Soprattutto se entrerà in sinergia con il processo gemello di Alessandria contro di Solvay, che sta per partire. A Vicenza il Gup ha rinviato a giudizio 14 manager di diversa nazionalità dell’azienda Miteni e delle multinazionali Mitsubishi Corporation e International Chemical Investors Group, oltre che la stessa Miteni di Trissino. L’accusa è di aver avvelenato con i Pfas (Pfoa ,GenX e C6O4) per decenni, senza soluzione di continuità, le acque sotterranee e di falda di oltre 300 mila abitanti delle province di Padova, Vicenza e Verona, provocando tumori, malformazioni, aborti e malattie del sistema cognitivo, ecc. La prima udienza in corte di assise il primo luglio. Le contestate sono centrate su reati dolosi e non colposi: avvelenamento delle acque, disastro doloso, inquinamento ambientale e bancarotta fraudolenta. Le parti civili costituite sono oltre duecento. Il processo continua una lotta avviata otto anni fa e animata in particolare da “Mamme No Pfas” fin quando nel 2017 è scattata l’emergenza sanitaria, della quale sono state investite le istituzioni, dalla Regione al Governo. Fondamentale saranno le ripercussioni sulla enorme bonifica, con analogia con la vicenda Solvay di Spinetta Marengo.
Anche gli avvocati di Miteni avranno l’impudenza di sostenere che non vi sono certezze nel panorama scientifico sugli effetti nocivi delle sostanze perfluoroalchiliche per l’uomo, con la conseguenza di mancanza di volontarietà da parte degli imputati.
Di seguito, i più recenti “post” sul Sito della “Rete Ambientalista Movimenti di lotta per la salute , l’ambiente, la pace e la non violenza” gestito dal “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”.
I biberon al bisfenolo. Uno dei sei esposti depositati presso la Procura della Repubblica di Alessandria denuncia: alla Solvay di Spinetta Marengo nel cocktail con i Pfas (PFOA, C6O4, ADV) tra gli interferenti endocrini c’è anche il Bisfenolo.
Mentre i processi si concludono tutti senza risarcimenti per le Vittime, non risulta un piano di incentivi e risarcimenti per la rimozione dell’amianto sul territorio nazionale. L’amianto non è un problema del passato ma del presente e del futuro, e senza le necessarie bonifiche le persone continueranno ad ammalarsi e morire. Ogni anno 6.000 persone perdono la vita a causa delle malattie asbesto-correlate, altre decine di migliaia per tumori professionali, più di 1.400 per infortuni sul lavoro. Sono presenti ancora più di 40 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto, 33 in matrice compatta e 7 friabile, in un milione di siti, di cui 50.000 industriali e 40 di interesse nazionale e ci sono ancora circa 2.400 scuole a rischio, con un bacino di 350.000 alunni e 50.000 insegnanti. Per non parlare degli edifici privati.
fonte: www.rete-ambientalista.it/
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Smisurata la famiglia delle fibre di Amianto come delle migliaia (4mila?) di Pfas. Non esiste un limite minimo di sicurezza. Esistono gli studi sulla cancerogenicità e sui danni al sistema immunitario dei Pfas. Esistono i negazionisti (al servizio dei profitti) della calamità dei Pfas, come esistevano i negazionisti per l’Amianto. La contaminazione da Pfas è ubiquitaria, la prevenzione è un problema mondiale, i Pfas vanno eliminati in tutto il mondo, come per l’Amianto (purtroppo ancora non messo al bando in tutto il mondo). Da Alessandria capitale del mesotelioma, ne tratta in video (clicca qui) il professor Daniele Mandrioli, Associate Director Cesare Maltoni Cancer Research Center Ramazzini Institute.
fonte: https://www.rete-ambientalista.it
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Lo scorso anno il ministero dell’Ambiente ha sbloccato fondi da 385 milioni per le bonifiche e avviato una nuova commissione di esperti, ma senza discariche per smaltire in sicurezza i rifiuti l’unica valvola di sfogo è l’export
Neanche l’emergenza coronavirus, coi suoi 27mila morti solo in Italia, può fermare le altre crisi sanitarie che silenziosamente si portano via ogni anno migliaia di vite: oggi come ogni anno si commemora la Giornata mondiale delle vittime dell’amianto. Più che un’emergenza, una cronicità per il nostro Paese: a distanza di quasi 30 anni dalla legge 257/1992 che ne ha vietato l’utilizzo, i morti riconducibili all’amianto sono circa 6mila all’anno in Italia, e continueranno a crescere. Come ricorda il sottosegretario all’Ambiente con delega alle Bonifiche, Roberto Morassut, «il picco delle patologie ad esso correlate è previsto, secondo l’Osservatorio nazionale amianto (Ona), tra il 2025 e il 2030».
Del resto lungo lo stivale l’Ona stima la presenza di 40 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto che aspettano di essere bonificate e smaltite. «È una minaccia sia per gli adulti che per i bambini visto che la fibra killer si nasconde ovunque intorno a noi – spiega il Consiglio nazionale dei geologi – nelle scuole, negli ospedali, nelle biblioteche e persino negli edifici culturali». L’amianto è stato usato in una grande varietà di materiali da costruzione, e l’Ona ad esempio ne ha segnalato la presenza in 2.400 scuole, 1.000 biblioteche ed edifici culturali, 250 ospedali.
