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Presentato al Consiglio Snpa il piano della Commissione Europea “Azzerare l’inquinamento atmosferico, idrico e del suolo”




Il Consiglio straordinario odierno del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente è stato impreziosito dalla testimonianza di Silvia Bartolini (DG Ambiente, Commissione europea), che ha presentato il Piano della Commissione europea “Azzerare l’inquinamento atmosferico, idrico e del suolo“.

Il presidente Stefano Laporta ha auspicato che questo confronto privilegiato con una rappresentante della Commissione europea, propiziato da Luca De Micheli (responsabile dell’area relazioni istituzionali, europee ed internazionali di Ispra), possa ripetersi anche in futuro.

In circa mezz’ora Bartolini ha condensato la visione ambientale al 2050 del Vecchio Continente, uno sguardo di prospettiva da cui ripartire per l’attività di tutti i giorni.

“La Commissione europea ha adottato il piano di azione su inquinamento zero, che si propone una visione all’orizzonte 2050: ridurre inquinamento di aria, acqua e suolo a livelli non dannosi per la salute dei nostri cittadini e dei nostri ecosistemi, nel pieno rispetto dei limiti del nostro pianeta.

Questo piano di azione rientra nel green deal europeo ed è l’ultimo tassello di una strategia che guarda a diverse sfide: cambiamento climatico, biodiversità, scarsezza delle risorse. Prende i contributi delle altre sfide, li mette insieme e li completa in una visione olistica per raggiungere l’inquinamento zero al 2050.

Un piano urgente, per due motivi, impatto sui cittadini e ragioni economiche. Dopo il cambiamento climatico i cittadini europei temono l’effetto dell’inquinamento sulla salute; nel 2015 l’inquinamento ha provocato 9 milioni di morti premature (in Europa sono 400mila all’anno); inoltre, la lotta all’inquinamento coincide con la lotta alla disuguaglianza, dal momento che le persone più colpite sono quelle meno abbienti.
Il costo dell’inazione è molto superiore a quello dell’azione. Oggi l’inquinamento dell’aria costa fra i 330 e i 940 miliardi di euro, a seconda dei parametri considerati; le misure per migliorare la qualità dell’aria “solo” 70-80 miliardi/anno. Un aumento di +3°C potrebbe portare a perdite economiche pari a 190 miliardi di euro, e a un aumento del costo dei beni alimentari del 20% al 2050. Prevenire è meglio di curare, e bisogna agire subito, perché non agire costa molto di più.

Nel piano di azione vengono ribaditi principi già presenti nelle politiche ambientali dell’UE: precauzione e prevenzione, e chi inquina paga. Ma bisogna ristabilire le priorità: prevenire alla fonte, minimizzare gli impatti per quanto possibile e solo dopo rimediare, con una responsabilità estesa del consumatore, imputando i costi a chi causa i problemi. In quest’ottica vanno le tasse sulla plastica monouso, i mozziconi di sigarette, la revisione della direttiva acque reflue, dove si andrà anche a vedere come imputare ai produttori di sostanze chimiche e farmaceutiche il rimedio all’impatto residuale che creano.

Chiari gli obiettivi del piano di azione: -55% di morti premature per inquinamento atmosferico, -25% degli ecosistemi in cui l’inquinamento atmosferico minaccia la biodiversità (è una delle 5 minacce che riguardano un milione di specie animali), -50% nell’utilizzo di nutrienti nel suolo e pesticidi chimici, -50% nella produzione dei rifiuti urbani residui, -50% di plastica in mare, -30% microplastiche, -30% di popolazione che soffre cronicamente di inquinamento acustico. Obiettivi ambiziosi e impossibili da raggiungere se non si lavora in diversi settori con approcci integrati, dal momento che è tutto interconnesso e non si può lavorare per compartimenti stagni.

Tre le aree tematiche di riferimento: migliorare la salute e il benessere delle persone, vivere nel rispetto dei limiti del nostro pianeta, cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo i nostri prodotti. Già stabilite le prossime azioni: adesso si implementa e attua la legislazione esistente, nel 2022 verranno revisionate le direttive qualità aria, reflui urbani, lista sostanze inquinanti, emissioni industriali, nel 2023 ambiente marino e acque balneari. In parallelo, bisognerà mettere ordine nel sistema di monitoraggio, concentrato in un prodotto biennale “zero pollution monitoring & outlook”, che darà una fotografia omogenea a livello continentale dello stato di acqua, aria e suolo.

Infine, è creata una piattaforma “zero pollution stakeholder platform”, per far sì che ci si possa parlare e consultare in maniera integrata, discutere quali sono gli impatti esistenti, sostenere e condividere le best practices che si stanno attuando: avere meno nutrienti o pesticidi attraverso l’agricoltura di precisione, la mobilitò intelligente, l’uso di nuove tecnologie. Tutte iniziative che verranno presentate nella settimana verde europea 2021, iniziativa di comunicazione con diverse sessioni per raccontare quali sono gli obiettivi e approfondire cosa faremo”.

