Si chiama decreto semplificazioni ma relativamente all’economia circolare contraddice il suo obiettivo e scontenta gli attori principali. Secondo chi se ne intende non tocca temi strategici, prevede modifiche che potrebbero addirittura complicare le procedure, e semplifica solo l’incenerimento (peraltro contro le linee guida della Commissione che esclude appunto l’incenerimento dai Pnrr).
Il decreto legge 31 maggio 2021, n. 77, approvato dal governo e affidato alla Camera per conversione (commissioni riunite Affari Costituzionali e Ambiente, dl 3146) dedica specificamente all’economia circolare due articoli: il 34 (Cessazione della qualifica di rifiuto) e il 35 (Misure di semplificazione per la promozione dell’economia circolare). End of waste
Difficile orientarsi nel groviglio di taglia e incolla tipico della legislazione nazionale. Secondo la relazione illustrativa che accompagna il provvedimento del governo, l’articolo 34 “è volto a razionalizzare e semplificare la procedura in materia di end of waste (EoW) prevista dall’articolo 184 ter del Codice dell’ambiente, prevedendo in particolare che il rilascio dell’autorizzazione avvenga previo parere obbligatorio e vincolante dell’Ispra o dell’agenzia regionale di protezione ambientale territorialmente competente: in tal modo – afferma la relazione – la valutazione viene anticipata alla procedura all’esito della quale l’autorizzazione viene rilasciata da parte dell’autorità competente”. Insomma il controllo e il parere di Ispra o Arpa regionali arriva prima e diventa “obbligatorio e vincolante”.
Semplificazione solo apparente
“Oggi per emanare un provvedimento EoW occorrono almeno 5 anni, ma ogni anno vengono immessi nel mercato decine di nuovi prodotti che richiedono nuove tecnologie per poter procedere al loro riciclaggio. Semplificare è quindi fondamentale e per noi significa allineare i tempi della burocrazia a quelli dell’evoluzione tecnologica. Se ciò non avviene, la nostra sfida per la transizione ecologica è persa in partenza”, riflette Stefano Leoni della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “Introdurre un parere obbligatorio e vincolante da parte dell’ISPRA e delle Agenzie regionali per l’ambiente addirittura appesantisce un percorso già irto di ostacoli e crea diversi dubbi ordinamentali. Rimane infatti in capo ad un organismo tecnico (ISPRA e agenzie) una funzione da amministrativa attiva come ad esempio la verifica della sussistenza di un mercato per determinati tipi di materiali. Oltre al fatto che Ispra o le Agenzie non sono in grado di valutarlo, così come il fatto che quel prodotto sia correttamente venduto e utilizzato all’estero Bisogna ricordare che la promozione dello sviluppo dei mercati è una funzione prettamente politica e quindi di amministrazione attiva”. In altri termini la disposizione presentata dal Governo, aggiunge ancora Leoni, “travalica le competenze tecniche di quegli istituti per entrare nelle competenze di un’amministrazione attiva, che è quell’amministrazione che ha il potere di rilascio dell’autorizzazione, ossia un’amministrazione che ha anche funzioni politiche, come Comuni e Regioni. Il suo conferimento a organismi tecnici apre la porta a futuri contenziosi forieri di ulteriori problemi e lungaggini. L’antitesi della semplificazione”.
In conseguenza dell’articolo 34, ragiona poi Leoni, “il potere discrezionale dell’ente amministrativo attivo, delle Regioni, non esiste più: sono infatti costrette a ratificare quello che dicono Ispra e Arpa regionale e farlo proprio”. Inoltre “visto che col parere vincolante questi istituti avranno una capacità decisionale determinante, non so quanto saranno disposti ad assumersi responsabilità”.
MiTe, passo indietro sui controlli
Parte del citato articolo 184 ter (articolo relativo all’end of waste) viene poi cancellata dal decreto semplificazioni: sono le norme che regolavano lo scambio di pareri, a valle dei controlli a campione, tra Ministero e ISPRA o Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente responsabili dei controlli stessi. Il ministero, questo stabiliva il 184 ter prima dello stralcio, in particolare “adotta proprie conclusioni, motivando l’eventuale mancato recepimento degli esiti dell’istruttoria […], e le trasmette all’autorità competente. L’autorità competente avvia un procedimento finalizzato all’adeguamento degli impianti, da parte del soggetto interessato”. Un sistema “macchinoso”, secondo Leoni.
