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L’Italia ritorni alla sua vocazione agricola e artigianale



Nel seguire l’impossibile coesistenza di un sistema della crescita infinita in un pianeta dalle risorse finite, l’Italia ha stravolto la sua natura e vocazione. Scimmiottando i paesi anglosassoni si è pensato di competere sul piano della potenza industriale. Una gara che ci ha visto sempre rincorrere affannosamente anche per la mancanza di risorse interne di fonti fossili e ora per l’impossibilità di uscire economicamente vincitori da una competizione con paesi come la Cina.

Inoltre una industrializzazione senza freni e scrupoli, ha il non indifferente contraccolpo della distruzione ambientale, quindi delle nostre risorse e ricchezze. L’Italia infatti è storicamente un paese a vocazione agricola e artigianale. La capacità di produrre con la nostra inventiva e le nostre mani si riflette anche nelle bellezze artistiche che ci sono sulla penisola in una innumerevole quantità.

Non è certo un caso che l’Italia sia meta turistica ambita anche per le sue realizzazioni create da persone di una capacità artigianale eccezionale che erano lo specchio di una conoscenza diffusa nella popolazione. Che gli italiani siano ottimi artigiani dalla grande creatività è un fatto evidente. Inoltre la nostra ricchezza e varietà dal punto di vista agricolo e alimentare è testimoniata anche dal movimento Slow Food diffuso a livello internazionale. Dove se non in Italia una realtà con queste caratteristiche poteva nascere? Un paese dove cresce una varietà e qualità strepitosa di piante commestibili e alberi da frutto, dove in ogni angolo, anche il più remoto, c’è una specialità alimentare.

Tutto questo è stato progressivamente messo in pericolo dalla massiccia e costante importazione di “cinafrusaglie” e di cibo spazzatura prodotto da paesi che hanno una cultura e ricchezza del cibo neanche lontanamente paragonabile a quella italiana. Cibo e altri prodotti realizzati con prezzi ambientali e umani altissimi e quindi conseguentemente con costi irrisori. Come si fa a competere con chi utilizza milioni di lavoratori super sfruttati e pagati miserie e non mette in nessun conto i disastri ambientali che provoca nella realizzazione delle merci?

Tentare di competere su piani che ci vedono sconfitti in partenza, non solo è illusorio ma assai poco intelligente e per nulla lungimirante. Non è certo correndo la corsa alla produzione illimitata di merci, per lo più superflue e dannose per l’ambiente, che faremo un servizio al nostro paese che invece deve necessariamente ritrovare la sua inclinazione, la sua natura che è il saper fare e il saper coltivare. Artigianato, agricoltura e benessere quindi sono la risposta, laddove il nostro “saperci godere la vita” ci è invidiato proprio da quei paesi anglosassoni e non, continuamente protesi alla performance, al segno più, mentre la loro vita si consuma in grafici e numeri. Anche noi però rischiamo di non saperci più godere la vita in questa impossibile rincorsa alla “performance” che con la nostra natura e saggezza mediterranea, hanno ben poco a che vedere.

E se si ritiene che ritrovare la via dell’artigianato e dell’agricoltura sia impossibile, anacronistico, utopico, si valuti se è più realistico proseguire a sfruttare tutte le risorse possibili e immaginabili, produrre quantità incalcolabili e ingestibili di rifiuti, competere con il mondo per vendere qualsiasi cosa, crescere in una corsa sfrenata verso il nulla e con ciò ottenere solo due risultati: una vita impazzita priva di senso e una natura distrutta dal nostro agire che ci porterà all’inevitabile suicidio collettivo.

Quindi volenti o nolenti, anche a causa dell’esaurimento delle risorse e della catastrofe ambientale, bisognerà ritornare a quello che ci contraddistingue e in cui siamo grandi maestri: costruire una società a misura di persona il più possibile autosufficiente e con un forte tessuto artigianale ed agricolo. Agendo in questo modo si possono ridurre drasticamente le importazioni di merci superflue, spesso dannose e ambientalmente impattanti, considerato che tutto quello che arriva da lontano lascia una scia di inquinamento non indifferente. Cosa c’è poi di più bello che creare con le proprie mani o coltivare vedendo crescere e assaporare i propri alimenti? Si può in questa direzione calibrare e pianificare una industria utile e sostenibile, alimentata da fonti rinnovabili, per le quali, a differenza delle fonti fossili, abbiamo potenzialità enormi e che supporti i settori artigianale e agricolo biologico.

L’Italia può ridiventare un giardino fiorito pieno di creatività, saggezza e prelibatezze, dove finalmente vivere e non competere, dove aiutarsi, cooperare e non farsi la guerra, tanto alla fine non ci sarà nessun vincitore e saremo tutti perdenti. Abbiamo il nostro paese che è già potenzialmente un paradiso terrestre, bisogna solo riscoprirlo e riscoprire i nostri talenti e le nostre capacità. Possiamo diventare un faro internazionale per un cambiamento epocale, sta a noi renderlo possibile.

fonte: www.ilcambiamento.it



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Batterie e materie prime, il riciclo può fornire il 65% del cobalto

Un nuovo studio T&E mostra come le pratiche di riciclo delle batterie auto possano ridurre drasticamente l’importazione dei metalli preziosi e la dipendenza da Paesi terzi. E al resto penseranno i progressi nell’efficienza.