Nel dibattito successivo, il presidente Laporta ha ringraziato per gli punti di riflessioni, tecnici e metodologici, ed è stata ribadita da più parti l’importanza della correlazione fra aspetti ambientali e sanitari. Bartolini ha sottolineato come la soluzione delle politiche sanitarie dei cittadini si ritrovi anche in quelle ambientali, ed ha portato quale esempio il monitoraggio dei reflui fognari per la ricerca del Sars-CoV-2, azione pilota per il monitoraggio e la sorveglianza di altre pandemie o sostanze, chimiche, stupefacenti, resistenza agli antibiotici.

fonte: www.snpambiente.it


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Ci sono micro-plastiche nella calotta glaciale più grande d’Europa

Trovate in un’area incontaminata del ghiacciaio Vatnajokull in Islanda. Le microplastiche possono influenzare lo scioglimento e il comportamento areologico dei ghiacciai, “contribuendo all’innalzamento del livello dei mari in seguito allo scioglimento dei ghiacci”
















Sono state trovate micro-plastiche in un’area incontaminata del ghiacciaio Vatnajokull in Islanda, la più grande calotta glaciale d’Europa. E’ la prima volta che accade, e il ritrovamento è stato descritto in un articolo pubblicato su ‘Sustainability’, da parte degli scienziati dell’Università di Reykjavik, dell’Università di Goteborg, e dell’Ufficio meteorologico islandese.

Le microplastiche – viene spiegato – possono influenzare lo scioglimento e il comportamento areologico dei ghiacciai, “contribuendo all’innalzamento del livello dei mari in seguito allo scioglimento dei ghiacci”.

Il gruppo di ricerca ha identificato le particelle plastiche classificandole in varie dimensioni, grazie alla microscopia ottica e alla spettroscopia Raman (la spettroscopia Raman o spettroscopia di scattering Raman è una tecnica di analisi dei materiali basata sul fenomeno di diffusione di una radiazione elettromagnetica monocromatica da parte del campione analizzato). Lo studio sulle micro-plastiche si è concentrato principalmente sulla discussione degli effetti della contaminazione in mare; e finora sono state condotte poche ricerche sulla presenza nelle calotte glaciali terrestri. Particelle polimeriche sono state trovate nelle Alpi italiane, nelle Ande ecuadoriane e negli iceberg alle Svalbard.

Secondo Hlynur Stefansson, primo autore dell’articolo, la comprensione della distribuzione della plastica microscopica e dei suoi effetti a breve e lungo termine sulla dinamica del ghiaccio è di “vitale importanza”. “I risultati confermano che le micro-plastiche sono distribuite nell’atmosfera. Non comprendiamo abbastanza bene i percorsi delle particelle nel nostro ambiente. La plastica viene trasportata dalla neve e dalla pioggia. Dobbiamo saperne di più sulle cause. I campioni che abbiamo prelevato provengono da una posizione molto remota e incontaminata nel ghiacciaio Vatnajokull, senza un facile accesso, quindi è improbabile che la causa sia l’inquinamento diretto dall’attività umana”.

Ma in base a quanto emerso con lo studio “abbiamo anche bisogno di sapere molto di più sugli effetti a breve e lungo termine della microplastica sulla dinamica del ghiaccio”, e soprattutto se esiste un “contributo allo scioglimento dei ghiacciai. Perché in questo caso potrebbe giocare un ruolo fondamentale nell’innalzamento del livello dei mari. Le particelle […] si degradano molto lentamente in un ambiente freddo, dove possono accumularsi e persistere per un tempo molto lungo. Alla fine, verranno rilasciati insieme all’acqua disciolta del ghiaccio, contribuendo all’inquinamento dell’ambiente marino. Per questo – conclude – è molto importante mappare e comprendere la presenza e la dispersione di micro-plastiche nei ghiacciai su scala globale”.

fonte: www.rinnovabili.it


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Auto elettriche: nuova vettura depura l’aria dallo smog

Auto elettriche, nuova vettura depura l'aria dallo smog: è questo il progetto presentato da Heatherwick Studio, casa di design londinese.



L’universo delle auto elettriche aiuta l’ambiente non solo riducendo le emissioni di anidride carbonica, ma anche depurando l’aria dallo smog. È quanto conferma un nuovo progetto presentato nel Regno Unito, quello di una vettura elettrica capace di assorbire gli inquinanti presenti nell’aria circostanze.

In altre parole, più si guida il veicolo maggiore sarà il quantitativo d’aria depurato. Al momento, non è dato sapere quando la vettura sarà messa in vendita per gli utenti finali.

Auto elettriche, ora depurano anche l’aria

Il concept della nuova auto elettrica è stato sviluppato dalla casa di design londinese Heatherwick Studio, per IM Motors. Il veicolo è stato ribattezzato Airo ed è stato poi presentato nel corso dell’ultimo Salone dell’Auto di Shanghai, soltanto pochissimi giorni fa.