Il pericolo non sta nel materiale in sé, ma nel cattivo stato di conservazione dei manufatti che lo contengono come nel rilascio spontaneo di fibre in natura da parte di rocce naturalmente amiantifere; è l’esposizione a queste fibre invisibili che può causare mesotelioma, tumore del polmone, tumore della laringe, dello stomaco e del colon. Per questo è necessario realizzare sul territorio discariche dove poter smaltire in sicurezza i rifiuti contenenti amianto derivanti dalle bonifiche: senza questi impianti anche le bonifiche rimangono al palo, perché non sappiamo dove smaltirne i rifiuti. Ma se sul primo fronte si registrano timidi progressi, nessuno è stato ancora compiuto sul secondo.
«Lo scorso anno – ricorda Morassut – sono stati sbloccati i fondi per 385 milioni di euro, destinati alle regioni, per interventi di bonifica dall’amianto da realizzare entro il 2025 negli edifici pubblici, in particolare per la rimozione e lo smaltimento nelle scuole e negli ospedali». Ma le nuove discariche, che vengono spesso tacciate ingiustamente di essere parte del problema amianto anziché parte della soluzione, sul territorio rimangono un argomento tabù.
«In Italia sono ancora molti i materiali contenenti amianto che attendono di essere smaltiti o inertizzati e ci sono molti siti in cui devono ancora essere effettuate le bonifiche. C’è poi il problema – conferma Vincenzo Giovine, vicepresidente del Consiglio nazionale dei geologi – della mancanza di discariche regionali in cui smaltire i rifiuti che contengono questo minerale».
Una criticità evidenziata tra gli altri proprio dal ministero dell’Ambiente nel 2017, durante una conferenza organizzata dal M5S alla Camera, e all’interno dell’ultimo report dedicato da Legambiente all’eterna emergenza amianto. Anche il poco amianto bonificato prende in larga parte la via dell’estero, come testimoniano gli ultimi dati Ispra: la Germania è il Paese che riceve (profumatamente pagata) la quasi totalità del nostro export d’amianto, circa 100 mila tonnellate smaltite in miniere dismesse e in particolare in quella salina di Stetten, autorizzata a ricevere 250 tipologie di rifiuti utilizzate per la messa in sicurezza delle cavità che si generano a seguito dell’attività estrattiva.
Per affrontare il cronico problema dell’amianto lo scorso anno il ministero dell’Ambiente ha istituito una commissione ad hoc, di cui si attendono a breve le conclusioni, ma le anticipazioni che filtrano dal dicastero non comprendono novità sul fronte impiantistico: «Confluiranno nel collegato ambientale con l’introduzione dello strumento sanzionatorio – anticipa nel merito Morassut – Saranno previsti un aumento delle pene per chiunque abbia contribuito a determinare o ad anticipare l’insorgenza di un tumore correlato all’esposizione all’amianto e la reclusione da tre a sei anni e la multa da 20.000 euro a 50.000 euro per chiunque commercia, estrae, produce amianto o prodotti contenenti amianto».
Chi bonifica, invece, dove smaltisce i rifiuti contenenti amianto? «Conferiamo l’amianto in Germania ma – dichiaravano già tre anni fa dall’Ispra – ci hanno fatto sapere che presto non lo accetteranno più e non esistono altre possibilità che creare dei luoghi di conferimento in Italia». Ancora una volta, occorre una presa di coscienza: è necessario dotarsi degli impianti di smaltimento per gestire secondo logica di sostenibilità e prossimità i rifiuti che noi stessi produciamo. Una lezione che sta impartendo anche Covid-19, colpendo duro (anche) sulla fragilità del sistema italiano di gestione dei rifiuti, fatta di carenze infrastrutturali, eccessiva burocrazia e decisioni politiche spesso rinviate, di cui continuiamo ogni giorno a pagare il conto.
Il ministro dell'Ambiente Sergio Costa ha dato il via libera al piano per la bonifica degli edifici pubblici dall'amianto. Ben 385 milioni andranno alle regioni per finanziare operazioni di rimozione e smaltimento in scuole e ospedali.
Il ministero dell’Ambiente prevede 140
interventi da 870mila euro, ma rimane il problema di smaltire i rifiuti
delle bonifiche in sicurezza: in Italia non ci sono abbastanza impianti
Sono in arrivo circa 870 mila euro per 140 interventi in oltre 100
Comuni, dedicati agli edifici pubblici nei quali debbono essere svolti
interventi di rimozione e smaltimento dell’amianto e del cemento-amianto
presente in coperture e manufatti: è quanto prevede il decreto del ministero dell’Ambiente appena pubblicato in Gazzetta ufficiale,
che sostanzialmente approva la graduatoria delle richieste presentate
dal 30/1/18 al 30/4/18 per la concessione del finanziamento di cui al decreto del ministero dell’Ambiente n. 562/STA del 14 dicembre 2017. «Questi finanziamenti – spiega il ministro dell’Ambiente Sergio Costa
– sono una grande opportunità per liberare dall’amianto tante strutture
pubbliche disseminate su tutto il territorio nazionale e insieme per
dare stimolo al sistema delle imprese che opera in questo settore. La
lotta contro l’amianto è ancora lunga e c’è ancora tanto lavoro da fare.