Col decreto semplificazioni, spiega Maria Letizia Nepi, Segretario generale Fise Unicircular, che unisce le imprese del recupero dei rifiuti, “viene stralciato il palleggio tra Ministero e ISPRA o Agenzia regionale ai fini del controllo. Ci si ferma semplicemente alla fase del controllo a campione, quella svolta ex post rispetto all’autorizzazione per verificare la conformità sulla modalità di gestione dell’impianto e su tutte le condizioni autorizzative e normative”. Conformità valutata seguendo le linee guida dell’ISPRA. Per la aziende questo stralcio è “un passo avanti verso la semplificazione e la certezza del titolo autorizzativo fatto con la salvaguardia del controllo e della trasparenza nell’ottica di una semplificazione e velocizzazione”. Quelle norme infatti, prosegue Nepi, “rappresentano una trafila farraginosa. Una trafila che abbiamo sempre criticato e che metteva in discussione da una parte le competenze dell’autorità autorizzatrice; dall’altra la certezza del diritto acquisito da un’azienda di vedersi riconosciuto un titolo autorizzativo senza che questo potesse essere messo in discussione”. Parliamo però, precisa, di una trafila che ad oggi è “totalmente accademica, irrealistica e inapplicabile”. Quindi una “minaccia” finora solo sulla carta.
Oltre a modifiche di carattere formale (almeno apparentemente) e di adeguamento della terminologia utilizzata (come per i rifiuti urbani), tra le novità che riguardano i rifiuti pirotecnici, quelli sanitari e le ceneri vulcaniche, alcuni passaggi dell’articolo 35 (Misure di semplificazione per la promozione dell’economia circolare) sono interessanti. Anche se va premesso quanto afferma ancora Leoni: “Se si parla di semplificazioni ci si aspettano delle semplificazioni, se si parla di economia circolare ci si spetta che si affronti l’economia circolare. Purtroppo tutto questo nel decreto non c’è. Mi aspettavo qualcosa sulla simbiosi industriale, una spinta sulla ricerca, il riciclo chimico della plastica che nel Pnrr è appena accennato. Invece non c’è nulla”. Sembra, sorride, “che il problema dello sviluppo dell’economia circolare in Italia siano i rifiuti da prodotti pirotecnici o le ceneri vulcaniche”. CSS, tana libera tutti
Eccoci finalmente a delle semplificazioni tangibili, anche se non sono certo quelle che avremmo preferito. E non sono quelle che avrebbe voluto la Commissione europea, che all’inizio dell’anno ha pubblicato gli orientamenti tecnici per la preparazione dei Pnrr in cui esclude esplicitamente l’incenerimento o comunque l’incremento dell’incenerimento dei rifiuti, in quanto contrario all’obiettivo ambientale dell’economia circolare.
I commi 2 e 3 dell’articolo 35 del decreto semplificazioni e governance del Pnrr, infatti, “recano disposizioni inerenti alla sostituzione di combustibili tradizionali con CSS-combustibile (combustibile solido prodotto da rifiuti che non sia più qualificabile come rifiuto) che rispetti le condizioni di utilizzo del medesimo e i limiti di emissione”, riferisce il servizio studi di Camera e Senato. Potranno sostituire combustibili tradizionali con CSS tutti gli impianti o installazioni che siano o no autorizzati alle “operazioni di recupero dei rifiuti mediante la loro utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (operazioni R1)”. E questa sostituzione non costituisce “variante o modifica sostanziale” all’impianto, a condizione che non comporti un aumento della capacità produttiva autorizzata né un superamento dei limiti di emissioni.
Questo cambiamento richiederà la sola comunicazione dell’intervento di modifica all’autorità competente (per gli impianti autorizzati) o il solo aggiornamento del titolo autorizzatorio (per gli impianti non autorizzati R1). Province e le città metropolitane dovranno verificare la sussistenza dei requisiti di legge, e dopo queste verifiche le operazioni potranno partire.
Comma 2 e 3, se non ci rassicurano sull’idea che di economia circolare e transizione ecologica hanno governo e MiTe, quantomeno mostrano che se la volontà di semplificare c’è, i risultati arrivano.
Quello che non c’è
Sarà pure il nome (decreto semplificazioni) che dà luogo ad aspettative facili da deludere, ma sull’economia circolare, ci dicono gli interessati, si poteva fare di più.
“Per le attività di recupero, riciclaggio e preparazione al riutilizzo esiste una procedura semplificata voluta dall’Unione europea. Mi chiedo perché non adottarla anche per l’end of waste”, si chiede Stefano Leoni, additando una delle possibili semplificazioni da mettere in campo.