Dal design futuristico, con tanto di sportelli semoventi, la caratteristica fondamentale di questa auto è la presenza di speciali filtri pensati per depurare l’aria circostante al mezzo. Dei bocchettoni aspirano infatti l’aria ricca di smog, trattengono le particelle più dannose e rimandano all’esterno aria perfettamente depurata. Così ha spiegato Thomas Heatherwick, fondatore di Heatherwick Studio:

Airo non è semplicemente un’altra auto elettrica che non rilascia emissioni. Invece, grazie alla tecnologia dei filtri HEPA, va oltre e aspira gli inquinanti nell’aria e prodotti di altre vetture mentre la si guida su strada.

I filtri HEPA montati sull’auto elettrica Airo sono in grado di trattenere sia i PM10 che i PM2.5, nonché il diossido di azoto. In totale, il sistema di aspirazione è in grado di trattenere il 99.97% delle particelle contaminanti presenti nello smog, di dimensioni fino a 0.3 micron.

La vettura è ora solamente in fase di concept, ma l’intenzione è quella di avviare la produzione nei prossimi due anni. Si tratta di un progetto innovativo e amico dell’ambiente che, se adottato anche da altri produttori, potrebbe rendere più veloce l’abbattimento degli inquinanti e dello smog cittadino.

Fonte: CGTN


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Limitare la parte atmosferica del ciclo della plastica

 

Le particelle e fibre di microplastica generate dalla disintegrazione di rifiuti gestiti male sono oggigiorno così diffuse che hanno un ciclo planetario analogo ai cicli biogeochimici. Nella modellazione della parte atmosferica del ciclo della plastica dimostriamo che la maggior parte delle plastiche atmosferiche derivano dalla produzione retaggio dell'accumulo continuato nell'ambiente di plastiche provenienti da rifiuti. Le strade sono dominanti nelle fonti di microplastiche negli Stati Uniti occidentali, seguite dalle emissioni marine, dall'agricoltura e da polvere generate sottovento rispetto a centri abitati. Al tasso attuale di aumento della produzione delle plastiche (circa 4% l'anno) capire le fonti e le conseguenze delle microplastiche nell'atmosfera dovrebbe essere una priorità. Nell'abstract raccontano che i loro risultati suggeriscono che le microplastiche in atmosfera nella parte occidentale degli Stati Uniti derivano primariamente da fonti secondarie di ri - emissione, incluse le strade (84%), l'oceano (11%) e polvere da suoli agricoli (5%).

https://www.pnas.org/content/118/16/e2020719118


Nadia Simonini

Rete Nazionale Rifiuti Zero
 


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Aria, al via il progetto Bigepi

Lo studio per la valutazione degli effetti dell'inquinamento atmosferico sulla salute dei cittadini su tutto il territorio italiano.



L’inquinamento atmosferico può provocare sintomi e patologie di varia natura, influendo negativamente sulla salute delle persone, specialmente quelle più vulnerabili come bambini, anziani e persone affette da patologie croniche. La qualità dell’aria dovrebbe essere un bene non negoziabile, tanto che la costituzione italiana riconosce il diritto per tutti di vivere in un ambiente sano.

Nel 2018, l’Italia ha raggiunto però il triste primato europeo di morti premature dovute all’esposizione a ossidi di azoto e ozono (derivati in modo diretto o indiretto dalla combustione civile e industriale e dal traffico automobilistico) e il secondo posto nella classifica per le morti causate dall’esposizione al particolato atmosferico (l’insieme di particelle di varie dimensioni disperse nell’aria).

Anche bassi livelli di inquinamento, se prolungati negli anni, possono determinare danni importanti sulla nostra salute. Non esistono quindi limiti sotto i quali si può stare completamente sicuri. Per questo è importante monitorare l’aria, non soltanto dove l’inquinamento è particolarmente elevato, ma anche in zone di campagna o di periferia dove i danni possono vedersi dopo diversi anni di esposizione.

Il progetto BIGEPI sfrutterà i dati raccolti in un precedente progetto, INAIL-BEEP, che ha fornito mappe molto dettagliate della concentrazione di sostanze inquinanti presenti in atmosfera, dalla scala nazionale a quella urbana, suburbana e rurale.

Grazie a INAIL-BEEP sappiamo che le persone più esposte all’inquinamento atmosferico, specialmente bambini e anziani, si ammalano e muoiono di più per malattie cardiovascolari e respiratorie, sia nelle grandi città che nelle aree rurali. Si è inoltre evidenziato che anche temperature estreme, piogge intense e rumore, possono causare danni per la salute.

Il nuovo progetto BIGEPI approfondirà i legami tra gli aspetti ambientali e la salute, correlando i dati locali di mortalità, ricoveri in ospedale e malattie o sintomatologie respiratorie con la qualità dell’ambiente, sia sul breve che sul lungo periodo; indagherà inoltre eventuali legami tra esposizione agli inquinanti e mortalità per disturbi neurologici o neurocognitivi, come per esempio la malattia di Alzheimer o la demenza senile.

In particolare, grazie a BIGEPI saremo in grado di valutare gli effetti a breve termine dell’inquinamento atmosferico e delle temperature in tutti i comuni italiani, comprese le zone industriali e i siti di bonifica.

Per alcune città campione questi effetti saranno analizzati anche sul lungo termine, per capire come un’esposizione lieve ma prolungata all’inquinamento ambientale influisca sull’aspettativa di vita e sulla salute.

