Tra opacità e critiche dell'Antitrust, il sistema Conai non garantisce
la copertura dei costi di raccolta a carico dei Comuni con i prezzi di
fatto definiti dai produttori di imballaggi. Una situazione capovolta
rispetto a quella di altri Paesi europei

Domanda numero uno: quanta plastica, carta o vetro da
riciclare ha raccolto il tal comune? Domanda numero due: lo stesso comune quanti
contributi che gli spettano per legge ha incassato a fronte dei
costi sostenuti per la raccolta differenziata degli imballaggi? Due domande le cui risposte sono contenute nella
banca dati Anci–Conai
prevista dagli accordi tra l’Associazione nazionale dei comuni italiani
e il Conai, ovvero il consorzio privato che è al centro del sistema
della
raccolta differenziata degli imballaggi. Numeri non diffusi ai cittadini, che possono contare solo su un
report annuale con dati aggregati. Ma i dati aggregati non sempre vanno d’accordo con la trasparenza. E soprattutto non rendono conto delle
incongruenze di una situazione su cui l’
Antitrust
di recente ha espresso le sue critiche, mettendo nero su bianco che “il
finanziamento da parte dei produttori di imballaggi dei costi della
raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece,
dovrebbe essere per intero a loro carico”. Con la conseguenza che a
rimetterci sono le
casse pubbliche, visto che tocca ai comuni coprire gran parte di quei costi.
I dati sulla raccolta differenziata? In mano a un privato pagato dal Conai – Il sistema Conai, creato alla fine degli anni novanta per recepire la
direttiva europea
in materia e per soddisfare il principio del “chi inquina paga”,
funziona così: per ogni tonnellata di imballaggi immessa sul mercato i
produttori di imballaggi versano un contributo (cac,
contributo ambiente Conai)
al Conai, che poi distribuisce ai vari consorzi di filiera le quote
spettanti. Per gli imballaggi di plastica il consorzio di riferimento è
il
Corepla, per quelli di carta il
Comieco,
e così via. Tutti consorzi che fanno capo al Conai e che sono
controllati dagli stessi produttori di imballaggi e da chi li immette
sul mercato. Il sistema Conai, che tra le sue entrate può contare anche
sui ricavi ottenuti con la vendita dei materiali conferiti dai comuni,
riconosce a questi un
corrispettivo a tonnellata che
dovrebbe compensare gli extra costi sostenuti per la raccolta
differenziata degli imballaggi rispetto a quella dei rifiuti generici.
“Solo che ad oggi – spiega
Marco Boschini, coordinatore
dell’Associazione dei comuni virtuosi – non esiste ancora uno studio
che stabilisca quali sono realmente in media gli
extra costi sostenuti dai comuni per ogni tipologia di tonnellata di materiale raccolta”.
E così il corrispettivo dovuto ai comuni viene stabilito da una
trattativa
effettuata ogni cinque anni nell’ambito del rinnovo dell’accordo tra
Anci e Conai, dove finora hanno prevalso gli interessi del sistema
Conai. Con un particolare: i dati relativi alla raccolta differenziata
sono
custoditi nella famosa banca dati, che viene gestita a spese del Conai da Ancitel Energia e Ambiente (Ancitel E&A),
a cui è stata affidata in modo diretto da Anci, senza alcun bando di
gara. Ancitel E&A è una società che, al di là di una quota del 10
per cento in mano ai comuni attraverso Ancitel spa, è al 90 percento di
proprietà di privati.
Con un primo conflitto di interessi che salta subito all’occhio, come
fa notare Boschini: “Il Conai e i suoi consorzi di filiera pagano ad
Ancitel E&A la gestione della banca dati e sono quindi i suoi
principali clienti, clienti che hanno garantito finora quasi per intero
il fatturato di tale società. Se dall’elaborazione dei dati dovesse
emergere, cosa peraltro in linea con quanto rilevato dall’Antitrust, che
i sovra costi della raccolta differenziata degli imballaggi sono ben
più elevati di quelli riconosciuti attualmente ai comuni, si verrebbe a
determinare un aumento di costi a carico proprio dei clienti più
importanti e decisivi di Ancitel E&A”.
Le critiche dell’Antitrust: “Il sistema Conai copre solo il 20% dei costi di raccolta” – Quando nel 2013 l’Associazione dei comuni virtuosi ha affidato alla società di ingegneria
Esper
(Ente di studio per la pianificazione ecosostenibile dei rifiuti) la
redazione di un’analisi sugli effetti degli accordi tra Anci e Conai,
ecco cosa è saltato fuori: “Analizzando gli ultimi dati disponibili nel
2013 – spiega
Ezio Orzes, uno dei curatori della ricerca e assessore all’Ambiente di
Ponte alle Alpi,
comune più volte premiato da Legambiente per i risultati raggiunti
nella raccolta differenziata – si è visto che ai comuni italiani il
Conai riconosceva solo il 37% di quanto incassato grazie al cac e alla
vendita dei rifiuti raccolti, mentre i corrispettivi per tonnellata
raccolta ricevuti dai nostri enti locali erano tra i più bassi in
Europa. Così, a fronte dei circa
300 milioni versati dal Conai ai comuni, questi ne spendevano almeno tre volte tanto per la raccolta degli imballaggi”.