Il nostro impegno finora è stato profuso nel velocizzare il
trasferimento delle risorse, aumentare la progettualità, la trasparenza
su un problema spesso invisibile e dunque ancor più pericoloso per le
persone. Per questo, gli interventi sono estremamente necessari proprio
perché risolvono criticità presenti in quegli edifici più sensibili come
le scuole o dove sono presenti situazioni particolarmente a rischio
come l’amianto friabile». Complessivamente si tratta di un problema dalle dimensioni enormi,
che il decreto appena pubblicato – e il conseguente stanziamento di
870mila euro – potrà lenire ma di certo non risolvere, purtroppo: si
stima ci siano ancora dalle 32 (secondo Cnr-Inail) alle 40 milioni di
tonnellate (secondo l’Ona) di amianto presenti in Italia, e proprio i
dati dell’Osservatorio nazionale amianto indicano che l’amianto è
presente tra glia altri in almeno 2400 scuole,
con esposizione alla fibra killer di almeno 352.000 alunni e 50.000 tra
docenti e non docenti; 1000 biblioteche ed edifici culturali (stima
ancora per difetto); 250 ospedali (ancora stima per difetto), etc. Una
situazione che «sta provocando – sottolineano dall’Ona – un fenomeno
epidemico con 6.000 decessi ogni anno di mesotelioma (1900), asbestosi
(600), e tumori polmonari (3.600)». Come affrontare un’emergenza del genere? Sul lato della prevenzione è
evidente come sia necessario rimuovere l’amianto ancora presente in
Italia, e intervenire – seppur in modo modesto come nel caso del
presente decreto – sugli edifici pubblici rappresenta certamente un buon
punto di partenza. In quest’approccio emerge però una grande verità
pressoché rimossa dal dibattito pubblico, che mina alla base l’efficacia
dell’operazione: in Italia non ci sono abbastanza impianti dove poter
smaltire in sicurezza l’amianto rimosso, e senza di essi le bonifiche
non vanno avanti. A dimostrarlo sono anche i dati più aggiornati forniti del merito dall’Ispra:
i rifiuti contenenti amianto prodotti in Italia nel 2017 sono pari a
327 mila tonnellate, con una diminuzione rispetto al 2016 di circa 25
mila tonnellate (-7%), e non è una buona notizia: l’andamento della
produzione nel periodo 2007 – 2017, osserva l’Ispra, è collegata allo
smantellamento dei manufatti e alle bonifiche dei siti contaminati dalla
presenza dei rifiuti di amianto. In compenso, anche il poco amianto
bonificato prende in larga parte la via dell’estero: la Germania è il
Paese che riceve (profumatamente pagata) la quasi totalità del nostro
export d’amianto, circa 100 mila tonnellate smaltite in miniere dismesse
e in particolare in quella salina di Stetten, autorizzata a ricevere
250 tipologie di rifiuti utilizzate per la messa in sicurezza delle
cavità che si generano a seguito dell’attività estrattiva. Come testimoniato da Legambiente l’anno scorso presentando il dossier Liberi dall’amianto?
il «numero esiguo di discariche presenti nelle Regioni incide sia sui
costi di smaltimento che sui tempi di rimozione, senza tralasciare la
diffusa pratica dell’abbandono incontrollato dei rifiuti. Non è più
sostenibile l’esportazione all’estero dell’amianto rimosso nel nostro
Paese, per questo è importante provvedere ad implementare
l’impiantistica su tutto il territorio nazionale».
Un problema evidenziato con forza già nel 2017 proprio dal ministero
dell’Ambiente – nella figura di Laura D’Aprile – alla Camera, durante un convegno promosso dal Movimento 5 Stelle per
i primi 25 anni della legge che nel 1992 ha messo al bando l’amianto in
Italia. «Uno dei principali problemi è che mancano le discariche: a
volte i monitoraggi non vengono effettuati perché poi nasce il problema
di dove poter smaltire l’amianto – spiegava per l’occasione D’Aprile –
Ci sono regioni che hanno fatto delibere definendosi a discarica zero e
quindi quando faremo la programmazione del conferimento a livello
nazionale ci andremo a scontrare con queste regioni». Dopo due anni
però, di cui uno trascorso dal M5S in Parlamento e al Governo come forza
di maggioranza relativa, siamo ancora allo stesso punto. fonte: www.greenreport.it
Costa: «Dobbiamo assolutamente procedere con la mappatura e le bonifiche, ci sono 32 milioni di tonnellate di amianto ancora in circolazione in Italia». Ma mancano le discariche per smaltirlo in sicurezza
Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha istituito presso il proprio dicastero una «Commissione di lavoro per la riforma normativa» in materia di amianto, e a guidarla nelle vesti di presidente sarà Raffaele Guariniello: «Guariniello – spiega il ministro – è il procuratore di Torino che ha istruito e seguito il processo Eternit, ma è anche molto di più, è l’uomo che ha dedicato tutta la sua vita alla lotta contro l’amianto e contro i crimini ambientali».