Gran parte del fabbisogno europeo di materie prime per le batterie dei veicoli elettrici può provenire dal riciclo degli stessi dispositivi a fine vita. A riferirlo è il nuovo studio di Transport & Environment secondo cui nel 2035, oltre un quinto del litio e del nichel e un più della metà del cobalto necessario all’accumulo potrebbe provenire da batterie “esauste”. Una pratica che combinata con i miglioramenti della densità della batteria, ridurrà l’impatto dell’estrazione di questi metalli e la dipendenza europea dalle importazioni.

Il rapporto di T&E valuta la quantità di materie prime necessarie per produrre batterie delle e-car oggi e in futuro, tenendo conto degli avanzamenti tecnologici. E confronta il dato con le materie prime necessarie per far funzionare un’auto a combustibili fossili.

Secondo l’obiettivo proposto dalla stessa Commissione europea nel 2030, il 5% di litio, il 17% di cobalto e il 4% di nichel necessari per la produzione di batterie auto possono essere ottenuti dal riciclo. Nel 2035, le percentuali potrebbero aumentare al 22% per litio e nichel e al 65% per il cobalto.

“A differenza delle odierne auto alimentate a combustibili fossili – spiega Lucien Mathieu, analista di T&E – le batterie delle e-car fanno parte di un ciclo di economia circolare in cui i materiali possono essere riutilizzati e recuperati”. Si tratta di un passaggio fondamentale “per ridurre la pressione sulla domanda primaria di materiali vergini e, in ultima analisi, limitare gli impatti che l’estrazione delle materie prime può avere sull’ambiente e sulle comunità”.

Allo stesso tempo, i miglioramenti nella densità energetica ridurranno la domanda dei metalli preziosi. Si stima che da oggi al 2030, i progressi in questo campo dimezzeranno la quantità di litio necessaria per produrre una batteria EV. Nel contempo, la quantità di cobalto richiesta diminuirà di oltre tre quarti e il nichel di circa un quinto.

Ciò avrà un impatto significativo sulla dipendenza dalle risorse, afferma l’associazione. L’UE , infatti, attualmente importa il 96% della sua fornitura di petrolio greggio; il che significa che la sua dipendenza dalle materie prime per le batterie sarà 10 volte inferiore nel 2030 rispetto al petrolio.

fonte: www.rinnovabili.it


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Se il pay per use entra in fabbrica

 

Molti uffici non acquistano più stampanti, sistemi di illuminazione, computer o tappeti. Per ridurre i costi, preferiscono comprare copie per pagina da Xerox, luce quantificata in lux da Philips, capacità di elaborazione a ore da Amazon o moquette al mese da Desso.
Passare ai servizi Pay per Use è un ottimo modo per ridurre o eliminare investimenti ad alta intensità di capitale come hardware e strutture, riducendo notevolmente i costi generali di gestione e manutenzione. Tuttavia, se questi servizi sono piuttosto diffusi nel mondo degli uffici, entrano ancora raramente dalla porta della fabbrica. Nonostante i vantaggi, molti reparti acquisti preferiscono continuare a comprare attrezzature e prodotti piuttosto che pagare solo per il loro utilizzo.
Ma, anche se lentamente, le cose stanno cambiando. In Francia, ad esempio, diverse aziende hanno scelto di passare dalle vendite a un modello basato sulle prestazioni per migliorare la propria competitività.

Affittare il corindone

CVP, una società vicina a Lille, affitta il corindone, un minerale utilizzato per le sue proprietà abrasive. L'azienda fornisce corindone ai propri clienti, principalmente subappaltatori automobilistici e aerospaziali. Raccoglie il corindone usato e lo ricicla in un nuovo abrasivo ad alte prestazioni. Affittando il corindone, i clienti riducono i costi di almeno il 10% e CVP risparmia sui costi di energia e trasporto poiché i depositi di corindone più grandi si trovano in Cina. Inoltre, gli abrasivi usati non finiranno più nelle discariche.

Vendere aria

Anche l'aria può essere venduta. Vicino a Grenoble, les Etablissements André Cros vende aria compressa al metro cubo. L'azienda installa compressori presso i siti dei clienti e poi li monitora a distanza utilizzando dei captor. Quando necessario, si reca sul posto per la manutenzione, la riparazione o la sostituzione dei compressori. Sfruttando le sue attività principali,- vendita di compressori, installazione e manutenzione - les Etablissements André Cros può fornire un servizio di alta qualità a un prezzo competitivo. L'azienda assiste inoltre i propri clienti per migliorare le loro prestazioni in termini di efficienza energetica; uno dei suoi clienti, Soitec, ha ridotto del 50% la bolletta energetica passando a questo nuovo servizio.

Chemical Leasing in Renault

È possibile oggi anche acquistare prodotti chimici secondo un modello di prodotto come servizio, come fa Renault per i fluidi da taglio, un tipo di refrigerante e un lubrificante utilizzati nella lavorazione. Il fornitore ha riprogettato il fluido e i suoi processi di supporto per passare a un modello Pay per Use, consentendo a Renault di ridurre il costo totale di proprietà per i fluidi da taglio di circa il 20%. Liquidi refrigeranti e lubrificanti non sono le uniche sostanze chimiche che possono essere acquistate in un modello Pay per Use. Oggi, grazie a quello che si chiama Chemical Leasing, gli impianti possono pagare la vernice per numero di pezzi verniciati, il solvente per superficie di metallo trattato, o il detergente per metro quadrato pulito.
Il modello Pay per Use porta vantaggi non solo economici ma anche ambientali: migliora l'efficienza delle risorse e riduce il consumo di energia e gli sprechi. Ad esempio, Renault ha ridotto del 90% il volume di scarico dei fluidi da taglio. Se il tasso di adozione al momento rimane basso, è probabilmente perché i modelli Pay per Use stanno cambiando il tradizionale rapporto cliente-fornitore. I clienti devono costruire relazioni a più lungo termine con i loro fornitori e i fornitori potrebbero dover acquisire nuove competenze per far funzionare, mantenere e riciclare le loro apparecchiature o prodotti.

