Visualizzazione post con etichetta #Finanziamento. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Finanziamento. Mostra tutti i post

Ue: 280 milioni di euro per progetti in materia di ambiente, natura e azione per il clima

I finanziamenti vengono veicolati attraverso il programma LIFE, ossia lo strumento finanziario dell'UE per l'ambiente e l'azione per il clima. È attivo dal 1992 e ha cofinanziato finora più di 5 500 progetti in tutta l'UE e nei paesi terzi.









La Commissione europea ha approvato un pacchetto di investimenti per oltre 280 milioni di € provenienti dal bilancio dell'UE per oltre 120 nuovi progetti del programma LIFE.
Complessivamente questo finanziamento dell'UE stimolerà investimenti per quasi 590 milioni di € che concorreranno al conseguimento degli ambiziosi obiettivi di questi progetti in materia di ambiente, natura e azione per il clima. Tale importo rappresenta un aumento del 37 % rispetto allo scorso anno.
I progetti contribuiranno a conseguire gli obiettivi del Green Deal europeo sostenendo la strategia dell'UE sulla biodiversità e il piano d'azione per l'economia circolare, dando impulso alla ripresa verde dalla pandemia di coronavirus, aiutando l'Europa a diventare un continente a impatto climatico zero entro il 2050 e non solo. Molti di essi hanno carattere transnazionale e coinvolgono più Stati membri.
Frans Timmermans, Vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, ha dichiarato: "Il Green Deal europeo è la nostra tabella di marcia verso un'Europa verde, inclusiva e resiliente. I progetti LIFE incarnano questi valori in quanto uniscono gli Stati membri intorno agli obiettivi comuni della protezione dell'ambiente, del ripristino della natura e del sostegno alla biodiversità. Attendo con interesse di osservarne i risultati."
Circa 220 milioni di € sono destinati a un'ampia gamma di progetti in materia di ambiente e uso efficiente delle risorse, natura e biodiversità e governance e informazione in materia di ambiente e oltre 60 milioni di € sono invece destinati al sostegno di progetti per la mitigazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici e per la governance e l'informazione.
Sono previsti importanti investimenti volti a proteggere e rafforzare la biodiversità europea. Progetti quali il ripristino delle torbiere — ecosistemi unici che ospitano molte specie altamente adattate, rare e minacciate — contribuiranno all'attuazione della strategia dell'UE sulla biodiversità. Le torbiere sono anche importanti pozzi di assorbimento del carbonio e possono essere molto utili negli sforzi che l'Europa deve compiere per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

fonte: www.greencity.it

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Da Horizon 2020, 112 milioni per nuovi progetti energetici “verdi”

Dalle isole energetiche i sistemi di cattura e riutilizzo della CO2: sono 12 le aree tematiche in cui è possibile cimentarsi presentando nuove proposte

















Ben 112 milioni di euro a favore di nuovi progetti energetici verdi. Queste le risorse stanziate da Horizon 2020, il Programma Quadro europeo per la ricerca e l’innovazione. I finanziamenti sono destinati alla focus area “Costruire un futuro a basse emissioni di carbonio e resistente al clima”, la cui call sostiene un ampio numero di attività nel settore energetico, sia dal lato offerta che da quello della domanda. 
“Raggiungere la neutralità climatica nel settore energetico – garantendo allo stesso tempo un uso più efficiente dell’energia, un approvvigionamento sicuro di energia, prezzi convenienti e un basso impatto ambientale – è uno sforzo complesso che richiede attività di R&I su più fronti”, si legge nel documento preparatorio. 
Nel dettaglio il programma ha aperto la fase di invio proposte su 12 tematiche, tutte inerenti a “l’energia a basse emissioni”.
Si va dallo stoccaggio geologico della CO2 a impianti di desalinizzazione alimentati dal solare concentrazione, dalle isole energetiche alle città intelligenti, dal recupero del calore industriale all tecnologia per a cattura e riciclo dell’anidride carbonica. 
Non demorde dunque, l’impegno europeo a sostegno delle tecnologie di CCS/ CCU, nonostante la difficoltà delle stesse di raggiungere una competitività commerciale. Per Horizon 2020 “Il Carbon Capture and Storage è una delle tecnologie promettenti chiave in grado di ridurre le emissioni di CO2 nel settore della produzione di energia e l’unica via per riduzioni molto rigorose delle emissioni di gas serra da industrie energetiche e / o ad alta intensità di carbonio che generano CO2 come parte dei loro processi di produzione”.
I nuovi progetti energetici verdi saranno selezionati per il finanziamento in una valutazione a singolo stadio, spiega il sito del programma. Il termine per la presentazione delle proposte è il 1° settembre 2020; una commissione di esperti indipendenti valuterà i candidati e annuncerà i vincitori 5 mesi più tardi.
fonte: www.rinnovabili.it