“Di economia circolare nel decreto non c’è n’è molta”, ribadisce Nepi: “Il settore ha altre esigenze, ha bisogno dell’effettiva velocizzazione delle procedure e della certezza dei tempi”. Si tratta “certamente di una materia complessa – ammette – però ci sono tantissime cose che si possono fare. Come ad esempio chiarire cosa significa ‘variante sostanziale’ rispetto ad una autorizzazione: da nessuna parte è spiegato cosa significhi. E una volta chiarito si deve rendere più veloce tutto quello che variante sostanziale non è”.
fonte: economiacircolare.com
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L'audizione in Commissione Ecomafia ha permesso ai ricercatori dell'Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale di fare chiarezza su un tema poco affrontato. In Italia dal 1870 ad oggi sono stati in attività 3.015 siti minerari, interessando tutte le Regioni, 93 province e 889 Comuni
Si è tenuta nei giorni scorsi in Commissione Ecomafia alla Camera dei deputati un’audizione sugli impatti ambientali dell’attività mineraria alla quale ha partecipato il direttore generale dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), Alessandro Bratti, e l’esperto Fiorenzo Fumanti, del dipartimento per il Servizio geologico d’Italia dell’ISPRA.
L’obiettivo era quello di fornire un quadro completo degli impatti ambientali dell’attività mineraria, di cui spesso si sono presi in considerazione gli aspetti economici più di quelli ecologici. Per capire come questo è stato monitorato – e soprattutto gestito – fino ad oggi.
Secondo le evidenze mostrate nel rapporto, il grande problema per l’ambiente è rappresentato dai siti abbandonati e dalle discariche minerarie. I dati ci dicono infatti che “le criticità ambientali sono connesse all’operatività delle miniere, ma ancor più alle centinaia di siti minerari abbandonati”.
Tanti siti e poca attenzione
In Italia dal 1870 ad oggi sono stati in attività 3.015 siti minerari, interessando tutte le Regioni, 93 province e 889 Comuni. Nel 2018, a fronte di 120 concessioni di miniera ancora in vigore, 69 risultavano realmente in produzione, soprattutto in Sardegna, Piemonte e Toscana.
Le miniere attualmente operanti sul territorio nazionale sono solo di minerali non metalliferi, la cui estrazione è meno impattante rispetto a quelli metalliferi. Tali siti sono soggetti ai controlli di polizia mineraria effettuati dalle Regioni, avvalendosi delle Arpa competenti relativamente ai controlli ambientali.
Riguardo ai siti oggi non più produttivi invece, il rapporto spiega che gran parte di essi sono stati gestiti con “scarsa attenzione alla prevenzione e al contenimento dell’impatto ambientale”. Nello specifico, spiega Fumanti, sono abbandonati “elevati quantitativi di metalli pesanti e sostanze tossiche sono contenuti nei bacini di decantazione dei fanghi di laveria, impianti in cui il materiale estratto veniva frantumato, macinato e flottato in acqua: tali bacini costituiscono potenziali sorgenti di danno ambientale per il possibile rilascio dei fanghi contaminati a causa di perdite o crollo delle strutture di contenimento”.
Ecco perché, secondo l’Ispra, i bacini di decantazione devono essere messi subito in sicurezza ed essere oggetto di continuo controllo. E qui c’è il secondo problema. Chi se ne occupa?
Come ricorda lo stesso Fumanti infatti, “nel 2012 la proprietà delle miniere è stata trasferita dallo Stato alle Regioni, già competenti dal 1998 per la gestione amministrativa dei permessi di ricerca e le concessioni di coltivazione”. Questi cambiamenti, secondo quanto riferito, “essendo avvenuti in assenza di un quadro normativo aggiornato e di indirizzo delle attività, hanno generato sia sistemi di pianificazione, autorizzazione e controllo diversificati che sistemi di raccolta e gestione delle informazioni eterogenei”.
Da questo dipende l’abbandono di ingenti quantitativi di scarti minerari. E il forte impatto ambientale al quale occorre porre rimedio. I dati parlano chiaro: con il decreto legislativo117/2008 l’Italia ha recepito l’apposita direttiva europea relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e istituito l’Inventario nazionale delle strutture di deposito dei rifiuti estrattivi, gestito da Ispra. E nel 2017, “erano presenti in Italia 321 strutture di deposito con rischio ecologico-sanitario da medio-alto ad alto”. È il momento di intervenire.
fonte: economiacircolare.com
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La ricerca ha analizzato le concentrazioni di SARS-CoV-2 all'aperto a Milano e Bergamo, studiando l’interazione con le altre particelle presenti in atmosfera. Smentita la tesi che il particolato possa favorire la trasmissione in aria del contagio
La prima ondata della pandemia da Covid-19, nell’inverno 2020, ha colpito in maniera più rilevante il Nord Italia rispetto al resto del Paese e la Lombardia, in particolare, è stata la regione con la maggiore diffusione. A maggio 2020 vi erano registrati 76.469 casi, pari al 36,9% del totale italiano di 207.428 casi. Perché la distribuzione geografica dell’epidemia sia stata così irregolare è ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica.