Al momento il ministero non spiega quali saranno nello specifico i compiti – o le risorse a disposizione – della Commissione, ma anticipa che la nuova struttura «entro la fine di giugno produrrà i primi risultati».
«Dobbiamo assolutamente procedere con la mappatura e le bonifiche – incalza il ministro Costa – ci sono 32 milioni di tonnellate di amianto (questa è la stima Cnr-Inail, mentre l’Ona arriva a 40 milioni di tonnellate, ndr) ancora in circolazione in Italia, e l’unico modo per interrompere la catena di vittime è eliminare l’esposizione». Come sarebbe possibile procedere, dunque?
Un approccio pragmatico è quello spiegato dallo stesso ministero dell’Ambiente – nella figura di Laura D’Aprile – due anni fa alla Camera, durante un convegno promosso dal Movimento 5 Stelle per i primi 25 anni della legge che nel 1992 ha messo al bando l’amianto in Italia. «Uno dei principali problemi è che mancano le discariche: a volte i monitoraggi non vengono effettuati perché poi nasce il problema di dove poter smaltire l’amianto – spiegava per l’occasione D’Aprile – Ci sono regioni che hanno fatto delibere definendosi a discarica zero e quindi quando faremo la programmazione del conferimento a livello nazionale ci andremo a scontrare con queste regioni».
Il problema però è che non solo di nuove discariche non vengono realizzate dietro l’opposizione di comitati (e politici) locali, che vedono in questi impianti industriali nuovi problemi anziché concrete soluzioni per lo smaltimento in sicurezza dei rifiuti contenenti amianto, ma anche i pochi impianti rimasti continuano a chiudere per gli stessi motivi, aggravando ancora di più una situazione già critica.
Negli anni ’70 gli Stati Uniti hanno iniziato ad abbandonare l’amianto nella maggior parte degli edifici per poi vietarlo in diversi prodotti, ma tornerà ad essere legale per l’impiego in edilizia. In questi giorni l’EPA, l’Agenzia di protezione ambientale degli USA, ha nuovamente autorizzato l’uso di tale pericoloso materiale nell’ambito delle costruzioni edili, scatenando diverse polemiche.
L’amianto era un tempo considerato un materiale meraviglioso per i tessuti e l’isolamento termico: robusto, economico, leggero e resistente al fuoco, è stato impiegato un po’ in tutto, dal calcestruzzo alle auto, finché non è stato scoperto che provoca il cancro. Le sue minuscole fibre aghiformi penetrano in profondità nel sistema respiratorio, causando malattie come il mesotelioma e il cancro ai polmoni, così 60 Paesi in tutto il globo lo hanno completamente vietato.
Ora il dietrofront: lo scorso 11 giugno l’EPA ha presentato una proposta che sta ottenendo il sostegno di Donald Trump, presidente degli Stati Uniti d’America il quale non ha mai nascosto le sue idee sull’amianto, ovvero di sostenere di non credere che tale materiale non possa essere utilizzato, ma che debba esserci un limite minimo:
Il bando all’amianto è una cospirazione guidata dalla malavita, in quanto le società che effettuano la rimozione dell’amianto sono spesso legate alla malavita.
Secondo la proposta dell’EPA, i produttori che intendono utilizzare l’amianto dovrebbero notificare l’Agenzia prima che un prodotto del genere possa arrivare sul mercato, in modo tale che la stessa abbia sufficiente tempo a disposizione per valutare se rappresenti un pericolo troppo elevato. Gli attivisti ambientali protestano, chiedendo un divieto totale, ma intanto c’è chi festeggia: una delle poche società che ancora producono amianto, la russa Uralasbest, che esporta amianto negli USA, ha scritto su Facebook che “Trump sta con noi”, imprimendo l’immagine del presidente americano su tutti gli imballaggi dei suoi prodotti.
Mercoledì 18 luglio 2018 alle ore 18 verrà presentato a Perugia, in collaborazione con Arpa Umbria, presso la Biblioteca di San Matteo degli Armeni, il documentario-inchiesta “La rivincita di Casale Monferrato” di Rosy Battaglia.
Che cosa vuol dire combattere per la tutela della salute, dell’ambiente e credere nelle istituzioni, nella legge e nella sua applicazione? L’esempio della comunità di CasaleMonferrato che non si è arresa al dramma causato dall’amianto di eternit, attraverso la cultura, la memoria, le bonifiche, la cura di chi soffre. Il video è stato prodotto, a partire da quattro anni di riprese inedite, con il contributo straordinario dell’Associazione Familiari e Vittime dell’amianto (AFEVA ONLUS) di Casale Monferrato, con il Patrocinio e il contributo straordinario del Comune di Casale Monferrato, grazie alla campagna di crowdfunding di Cittadini Reattivi Associazione di Promozione Sociale, promossa da Banca Popolare Etica su Produzioni dal Basso che ha visto il sostegno di oltre 170 cittadini e associazioni da tutta Italia.