#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria 

Greenpeace e RE:Common contro UniCredit: «Negli ultimi tre anni oltre 6 miliardi di euro di finanziamenti al carbone»

Ogni nuova centrale che entra in funzione ci allontana da quanto ci chiede la scienza, ovvero di spegnere entro il 2030 l'80% di quelle attive


















Alla vigilia dell’assemblea dei soci di UniCredit, Re:Common e Greenpeace evidenziano come «la banca continui a prestare miliardi al comparto del carbone, ignorando gli appelli delle Nazioni Unite e della scienza». Le due organizzazioni ricordano che «In Europa, il 45% delle emissioni da carbone è responsabilità di sole cinque società: RWE (Germania), PGE (Polonia), EPH (Repubblica Ceca), Fortum-Uniper (Finlandia-Germania), CEZ (Repubblica Ceca). Dalle ricerche effettuate dalle due organizzazioni ambientaliste emerge come, dal 2016 al 2019, UniCredit abbia finanziato questi grandi inquinatori con 6 miliardi di euro. Il carbone è responsabile di circa la metà delle emissioni legate ai combustibili fossili e si stima che ogni anno provochi la morte prematura di oltre 16 mila persone in Europa, a causa delle sostanze tossiche come mercurio e polveri sottili che provengono dalle ciminiere delle centrali. I costi sanitari addebitabili all’uso di questa fonte fossile ammontano invece a circa 45 miliardi di euro, interamente scaricati sul pubblico».
Secondo Greenpeace e Re:Common, il principale beneficiario dei finanziamenti dati da UniCredit al carbone, con 4,7 miliardi di euro, è il colosso finlandese-tedesco Fortum-Uniper e denunciano che «Non solo Fortum-Uniper ha intenzione di completare una nuova centrale a carbone in Germania, Datteln 4, in aperta contraddizione con quanto richiesto dalle Nazioni Unite, ma ha anche minacciato di fare causa al governo dei Paesi Bassi, dal momento che quest’ultimo ha approvato una legge che prevede il phase-out dal carbone entro il 2030. Un’azione intimidatoria che non ha precedenti in Europa».
Per quanto riguarda i Paesi extra-Ue, Unicredit è il primo finanziatore straniero del carbone in Turchia, terzo Paese al mondo, dopo Cina e India, per piani di espansione di questo combustibile fossile.
Alessandro Runci, di Re:Common, sottolinea che «UniCredit si definisce sostenibile, ma rimane tra i primi finanziatori del carbone in Europa. L’emergenza climatica non si combatte con la retorica, UniCredit deve smettere di prestare miliardi a chi costruisce nuove centrali e miniere, e deve iniziare subito».
Le due organizzazioni fanno però anche notare che «Lo scorso novembre, UniCredit ha compiuto un primo passo cessando l’erogazione di prestiti diretti (project finance) per la costruzione di nuove centrali e miniere a carbone. L’impatto di questa restrizione è però vanificato dal fatto che il gruppo bancario continua a finanziare le società che intendono realizzare questi impianti. Altre istituzioni finanziarie come Axa e Credit Agricole hanno introdotto policy molto più rigide di quella di UniCredit, vietando qualsiasi finanziamento a società che vorrebbero costruire nuove centrali e impegnandosi ad azzerare la loro esposizione al carbone entro il 2030 in Europa». Per Greenpeace e Re:Common, «Unicredit dovrebbe seguire questo esempio invece di restare aggrappata al passato».
Luca Iacoboni di Greenpeace Italia, conclude: «Ogni nuova centrale che entra in funzione ci allontana da quanto ci chiede la scienza, ovvero di spegnere entro il 2030 l’80 per cento di quelle attive sul Pianeta per avere una chance di limitare l’aumento della temperatura media globale al di sotto di 1,5 gradi Centigradi. Nonostante questo, al momento è in programma la costruzione di altre mille centrali in tutto il mondo, il che vanificherebbe ogni sforzo fatto finora. L’unico modo per disinnescare queste bombe climatiche è smettere di finanziare chi le sta realizzando. È tempo che UniCredit lo faccia».
fonte: www.greenerport.it