Un recente studio, condotto dall’Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac), sedi di Lecce e Bologna, e dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente-Arpa Lombardia, dimostra che particolato atmosferico e virus non interagiscono tra loro. Pertanto, escludendo le zone di assembramento, la probabilità di maggiore trasmissione in aria del contagio in outdoor in zone ad elevato inquinamento atmosferico appare essenzialmente trascurabile.
La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Research, è stata condotta analizzando i dati, per l’inverno 2020, degli ambienti outdoor per le città di Milano e Bergamo, tra i focolai di COVID-19 più rilevanti nel Nord Italia.
“Tra le tesi avanzate, vi è quella che mette in relazione la diffusione virale con i parametri atmosferici, ipotizzando che scarsa ventilazione e stabilità atmosferica (tipiche del periodo invernale nella Pianura Padana) e il particolato atmosferico, cioè le particelle solide o liquide di sorgenti naturali e antropiche, presenti in atmosfera in elevate concentrazioni nel periodo invernale in Lombardia, possano favorire la trasmissione in aria (airborne) del contagio”, spiega Daniele Contini, ricercatore di Cnr-Isac (Lecce). “È stato infatti supposto che tali elementi possano agire come veicolo per il SARS-CoV-2 formando degli agglomerati (clusters) con le emissioni respiratorie delle persone infette. In tal caso il conseguente trasporto a grande distanza e l’incremento del tempo di permanenza in atmosfera del particolato emesso avrebbero potuto favorire la diffusione airborne del contagio”.
Nella ricerca sono state stimate le concentrazioni di particelle virali in atmosfera a Milano e Bergamo in funzione del numero delle persone positive nel periodo di studio, sia in termini medi sia nello scenario peggiore per la dispersione degli inquinanti tipico delle aree in studio. “I risultati in aree pubbliche all’aperto mostrano concentrazioni molto basse, inferiori a una particella virale per metro cubo di aria”, prosegue Contini. “Anche ipotizzando una quota di infetti pari al 10% della popolazione (circa 140.000 persone per Milano e 12.000 per Bergamo), quindi decupla rispetto a quella attualmente rilevata (circa 1%), sarebbero necessarie, in media, 38 ore a Milano e 61 ore a Bergamo per inspirare una singola particella virale.
Si deve però tenere conto che una singola particella virale può non essere sufficiente a trasmettere il contagio e che il tempo medio necessario a inspirare il materiale virale è tipicamente tra 10 e 100 volte più lungo di quello relativo alla singola particella, quindi variabile tra decine di giorni e alcuni mesi di esposizione outdoor continuativa. La maggiore probabilità di trasmissione in aria del contagio, al di fuori di zone di assembramento, appare dunque essenzialmente trascurabile”.
“Per avere una probabilità media del 50% di individuare il SARS-CoV-2 nei campioni giornalieri di PM10 a Milano sarebbe necessario un numero di contagiati, anche asintomatici, pari a circa 45.000 nella città di Milano (3,2% della popolazione) e a circa 6.300 nella città di Bergamo (5,2% della popolazione)”, sottolinea Vorne Gianelle responsabile Centro Specialistico di Monitoraggio della qualità dell’aria di Arpa Lombardia. “Pertanto, allo stato attuale delle ricerche, l’identificazione del nuovo coronavirus in aria outdoor non appare un metodo efficace di allerta precoce per le ondate pandemiche”.
“La probabilità che le particelle virali in atmosfera formino agglomerati con il particolato atmosferico pre-esistente, di dimensioni comparabili o maggiori, è trascurabile anche nelle condizioni di alto inquinamento tipico dell’area di Milano in inverno”, conclude Franco Belosi, ricercatore Cnr-Isac di Bologna. “È possibile che le particelle virali possano formare un cluster con nanoparticelle molto più piccole del virus ma questo non cambia in maniera significativa la massa delle particelle virali o il loro tempo di permanenza in atmosfera. Pertanto, il particolato atmosferico, in outdoor, non sembra agire come veicolo del coronavirus”.
Nel servizio pubblicato su Ecoscienza 3/2020, un approfondimento sulla pandemia Covid-19 e la relazione ambiente-salute.
“Vivere bene, entro i limiti del pianeta“: questo è il titolo del settimo Programma di azione europeo, varato a fine 2013 e in vigore ancora per pochi mesi. Proprio nell’ultimo anno del suo periodo di applicazione, la pandemia di Covid-19 ci ha costretti a interrogarci, con urgenza e apprensione, sia su cosa significhi “vivere bene”, sia su quali siano i “limiti del pianeta”. La connessione tra salute, benessere e ambiente è diventata, se possibile, ancora più importante in questo anno così drammatico.
Cura e contenimento sono state (e sono tuttora) le priorità nell’emergenza, conoscenza e prevenzione sono diventate condizioni imprescindibili per affrontare il futuro.
