della gestione delle aree marine protette (AMP) e dei siti Natura 2000 esistenti
assicurando che almeno il 30% delle aree costiere e marine sia protetto nel Mediterraneo e in Italia.

L'economia blu può trovare fondamento
realizzando un piano spaziale marino che tenga in adeguata considerazione la capacità di carico dell’ecosistema, integrando una rete efficace di aree marine protette e misure di protezione spaziale con valutazioni ambientali strategiche, per garantire che le attività umane in mare non abbiano effetti negativi su habitat, specie e/o processi ecologici particolarmente sensibili.

Infine, la riduzione della plastica in mare si può ottenere
ratificando un trattato vincolante per tutti i paesi del mondo per contrastare l'inquinamento marino da plastica
consentendo ai pescatori di trasportare a terra i rifiuti pescati accidentalmente per un loro corretto smaltimento
sensibilizzando e coinvolgendo la società civile nella lotta contro la plastica in mare.

Questi, secondo il WWF, sono gli steps per far sì che, entro il 2030, il Mediterraneo sia caratterizzato da ecosistemi marini e costieri sani, in grado di garantire il benessere umano basato su economie vivaci e sostenibili.

Leggi di più sulla campagna GenerAzione Mare e sul Manifesto del WWF per proteggere il capitale blu.

fonte: www.arpat.toscana.it



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È il turismo il principale responsabile dei rifiuti marini che finiscono sulle spiagge delle isole del Mediterraneo

Il turismo produce l'80% dei rifiuti marini che si accumulano sulle spiagge delle isole del Mediterraneo in estate. La pandemia di Cobvid-19 è un'opportunità per ripensare il modello del turismo sostenibile




Lo studio “The generation of marine litter in Mediterranean island beaches as an effect of tourism and its mitigation”, pubblicato su Scientific Reports da Michaël Grelaud e Patrizia Zivieri dell’Institut de Ciència i Tecnologia Ambientals de la Universitat Autònoma de Barcelona (ICTA-UAB), mette in guardia sull’impatto che l’attuale modello turistico nelle isole del Mediterraneo ha sullo spiaggiamento di rifiuti marini e raccomanda di sfruttare la crisi del Covid.19 per ripensare a un nuovo modello di turismo più sostenibile.

Lo studio di mostra che «L’uso ricreativo delle spiagge delle isole del Mediterraneo durante l’estate è responsabile fino all’80% dei rifiuti marini che si accumulano su quelle spiagge e genera enormi quantità di microplastiche attraverso la frammentazione di grandi prodotti in plastic».

Lo studio internazionale ha analizzato negli ultimi 4 anni gli effetti dei rifiuti generati dal turismo su 24 spiagge, da siti remoti a siti altamente turistici, di 8 isole del Mediterraneo (Maiorca, Sicilia, Rab, Malta, Creta, Mykonos, Rodi e Cipro). All’ICTA-UAB ricordano che «I rifiuti marini, comprese le microplastiche, possono essere definiti come qualsiasi materiale solido persistente, prodotto o lavorato scartato, smaltito o abbandonato nell’ambiente marino e costiero. Derivano dall’attività umana e possono essere trovati in tutti gli oceani e i mari del mondo».

Grelaud sottolineano che «Questo problema ambientale sta minacciando la buona salute degli ecosistemi marini e può portare alla perdita di biodiversità. Può avere anche enormi impatti economici per le comunità costiere che dipendono dai servizi ecosistemici aumentando la spesa per la pulizia delle spiagge, la salute pubblica o lo smaltimento dei rifiuti».

La regione del Mediterraneo accoglie ogni anno circa un terzo del turismo mondiale ed è particolarmente colpita dall’inquinamento ambientale legato a questa industria che, come dicono spesso gli esperti, insieme a quella estrattiva è l’unica che “mangia” sé stessa. L’attrattività delle isole del Mediterraneo fa sì che la loro popolazione si moltiplichi fino a 20 volte durante l’alta stagione. I ricercatori evidenziano che «Si tratta di una sfida per i comuni costieri, che dipendono da questo settore ma devono adeguarsi e far fronte all’aumento dei rifiuti prodotti, anche sulle spiagge, dall’afflusso stagionale di turisti. Si prevede infatti che il turismo costiero sia una delle principali fonti di rifiuti marini terrestri».