Un aiuto dalla tecnologia

La tecnologia può aiutare nella transizione verso questo nuovo modello. Ad esempio, l'Internet of Things e i sensori a basso costo aiutano i fornitori a monitorare automaticamente e da remoto le prestazioni delle loro apparecchiature o dei materiali presso le sedi dei clienti.
Oggi, molte fabbriche utilizzano società di servizi energetici per migliorare la propria efficienza energetica.
Domani molto probabilmente acquisteranno servizi Pay per Use per migliorare la loro efficienza delle risorse; e potrebbe accadere prima del previsto.

fonte: www.renewablematter.eu/


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Ue: 280 milioni di euro per progetti in materia di ambiente, natura e azione per il clima

I finanziamenti vengono veicolati attraverso il programma LIFE, ossia lo strumento finanziario dell'UE per l'ambiente e l'azione per il clima. È attivo dal 1992 e ha cofinanziato finora più di 5 500 progetti in tutta l'UE e nei paesi terzi.









La Commissione europea ha approvato un pacchetto di investimenti per oltre 280 milioni di € provenienti dal bilancio dell'UE per oltre 120 nuovi progetti del programma LIFE.
Complessivamente questo finanziamento dell'UE stimolerà investimenti per quasi 590 milioni di € che concorreranno al conseguimento degli ambiziosi obiettivi di questi progetti in materia di ambiente, natura e azione per il clima. Tale importo rappresenta un aumento del 37 % rispetto allo scorso anno.
I progetti contribuiranno a conseguire gli obiettivi del Green Deal europeo sostenendo la strategia dell'UE sulla biodiversità e il piano d'azione per l'economia circolare, dando impulso alla ripresa verde dalla pandemia di coronavirus, aiutando l'Europa a diventare un continente a impatto climatico zero entro il 2050 e non solo. Molti di essi hanno carattere transnazionale e coinvolgono più Stati membri.
Frans Timmermans, Vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, ha dichiarato: "Il Green Deal europeo è la nostra tabella di marcia verso un'Europa verde, inclusiva e resiliente. I progetti LIFE incarnano questi valori in quanto uniscono gli Stati membri intorno agli obiettivi comuni della protezione dell'ambiente, del ripristino della natura e del sostegno alla biodiversità. Attendo con interesse di osservarne i risultati."
Circa 220 milioni di € sono destinati a un'ampia gamma di progetti in materia di ambiente e uso efficiente delle risorse, natura e biodiversità e governance e informazione in materia di ambiente e oltre 60 milioni di € sono invece destinati al sostegno di progetti per la mitigazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici e per la governance e l'informazione.
Sono previsti importanti investimenti volti a proteggere e rafforzare la biodiversità europea. Progetti quali il ripristino delle torbiere — ecosistemi unici che ospitano molte specie altamente adattate, rare e minacciate — contribuiranno all'attuazione della strategia dell'UE sulla biodiversità. Le torbiere sono anche importanti pozzi di assorbimento del carbonio e possono essere molto utili negli sforzi che l'Europa deve compiere per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

fonte: www.greencity.it

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Flussi di materia, più che triplicati in soli cinquant’anni

Su base pro capite, i livelli di consumo di materiali nei paesi ad alto reddito sono superiori del 60% rispetto a quelli a medio-alto paesi a reddito e 13 volte il livello dei paesi a basso reddito




In cinquant’anni i flussi di materia sono più triplicati: ovvero il volume di biomassa, metalli, minerali non metallici e combustibili fossili che estraiamo dalla terra – spiega l’Onu nell’ultimo Global Resources Outlook – sta crescendo rapidamente, ed è una crescita “insostenibile”: l’estrazione globale di materie prime è aumentata di 3,4 volte dal 1970, passando da 27 a 92 miliardi di tonnellate l’anno, mentre la popolazione globale è “solo” raddoppiata, come il Pil procapite. Un trend che alimenta la disuguaglianza.

Gran parte della crescita nel consumo di risorse naturali è stata infatti assorbita dai paesi a reddito medio-alto, che hanno raggiunto una quota globale del 56% del consumo di materiale nel 2017. Su base pro capite, i livelli di consumo di materiali nei paesi ad alto reddito sono superiori del 60% rispetto a quelli a medio-alto paesi a reddito e 13 volte il livello dei paesi a basso reddito (International Resource Panel, Global Resources Outlook, 2019)

Se estraiamo materiali dall’ambiente più velocemente di quanto non li rigeneriamo (biomassa) o riduciamo le riserve di risorse non rinnovabili (combustibili fossili e metalli), non solo questo danneggia il nostro ambiente naturale ma lascia le generazioni future senza le basi per nutrirsi, costruire un riparo e sostenere la vita. Inoltre, più usiamo materiali, più creiamo rifiuti.

Come spiega sempre l’Onu, si tratta di una questione di fondamentale importanza perché è alla base della sostenibilità ambientale. Non c’è sviluppo sostenibile senza una gestione sostenibile delle risorse materiali, al pari o di più di quelle energetiche. Per gestire i rischi posti dall’uso accelerato dei materiali nell’economia globale – sottolinea l’Onu –, molti Paesi hanno quindi bisogno di informazioni affidabili sull’uso dei materiali nelle loro economie, per sviluppare approcci circolari e per disaccoppiare la crescita economica dal degrado ambientale.