Produzione batterie, in costruzione le prime gigafactory europee

Ad un anno dal lancio della European Battery Alliance, Bruxelles fa il punto della situazione per capire quanta strada la distanzi ancora dai grandi competitor internazionali



















“Se l’Europa vuole guidare e competere con altri grandi attori industriali in tutto il mondo, dobbiamo sbrigarci”. Così Elżbieta Bieńkowska, commissaria europea per il mercato interno, ha ricordato ieri a Bruxelles quanto sia importante la tempestività nella gara internazionale dell’energy storage. In occasione del primo anniversario dell’EU Battery Alliance (EBA), l’esecutivo ha, infatti, voluto fare il punto della situazione europea per analizzare progressi e opportunità nel mondo dell’accumulo. I riflettori sono ovviamente puntati sulla capacità di sviluppare e produrre batterie entro i confini comunitari, per creare un mercato capace di competere con i colossi stranieri che oggi godono di un netto vantaggio sull’UE.
Il Vecchio Continente ha iniziato tardi a preoccuparsi dell’accumulo, soprattutto sul fronte trasporti dove trovava una certa rassicurazione dalla sua storica leadership nell’automotive. Nel frattempo, potenze come gli Stati Uniti e la Cina, ridisegnavano il mercato globale a loro favore si sul fronte dello storage stazionario che di quello mobile.

Per recuperare il tempo perso, o scorso anno l’Europa ha lanciato l’EU Battery Alliance, una piattaforma dove far incontrare responsabili politici, investitori e stakeholder industriali. L’obiettivo dell’Alleanza è creare in Europa una catena del valore manifatturiera competitiva e focalizzata su batterie sostenibili, che significa con il minor impatto ambientale possibilelungo tutta la loro vita. Secondo le prime stime, per coprire la domanda di storage della sola Unione Europea, il mercato comunitario avrebbe bisogno di almeno da 10 a 20 “gigafactories”, ovvero impianti di produzione su larga scala.

Con questo obiettivo nella mente, Bieńkowska e il collega Maroš Šefčovič, vicepresidente per l’Unione dell’Energia hanno incontrato ieri gli Stati membri e gli amministratori delegati per presentare i principali risultati e discutere i prossimi passi. Da un lato ci sono società come Umicore, Basf e Solvay che stanno lavorando su materiali all’avanguardia per l’accumulo, dall’altro ci sono i progetti per le prime linee di produzione batterie Made in EU. Northvolt, ad esempio, ha già iniziato a costruire una linea dimostrativa che entrerà in funzione nel 2019, ottenendo il permesso di costruire uno stabilimento di grandi dimensioni a Skellefteå in Svezia. L’obiettivo è di aumentare la produzione batterie fino a 32 GWh nel 2023. Siemensinvece si è impegnata a realizzare le prime linee di produzione completamente automatizzate e digitalizzate in Europa.


“Questa alleanza è il fulcro della nostra politica industriale: un’industria delle batterie forte si adatta perfettamente alla nostra ambizione di promuovere la mobilità pulita – spiega Bieńkowska -. Ma stiamo già pensando a come l’alleanza possa essere utile anche per camion, navi marittime e traghetti”.
La Commissione ha fatto sapere che il 24 gennaio 2019 aprirà una call per un bando da 114 milioni di eurodal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 per temi relativi all’energy storage. Nel 2020 verrà ampliato lo spettro dei progetti con altri 70 milioni di euro di finanziamenti. Bruxelles ha anche l’intenzione di proporre un “partenariato” sulle batterie nell’ambito di Horizon Europe, creando parallelamente una nuova piattaforma europea per la tecnologia e l’innovazione.