Durante la bassa e alta stagione turistica del 2017, il team di ricerca ha condotto 147 indagini sui rifiuti marini nelle 8 isole e i risultati di mostrano che la stragrande maggioranza dei rifiuti raccolti sono di plastica, visto che rappresentano oltre il 94% dei rifiuti marini.

Dallo studio è emerso che, durante l’estate, sulle frequentatissime spiagge turistiche si accumulano in media 330 rifiuti per 1.000 m2 al giorno, 5,7 volte in più rispetto alla bassa stagione e che oltre il 65% della quantità di rifiuti marini che si accumulano sulle spiagge più frequentate dai turisti e costituito da mozziconi di sigarette, cannucce, lattine e alter tipologie di imballaggi usa e getta. I ricercatori avvertono che «Questo può aumentare fino all’80% se vengono incluse le microplastiche di grandi dimensioni. Come suggerito dai risultati: durante l’estate, gli articoli in plastica lasciati sulla spiaggia subiranno una frammentazione per gli effetti combinati dell’irraggiamento solare e dell’attrito con la sabbia, accelerati dall’elevato volume dei visitatori». Un fenomeno osservato in tutte le isole del Mediterraneo,

Nel 2019, e dopo l’attuazione di campagne di sensibilizzazione dei cittadini, c’è stata una diminuzione di oltre il 50% dei rifiuti associati alla frequentazione delle spiagge da parte dei turisti.

La Zivieri conclude: «Questi risultati molto incoraggianti beneficiano probabilmente della crescente attenzione dell’opinione pubblica verso l’inquinamento da plastica negli oceani o verso le misure adottate dalla Commissione europea per ridurre i rifiuti marini, come la direttiva sulla plastica monouso. Inoltre ci ricordano che il confinamento da Covid-19 e la relativa riduzione drastica e temporanea del turismo ci offre un’opportunità per ripensare l’importanza fondamentale del turismo sostenibile per garantire un futuro sano per l’ambiente e, quindi, anche per le persone».

fonte: www.greenreport.it

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Bali, i monsoni sommergono le spiagge con la plastica

I rifiuti plastici sulle coste di Bali sono sempre di più: un fenomeno che si aggrava di anno in anno e che rischia di dare il colpo di grazia al turismo.



Un paradiso, sì, ma di plastica. In questo si stanno trasformando le spiagge di Bali, una delle mete esotiche più note e amate dai turisti di tutto il mondo. Secondo il quotidiano britannico The Guardian, negli ultimi giorni le piogge monsoniche e i venti che soffiano da ovest verso est avrebbero portato grandissime quantità di rifiuti plastici marini sulle principali spiagge dell’isola indonesiana, ovvero Kuta, Legian e Seminyak. A detta dell’agenzia per l’ambiente e i servizi igienico-sanitari della zona di Badung, una delle più turistiche di Bali, in soli tre giorni sarebbero state raccolte circa 90 tonnellate di plastica. Una ulteriore piaga per un settore, quello turistico, divenuto il principale motore dell’economia balinese e ora fermo causa pandemia di coronavirus.

Plastica sulle spiagge di Bali: una situazione non nuova

La situazione, certo, non è nuova: Denise Hardesty, ricercatrice dell’Agenzia nazionale delle scienze australiana (Csiro) ed esperta di inquinamento da plastica, ha tenuto a precisare che il problema del beach litter affligge l’arcipelago indonesiano da anni nel periodo monsonico. Tuttavia, nell’ultimo decennio il fenomeno ha visto un forte peggioramento, dovuto molto probabilmente all’aumento costante della quantità di plastica prodotta nel mondo e di rifiuti plastici dispersi nell’ambiente.


Basti solo ricordare che, se negli anni Sessanta venivano prodotte 15 milioni di tonnellate di questo materiale, oggi ne vengono realizzate oltre 300 milioni all’anno, di cui oltre otto milioni dispersi negli oceani del globo. La stima, secondo il Wwf, è che negli oceani del mondo vi siano oltre 150 milioni di tonnellate di plastica.