In questo servizio di Ecoscienza presentiamo gli studi e i progetti più rilevanti messi in campo in Italia sulla relazione tra Covid-19 e ambiente, ospitiamo numerose riflessioni e proposte relative al periodo che stiamo vivendo e alla fase di “ripartenza”, diamo conto dei primi risultati dell’analisi dell’impatto della pandemia e delle misure per il suo contenimento sull’ambiente.
Ne emerge un quadro molto articolato, che mostra la necessità di un approccio trasversale, che tenga conto del contributo di molteplici competenze.
Gli articoli pubblicati
Lezioni e interrogativi dall’esperienza Covid-19Carla Ancona1, Andrea Ranzi2, Francesco Forastiere3 1. Dipartimento di epidemiologia Ssr Lazio, Asl Roma1 2. Arpae Emilia-Romagna 3. Irib-Cnr Palermo e co-direttore di Epidemiologia&Prevenzione
La Pandemia e l’agenda di ambiente e salute Francesca Racioppi1, Marco Martuzzi2 1. Responsabile Centro europeo ambiente e salute, Organizzazione mondiale della sanità (Who-Oms), Bonn, Germani 2. Responsabile Centro ambiente e salute Asia-Pacifico, Organizzazione mondiale della sanità (Who-Oms), Seul, Repubblica di Corea
Inquinamento e Covid-19, il progetto EpicovairIvano Iavarone1, Carla Ancona2, Antonino Bella3, Giorgio Cattani4, Patrizio Pezzotti3, Andrea Ranzi5 1. Dipartimento Ambiente e salute, Istituto superiore di sanità 2. Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma, coordinatrice della Rete italiana ambiente e salute (Rias) 3. Dipartimento Malattie infettive, Istituto superiore di sanità 4. Dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale, Ispra 5. Arpae Emilia-Romagna
Pulvirus, per capire i legami tra Covid-19 e inquinamentoGabriele Zanini1, Stefania Marcheggiani2, Laura Mancini3, Alfredo Pini4 1. Enea, responsabile divisione Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali, dipartimento Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali 2. Istituto superiore di sanità, ricercatrice reparto Ecosistemi e salute, dipartimento Ambiente e salute 3. Istituto superiore di sanità, direttrice reparto Ecosistemi e salute, dipartimento Ambiente e salute 4. Ispra, responsabile Servizio di supporto tecnico alla Direzione generale
Potenziare le strategie di prevenzione per le acque Luca Lucentini1, Lucia Bonadonna1, Giuseppina La Rosa1, Giuseppe Bortone2, Tania Tellini3 1. Istituto superiore di sanità, Reparto di qualità dell’acqua e salute 2. Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), coordinatore area “Ambiente e Salute” 3. Utilitalia, coordinatrice attività del settore Acqua
Reflui e monitoraggio epidemiologico Giuseppina La Rosa1, Giusy Bonanno Ferraro1, Marcello Iaconelli1, Pamela Mancini1, Carolina Veneri1, Lucia Bonadonna1, Luca Lucentini1, Elisabetta Suffredini2 Istituto superiore di sanità 1. Dipartimento ambiente e salute 2. Dipartimento di sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica veterinaria
Gli effetti del lockdown sull’inquinamento luminoso Andrea Bertolo1, Renata Binotto1, Sergio Ortolani2, Stefano Cavazzani2, Pietro Fiorentin3 1. Osservatorio regionale inquinamento luminoso, Arpa Veneto 2. Dipartimento di Fisica e astronomia, Università di Padova 3. Dipartimento di Ingegneria industriale, Università di Padova
La correlazione evidenziata dall’analisi dei dati delle Arpa congiunta ai numero dei contagiati: il Pm10 agirebbe da vettore del virus
Le correlazioni vengono al pettine: l'inquinamento, soprattutto quello atmosferico, potrebbe aver preparato il terreno al Coronavirus e alla sua diffusione. Quantomeno i dati evidenziano una relazione tra i superamenti dei limiti di legge per il Pm10 e il numero di casi infetti da Covid-19.
Lo dimostra uno studio curato da una dozzina di ricercatori italiani e medici della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima). Leonardo Setti dell'Università di Bologna e Gianluigi de Gennaro dell'Università di Bari hanno passato gli ultimi venti giorni sui dati registrati nel periodo tra il 10 e il 29 febbraio e li hanno incrociati: da una parte quelli provenienti dalle centraline di rilevamento delle Arpa, le agenzie regionali per la protezione ambientale, dall'altra i dati del contagio da Covid19 riportati dalla Protezione Civile, aggiornati al 3 marzo, lasso temporale necessario considerando il ritardo temporale intermedio di 14 giorni pari al tempo di incubazione del virus. La conclusione è che si evidenzia una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 e PM2,5 e il numero di casi infetti da Covid-19.