Cosa tutt’altro che facile, in quanto più volte nel corso delle varie crisi, si è assistito all’esatto contrario: ovvero anche decrescita economica i materiali consumati hanno continuato a crescere, rendendo ancor più difficile il disaccoppiamento, che vorrebbe una crescita dell’economia a fronte di una riduzione dei flussi di materiali metabolizzati. Possibile solo, come greenreport ha spesso spiegato attraverso le parole di tanti esperti, con una crescita intesa in modo assai diversa da quella del mero Pil. Se il mantra resta il consumo quale che sia, non c’è speranza di gestione sostenibile dei flussi di materia e la terra, come sappiamo, è un mondo finito con risorse finite.

Come spiega l’Onu il disaccoppiamento assoluto nei paesi ad alto reddito può ridurre il consumo medio di risorse, distribuire equamente la prosperità e mantenere un’alta qualità della vita. Il disaccoppiamento relativo nelle economie in via di sviluppo e nelle economie in transizione può aumentare i livelli di reddito medio ed eliminare la povertà, pur aumentando i livelli di consumo di risorse naturali fino al raggiungimento di una qualità di vita socialmente accettabile.

Il disaccoppiamento però non avverrà spontaneamente, ma lo farà attraverso strategie politiche ben progettate e concordate. Ma queste sono intenzioni, giuste, ma intenzioni. Servono azioni – lo diciamo noi e non l’Onu – molto più efficaci.

E l’Italia? L’ultimo report Istat in materia documenta che (anno 2018) consumiamo circa 500 milioni di tonnellate all’anno di risorse naturali. Secondo i dati contenuti nel rapporto Onu, nel periodo 1970-2017, l’estrazione domestica in Italia è aumentata del 3,4%, passando da 482.617.763 kt nel 1970 a 498.961.169 kt nel 2017. I minerali non metallici hanno avuto la quota maggiore di estrazione complessiva di materiali nel 2017 (79,2%), seguita da biomassa (18,9%) e combustibili fossili (1,9%).

Confrontando l’importo estratto in Italia con altri paesi, il livello pro capite è più significativo. A livello globale, con 8,3 tonnellate pro capite nel 2015 l’Italia si è classificata 89esima su 187 paesi. Questo importo era inferiore del 30,4% alla media mondiale, o di 12,0 tonnellate pro capite. Nella categoria “minerali non metallici”, sono dominanti quelli nell’edilizia con il 92,4%, seguiti dai minerali destinati all’industria o all’agricoltura (7,6%). Guardando al secondo gruppo di materiali, biomassa, colture e residui colturali sono stati i due principali gruppi.

Molte delle risorse che consumiamo, naturalmente, provengono da territori al di fuori dei confini nazionali: nel 2016, rispetto ad un consumo interno di materiali stimato in 489 milioni di tonnellate, ben 322 vengono importate: questo significa che per ogni 10 kg di materiale, 6,5 kg sono di provenienza estera.

Non si tratta di curiosità naif, ma di dati fondamentali per poter guidare la transizione ecologica del nostro Paese. I conti dei flussi di materiali a livello economico (EW-AMF) e gli indicatori – si legge nell’Outlook Onu – forniscono infatti una panoramica completa dell’estrazione delle risorse naturali, del commercio di risorse naturali, dello smaltimento dei rifiuti e delle emissioni. Misurano le pressioni ambientali dell’uso delle risorse naturali.

Occorre però un metro omogeneo per misurare. Per questo durante la 15a riunione del Comitato di esperti delle Nazioni Unite sulla contabilità economico-ambientale, il Programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), Eurostat, il Pannello internazionale delle risorse (IRP) e la Divisione statistica delle Nazioni Unite hanno introdotto un manuale globale su contabilità dei flussi di materiali in tutta l’economia (manuale EW-MFA). La pubblicazione intitolata “L’uso delle risorse naturali nell’economia: un manuale globale sulla contabilità del flusso di materiali a livello di economia” è uno strumento di guida pratica che affronta questioni specifiche relative alle economie basate sull’estrazione delle risorse.

L’UNEP e l’IRP – sono le ultime riflessioni del report – giocheranno un ruolo attivo nell’aiutare i paesi a comprendere, applicare e migliorare meglio questo importante approccio contabile a livello nazionale. Ciò – si spera – aumenterà la consapevolezza dei responsabili politici e la capacità di utilizzare i dati e gli indicatori dell’analisi del flusso di materiali nella progettazione, attuazione e valutazione di politiche e obiettivi di consumo e produzione sostenibili.

fonte: www.greenreport.it


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Rifiuti, arera: "sistema nazionale frammentato"

In Italia il sistema rifiuti è frammentato e disomogeneo, con notevoli differenze in termini di costi di trattamento e qualità del servizio. Lo scrive Arera nella relazione 2020.

















fonte: www.ricicla.tv

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Come gestire le comunità energetiche? Ci pensa eNeuron

Il progetto, coordinato dall’Enea realizzerà una piattaforma con cui gli utenti potranno partecipare attivamente alla gestione collaborativa dell’energia