Al termine della proiezione, organizzata in collaborazione con Arpa Umbria, ci sarà un dibattito al quale prenderanno parte Rosy Battaglia, regista e autrice dell’inchiesta e Walter Ganapini, direttore generale Arpa Umbria.
Una vera e propria bomba ecologica in Basilicata. Centinaia di sacchi contenenti amianto sono stati ritrovati all'interno dello stabilimento ex Materit a Ferrandina.
Per la prima volta dopo anni, le porte della fabbrica abbandonata sono state aperte e a entrare sono stati Caterina Dall'Olio e le telecamere del Tg2000, il telegiornale di Tv2000.
Oltre 600 sacchi pieni di amianto tossico erano conservati all'interno dello stabilimento, con una superficie di 77mila metri quadri.
La fabbrica, situata nel comune della Val Basento, in Basilicata, tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta, produceva manufatti in amianto. Grazie all'inchiesta portata avanti da Caterina Dall’Olio, è stato scoperto che al suo interno potevano essere presenti ancora residui di amianto. E la scoperta lo ha purtroppo confermato: numerosi sacchi pieni di amianto soprattutto allo stato friabile, il più nocivo e mortale, sono stati filmati dalle telecamere.
“E’ la prima volta che qui entra una telecamera – ha detto il vicesindaco di Ferrandina, Maria Murante, entrando anch’essa per la prima volta nello stabilimento insieme alle telecamere del Tg2000 – devo dire che sono impressionanti, non li avevo mai visti. Quei sacchi dovrebbero essere sicuri. Alcuni pastori hanno rotto le recinzioni per far pascolare le proprie pecore all’interno dell’area contaminata andando così a intaccare tutto il ciclo alimentare. Qualcuno sostiene anche che ci possano essere delle lastre di amianto sotto il terreno. Ma è un’ ipotesi su cui nessuno ha mai fatto una verifica”.
Le immagini girate con un drone hanno mostrato anche che da alcuni sacchi, teoricamente sigillati, fuoriusciva della polvere di amianto. A poco sono serviti i sigilli visto che la ex Materit confina con il fiume Basento che sfocia nel Mar Ionio.
Anche il sindaco di Ferrandina, Gennaro Martoccia, non ha nascosto le proprie paure per la salute della popolazione. Molti cittadini infatti sono stati colpiti da tumore causato proprio dall’amianto.
“Non mi sento assolutamente tranquillo. La comunità e le aziende circostanti oggi non sono al sicuro. La responsabilità della bonifica ce l’ha la Regione che d’accordo con il ministero deve fare la bonifica”.
Secondo un accordo tra Regione e Ministero dell’Ambiente nel 2013, la Basilicata ha a disposizione circa 3,5 milioni di euro per la bonifica di Materit. Purtroppo è tutto fermo visto che la gara d’appalto per l’affidamento dei lavori è stata invalidata con una sentenza dal Tar, confermata dal Consiglio di Stato, perché l’ azienda arrivata prima non era stata ritenuta idonea.
Il risultato è che oggi, a distanza di 40 anni, la polvere di amianto è ancora lì, pronta a uccidere.
I dati della strage di Amianto
Proprio nelle stesse ore della terribile scoperta lucana, a Roma veniva presentato “Il libro Bianco delle morti di amianto in Italia” firmato dal presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, Ezio Bonanni, che ha tracciato i dati della strage che, ogni anno, causa 6 mila morti nel nostro Paese e 107 mila nel mondo.
“L’amianto è un killer silenzioso cancerogeno che provoca con assoluta certezza scientifica mesotelioma, tumore del polmone, tumore della laringe, dello stomaco e del colon. Per non parlare dei danni respiratori che causa, anche quando non insorge il cancro (placche pleuriche, ispessimenti pleurici, asbestosi e complicanze cardiocircolatorie)” – ha spiegato Bonanni, che ha dettagliato le morti per patologia - “1.900 di Mesotelioma, 600 per Asbestosi (stima conforme a quella dell’INAIL)3.600 per Tumori polmonari (40.000 nuovi casi ogni anno in Italia, circa 33.000 decessi).
Affatto rassicuranti sono i dati relativi all’amianto ancora da bonificare in Italia: i dati rivelano che ci sono ancora 32 milioni di tonnellate di amianto compatto(di cui 36,5 milioni di metri quadrati di coperture - stima per difetto perché la mappatura è ancora in corso) e 8 milioni di tonnellate di amianto friabile. Altrettanto allarmanti il numero dei siti, 50.000 siti industriali rilevanti, 1 milione di siti contaminati, tra i quali edifici pubblici e privati, 40 siti di interesse nazionale tra i quali ce ne sono 10 che sono solo di amianto (come la Fibronit di Broni e di Bari; l’Eternit di Casale Monferrato, etc.); 2.400 scuole(stima 2012 per difetto perché tiene conto solo di quelle censite da ONA in quel contesto - la stima è stata confermata dal CENSIS - 31.05.2014).