Sempre secondo il quotidiano britannico, a giocare un ruolo importante nell’inquinamento delle spiagge balinesi sono anche i cattivi sistemi di smaltimento locali. A detta degli esperti, infatti, molti dei rifiuti trovati sulle spiagge non provenivano da lontano. Per questo i gruppi ambientalisti indonesiani stanno lavorando per sensibilizzare la popolazione a un minore utilizzo della plastica. Inoltre, Csiro sta lavorando per implementare un sistema di monitoraggio con telecamere e intelligenza artificiale per tracciare i rifiuti e identificare i punti di provenienza.

Trovare soluzioni per far ripartire (anche) il turismo di Bali

Trovare una soluzione per ridurre il quantitativo di plastica sulle spiagge balinesi è d’obbligo anche per garantire una buona ripartenza del settore turistico alla fine della crisi: dal 2020, a causa della pandemia, sull’isola sono consentiti solo gli spostamenti interni. Bali è però una delle mete più gettonate al mondo – nel 2017 ha “vinto” il Travelers’ choice destinations awards della piattaforma per viaggiatori Tripadvisor e nel 2020 si è piazzata al quarto posto – ma è anche una di quelle prese maggiormente d’assalto dal turismo di massa.

Nel 2018 i turisti sono stati 5 milioni, una cifra di poco superiore al numero di abitanti totali dell’isola: una pressione seppur necessaria all’economia del paese, ormai poco sostenibile, con la progressiva distruzione degli habitat e l’aumento dell’inquinamento. Che il fermo causato dalla pandemia e il progressivo inquinamento delle coste siano il pretesto per ripensare al turismo sull’isola in chiave più sostenibile?

fonte: www.lifegate.it


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Cortina da luglio dice addio alla plastica
















Cortina dice addio alla plastica. A partire dal primo luglio le attività di ristorazione e somministrazione di alimenti e bevande, le organizzazioni turistiche che nell’ambito della loro attività forniscono pasti e bevande, gli enti, i privati e le associazioni che organizzano feste, eventi e sagre, per la consumazione su aree e luoghi pubblici o aperti al pubblico nel territorio comunale, dovranno fornire esclusivamente stoviglie, cannucce, contenitori in materiale biodegradabile e compostabile. L’ordinanza comunale pubblicata oggi prevede, dunque, l’eliminazione della plastica monouso da parte di esercenti e realtà che operano sul territorio nella somministrazione di cibi e bevande, in linea con la “Strategia Europea per la plastica” varata dalla Commissione Europea a gennaio 2018. “L’uso della plastica monouso fa parte della nostra quotidianità ed è complesso invertire un’abitudine così diffusa e radicata – dice Paola Coletti, Assessore del Comune – Ma è nostro dovere contribuire alla riduzione a tutti i livelli dell’uso della plastica. Il riciclaggio non basta, è necessario ridurne la produzione. E spingere i produttori all’utilizzo di materiali non solo biodegradabili, ma compostabili, affinché l’impatto delle nostre azioni quotidiane non lasci tracce negative sul futuro”. Cortina si inserisce, dunque, “tra le località montane che tornano ‘alle origini’ anche nei rifugi dove, solo alcuni anni fa, era normale consuetudine utilizzare bicchieri e caraffe in vetro senza ricorrere alla plastica”.

Fonte: ANSA


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Ogni anno 570mila tonn di plastica finiscono nel Mediterraneo

WWF pubblica un nuovo report sul marine litter e denuncia:  “I paesi del Mediterraneo ancora non riescono a raccogliere tutti i propri rifiuti e sono lontani dal trattarli con una modalità efficiente di economia circolare”




















La plastica è diventata un materiale ubiquitario nel Mediterraneo. Fa parte della vita quotidiana delle persone ed è una presenza costante sulle sue spiagge e nelle sue acque. Con queste parole si apre il nuovo report del WWF dedicato all‘inquinamento marino. Alla vigilia della Giornata Mondiale degli Oceani, l’associazione ambientalista fa il punto sulle difficoltà del Mare nostrum legate all“effetto plastica”.
Ogni anno, infatti, nelle sue acque finiscono 570mila tonnellate di rifiuti plastici, per lo più provenienti dalle attività costiere (il 50% delle tonnellate totali). Un 30% della spazzatura arriva, invece, dall’entroterra grazie ai fiumi – Ceyhan, Seyhan, Po e Nilo sono ritenuti i maggiori responsabili – mentre il resto è legato alle attività in mare.