I primi esperimenti di comunità energetiche, basate su efficienza e rinnovabili, sono partiti anche in Italia. Ma prima che il nuovo modello di energy citizens pianti le radici a livello nazionale, è necessario sviluppare i giusti strumenti gestionali. Con questo obiettivo in mente è nato eNeuron, progetto di ricerca cofinanziato da Horizon 2020.
L’iniziativa è coordinata dall’italiana ENEA e coinvolge 17 partner, tra realtà pubbliche e private, provenienti da 8 Paesi. Insieme dovranno realizzare approcci e metodologie innovative per progettare e gestire le energy community. La prima fase di eNeuron si concentrerà sulla realizzazione di una piattaforma attraverso cui gli utenti della comunità potranno partecipare attivamente alla gestione dell’energia. In una seconda fase, il focus verterà sull’uso ottimale e sostenibile dei vettori energetici multipli, considerando priorità sia a breve che a lungo termine.
A spiegarne le finalità è oggi Marialaura Di Somma, ricercatrice presso il Laboratorio Smart Grid e Reti Energetiche del Centro ENEA di Portici e coordinatrice dell’iniziativa. “Il progetto intende la comunità dell’energia come un’infrastruttura integrata per tutti i vettori energetici”, afferma Di Somma. “E vede il sistema elettrico come spina dorsale, caratterizzata dall’accoppiamento delle reti elettriche con quelle del gas, del riscaldamento e del raffrescamento”. A ciò si aggiunge il supporto dell’energy storage tramite una serie di soluzioni di accumulo, comprese le batterie delle auto elettriche.

La crescita delle energy communities

Attualmente in Europa esistono circa 3.500 “cooperative rinnovabili”, un tipo di comunità energetica concentrata principalmente nel nord-ovest, soprattutto in Germania e Danimarca. Ovviamente il numero aumenta quando si considerano anche tutti gli altri progetti (es. distretti green o eco-villaggi), ma nel futuro prossimo il dato dovrebbe accelerare progressivamente.
Il pacchetto Energia pulita dell’Unione Europea ha infatti introdotto per la prima volta le comunità energetiche nella legislazione comunitaria. Nel dettaglio, esistono due definizioni formali di ‘energy communities’: “comunità energetiche dei cittadini”, inclusa nella revisione della direttiva sul mercato interno dell’elettricità (UE) 2019/944; “comunità energetiche rinnovabili”, riportata nella revisione della direttiva sulle energie rinnovabili (UE) 2018/2001. Ma al di là delle definizioni, dei modelli organizzativi e delle forme legali, queste nuove realtà hanno ancora bisogno di strumenti gestionali in grado di garantirete la sostenibilità economica e ambientale.
In questo contesto eNeuron propone un nuovo concetto di hub energetico come unità primaria per il controllo e la gestione dei sistemi integrati della comunità. I vari approcci sviluppati dal progetto saranno sperimentati e validati in quattro siti pilota in Europa caratterizzati da un’elevata complementarità tra loro: in Italia nel quartiere Montedago ad Ancona, in Polonia a Bydgoszcz, in Norvegia nel laboratorio messo a disposizione dal distributore di energia elettrica Skagerak, in Portogallo nella base navale di Lisbona messa a disposizione da EDP Labelec e dalla Marina Portoghese.
L’iniziativa “si inserisce nel quadro delle policy europee e nazionali per lo sviluppo delle comunità energetiche, un tema sempre più attuale e strategico”, spiega Di Somma. “In particolare, eNeuron contribuirà alla realizzazione di strumenti per la pianificazione di sistemi energetici integrati in presenza di poli-generazione distribuita e con elevati livelli di penetrazione di energia rinnovabile”.
fonte: www.rinnovabili.it


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Promuovere l’efficienza delle risorse per combattere i cambiamenti climatici

Aumentare l'efficienza dei materiali è un'opportunità chiave per realizzare gli impegni dell'accordo di Parigi























Il modo in cui l'economia globale gestisce le risorse naturali influenza profondamente il clima. I sistemi infatti con cui queste risorse vengono estratte, prodotte e utilizzate sono importanti fonti di gas serra. Le emissioni derivanti dalla produzione di materiale sono ora paragonabili a quelli di agricoltura, silvicoltura e cambiamento di uso del suolo, eppure hanno ricevuto molta meno attenzione da parte delle politiche.
Gli sforzi di mitigazione dei cambiamenti climatici globali si sono fino ad oggi infatti concentrati sul miglioramento dell'efficienza energetica e sul passaggio alle energie rinnovabili. Sebbene questo sia fondamentale, è necessario prestare maggiore attenzione all'efficienza dei materiali, altrimenti sarà quasi impossibile e sostanzialmente più costoso mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 ° C. Le tecnologie per aumentare l'efficienza dei materiali sono oggi disponibili e esistono opportunità significative di riduzione delle emissioni climalteranti.
Una rigorosa valutazione del contributo dell’efficienza dei materiali alle strategie di riduzione dei gas serra è stata condotta dall’International resource panel del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) che ha valutato il potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra derivante dalle strategie di efficienza dei materiali applicate agli edifici residenziali e ai veicoli utilitari leggeri e ha passato in rassegna le politiche che attualmente affrontano queste strategie.
Le opportunità di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra associate agli edifici residenziali
Le emissioni di gas a effetto serra prodotte dal ciclo dei materiali degli edifici residenziali nel G7 e in Cina potrebbero essere ridotte di almeno l'80% nel 2050 attraverso strategie quali un uso più intensivo delle case, una progettazione che preveda meno materiali, una raccolta sostenibile del legname, un migliore riciclaggio dei materiali da costruzione. Nel complesso, l'utilizzo di queste strategie nel G7 potrebbe comportare risparmi cumulativi nel periodo 2016-2050 pari a 5-7 Gt CO2e.
Le opportunità per ridurre le emissioni di gas a effetto serra associate alle autovetture
Oltre ai risparmi sulle emissioni di gas serra ottenuti passando a forme pulite di energia e a veicoli alimentati a energia elettrica o a idrogeno, l'efficienza dei materiali potrebbe offrire ulteriori e maggiori risparmi. Le emissioni di gas serra dal ciclo dei materiali di autovetture (produzione, uso e smaltimento) nel 2050 potrebbero essere ridotte fino al 70% nei paesi del G7 e il 60% in Cina e in India attraverso diversi modelli di utilizzo del veicolo, come ad esempio la condivisione dell'auto, e il passaggio a veicoli più piccoli che riducono non solo la domanda di materiali, ma anche il consumo di energia durante il loro funzionamento.
infografica unep
Per approfondimenti leggi il report Resource Efficiency and Climate Change
fonte: http://www.arpat.toscana.it/