Da allora, seppur con qualche miglioramento dovuto anche alle prese di posizione dell’
Associazione dei comuni virtuosi,
lo sbilanciamento a favore dei privati (sistema Conai) rispetto al
pubblico (Anci) è rimasto. Così nel 2015 il sistema Conai ha incassato
593 milioni di euro
grazie al cac e circa 225 dalla vendita dei materiali conferiti dagli
enti locali. Valore, quest’ultimo, che potrebbe essere ancora più alto
visto che, per fare un esempio, il consorzio Comieco vende sul mercato
libero solo il 40% della carta recuperata, quota a cui è salito dopo un
impegno preso nel 2011 con l’Autorità garante della concorrenza e del
mercato che aveva censurato l’“
opacità gestionale”
determinata dalla pratica di cedere alle cartiere consorziate i
materiali raccolti a prezzi inferiori a quelli di mercato. In ogni caso,
a fronte delle somme incassate, nel 2015 il Conai ha versato ai comuni,
secondo quanto comunicato a
ilfattoquotidiano.it, solo
437 milioni.
Numeri che contribuiscono a creare la situazione che – come detto –
l’Antitrust lo scorso febbraio ha descritto così: “Il finanziamento da
parte dei produttori (attraverso il sistema Conai) dei costi della
raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece,
dovrebbe essere per intero a loro carico”. Una situazione capovolta
rispetto a quella di altri Paesi europei, evidenzia
Attilio Tornavacca,
direttore generale di Esper: “In Germania e in Austria i costi di
raccolta degli imballaggi domestici sono a carico esclusivamente di chi
produce e commercializza imballaggi. In Francia, secondo un rapporto del
2015 di
Ademe (un’agenzia pubblica di controllo a supporto tecnico del ministero dell’Ambiente,
ndr),
la percentuale dei costi di gestione degli imballaggi domestici a
carico di Ecomballages e Adelphes, consorzi che svolgono una funzione
similare a quella del sistema Conai in Italia, nel 2014 è stata pari al
74,8%”.
Un unico sistema, tanti conflitti di interesse – I
conflitti di interesse non si limitano alla gestione della banca dati
Anci-Conai. “Il cac versato in Italia dai produttori di imballaggi è
mediamente tra i più contenuti tra quelli applicati in Europa – spiega
Tornavacca -. Ad esempio in Francia per il cartone si pagano 163 euro a
tonnellata, mentre in Italia solo 4”. E chi decide a quanto deve
ammontare il cac? “Il Conai stesso. E quindi, in definitiva, lo decidono
gli stessi produttori di imballaggi che pagano il cac e che nel
consorzio detengono l’assoluta maggioranza delle quote”. C’è poi un
altro punto. Il corrispettivo versato ai comuni dal sistema Conai
dipende dalla
percentuale di impurità del materiale
raccolto: quante più frazioni estranee sono presenti per esempio in una
tonnellata di imballaggi plastici conferiti, come può essere un
giocattolo che non è classificato come imballaggio, tanto più bassa è la
somma riconosciuta al comune dal consorzio di filiera Corepla. A
valutare la qualità del materiale raccolto sono alcune società scelte e
pagate dal Conai, che potrebbe quindi decidere di rinnovare o meno il
contratto a seconda che siano state soddisfatte o meno le proprie
aspettative. Il che basta a spiegare questo altro potenziale
conflitto di interessi
presente nel sistema all’italiana di gestione della raccolta
differenziata. Sebbene infatti l’analisi di qualità possa essere
eseguita in contraddittorio tra le parti, una cosa è chiara: un
corrispettivo più basso versato al comune in seguito al risultato
dell’analisi corrisponde a un esborso inferiore da parte del Conai.
E ancora. Che fine fa la differenza tra quanto incassato dal Conai
grazie al cac e alla vendita del materiale raccolto e quanto versato ai
comuni? “In parte viene accantonata a
riserva per esigenze di anni successivi – spiega Tornavacca – in parte viene utilizzata per
finanziare la struttura
e tutte le attività promozionali del Conai e dei consorzi di filiera”. E
anche qui casca l’asino su un altro bel conflitto di interessi. Perché
nelle sue campagne promozionali il Conai si guarda bene dal promuovere
pratiche che porterebbero a una riduzione del consumo di imballaggi,
come la diffusione del
vuoto a rendere, cosa che avrebbe conseguenze negative sui fatturati dei produttori suoi consorziati.
Conai e Anci: “Siamo per la trasparenza”. Ma la banca dati resta chiusa a chiave – Tra
conflitti di interesse e costi di raccolta degli imballaggi che pesano
soprattutto sulle casse pubbliche, anziché sui produttori, forse un po’
più di
trasparenza ci vorrebbe. Magari rendendo
visibile a tutti i cittadini il contenuto della banca dati da cui siamo
partiti. Che ne pensa il Conai? “La banca dati Anci-Conai – risponde il
direttore generale del consorzio
Walter Facciotto – è
uno strumento introdotto dal precedente accordo quadro Anci-Conai
(2009-2013) ed è un sistema gestito direttamente da Anci. Restiamo
convinti che sia il primo strumento per trasparenza e completezza nel
settore dei rifiuti, a completa disposizione di chi ne ha la proprietà
(i comuni) e la gestione (società e/o comune medesimo)”. E siccome la
palla viene passata ai comuni, non resta che sentire il parere di
Filippo Bernocchi,
delegato Anci alle politiche per la gestione dei rifiuti e fino a pochi
mesi fa presidente di Ancitel E&A: “Io sono sempre stato per il
green open data. Le regole per rendere visibili i dati della banca dati
sono definiti dal comitato di coordinamento Anci-Conai, ma ogni singolo
comune dovrebbe dare il suo consenso perché possano essere pubblicati i
dati che lo riguardano”. In attesa che Anci e Conai chiedano questo
consenso, quei numeri continuano a essere chiusi a chiave nella banca
dati.
fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it