Per la città di Roma, infine, lo studio prenderà in considerazione anche l’esposizione a fattori inquinanti sui luoghi di lavoro, per la loro eventuale influenza, oltre che sulle problematiche già menzionate, anche sull’insorgenza di tumori, infarti, ictus, o patologie bronchiali di tipo cronico (bronchiti croniche o enfisema polmonare).

I risultati del progetto permetteranno di aumentare la consapevolezza dei cittadini su una tematica di così grande importanza, basandosi su evidenze ottenute grazie alla ricerca scientifica, e le amministrazioni locali potranno prendere decisioni consapevoli e basate su dati molto precisi per migliorare la qualità dell’aria in favore della salute pubblica, con una speciale attenzione per le persone più a rischio.


Mappa che mostra la concentrazione media di particolato atmosferico nel nostro paese per gli anni 2013-2015 (pubblicata da Stafoggia e collaboratori su Environmental International nel 2019). Le mappe di INAIL-BEEP forniscono informazioni con un dettaglio di 1 km2

Per approfondimenti: scarica la newsletter di avvio del progetto e visita il sito

Progetto reso possibile grazie al finanziamento di INAIL nell’ambito del Bando Ricerche in Collaborazione BRiC 2019.

fonte: www.snpambiente.it


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Istat: emissioni atmosferiche 2008-2018

L'Istat ha reso noti i dati sulle emissioni atmosferiche dell’economia nazionale riferiti agli anni 2008-2018 e una stima provvisoria delle emissioni di gas climalteranti per l’anno 2019



















L'Istat ha reso disponibili i dati sulle emissioni atmosferiche a livello nazionale riferiti agli anni dal 2008 al 2018 e una stima provvisoria delle emissioni di gas climalteranti per l’anno 2019.

La serie storica riguarda le emissioni relative a
tutte le attività produttive suddivise in 64 branche di attività economica in base alla Classificazione delle attività economiche Ateco 2007 (corrispondente a livello europeo alla Nace - Statistical Classification of Economic Activities in the European Community)
3 tipologie di consumo finale delle famiglie (trasporto, riscaldamento, altro).

I dati sono riferiti a 23 sostanze inquinanti (climalteranti, acidificanti, precursori dell’ozono troposferico, polveri sottili, metalli pesanti), in particolare: anidride carbonica, protossido di azoto, metano, ossidi di azoto, ossidi di zolfo, ammoniaca, composti organici volatili non metanici, monossido di carbonio, PM10, PM2,5, arsenico, cadmio, cromo, rame, mercurio, nichel, piombo, selenio, zinco, idrofluorocarburi, perfluorocarburi, esafluoruri, trifloruro di azoto.

I conti delle emissioni atmosferiche sono conformi al Regolamento UE 691/2011 e sono calcolati in base al conto Namea (National accounting matrix including environmental accounts, ossia matrice di conti economici nazionali integrata con conti ambientali), che confronta gli aggregati socio-economici della produzione, del valore aggiunto, dell'occupazione e dei consumi finali delle famiglie con i dati relativi alle pressioni che le attività produttive e di consumo esercitano sull'ambiente.

I dati sulle emissioni atmosferiche riportate in Namea sono calcolati a partire dall’inventario nazionale delle emissioni atmosferiche, realizzato annualmente da ISPRA, dal quale scaturiscono i dati comunicati dall’Italia in sede internazionale nell’ambito della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Convention on Climate Change - Unfccc) e della Convenzione sull'inquinamento atmosferico transfrontaliero (Convention on long range transboundary air pollution – Clrtap).

ISTAT ha reso disponibili anche:
la tavola di raccordo che, per ciascun inquinante atmosferico, esplicita la relazione esistente fra le emissioni incluse nella Namea e quelle calcolate da ISPRA nell’ambito della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e della convenzione sull'inquinamento atmosferico transfrontaliero;
gli indicatori delle intensità di emissione delle attività produttive rispetto alla produzione, al valore aggiunto e alle unità di lavoro a tempo pieno (ULA).

I dati sono disponibili sulla banca dati I.Stat, nel tema “Conti nazionali”, sotto la voce Conti ambientali/Emissioni atmosferiche NAMEA (NACE Rev.2).

fonte: www.arpat.toscana.it/


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Scoperta la super-pianta capace di assorbire l’inquinamento atmosferico e ripulire l’aria

Un’umile pianta, un arbusto da siepe diffuso in tutto il mondo sfida i cambiamenti climatici e l’inquinamento atmosferico. Un nuovo studio condotto in Gran Bretagna ha scoperto che il Cotoneaster franchetii è l’arbusto che meglio riesce a pulire l’aria inquinata assorbendo parte delle pericolose sostanze emesse dagli scarichi delle auto.




Questa pianta, nota anche come Cotognastro, è un comune arbusto da siepe ed è caratterizzato da rigogliosi cespugli fatti di foglie “pelose”. Il nuovo studio condotto dagli scienziati della Royal Horticultural Society (RHS) ha scoperto che si tratta di una “super pianta” che aiuta a rafforzare l’ambiente e a migliorare la salute umana grazie alla speciale capacità di combattere l’inquinamento intrappolando le particelle nocive presenti nell’aria.