fonte: www.rinnovabili.it

Bonifica amianto edifici P.a, accesso finanziamenti entro marzo 2017

















Le richieste di finanziamento per la progettazione degli interventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto potranno essere presentate dal 30 gennaio 2017 al 30 marzo 2017.
A renderlo noto è il MinAmbiente che ha pubblicato sulla Gu del 24 gennaio 2017 un avviso pubblico relativo al bando per il finanziamento della progettazione di interventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da amianto (provvedimento 10 gennaio 2017, prot. 1).
Il bando arriva in applicazione del Dm 21 settembre 2016 che disciplina il funzionamento dell'apposito Fondo istituito dall'articolo 56 della legge 221/2015 ("Green economy") e dotato di un budget di circa 17 milioni di euro per il triennio 2015/2017.
L’incentivo può arrivare fino ad un massimo di 15mila euro ed è destinato esclusivamente agli edifici e alle strutture di proprietà degli Enti pubblici destinati ad attività di interesse pubblico. Priorità massima sarà data agli edifici collocati entro un raggio di 100 metri da scuole, ospedali e impianti sportivi.

documenti di riferimento

Area Normativa / Danno ambientale e bonifiche / Documentazione Complementare
Bando MinAmbiente 24 gennaio 2017
Finanziamento della progettazione preliminare e definitiva di interventi di bonifica di edifici pubblici contaminati da
amianto
Area Normativa / Danno ambientale e bonifiche / Normativa Vigente
Dm Ambiente 21 settembre 2016
Istituzione del Fondo per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica di edifici pubblici
contaminati da amianto - Attuazione articolo 56, legge 221/2015
Area Normativa / Rifiuti / Normativa Vigente
Legge 28 dicembre 2015, n. 221
Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di Green Economy e per il contenimento dell'uso eccessivo
di risorse naturali - Ex "Collegato ambientale" alla legge di stabilità 2014

fonte: http://www.reteambiente.it

Raccolta differenziata, tra conflitti di interesse e dati segreti: “Costi a carico delle casse pubbliche”