A differenza di quanto avviene a livello oceano, nel sistema chiuso del Mediterraneo l’80% dell’inquinamento marino ritorna alla terra entro un decennio. Ogni giorno si accumulano in media oltre 5 kg di plastica ogni chilometro di costa. La regione della Cilicia turca presenta il più alto tasso di inquinamento costiero del Mediterraneo, seguita dalle aree litorali che circondano Barcellona e Tel Aviv. Tra le zone critiche anche  la spiaggia di Marsiglia e Venezia e le coste prossime al Delta del Po.

Guardando al futuro, la situazione appare ancor più preoccupante. Senza un’azione, infatti, questi numeri continueranno a crescere e si prevede che la produzione di rifiuti plastici nella regione quadruplicherà entro metà del secolo. “Il meccanismo di gestione della plastica è decisamente guasto – spiega Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia – i paesi del Mediterraneo ancora non riescono a raccogliere tutti i propri rifiuti e sono lontani dal trattarli con una modalità efficiente di economia circolare. Il cortocircuito sta nel fatto che mentre il costo della plastica è estremamente basso mentre quello di gestione dei rifiuti e dell’inquinamento ricade quasi totalmente sulla collettività e sulla natura”. 

In questo contesto l’Italia ha una grande responsabilità. Siamo il maggiore produttore di manufatti plastici della regione e il secondo più grande produttore di tali rifiuti: buttiamo ben 4 milioni di plastica l’anno di cui 0,5 milioni di tonnellate finiscono direttamente in natura. “L’effetto negativo della plastica in natura – spiega il WWF – colpisce tutta la Blue Economy: quella italiana è la terza più grande d’Europa ma l’inquinamento, secondo il report WWF, le fa perdere circa 67 milioni di euro l’anno. I settori più colpiti sono proprio il turismo (30,3 milioni di euro) ma anche la pesca (8,7 milioni di euro), il commercio marittimo (28,4 milioni di euro) e bonifiche e pulizia (16,6 milioni di euro)”. 

fonte: www.rinnovabili.it

Cervo muore con 4 kg di plastica nello stomaco

Un cervo è stato rinvenuto senza vita, con 4 kg di plastica nello stomaco: succede in Giappone e la causa è l'inquinamento prodotto dai turisti.





L’inquinamento da plastica non sta minacciando solo la fauna marina – come balene, capodogli e tartarughe – ma anche tante specie comuni da bosco. È quanto dimostra la triste storia di un cervo, rinvenuto in Giappone senza vita e con oltre quattro chili di rifiuti nel suo stomaco. Un problema sempre più frequente, che dimostra come le attività umane siano la primissima causa di danneggiamento della biodiversità e della sopravvivenza delle specie animali.

Il tutto accade a Nara, dove i cervi sono considerati praticamente sacri e da secoli condividono gli spazi cittadini con l’uomo. Un tempo capitale nipponica, la località ama e salvaguarda questi animali, in onore di una vecchia leggenda: il protettore della città, infatti, sarebbe proprio un cervo bianco. Per questa ragione, gli esemplari vengono alimentati con cibo speciale, come fibre di riso, appositi cracker e mangimi disponibili praticamente in qualsiasi negozio locale. Eppure, nonostante una simile dedizione, la plastica sta minacciando la loro sopravvivenza.

Di recente è stato rinvenuto un esemplare senza vita, con lo stomaco pieno di residui in plastica – oltre 4 chilogrammi – capaci di bloccare la digestione e impedire l’alimentazione. Non si tratta di un caso isolato: sono ben sei i cervi uccisi dalla plastica dallo scorso marzo. Secondo le autorità locali, in particolare la Nara Deer Welfare Association, la causa di questo aumento nei decessi sarebbe da attribuire alla crescita di turisti: questi ultimi, oltre ad alimentare in modo non consentito gli esemplari presenti, abbandonerebbero rifiuti lungo i parchi e le strade cittadine, poi ingeriti dagli erbivori. Gli animali scambierebbero gli oggetti in plastica – in particolare sacchetti e involucri – per erba e verdure.

L’associazione ricorda come ai cervi dovrebbero essere forniti solo i “cracker senbei”, uno speciale alimento preparato appositamente per questi animali, a base di riso e di altre fibre vegetali.





Fonte: Quartz