Secondo la ricerca, nei punti caldi del traffico, il Cotognastro è almeno il 20% più efficace contro l’inquinamento rispetto ad altri arbusti.


“Sulle principali strade cittadine con traffico intenso abbiamo scoperto che le specie con chiome più dense e più complesse, foglie ruvide e pelose come il cotoneaster erano le più efficaci. Sappiamo che in soli sette giorni una fitta siepe lunga un metro ben gestita assorbirà la stessa quantità di inquinamento che un’auto emette su un percorso di 500 miglia” ha detto la dott.ssa Tijana Blanusa, responsabile della ricerca.

In generale, siepi, arbusti e alberi forniscono i maggiori benefici a lungo termine per l’ambiente e per la fauna selvatica ma questa super pianta intrappola il 20% in più di emissioni rispetto ad altre esaminate, per questo potrebbe essere molto utile lungo strade trafficate nei “punti caldi” dell’inquinamento.
“Super piante” per mitigare il cambiamento climatico

Negli ultimi 10 anni, gli scienziati di tutto il mondo ma anche quelli della RHS hanno intensificato la loro ricerca per trovare soluzioni utili a contrastare l’inquinamento atmosferico, le ondate di calore e le inondazioni localizzate per amplificare l’impatto positivo dei giardini e degli spazi verdi sull’ambiente. Il professor Alistair Griffiths , direttore della scienza e delle collezioni di RHS, ha spiegato:


“Gli studi della RHS hanno dimostrato che i tratti sottostanti di alcune specie vegetali, come la forma delle foglie e le caratteristiche delle radici, aiutano ad alleviare numerosi problemi ambientali. Stiamo continuamente identificando nuove ‘super piante’ con qualità uniche che, se combinate con altra vegetazione, forniscono maggiori benefici e allo stesso tempo gli habitat tanto necessari alla fauna selvatica”.

Non solo cotognastro. Secondo la RHS, anche l‘edera che ricopre i muri è utilissima per il raffreddamento degli edifici e il biancospino e il ligustro aiutano ad alleviare le intense piogge estive e ridurre le inondazioni localizzate.


“Se piantati in giardini e spazi verdi in cui questi problemi ambientali sono più diffusi, potremmo fare una grande differenza nella mitigazione e nell’adattamento ai cambiamenti climatici”.

Ancora una volta è Madre Natura, coi suoi potenti strumenti, a offrirci gratuitamente le soluzioni per porre rimedio ai nostri danni.

fonte: www.greenme.it


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La caratterizzazione chimica del particolato atmosferico

 

Sono disponibili i video e presentazioni della terza edizione nazionale delle Giornate di studio e approfondimento interagenziale tenutesi il 19 e 20 novembre su “La caratterizzazione chimica del particolato atmosferico”, organizzata da ARPA Friuli Venezia Giulia e ARPA Marche. Inizialmente previste nelle città di Pesaro e Fano che si erano rese disponibili ad ospitare l’evento, a causa dell’emergenza epidemiologia in corso sono state realizzate in modalità “on-line”.


Nate nel 2016 in ARPA FVG come evento regionale, dal 2018 le Giornate sono state successivamente estese a livello nazionale (con due edizioni tenute in Toscana e Sicilia) allo scopo di allargare a livello interregionale il confronto su questo tema molto attuale.

Fulcro di questa edizione tenutasi nella regione Marche è stata la sinergia di competenze messe a disposizione dalle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente, dalle Università e da Istituti prestigiosi come l’Ispra e il CNR-IIA di Roma.

Nella prima giornata, dopo la lectio magistralis tenuta dal Prof. De Gennaro dell’Università di Bari, sono state fornite nozioni sulla tecniche chemiometriche di base per la caratterizzazione chimica del particolato (PCA e PMF), per proseguire in mattinata con l’esposizione dei casi studio che hanno riguardato le determinazioni analitiche e le elaborazioni dei dati su nuovi inquinanti ricercati nel particolato atmosferico.

La sessione pomeridiana è stata interamente dedicata alle “Evidenze dell’effetto del lockdown sulla qualità dell’aria”, durante la quale il CNR-IIA di Roma e le Agenzie Regionali di Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Valle D’Aosta e Umbria hanno fornito un quadro a livello nazionale della qualità dell’aria nei primi mesi del 2020 e durante il periodo del lockdown dovuto alla Pandemia da COVID-19. Sono state illustrate le variazioni nella composizione chimica (principalmente metalli e IPA) del PM 10 e 2.5, nonché di NO2, NO, benzene e dei loro rapporti diagnostici, descrivendo con una grande varietà di strumenti statistici una situazione in cui il peso delle sorgenti principali è stato ampiamento modificato rispetto all’abituale.