Tra opacità e critiche dell'Antitrust, il sistema Conai non garantisce la copertura dei costi di raccolta a carico dei Comuni con i prezzi di fatto definiti dai produttori di imballaggi. Una situazione capovolta rispetto a quella di altri Paesi europei
Raccolta differenziata, tra conflitti di interesse e dati segreti: “Costi a carico delle casse pubbliche”
Domanda numero uno: quanta plastica, carta o vetro da riciclare ha raccolto il tal comune? Domanda numero due: lo stesso comune quanti contributi che gli spettano per legge ha incassato a fronte dei costi sostenuti per la raccolta differenziata degli imballaggi? Due domande le cui risposte sono contenute nella banca dati Anci–Conai prevista dagli accordi tra l’Associazione nazionale dei comuni italiani e il Conai, ovvero il consorzio privato che è al centro del sistema della raccolta differenziata degli imballaggi. Numeri non diffusi ai cittadini, che possono contare solo su un report annuale con dati aggregati. Ma i dati aggregati non sempre vanno d’accordo con la trasparenza. E soprattutto non rendono conto delle incongruenze di una situazione su cui l’Antitrust di recente ha espresso le sue critiche, mettendo nero su bianco che “il finanziamento da parte dei produttori di imballaggi dei costi della raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico”. Con la conseguenza che a rimetterci sono le casse pubbliche, visto che tocca ai comuni coprire gran parte di quei costi.
I dati sulla raccolta differenziata? In mano a un privato pagato dal Conai – Il sistema Conai, creato alla fine degli anni novanta per recepire la direttiva europea in materia e per soddisfare il principio del “chi inquina paga”, funziona così: per ogni tonnellata di imballaggi immessa sul mercato i produttori di imballaggi versano un contributo (cac, contributo ambiente Conai) al Conai, che poi distribuisce ai vari consorzi di filiera le quote spettanti. Per gli imballaggi di plastica il consorzio di riferimento è il Corepla, per quelli di carta il Comieco, e così via. Tutti consorzi che fanno capo al Conai e che sono controllati dagli stessi produttori di imballaggi e da chi li immette sul mercato. Il sistema Conai, che tra le sue entrate può contare anche sui ricavi ottenuti con la vendita dei materiali conferiti dai comuni, riconosce a questi un corrispettivo a tonnellata che dovrebbe compensare gli extra costi sostenuti per la raccolta differenziata degli imballaggi rispetto a quella dei rifiuti generici. “Solo che ad oggi – spiega Marco Boschini, coordinatore dell’Associazione dei comuni virtuosi – non esiste ancora uno studio che stabilisca quali sono realmente in media gli extra costi sostenuti dai comuni per ogni tipologia di tonnellata di materiale raccolta”.
E così il corrispettivo dovuto ai comuni viene stabilito da una trattativa effettuata ogni cinque anni nell’ambito del rinnovo dell’accordo tra Anci e Conai, dove finora hanno prevalso gli interessi del sistema Conai. Con un particolare: i dati relativi alla raccolta differenziata sono custoditi nella famosa banca dati, che viene gestita a spese del Conai da Ancitel Energia e Ambiente (Ancitel E&A), a cui è stata affidata in modo diretto da Anci, senza alcun bando di gara. Ancitel E&A è una società che, al di là di una quota del 10 per cento in mano ai comuni attraverso Ancitel spa, è al 90 percento di proprietà di privati. Con un primo conflitto di interessi che salta subito all’occhio, come fa notare Boschini: “Il Conai e i suoi consorzi di filiera pagano ad Ancitel E&A la gestione della banca dati e sono quindi i suoi principali clienti, clienti che hanno garantito finora quasi per intero il fatturato di tale società. Se dall’elaborazione dei dati dovesse emergere, cosa peraltro in linea con quanto rilevato dall’Antitrust, che i sovra costi della raccolta differenziata degli imballaggi sono ben più elevati di quelli riconosciuti attualmente ai comuni, si verrebbe a determinare un aumento di costi a carico proprio dei clienti più importanti e decisivi di Ancitel E&A”.
Le critiche dell’Antitrust: “Il sistema Conai copre solo il 20% dei costi di raccolta” – Quando nel 2013 l’Associazione dei comuni virtuosi ha affidato alla società di ingegneria Esper (Ente di studio per la pianificazione ecosostenibile dei rifiuti) la redazione di un’analisi sugli effetti degli accordi tra Anci e Conai, ecco cosa è saltato fuori: “Analizzando gli ultimi dati disponibili nel 2013 – spiega Ezio Orzes, uno dei curatori della ricerca e assessore all’Ambiente di Ponte alle Alpi, comune più volte premiato da Legambiente per i risultati raggiunti nella raccolta differenziata – si è visto che ai comuni italiani il Conai riconosceva solo il 37% di quanto incassato grazie al cac e alla vendita dei rifiuti raccolti, mentre i corrispettivi per tonnellata raccolta ricevuti dai nostri enti locali erano tra i più bassi in Europa. Così, a fronte dei circa 300 milioni versati dal Conai ai comuni, questi ne spendevano almeno tre volte tanto per la raccolta degli imballaggi”.