Esposti più di 352.000 alunni e 50.000 del personale docente e non docente; 1.000 biblioteche ed edifici culturali (stima per difetto perché è ancora in corso di ultimazione da parte di ONA); 250 ospedali (stima per difetto perché la mappatura ONA è ancora in corso). La nostra rete idrica rivela presenza di amianto per ben 300.000 km di tubature (stima ONA), inclusi gli allacciamenti, con presenza di materiale contenenti amianto rispetto ai 500.000 totali (tenendo conto che la maggior parte sono stati realizzati prima del 1992, quando l’amianto veniva utilizzato in tutte le attività edili e costruttive).
Il neo ministro dell’Ambiente Sergio Costa vuole definitivamente porre fine alla questione amianto, un materiale ancora oggi presente in 370 mila strutture dislocate in tutta Italia secondo gli ultimi dati disponibili.
Intervenendo alla presentazione del Rapporto Rifiuti Speciali dell’Ispra, che ha appena avuto luogo a Montecitorio, Sergio Costa ha espresso una grande preoccupazione per l’impatto che l’amianto ha sul territorio e sulla sanità, dichiarando di non volerlo più vedere da nessuna parte:
"L’amianto è una frontiera di cui l’Italia si deve preoccupare perché in questo momento ci fa zoppicare. A preoccuparci è la ricaduta sul territorio e quella sanitaria e dobbiamo proporre qualcosa che favorisca l’uscita da sistema amianto. Io l’amianto sulle strade, nelle campagne non lo voglio vedere più. Sarà banale, ma non è pensabile che l’Italia ancora si interroghi su come risolvere la situazione."
Uno studio di Legambiente aveva sottolineato che sul territorio nazionale sono ben 370 mila le strutture in cui è presente amianto, di cui oltre 20 mila sono siti industriali, più di 50 mila sono edifici pubblici e oltre 214 mila sono edifici privati.
Occorre dunque trovare una soluzione definitiva, come esplicato dal ministro dell’Ambiente, il quale ha inoltre sottolineato l’urgenza di:
Tracciare bene i rifiuti speciali e speciali pericolosi, non ci possiamo fermare. Il recupero degli pneumatici già va bene, oggi siamo al 73%, ma dobbiamo arrivare a 100%. Gradirei che il governo garantisse la tracciabilità trasparente degli pneumatici attraverso un codice.
L’educazione ambientale è un dovere istituzionale per il Sistema nazionale per la protezione ambientale e Arpa Piemonte, in coerenza, sta investendo anche in quest’ambito, scegliendo un linguaggio tanto insolito per un ente tecnico, quanto naturale per l’essere umano: la musica.
La musica è entrata da tempo nelle corde dell’Agenzia grazie a Musica d’Ambiente, idea creativa e interdisciplinare i cui contenuti sono stati sviluppati per le scuole primarie. Tuttavia Arpa Piemonte intende coinvolgere direttamente anche un pubblico più adulto e, per farlo, ha immaginato un lavoro in continuità con quanto già realizzato.
L’occasione nasce dalla volontà di far dialogare un altro progetto dell’Agenzia, il Tour delle buone pratiche Città amianto zero, con qualcosa di emotivamente coinvolgente, in grado di raccontare in grado di raccontare un tema ambientale spigoloso e aspro come l’amianto, trasfigurandolo.
Ci si è concentrati sull’esperienza, esemplare a livello italiano, di Casale Monferrato (AL) e sulla capacità della città di risollevarsi dalla tragedia vissuta, divenendo esempio di una rivincita possibile. Monumento a questa conquista è il Parco Eternot, oasi di salubrità, memoria e rinascita.
Per onorare ciò che Eternot rappresenta, con il patrocinio del Comune, Arpa Piemonte ha realizzato un brano e un video dedicati che sono stati presentati a Roma, in occasione della giornata mondiale della Terra e a Casale Monferrato, in occasione della giornata mondiale delle vittime dell’amianto.
Vista la pericolosità dell’amianto, sono numerosi gli studi e le normative che ne regolano ogni fase dello smaltimento. Oggi è possibile inertizzare i materiali contenenti amianto rendendoli innocui e riutilizzabili. I processi possono avvenire per attacchi chimici ad alta temperatura, comminuzione spinta, trattamenti termici. Leggi l’articolo in Ecoscienza 1/2018 fonte: http://ambienteinforma-snpa.it
Stando agli ultimi dati diffusi dall’Inail, in Italia sono 21.463 i casi di mesotelioma maligno tra il 1993 e il 2012, e il cancro provocato dall’esposizione all’amianto rappresenta un’epidemia che nei prossimi anni probabilmente continuerà ad aumentare. Anche se l’amianto è al bando in Italia ormai da 26 anni (grazie alla legge 257/92), «si continua e purtroppo si continuerà a morire per i prossimi 130 anni – spiegava un anno fa Ezio Bonanni, presidente Ona – considerando che, anche con le più rosee aspettative, le bonifiche non finiranno prima di 85 anni». Stime che purtroppo potrebbero rivelarsi addirittura ottimistiche: il quadro più aggiornato in materia è stato fornito oggi da Legambiente con il rapportoLiberi dall’amianto?, pubblicato alla vigilia della Giornata mondiale dedicata alle vittime per malattie asbesto correlate, che ricorre ogni 28 aprile.