L’argomento COVID-19 è stato ripreso nella seconda giornata nella lectio magistralis del Prof. Pivato dell’Università di Padova, il quale ha offerto spunti di riflessione su argomenti molto attuali illustrando i commenti sugli studi effettuati in merito alla correlazione tra PM10 e diffusione del virus, descrivendo l’attività sperimentale in corso sulla presenza di RNA di COVID-19 nel particolato atmosferico per concludere poi con una panoramica sulle responsabilità amministrative dell’inquinamento atmosferico. Sul tema pandemia sono stati presentati anche degli studi epidemiologici a livello regionale e nazionale eseguiti ad ARPA Marche in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche.

Altra novità di questa edizione è rappresentata dal contributo fornito dal Dott. A. Di Menno Di Bucchianico dell’ISPRA, il quale ha completato il quadro della speciazione del particolato atmosferico introducendo la componente aerobiologica e illustrando, tra i vari argomenti, i meccanismi di trasporto, interazione e di monitoraggio di pollini e spore, con l’importante riferimento alla rete POLLnet che ogni settimana pubblica i bollettini dei pollini e delle spore fungine in Italia.

La seconda parte della giornata è stata interamente dedicata alla caratterizzazione del particolato atmosferico derivante dal biomass burning, argomento di grande attualità, con l’intervento di 5 Agenzie che hanno illustrato anche nuove e diverse metodologie di valutazione dell’impatto del fenomeno, specificando come questo non sia limitato alle aree rurali/montane o ai periodi invernali.

Con una media di quasi 200 partecipanti collegati online, l’evento è stato ampiamente apprezzato non solo da tutti gli operatori del settore, ma anche dalle Autorità Istituzionali, nelle persone del Presidente del SNPA Dott. Stefano Laporta, il Presidente ASSOARPA, Dott. Giuseppe Bortone, l’Assessore Regionale all’Ambiente della Regione Marche Dott. Stefano Aguzzi, i Sindaci delle città di Pesaro e Fano, Matteo Ricci e Massimo Seri, che hanno riconosciuto l’importanza della condivisione delle conoscenze sulla tematica della caratterizzazione del particolato all’interno del Sistema Nazionale della Protezione Ambientale.

LEGGI IL PROGRAMMA
SCARICA LE RELAZIONI E GUARDA I VIDEO:
Relatore: Presentazioni interventi Video
Giancarlo Marchetti
Direttore Generale ARPA Marche Introduzione all’evento https://youtu.be/u-LmQUnlWzg

Stellio Vatta
Direttore Generale ARPA Friuli Venezia Giulia Saluti istituzionali https://youtu.be/JtgZy-SSRSU
Matteo Ricci
Sindaco di Pesaro Saluti istituzionali https://youtu.be/1zHepySLZiE
Stefano Laporta
Presidente SNPA / ISPRA Saluti istituzionali https://youtu.be/cQsjCCsTHuk
Stefano Aguzzi
Assessore regionale all’ambiente Saluti istituzionali https://youtu.be/V6Errodcljs
Lectio Magistralis:
Gianluigi De Gennaro – Università di Bari La caratterizzazione chimica “on-line” https://youtu.be/gfF735vhcaI

Fabiana Scotto – ARPAE Emilia Romagna Identificazione delle sorgenti del particolato tramite modelli a recettore (PMF)
Mara Galletti – ARPA Umbria Monitoraggio in aria ambiente di PCDD, PCDF e PCB nella regione Umbria https://youtu.be/0Lm3Yq8d1J0
Annamaria Falgiani – ARPA Marche I nitro-IPA come marker di traffico navale https://youtu.be/Pq6Qbh6wMKQ
Arianna Tolloi – ARPA Friuli Venezia Giulia Confronto interregionale: Evidenze dell’ “Effetto Lockdown” sulla qualità dell’aria https://youtu.be/F52XKr9-8I4
Cristina Colombi, Vorne Giannelle – ARPA Lombardia Confronto interregionale: Evidenze dell’ “Effetto Lockdown” sulla qualità dell’aria https://youtu.be/XTADS5K-bUw
Irene Dorillo – ARPA Marche Confronto interregionale: Evidenze dell’ “Effetto Lockdown” sulla qualità dell’aria https://youtu.be/iXRUvDJvQV0
Henry Diemoz – ARPA Valle d’Aosta Confronto interregionale: Evidenze dell’ “Effetto Lockdown” sulla qualità dell’aria https://youtu.be/7vFnZp4ByRk
Lectio Magistralis:
Alberto Pivato – Università di Padova Lockdown e particolato: quali lezioni possiamo imparare?

Katiuscia di Biagio – ARPA Marche Studi epidemiologici, regionale e nazionale, sugli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla diffusione e prognosi del COVID-19
Ilaria Corbucci, Mara Galletti – ARPA Umbria Confronto interregionale: Evidenze dell’ “Effetto Lockdown” sulla qualità dell’aria https://youtu.be/xOzStMaHfTQ
Ivan Tombolato – ARPA Valle d’Aosta L’impatto delle emissioni dovute alla combustione di biomassa sulla concentrazione di PM in Valle d’Aosta https://youtu.be/sQeXNLC2mx4
Arianna Trentini, Dimitri Bacco – ARPAE Emilia Romagna … non solo riscaldamento domestico: biomass burning e il contributo del cooking a Rimini https://youtu.be/NujW2sbc2zE


Le slide sono in corso di aggiornamento la lista completa sarà disponibile all’indirizzo: https://tinyurl.com/yyvny24q


I video sono in corso di aggiornamento la playlist completa è disponibile all’indirizzo: https://www.youtube.com/playlist?list=PLXGG_mlx9nSFVFt-wL0YN6e2UPtgKOuj_

fonte: www.snpambiente.it/


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Il calo dell’inquinamento durante il lockdown ha evitato la morte di migliaia di persone. Ma ora la situazione sta tornando al livello pre-crisi.