Da allora, seppur con qualche miglioramento dovuto anche alle prese di posizione dell’Associazione dei comuni virtuosi, lo sbilanciamento a favore dei privati (sistema Conai) rispetto al pubblico (Anci) è rimasto. Così nel 2015 il sistema Conai ha incassato 593 milioni di euro grazie al cac e circa 225 dalla vendita dei materiali conferiti dagli enti locali. Valore, quest’ultimo, che potrebbe essere ancora più alto visto che, per fare un esempio, il consorzio Comieco vende sul mercato libero solo il 40% della carta recuperata, quota a cui è salito dopo un impegno preso nel 2011 con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato che aveva censurato l’“opacità gestionale” determinata dalla pratica di cedere alle cartiere consorziate i materiali raccolti a prezzi inferiori a quelli di mercato. In ogni caso, a fronte delle somme incassate, nel 2015 il Conai ha versato ai comuni, secondo quanto comunicato a ilfattoquotidiano.it, solo 437 milioni. Numeri che contribuiscono a creare la situazione che – come detto – l’Antitrust lo scorso febbraio ha descritto così: “Il finanziamento da parte dei produttori (attraverso il sistema Conai) dei costi della raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico”. Una situazione capovolta rispetto a quella di altri Paesi europei, evidenzia Attilio Tornavacca, direttore generale di Esper: “In Germania e in Austria i costi di raccolta degli imballaggi domestici sono a carico esclusivamente di chi produce e commercializza imballaggi. In Francia, secondo un rapporto del 2015 di Ademe (un’agenzia pubblica di controllo a supporto tecnico del ministero dell’Ambiente, ndr), la percentuale dei costi di gestione degli imballaggi domestici a carico di Ecomballages e Adelphes, consorzi che svolgono una funzione similare a quella del sistema Conai in Italia, nel 2014 è stata pari al 74,8%”.
Un unico sistema, tanti conflitti di interesse – I conflitti di interesse non si limitano alla gestione della banca dati Anci-Conai. “Il cac versato in Italia dai produttori di imballaggi è mediamente tra i più contenuti tra quelli applicati in Europa – spiega Tornavacca -. Ad esempio in Francia per il cartone si pagano 163 euro a tonnellata, mentre in Italia solo 4”. E chi decide a quanto deve ammontare il cac? “Il Conai stesso. E quindi, in definitiva, lo decidono gli stessi produttori di imballaggi che pagano il cac e che nel consorzio detengono l’assoluta maggioranza delle quote”. C’è poi un altro punto. Il corrispettivo versato ai comuni dal sistema Conai dipende dalla percentuale di impurità del materiale raccolto: quante più frazioni estranee sono presenti per esempio in una tonnellata di imballaggi plastici conferiti, come può essere un giocattolo che non è classificato come imballaggio, tanto più bassa è la somma riconosciuta al comune dal consorzio di filiera Corepla. A valutare la qualità del materiale raccolto sono alcune società scelte e pagate dal Conai, che potrebbe quindi decidere di rinnovare o meno il contratto a seconda che siano state soddisfatte o meno le proprie aspettative. Il che basta a spiegare questo altro potenziale conflitto di interessi presente nel sistema all’italiana di gestione della raccolta differenziata. Sebbene infatti l’analisi di qualità possa essere eseguita in contraddittorio tra le parti, una cosa è chiara: un corrispettivo più basso versato al comune in seguito al risultato dell’analisi corrisponde a un esborso inferiore da parte del Conai.
E ancora. Che fine fa la differenza tra quanto incassato dal Conai grazie al cac e alla vendita del materiale raccolto e quanto versato ai comuni? “In parte viene accantonata a riserva per esigenze di anni successivi – spiega Tornavacca – in parte viene utilizzata per finanziare la struttura e tutte le attività promozionali del Conai e dei consorzi di filiera”. E anche qui casca l’asino su un altro bel conflitto di interessi. Perché nelle sue campagne promozionali il Conai si guarda bene dal promuovere pratiche che porterebbero a una riduzione del consumo di imballaggi, come la diffusione del vuoto a rendere, cosa che avrebbe conseguenze negative sui fatturati dei produttori suoi consorziati.
Conai e Anci: “Siamo per la trasparenza”. Ma la banca dati resta chiusa a chiave – Tra conflitti di interesse e costi di raccolta degli imballaggi che pesano soprattutto sulle casse pubbliche, anziché sui produttori, forse un po’ più di trasparenza ci vorrebbe. Magari rendendo visibile a tutti i cittadini il contenuto della banca dati da cui siamo partiti. Che ne pensa il Conai? “La banca dati Anci-Conai – risponde il direttore generale del consorzio Walter Facciotto – è uno strumento introdotto dal precedente accordo quadro Anci-Conai (2009-2013) ed è un sistema gestito direttamente da Anci. Restiamo convinti che sia il primo strumento per trasparenza e completezza nel settore dei rifiuti, a completa disposizione di chi ne ha la proprietà (i comuni) e la gestione (società e/o comune medesimo)”. E siccome la palla viene passata ai comuni, non resta che sentire il parere di Filippo Bernocchi, delegato Anci alle politiche per la gestione dei rifiuti e fino a pochi mesi fa presidente di Ancitel E&A: “Io sono sempre stato per il green open data. Le regole per rendere visibili i dati della banca dati sono definiti dal comitato di coordinamento Anci-Conai, ma ogni singolo comune dovrebbe dare il suo consenso perché possano essere pubblicati i dati che lo riguardano”. In attesa che Anci e Conai chiedano questo consenso, quei numeri continuano a essere chiusi a chiave nella banca dati.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it