A tre anni di distanza dall’ultimo report, il Cigno verde è tornato a inviare un questionario agli uffici competenti regionali con l’obiettivo di tracciare un quadro della situazione attuale: hanno risposto 15 tra Regioni e Province Autonome (mancano all’appello Abruzzo, Calabria, Liguria, Molise, Toscana e Umbria, per le quali sono stati utilizzati i dati 2015), e le buone notizie sono poche. Soprattutto, sono più che compensate dai passi indietro compiuti nel mentre.
Sulla base delle risposte date dalle Regioni al questionario inviato, sul territorio nazionale sono 370mila le strutture dove è presente amianto censite al 2018, per un totale di quasi 58milioni di metri quadrati di coperture in cemento amianto. Di queste 370mila strutture, 20.296 sono siti industriali (quasi il triplo rispetto all’indagine del 2015), 50.744 sono edifici pubblici (+10% rispetto al 2015%), 214.469 sono edifici privati (+50% rispetto al 2015%), 65.593 le coperture in cemento amianto (+95% rispetto al 2015%) e 18.945 altra tipologia di siti (dieci volte di quanto censito nel 2015). Di fronte a questa situazione, le procedure di bonifica e rimozione dall’amianto nel nostro Paese sono ancora in forte ritardo, visto che sono 6869 gli edifici pubblici e privati ad oggi bonificati su un totale, ancora sottostimato, di 265.213 (tra edifici pubblici e privati). E nel mentre il Piano regionale amianto, previsto dalle L.257/92, nel 2018 deve essere ancora approvato in due regioni, il Lazio e la Provincia Autonoma di Trento; non va meglio per il “Testo unico per il riordino, il coordinamento e l’integrazione di tutta la normativa in materia di amianto”, presentato nel novembre del 2016 al Senato e bloccato da due anni a Palazzo Madama.
Ma c’è un elemento più di ogni altro che certifica il continuo affievolirsi della battaglia nazionale contro l’amianto, nonostante tutti i proclami che vanno in direzione contraria, e secondo Legambiente è lo stesso già individuato dal ministero dell’Ambiente: mancano le discariche dove conferire l’amianto bonificato. Secondo i dati di Ispra, nel 2015 nel nostro Paese sono stati prodotti 369mila tonnellate di rifiuti contenenti amianto (71% al Nord, 18,4% al Centro e 10,6% al Sud): di queste, 227mila tonnellate sono stati smaltiti in discarica (sono prevalentemente “rifiuti da materiali di costruzione contenenti amianto”), mentre 145mila tonnellate di rifiuti contenenti amianto sono stati esportati nelle miniere dismesse della Germania, un’opzione che – fanno sapere dall’Ispra – presto neanche ci sarà più.
Come spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente e membro del think tank di greenreport, dal «dossier “Liberi dall’amianto?” emergono tre questioni prioritarie – bonifiche, smaltimento e leva economica – che devono essere affrontate con la massima urgenza sia a livello regionale che nazionale. Occorre completare al più presto il censimento e la mappatura dei siti contenenti amianto, su cui definire le priorità di bonifica a partire dalle scuole in cui è ancora presente la pericolosa fibra. Il numero esiguo di discariche presenti nelle Regioni incide sia sui costi di smaltimento che sui tempi di rimozione, senza tralasciare la diffusa pratica dell’abbandono incontrollato dei rifiuti. Non è più sostenibile l’esportazione all’estero dell’amianto rimosso nel nostro Paese, per questo è importante provvedere ad implementare l’impiantistica su tutto il territorio nazionale. Infine occorre ripristinare e rendere stabile e duraturo il sistema degli incentivi per la sostituzione eternit/fotovoltaico, visti gli importanti risultati ottenuti in passato è assurdo che questo strumento sia stato rimosso». Un’iniziativa meritoria in tal senso è stata lanciata su Change.org e veleggia già attorno alle 40mila firme, ma anche le migliori operazioni di bonifica non troveranno sbocchi se continueranno a mancare le discariche. Come sottolinea ancora Legambiente, lo smaltimento rimane infatti «l’altro anello debole della catena: le regioni dotate di almeno un impianto specifico per l’amianto sono solo 8 (erano 11 nel 2015) per un totale di 18 impianti (erano 24 fino a pochi anni fa): in Sardegna e Piemonte ce ne sono 4 (di cui uno per le sole attività legate al SIN di Casale Monferrato in Piemonte), 3 in Lombardia e 2 in Basilicata ed Emilia Romagna. 1 solo l’impianto esistente in Friuli Venezia Giulia, Puglia e nella Provincia Autonoma di Bolzano. Ad oggi gli impianti sono quasi pieni, le volumetrie residue comunicate con i questionari sono pari a 2,7 milioni di metri cubi (un terzo in meno rispetto ai 4,1 milioni di mc del 2015) e sarebbero a malapena sufficienti a smaltire i soli quantitativi già previsti, ad esempio, dal Piano Regionale della Regione Piemonte che stima in 2 milioni di metri cubi i quantitativi delle coperture in cemento amianto ancora da bonificare. E non si vede la luce neanche per i nuovi impianti previsti dai vari piani regionali sui rifiuti».