Il crollo dell’inquinamento atmosferico causato dal lockdown, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, ha evitato almeno 15mila vite umane in 12 grandi città dall’India all’Europa. I dati elaborati dal Centre for research on energy and clean air (Crea) e riportati dall’Economist, rivelano come la diminuzione degli inquinanti atmosferici legati ai trasporti e alle industrie abbia giovato alla qualità dell’aria e salvato da malattie e morte precoce migliaia di persone.

Ma il ritorno alla cosiddetta normalità, post Covid-19, come ha rivelato il Traffic index, monitoraggio globale attuato dalla multinazionale TomTom, conferma che l’aumento della congestione urbana nei grandi centri sta già tornando ai livelli pre-pandemia. Mentre l’intensificazione del traffico veicolare, la riapertura delle fabbriche e la diffidenza nell’uso dei mezzi pubblici stanno facendo risalire alle stelle i livelli degli inquinanti cancerogeni. Esattamente come prima della crisi.

L’inquinamento atmosferico uccide 4,2 milioni di persone ogni anno

Se a oggi sono morte oltre 900mila persone nel mondo a causa del coronavirus, non si può dimenticare un dato altrettanto drammatico ed abnorme. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’esposizione all’inquinamento atmosferico causa 4,2 milioni di morti all’anno di cui almeno 600 mila bambini colpiti da infezioni respiratorie acute, provocate dall’aria tossica.

Abbiamo ancora sotto gli occhi le immagini del riscatto della natura dalla pressione antropica, durante il lockdown, riprese anche dai satelliti. Nelle aree più inquinate del mondo come in India, il blocco delle attività ha addirittura permesso, per la prima volta dopo decenni, agli abitanti di Jalandhar, nel nord dell’India, di vedere le montagne innevate dell’Himalaya, a 160 km di distanza. E i dati hanno confermato il crollo degli inquinanti. A Delhi, una delle grandi città più inquinate del mondo, l’NO2 (biossido di azoto) è sceso drasticamente durante il lockdown, da 46 microgrammi per metro cubo a marzo a 17 microgrammi all’inizio di aprile.

A Roma il calo dell’inquinamento ha salvato la vita a 1.259 persone, secondo il Crea

Secondo i ricercatori del Crea, organizzazione indipendente che studia proprio gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulle nostre vite, grazie al fermo totale del traffico e dell’industria, tra il primo gennaio 2020 e il 25 agosto, circa 4.600 persone a Delhi sono scampate alla morte a causa dell’inquinamento dell’aria. Un numero drammaticamente simile a quello dei deceduti a causa del Sars-Cov-2, purtroppo ancora in aumento.

Analogamente, i livelli di NO2 a Londra sono scesi da 36 microgrammi per metro cubo a marzo, a 24 due settimane dopo. Anche qui, gli epidemiologi hanno calcolato almeno 1.227 vite umane salvate dalla mortalità precoce per inquinamento atmosferico, 1259 per la nostra capitale Roma e 1486 per Parigi.

Il modello elaborato dal Crea ha messo a sistema tutti i fattori che incidono sulla qualità dell’inquinamento dell’aria: oltre alle attività umane, anche le condizioni atmosferiche. Modello che ha rivelato come i livelli di biossido di azoto (NO2) siano diminuiti di circa il 27 per cento già dieci giorni dopo che i governi avevano emesso le restrizioni domiciliari, rispetto allo stesso periodo del biennio 2017-19. I livelli di particolato ultrafine (Pm2,5), cancerogeno, sono diminuiti in media di circa il 5 per cento dei campioni relativi alle 12 città prese in esame. Ovvero Delhi, Bangalore in India; Parigi, Roma, Londra, Madrid, Berlino, Brussels e Varsavia in Europa; New York, Los Angeles e Santiago nelle Americhe.

Anche in Italia allo studio i dati su decessi, agenti inquinanti e Covid-19

Dati che confermano quanto rilevato in Italia anche dall’analisi Life PrepAir sulla qualità dell’aria nel bacino padano nelle settimane di emergenza coronavirus. Secondo le Agenzie regionali per l’ambiente di Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia la diminuzione del traffico ha fatto scendere del 30-40 per cento gli ossidi di azoto (NOx) e tra il 7 ed il 14 per cento il Pm10. Come fanno rilevare sempre i ricercatori del Crea, in un altro report non ancora sottoposto a peer-reviewed (revisione tra pari, sistema di controllo reciproco tra scienziati sugli studi), si stanno studiando i collegamenti tra l’esposizione all’NO2 e i decessi dovuti a Covid-19.