La Pianura padana è in codice rosso anche nello studio: qui si sono osservate le curve di espansione dell’infezione che hanno mostrato accelerazioni anomale, in evidente coincidenza, a distanza di due settimane, con le più elevate concentrazioni di particolato atmosferico.
Il Pm10 avrebbe, secondo la ricerca, esercitato un'azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell'epidemia. Leonardo Setti lo mette in luce: «Le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura padana hanno prodotto un'accelerazione alla diffusione del Covid19. L'effetto è più evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai».
Potrebbe quindi essere questo uno dei motivi per cui la Pianura padana, rispetto alle altre zone d'Italia, ha cullato il virus in maniera più concentrata. A questo proposito è emblematico il caso di Roma, in cui la presenza di contagi era già manifesta negli stessi giorni delle regioni padane senza però innescare un fenomeno così virulento. Brescia è tra le città più colpite per inquinamento e caso di focolai di Coronavirus. L'idea che l'inquinamento da Pm10 sia facilitatore delle infezioni non è nuova, a partire da polmonite e morbillo. La letteratura è lì a dimostrarlo e a suggerire norme importanti per ridurre l'inquinamento.
Il presupposto con il Coronavirus è lo stesso: il particolato funge da carrier per il trasporto del virus. Anche nell'etere. Forse tanto quanto una stretta di mano: «Più ci sono polveri sottili – afferma Gianluigi de Gennaro, dell'Università di Bari - più si creano autostrade per i contagi. È necessario ridurre al minimo le emissioni».
È noto che il particolato atmosferico funziona da vettore di trasporto per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus che si “attaccano” (con un processo di coagulazione) anche per ore, giorni o settimane. Inoltre, sarebbero lunghe le distanze che il virus potrebbe percorrere così trasportato.
Lo studio mette in luce un altro fattore: «L'attuale distanza considerata di sicurezza – fa notare Alessandro Miani, Presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) riferendosi allo spazio di un metro - potrebbe non essere sufficiente». Così come evidentemente non sono sufficienti le misure finora adottate per contenere l'inquinamento atmosferico.
L’Agenzia Europea per l’ambiente presenta il Rapporto UE
Male la biodiversità, meglio le emissioni, fonti rinnovabili e uso efficiente delle risorse. L’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) presenta un bilancio della situazione ambientale del nostro continente e accompagna i dati con indicazioni concrete per chi è chiamato a prendere decisioni politiche. Lo fa nel Rapporto “State and Outlook of the Environment Report – SOER 2020”, un documento redatto ogni cinque anni sulla base delle informazioni ambientali raccolte dai 33 paesi aderenti (i 28 dell’Unione più Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera e Turchia) e da 6 cooperanti (Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Kosovo).
All’interno dell’Agenzia Europea, l’Italia è rappresentata dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e dal Ministero dell’Ambiente. Alessandro Bratti, Direttore generale dell’Ispra, è anche vicepresidente dell’Agenzia.
Il quadro delineato dal Rapporto SOER 2020 presenta tendenze ambientali, nel complesso, simili a quelle del 2015. La preoccupazione maggiore è per quello che viene definito capitale naturale: aree protette, specie animali e vegetali, consumo del suolo, inquinamento dell’aria e impatto sugli ecosistemi. Dei 13 obiettivi strategici fissati per il 2020 in questo settore, solo due – aree terrestri e aree marine protette – hanno buone probabilità di essere raggiunti. Guardando al 2030, se le attuali tendenze dovessero rimanere tali, il deterioramento dell’ambiente naturale si aggraverà e aria, acqua e suolo continueranno a essere inquinati. C’è ancora, però, la possibilità di centrare quelli a più lungo termine del 2030 e 2050.
“Il Rapporto dell’Agenzia Europea è indubbiamente preoccupante. Lo scenario europeo mostra un degrado diffuso dell’ambiente, con pochi settori in stato non negativo – ha sottolineato Alessandro Bratti intervenendo alla presentazione del Rapporto a Bruxelles – Anche se l’Italia non è al di sotto della media europea, anzi con situazioni indiscutibilmente buone, come nel caso del patrimonio naturale e delle aree protette, i nostri macrotrend non si discostano da quelli europei. I trend non positivi impongono ulteriori notevoli sforzi per l’implementazione del Green New Deal, verso il quale sono riposte grandi attese. L’impegno di Ispra è di continuare il percorso intrapreso con le ARPA/APPA per operare sempre di più in maniera sinergica”.