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Rifiuti, Ecco Il Nuovo Metodo Tariffario Di Arera















Incentivare il miglioramento dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, omogeneizzare le condizioni nel Paese, garantire trasparenza delle informazioni agli utenti. Sono questi i principi basilari del metodo tariffario servizio integrato di gestione dei rifiuti varato oggi dall’Autorità di regolazione dell’energia e dell’ambiente che ha anche fissato gli obblighi di trasparenza verso gli utenti. Le nuove regole, definite con un ampio processo di consultazione che ha coinvolto tutti gli attori del settore, definiscono i corrispettivi TARI da applicare agli utenti nel 2020-2021, i criteri per i costi riconosciuti nel biennio in corso 2018-2019 e gli obblighi di comunicazione.
Un quadro di regole comune, certo e condiviso ora a disposizione dei gestori, dei Comuni e degli altri Enti territorialmente competenti, per uno sviluppo strutturato di un settore che parte da condizioni molto diversificate nel Paese, sia a livello industriale che di governance territoriale. Eventuali variazioni tariffarie in futuro dovranno essere giustificate solo in presenza di miglioramenti di qualità del servizio o per l’attivazione di servizi aggiuntivi per i cittadini, contemplando sempre la sostenibilità sociale delle tariffe e la sostenibilità ambientale del ciclo industriale, nel rispetto degli equilibri della finanza pubblica locale.
I gestori dovranno attivare tutti gli strumenti necessari per rendere accessibili e comprensibili i documenti e le informazioni agli utenti, come la Carta della qualità del servizio o i documenti di riscossione della tariffa. Il nuovo metodo – che prevede limiti tariffari e quattro diversi schemi adottabili dagli enti locali e dai gestori in relazione agli obiettivi di miglioramento del servizio – regola, in particolare, queste fasi: spazzamento e lavaggio strade, raccolta e trasporto, trattamento e recupero, trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani, gestione tariffe e rapporti con gli utenti.
Su queste fasi il Metodo Tariffario impone una stretta coerenza tra il costo e la qualità del servizio “consentendo ad un sistema più efficiente – afferma Stefano Besseghini, presidente di Arera – di contrastare le zone d’ombra. Dobbiamo arrivare ad avere le stesse regole per tutti i cittadini, trasparenza dei flussi economici e delle competenze, riduzione drastica dell’evasione che – oltre a creare disparità tra i consumatori – toglie risorse indispensabili al ciclo dei rifiuti. I rifiuti non sono l’emergenza di un particolare comune o di una regione, ma un sistema da integrare e gestire in modo organico in tutto il Paese”.
fonte: http://www.riciclanews.it/

Economia circolare europea: 10mld di euro ai progetti più rivoluzionari

Le banche e gli istituti nazionali di promozione più grandi dell’UE lanciano una nuova iniziativa finanziaria a sostengono della circular economy


















Progetti innovativi per promuovere l’economia circolare europea cercasi. Da Lussemburgo, cinque enti Finanziari e istituti nazionali di Promozione, sotto l’egida della Banca europea degli investimenti, hanno lanciato una nuova iniziativa congiunta. L’obiettivo? Sostenere, con un investimento di 10 miliardi di euro, lo sviluppo e l’attuazione di progetti e programmi dedicati alla circular economy. Ciò significa non solo iniziative in grado di promuovere il riciclo ma anche capaci di prevenire ed eliminare la produzione di rifiuti, migliorare l’efficienza d’uso delle risorse e sostenere la circolarità in tutti i settori economici dell’Unione.

Nell’ambito progetto saranno offerti prestiti, investimenti azionari o garanzie in relazione a progetti ammissibili, unitamente allo sviluppo di strutture di finanziamento innovative a favore di infrastrutture pubbliche e private, comuni, imprese private e istituti di ricerca. I sei enti – di cui fa parte anche l’italiana Cassa Depositi e Prestiti (CDP) – condivideranno competenze specifiche, esperienze e capacità finanziarie per migliorare i singoli contributi nei confronti dell’economia circolare europea.