Ma anziché conferire i rifiuti contenenti amianto in discarica, non potrebbe esser più proficuo intraprendere altre strade? Per rispondere con raziocinio a questa domanda, Legambiente raccoglie nel suo dossier anche un contributo dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iia), proprio per fare il punto sullo stato attuale delle tecnologie esistenti per l’inertizzazione dell’amianto – raggruppabili nelle tre macrocategorie “trattamenti termici” “trattamenti chimici” e “trattamenti meccano chimici” – e la risposta è molto chiara: «Il livello di industrializzazione di alcune tecnologie è oggi in grado di affrontare questa problematica in maniera tecnicamente soddisfacente», ma al contempo «attualmente, tutte queste tecnologie sono più costose rispetto al collocamento in discarica: questo potrebbe essere considerato il motivo principale del basso livello di diffusione di questi processi».
In compenso, sappiamo già da molti anni che lo smaltimento dell’amianto in discariche appositamente autorizzate e monitorate è un’opzione percorribile e sicura, dato che l’amianto è un minerale e sotto terra torna a fare il minerale. Basterebbe rendersi conto che il vero pericolo sta nell’amianto che abbiamo intorno ogni giorno, nelle nostre scuole, nei nostri ospedali, nelle nostre case come su bus e navi. Bonificarlo e smaltirlo in discarica rimane l’opzione migliore a nostra disposizione per metterci al riparo da questi pericoli.
Il ministero dell’Ambiente presenta la nuova
tranche di finanziamenti, ma la drammatica carenza di impianti per lo
smaltimento non è stata risolta: si sta anzi aggravando
È stato pubblicato il nuovo bando del ministero dell’Ambiente
(decreto 562/2017) che assegna 16 milioni di euro (in tre anni, fino al
2018) alla progettazione preliminare e definitiva di interventi di
bonifica dall’amianto: i Comuni italiani che vogliono progettare
un’attività di bonifica dall’amianto dagli edifici pubblici hanno tempo
fino al 30 aprile per presentare la domanda online. «Il nuovo decreto – spiegano dal ministero dell’Ambiente – definisce
ulteriori dettagli sulle modalità di accesso, sui criteri di valutazione
e formazione della graduatoria, con i relativi allegati tecnici per la
documentazione di supporto alla domanda, mentre i criteri per accedere
al fondo restano quelli fissati dal decreto del 21 settembre 2016: hanno
precedenza gli edifici scolastici o entro un raggio non superiore a
cento metri da asili, scuole, parchi gioco, strutture di accoglienza,
ospedali e impianti sportivi, gli interventi su edifici pubblici già
oggetto di segnalazione di enti di controllo sanitari, di tutela
ambientale o di altri enti e amministrazioni, quelli con un progetto
cantierabile in dodici mesi dall’erogazione del contributo e gil
interventi nei Siti d’interesse nazionale o inseriti nella mappatura
dell’amianto prevista dal decreto 101 del 2003. Ogni amministrazione può
presentare un’istanza con più interventi per un importo massimo
finanziabile di 15 mila euro». Il primo bando (riferito all’annualità 2016) si era concluso il 30
marzo dello scorso anno con la presentazione di 235 istanze per diciotto
regioni italiane. Un’azione meritoria che s’affianca però a una
criticità storica nel nostro Paese per quanto riguarda la bonifica
dall’amianto: la gestione dei rifiuti da bonifica, per la quale gli
impianti presenti sul territorio nazionale sono non solo cronicamente
insufficienti, ma addirittura in declino. A fronte delle 32-40 milioni di tonnellate d’amianto stimate come ancora presenti su suolo nazionale, al 2015 – quando si fermano gli ultimi dati Ispra disponibili
– il «numero totale delle discariche operative che smaltiscono rifiuti
contenenti amianto» è appena 21, in tutt’Italia. Non a caso i rifiuti
contenenti amianto rappresentano storicamente una voce rilevante nella
quota di rifiuti che l’Italia spedisce all’estero: per la gran parte
finiscono in Germania, dove vengono smaltiti in sicurezza (a fronte di
ingenti spese da parte italiana). Esattamente un anno fa, però, è stato
direttamente l’Ispra a spiegare – durante il convegno organizzato dal M5S alla Camera dei deputati
– che «conferiamo l’amianto in Germania ma ci hanno fatto sapere che
presto non lo accetteranno più e non esistono altre possibilità che
creare dei luoghi di conferimento in Italia. Sarebbe poi auspicabile che
il metodo in via di sperimentazione dell’inertizzazione dell’amianto
fossero utilizzati su scala industriale».
Alcuni progressi su quest’ultimo punto sono fortunatamente in corso, come ha mostrato un recente convegno in Toscana cui ha presenziato il gestore locale Sei Toscana,
ma da soli non possono bastare: «Uno dei principali problemi è che
mancano le discariche: a volte i monitoraggi non vengono effettuati
perché poi nasce il problema di dove poter smaltire l’amianto – ribadì
nel già citato convegno del marzo 2017 Laura D’Aprile, dal ministero
dell’Ambiente – Ci sono regioni che hanno fatto delibere definendosi a
discarica zero e quindi quando faremo la programmazione del conferimento
a livello nazionale ci andremo a scontrare con queste regioni». fonte: www.greenreport.it