Progressi significativi sono stati fatti dall’Europa per quanto riguarda l’efficienza delle risorse, l’economia circolare; con qualche blocco negli ultimi mesi, diminuiscono anche le emissioni di gas serra, quelle industriali e la produzione di rifiuti. Migliora l’efficienza energetica e cresce la percentuale di energia rinnovabile. Nonostante i progressi, con difficoltà saranno raggiunti gli obiettivi energetici e climatici per il 2030 e il 2050 senza una forte sterzata.
Tendenze e proiezioni delle emissioni di gas a effetto serra nell’UE-28, 1990-2050
Gli effetti dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento atmosferico e acustico sull’ambiente e la salute umana sono ancora fonte di preoccupazione. L’esposizione al particolato, responsabile di circa 400 000 decessi prematuri in Europa ogni anno, colpisce i paesi dell’Europa centrale e orientale in modo sproporzionato. Vi è inoltre una crescente preoccupazione per le sostanze chimiche pericolose e i rischi che ne derivano. Guardando al futuro, con una migliore integrazione delle politiche sull’ambiente e la salute, le prospettive per la riduzione dei rischi ambientali per la salute potrebbero essere più ottimistiche.
Il rapporto è stato presentato mercoledì 4 dicembre a Bruxelles nella sede del Consiglio dell’Unione Europea, l’organo che riunisce in varia composizione secondo i temi affrontati i rappresentanti dei vari governi.
Dal 18 al 20 settembre a Ferrara Fiere l'evento specializzato su bonifiche dei siti contaminati, rischi ambientali, riqualificazione e rigenerazione del territorio, chimica circolare. Il Sistema nazionale di protezione dell'ambiente (Snpa), formato dalle Agenzie ambientali Arpa/Appa e Ispra propone e partecipa a diversi convegni ed eventi in programma.
Snpa propone e partecipa a diversi convegni ed eventi in programma. Sono quattro itavoli permanenti di confronto pubblico-privati, e un quinto in arrivo,promossi dal Sistema nazionale di protezione dell’ambiente (Snpa) e RemTechExpo(Bonifiche e sedimenti, Rischi naturali e clima, Economia circolare e gestione rifiuti, Industria e innovazione).
In particolare, giovedì 19 settembre dalle 9,30 si svolge un’iniziativa di aggiornamento su alcuni temi al centro della Conferenza nazionale del sistema Snpa (febbraio 2019).I saluti istituzionali e l’apertura dei lavori sono affidati a Stefano Laporta (presidente Snpa e Ispra) e a Giuseppe Bortone (direttore generale Arpae Emilia-Romagna), intervengono inoltre Chiara Braga della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati e Giuseppe Battarino (magistrato consulente della stessa Commissione). Alle 10.30 Fabio Pascarella (Ispra) presenta il quadro della situazione Snpa sulla bonifica siti contaminati. Di seguito sarà presentato lo stato di avanzamento delle attività di Gruppi di lavoro Snpa in merito alle tematiche: – Amianto – Procedure e metodi per la validazione dei dati – Valutazione del mercurio nelle matrici ambientali – Sedimenti e acque interne – Il database nazionale SNPA dei siti oggetto di procedimento di bonifica Saranno poi illustrati esempi di collaborazione tra Agenzie e Ispra.
Prima delle conclusioni, affidate a Alessandro Bratti (direttore generale Ispra), si svolgerà un confronto tra soggetti interessati in merito alle linee guida soilgas.
È ufficiale: il decreto FER 1 è stato firmato dai Ministri dello Sviluppo economico e dell'Ambiente, e quindi inviato per la registrazione alla Corte dei Conti prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Secondo i dati riportati nel comunicato stampa del MiSE, l'attuazione del provvedimento consentirà la realizzazione di impianti per una potenza complessiva di circa 8.000 MW, con un aumento della produzione da fonti rinnovabili di circa 12 miliardi di kWh e con investimenti attivati stimati nell’ordine di 10 miliardi di euro.
Per quanto riguarda il regime di sostegno all'idroelettrico, intorno al quale negli ultimi mesi si erano concentrate le attenzioni del Governo e della Commissione Ue, risulta che "saranno ammessi agli incentivi solo gli impianti idroelettrici in possesso di determinati requisiti che consentano la tutela dei corpi idrici, e in base a una valutazione dell’Arpa". Il comunicato stampa del MiSE conferma anche il premio di 12 €/MWh - in aggiunta agli incentivi sull’energia elettrica - per gli impianti fotovoltaici realizzati al posto delle coperture in amianto o eternit.
"Un grande lavoro di squadra dei due ministeri, Ambiente e Sviluppo economico, che darà impulso alla produzione di energia rinnovabile, creando migliaia di nuovi posti di lavoro – ha dichiarato Di Maio – e puntando alla attuazione della transizione energetica, in un’ottica di decarbonizzazione".