Come accelerare la transizione verso l’economia circolare europea

“L’iniziativa congiunta – fa sapere il gruppo in una nota stampa – sarà incentrata, in particolare, su investimenti negli Stati membri dell’UE in grado di contribuire a una più rapida transizione verso un’economia circolare e riguarderà tutte le fasi della catena di valore e del ciclo di vita di prodotti e servizi”:
  • progettazione e produzione circolari – applicazione di strategie improntate alla riduzione e al riciclaggio dei rifiuti in modo da escludere la produzione dei rifiuti stessi fin dall’inizio, prima della commercializzazione;
  • utilizzo circolare ed estensione della vita utile – possibilità di riutilizzare, riparare, riconvertire, rinnovare o rigenerare prodotti in fase di utilizzo;
  • recupero del valore circolare – in riferimento a materiali e ad altre risorse recuperabili dai rifiuti, al calore di scarto e/o al riutilizzo delle acque reflue a seguito di trattamento;
  • sostegno circolare – agevolazione di strategie circolari in tutte le fasi del ciclo di vita, ad esempio attraverso l’impiego di fondamentali tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), la digitalizzazione e i servizi di supporto a modelli commerciali e catene del valore di tipo, appunto, circolare.
fonte: www.rinnovabili.it

Accordo Acea-Enea su gestione sostenibile di rifiuti e acqua

Enea fornirà tecnologie innovative all'azienda



















L'Amministratore Delegato di Acea Stefano Donnarumma e il Presidente dell'Enea - Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l'Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile, Federico Testa, hanno firmato un Protocollo d'intesa per avviare una collaborazione per lo sviluppo di progetti nell'ambito dell'economia circolare, con particolare riguardo alla gestione sostenibile del ciclo dei rifiuti e della risorsa idrica.

Enea, attraverso il Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali (SSPT) che sviluppa tecnologie innovative, metodologie e soluzioni per l'uso efficiente, la gestione sostenibile delle risorse e il trasferimento tecnologico alle imprese metterà a disposizione di Acea le competenze scientifiche, le piattaforme e le infrastrutture dei suoi 14 centri di ricerca e grandi laboratori.

L'obiettivo di Acea è quello di applicare le tecnologie, le soluzioni innovative e le conoscenze fornite da ENEA ai propri progetti industriali, principalmente nei settori del trattamento dei rifiuti e dell'idrico, in linea con la strategia di sviluppo in ambito di economia circolare così come previsto nel Piano Industriale. Potranno essere oggetto della collaborazione soluzioni tecnologiche innovative per ridurre gli impatti ambientali legati alla realizzazione di nuovi impianti, per la valorizzazione del compost e l'applicazione di biotecnologie a filiere e distretti agro-industriali integrati sul territorio, oltre che lo sviluppo di smart services come sistemi di compostaggio delocalizzato.

Il protocollo ha una durata di quattro anni e prevede che lo svolgimento delle singole attività sia regolato da specifici accordi tra le parti che ne determineranno i dettagli attuativi e operativi.

L'Amministratore delegato di Acea Stefano Donnarumma ha commentato: "Siamo molto soddisfatti dell'avvio di questo percorso con ENEA, il più importante ente pubblico italiano nel settore della ricerca e innovazione tecnologica con rilevanza internazionale. Sono certo che i nostri processi industriali beneficeranno dell'importante valore portato da ENEA, in termini di maggiore efficienza operativa, resilienza e minore impatto sui territori in cui operiamo".

Il Presidente di ENEA, Federico Testa ha sottolineato: "Quest'intesa con la maggiore multiutility del centro sud Italia per lo sviluppo di progetti nel settore dell'economia circolare apre prospettive di grande interesse a livello strategico e operativo con ricadute di rilievo per il territorio. Ad Acea daremo tutto il supporto scientifico e tecnologico necessario e favoriremo l'inserimento nei network europei e nella piattaforma nazionale ICESP- Italian Circular Economy Stakeholder Platform, coordinata da Enea".

fonte: www.ansa.it

Veicoli elettrici: la composizione delle batterie

Accedere alle materie prime necessarie alla realizzazione di batterie per la trazione elettrica significa sviluppare strategie di politica economico-industriale di lungo periodo per non interrompere la transizione alla trazione elettrica




















La necessità di accelerare la transizione verso le energie pulite in grado di rendere i nostri centri urbani più salubri, ed allo stesso tempo permettere una riduzione dei gas serra, ha fatto registrare un rapido aumento dei veicoli elettrici privati e non nel traffico urbano.
L’elettrificazione costituisce una delle principali vie da percorrere per raggiungere la neutralità in termini di emissioni di carbonio. Le batterie vengono dunque a rappresentare uno dei maggiori volani per l’attuazione di questa transizione.
Il primo mercato europeo per le vendite di veicoli a trazione elettrica risulta essere la Norvegia, con più di 72.000 mezzi elettrici immatricolati, terzo paese a livello mondiale per immatricolazioni, dopo Cina e Stati Uniti. In Norvegia il 49% delle immatricolazioni riguardano veicoli elettrici ed il 2018 ha registrato un incremento del 10%. La Cina è il più grande mercato mondiale, con circa 1,2 milioni di veicoli venduti nel 2018 facendo registrare un incremento del 78% rispetto all’anno precedente e l’Europa si conferma il secondo mercato con più di 400.000 unita vendute corrispondente ad un incremento del 34%.
Considerato che i dati di vendita dei veicoli elettrici, ancora nel corrente anno, stanno registrando valori sempre crescenti, è ragionevole pensare che anche le case costruttrici, a loro volta, dovranno aumentare le richieste presso i fornitori per soddisfare la crescente domanda. Assunto che la parte fondamentale di tali veicoli è rappresentata dalle unità di batterie/accumulatori, proprio la produzione ed il confezionamento di queste impatta sull’approvvigionamento e la reperibilità della materie prime necessarie al loro realizzazione.
Il litio, il cobalto e la grafite naturale sono le materie prime necessarie per la loro produzione e l’accesso e la gestione di questi giacimenti, nelle diverse aree geografiche, rivela la messa in atto di strategie politiche ed economiche da parte dei soggetti coinvolti al fine di presidiare e regolare l’estrazione dei materiali dai giacimenti.
Si è già verificato, ad esempio, un considerevole incremento della domanda mondiale di cobalto ed occorre evitare che l’impennata delle richieste possa causare situazioni di scarsità tali da ostacolare la diffusione della tecnologia elettrica per la trazione.
Si prevede che la produzione in Europa di veicoli elettrici crescerà da 3.2 milioni del 2017 a circa 130 milioni per il 2030 e che, di conseguenza, la domanda di cobalto aumenterà di tre volte nei prossimi 10 anni rilevando comunque che ad oggi la produzione di cobalto disponibile non riuscirà a soddisfare il fabbisogno per il 2020. La produzione europea di cobalto ammonta a circa 2.300 tonnellate annue mentre la domanda risulta essere già di circa nove volte più alta. Come abbiamo accennato il divario tra la domanda e l’offerta di questo componente, per la realizzazione delle batterie, è probabile che sarà destinato ad aumentare nel prossimo decennio se l’Unione Europea (EU) continuerà a dipendere dalla importazioni di cobalto la cui maggiore concentrazione di giacimenti si trovano nella Repubblica Democratica del Congo, mentre la Cina detiene la metà della produzione mondiale di cobalto lavorato (raffinato).
Secondo il rapporto del Centro Comune di Ricerca (Joint Research Centre dell’EU) ci sono reali rischi di approvvigionamento nel breve periodo, ma la situazione potrebbe migliorare se nel periodo 2020-2030 iniziative di esplorazione di nuovi giacimenti di cobalto, peraltro già in corso, potessero rivelare nuove zone di estrazione e dunque nuovi fornitori per una maggiore diversificazione del mercato.
Il rapporto infatti rileva che il prezzo del cobalto tra il 2015 ed il 2018 è triplicato e questa tendenza, se continuerà, potrebbe impattare negativamente sui costi dei produzione delle batterie ed in ultima analisi sui costi di produzione dei veicoli, rallentandone la loro diffusione, considerato che le batterie rappresentano sino al 40% del valore di un’auto elettrica.
Il rapporto, al fine di fornire delle possibili soluzioni al crescente aumento del prezzo del cobalto e di perseguire anche una diminuzione delle quantità estratte, valuta la possibilità di attivare procedure di riciclo per le batterie esauste dei veicoli elettrici.
Infografica
A fronte di quanto esposto, la relazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo, al Comitato delle Regioni ed alla Banca Europea per gli Investimenti, ritiene che le batterie rappresentino una catena del valore strategica, in cui l’UE deve accrescere investimenti ed innovazione nell’ambito di una strategia di politica industriale rafforzata, volta a costruire una base produttiva integrata, sostenibile e competitiva a livello mondiale.
Nel documento la Commissione ritiene che in Europa dovranno essere costruiti dai 20 ai 30 stabilimenti di produzione su vasta scala (gigafactory) soltanto per la produzione di celle di batterie ed occorrerà rafforzare considerevolmente il corrispondente ecosistema.
Oggi la quota europea nella produzione mondiale di celle è soltanto del 3% e, mentre l’Asia detiene una quota dell’85%, se non verranno prese misure per sostenere la creazione di un efficiente comparto produttivo delle batterie, l’Europa rischia di perdere irreversibilmente terreno rispetto ai concorrenti nel mercato mondiale delle batterie e di diventare dipendente dalle importazioni di celle di batterie e di materie prime utilizzate nella catena di approvvigionamento.
Tale dipendenza non si limita soltanto alla produzione delle celle di batteria. Anche l’accesso alle cinque materie prime essenziali per le batterie (litio, nichel, cobalto, manganese e grafite) rappresentano una grossa sfida per la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Europa, essendo disponibili solo in pochi paesi. Anche gli impianti di raffinazione e di trattamento per quasi tutti i materiali di produzione delle batterie sono oggi concentrati in Cina, paese che di conseguenza domina la catena di approvvigionamento delle batterie agli ioni di litio, la tipologia di accumulatore di cui sono maggiormente dotati i veicoli elettrici.
L’Europa dovrà compiere sforzi significativi e coordinati per sostenere gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione in materiali e prodotti chimici avanzati, al fine di migliorare i risultati delle tecnologie delle celle di batterie agli ioni di litio (Li-ion) ed essere in prima linea nella prossima generazione di tecnologie delle batterie.
L’espansione del mercato dei veicoli elettrici da un lato e l’aumento significativo della domanda di materie prime necessarie dall’altro rende necessario che l’UE, a livello economico e geostrategico, si garantisca una propria indipendenza per le materie prime ed altri materiali trasformati nella catena del valore della batterie ad oggi importati da paesi extraeuropei. L’UE dovrà diversificare le fonti da cui trarre questi materiali ed attuare un abile uso della propria politica commerciale per garantire un approvvigionamento sostenibile e sicuro, potenziando il passaggio ad un’economia circolare attraverso il recupero, il riutilizzo ed il riciclaggio.
Per tale motivo la Commissione nell’ambito del futuro programma quadro di ricerca ed innovazione “Orizzonte Europa” ha emesso già per il 2019, in collaborazione con l “European Battery Alleance“, un invito a finanziare progetti relativi alle batterie per un valore di 114 milioni di EUR, cui farà seguito un invito a presentare proposte per un importo di 132 milioni di EUR nel settore delle batterie per i trasporti, permettendo così la promozione del settore dei trasporti efficiente sotto il profilo energetico e decarbonizzato.
fonte: http://www.arpat.toscana.it