"E’ una vera e propria rivoluzione copernicana, un cambio di paradigma – ha commentato Costa – si premia l’autoconsumo di energia per gli impianti su edificio fino a 100 kW e l’eliminazione dell’amianto, si incentiva la produzione di energia sostenibile oltre che rinnovabile. Questo decreto è una grande opportunità di sviluppo e di tutela ambientale".
Purtroppo i due ministeri non hanno diffuso il testo definitivo del provvedimento, per il quale occorrerà attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Riferimenti
Giovedì 18 luglio a Roma sarà presentato il “Rapporto Rifiuti Speciali – edizione 2019” prodotto da Ispra, presso il Senato della Repubblica – sala Capitolare, Chiostro Santa Maria Sopra Minerva.
Il Rapporto, giunto alla sua diciannovesima edizione, è frutto di una complessa attività di raccolta, analisi ed elaborazione di dati da parte del Centro Nazionale dei Rifiuti e dell’Economia Circolare dell’ISPRA, con il contributo delle Agenzie regionali e provinciali per la Protezione dell’Ambiente, in attuazione di uno specifico compito istituzionale previsto dall’art.189 del d.lgs. n.152/2006.
Il Rapporto Rifiuti Speciali – Edizione 2019 fornisce i dati, all’anno 2017, sulla produzione e gestione dei rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi, a livello nazionale e regionale, e per la gestione anche a livello provinciale; e sull’import/export.
Attraverso un efficace e completo sistema conoscitivo sui rifiuti, si intende fornire un quadro di informazioni oggettivo, puntuale e sempre aggiornato di supporto al legislatore per orientare politiche e interventi adeguati, per monitorarne l’efficacia, introducendo, se necessario, eventuali misure correttive.
Per partecipare a questo evento è necessario registrarsi L’accesso in sala è consentito con abbigliamento consono e per gli uomini obbligo di giacca e cravatta.
Ok allo schema di decreto sul regolamento del personale ispettivo del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente. Le ispezioni potranno anche essere sollecitate online dai cittadini
Il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente punta sulle sentinelle del territorio. La decisione arriva con il via libera in Consiglio dei ministri dello schema di decreto del Presidente della Repubblica sul regolamento del personale ispettivo del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA).
Lo schema di decreto adottato, in pratica, disciplina le modalità di individuazione del personale incaricato degli interventi ispettivi, le competenze, i criteri generali per lo svolgimento delle attività e le modalità per la segnalazione di illeciti ambientali da parte di enti e di cittadini, singoli o associati. Il provvedimento adotta inoltre il codice etico concernente il personale ispettivo del SNPA.
Gli addetti agli interventi ispettivi saranno individuati da ISPRA e ARPA tra il personale in possesso di adeguata qualificazione comprovata dai titoli di studio e dall’esperienza maturata nei settori specifici di attività. Una volta superata la selezione per titoli di studio ed esperienza, ci sarà un apposito percorso formativo che prevede anche l’affiancamento al personale in servizio, al termine del quale sarà acquisita la qualifica di ispettore. La formazione non si limita alla fase iniziale, ma è continua: il personale incaricato degli interventi ispettivi dovrà infatti seguire percorsi di aggiornamento annuale.
Nel dettaglio, ISPRA e ARPA sceglieranno come personale ispettivo coloro che, nell’esercizio della funzione, assumeranno la qualifica di polizia giudiziaria con incremento dell’azione di contrasto agli illeciti ambientali.
Il provvedimento specifica anche i criteri per lo svolgimento dell’attività ispettiva. Il personale, inoltre, deve essere dotato di un tesserino di riconoscimento da esibire al momento dell’accesso a siti o impianti.
La questione non è meramente tecnica e riguarda tutti, anche i cittadini. Il decreto stabilisce infatti che chiunque, in forma singola o associata, possa segnalare a ISPRA e ARPA gli illeciti ambientali utilizzando un modulo disponibile sui siti istituzionali degli enti. Le segnalazioni dovranno essere circostanziate e riguardare fatti riscontrabili e conosciuti direttamente dal denunciante, tempo e luogo e ogni altro elemento utile ad identificare chi ha posto in essere l’illecito, inclusa eventuale documentazione fotografica.
“Si tratta – ha commentato il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa – di un importante passo in avanti nel contrasto all’azione di chi pone in essere condotte che danneggiano ambiente. Da oggi avremo a nostra disposizione uno strumento in più, certi di poter contare sull’esperienza e sulla passione di chi già da tempo si occupa di ambiente. Non solo. Con questo decreto abbiamo fornito uno strumento ulteriore ai cittadini, agli enti e alle associazioni che vorranno denunciare gli illeciti ambientali. Un’azione in più per scoraggiare chiunque pensi di poter inquinare, deturpare, distruggere il nostro ambiente facendola franca”.