Anche l’Istituto superiore di sanità italiano ha iniziato a monitorare le connessioni tra inquinamento atmosferico e Covid-19 affermando che “l’incertezza che ancora riguarda molti aspetti di questa epidemia richiede quindi una certa cautela e un approfondimento delle eventuali relazioni causa-effetto”.

Ma un dato di fatto è certo: l’inquinamento atmosferico causa gravi infezioni respiratorie e aumenta il rischio di asma, malattie cardiache, ipertensione e cancro ai polmoni. Tutte condizioni di salute che, se preesistenti nei cittadini, peggiorano i sintomi del Covid-19.

Rosi Battaglia


fonte: https://www.lifegate.it


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Basta NOx: per salvarci la vita dobbiamo cambiare mobilità

Per ridurre l’inquinamento atmosferico e tutelare la salute, servono trasporti sostenibili per noi e per l’ambiente. Parola dell’epidemiologa Carla Ancona.




Uno dei pochissimi effetti positivi innescati dal lockdown a causa della pandemia da coronavirus è stato il calo, soprattutto in pianura Padana, di molti inquinanti atmosferici tra cui i temibili NOx, gli ossidi di azoto, prodotti dalla combustione dei motori di autoveicoli e camion. Sigla che comprende genericamente sia l’ossido di azoto, NO, che il biossido di azoto, NO2. Quest’ultimo, gas bruno di odore acre e pungente è il più pericoloso per la salute umana, altamente irritante per il nostro apparato respiratorio. Tanto che altera le funzioni polmonari, innescando bronchiti croniche, asma ed enfisema polmonare.

Secondo i dati rilevati dalle agenzie regionali per l’ambiente, con il fermo della mobilità le percentuali di presenza nell’aria di NOx sono scese del 40 per cento. Un dato importante per la salute pubblica. Insieme al particolato fine, già cancerogeno secondo lo Iarc, e all’ozono troposferico, il biossido di azoto (NO2), infatti, è responsabile della mortalità precoce, ogni anno, di almeno 76.200 persone in Italia.

Ecco, quindi, come il blocco della mobilità si è rivelato un insperato sollievo per i polmoni di chi vive in aree cronicamente inquinate come la Lombardia, funestata, forse non a caso, anche dal coronavirus. “Le immagini satellitari dei mesi scorsi hanno anticipato una realtà più complessa, su cui agiscono anche i fattori metereologici. Ma un dato è certo: il crollo del traffico veicolare ha fatto diminuire la presenza di NOx nell’aria- sottolinea a LifeGate Carla Ancona, epidemiologa ambientale del Dipartimento di epidemiologia della regione Lazio. Valori che sono tornati a risalire con la riapertura, durante il mese di maggio, come le immagini del satellite Copernicus hanno già rivelato.
Senza traffico crolla la presenza di NOx nell’aria

I risultati della recentissima analisi Life PrepAir sulla qualità dell’aria nel bacino padano nelle settimane di emergenza coronavirus, lo confermano ampiamente. Secondo i dati forniti dalle Arpa di Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia, la diminuzione dei flussi di traffico automobilistico e commerciale ha fatto scendere del 30-40 per cento gli ossidi di azoto (NOx) e tra il 7 ed il 14 per cento il PM10.

“In quest’ultimo caso, bisogna ricordare – precisa Carla Ancona- che le riduzioni della circolazione degli automezzi sono state controbilanciate dalle emissioni dovute invece ai riscaldamenti”. Le sole emissioni che non si sono ridotte sono quelle dell’ammoniaca proveniente dalle attività agricole intensive e zootecniche, che non hanno subito variazioni durante il lockdown.





















































                                                                                                  












Effetti delle misure di contenimento del Covid-19 sui principali settori emissivi nel bacino padano © Life Prepair.
Se l’aria è malata aumentano patologie acute tra bambini e anziani

Intanto però, sottolinea Carla Ancona, “studi nazionali e internazionali sugli effetti a breve termine come il progetto EpiAir, o a lungo termine, come il progetto Escape, dicono che di inquinamento atmosferico si muore, non abbiamo bisogno di altre evidenze scientifiche. Nell’immediato, respirare aria inquinata, in corrispondenza dell’aumento di traffico stradale, porta ad un picco di accessi al pronto soccorso”. Tra i più colpiti, ribadisce l’esperta, troviamo i soggetti più fragili: i bambini con attacchi d’asma e gli anziani con l’aggravamento delle patologie respiratore. E tra gli effetti messi in relazione ai picchi di inquinamento, anche l’infarto acuto del miocardio.

E nel lungo termine le ricadute sono ancora più gravi. “Gli studi sull’esposizione di biossido di azoto, anche sulla popolazione romana hanno quantificato l’aumento di mortalità naturale, di patologie a carico dell’apparato cardio-respiratorio e tumori”, ribadisce l’epidemiologia. Che fare, quindi, ora, nella fase post-covid? Stando ai dati forniti dal rapporto Life-PreAir, nella sola Milano e in pianura Padana la riduzione della circolazione dei veicoli nel mese di marzo 2020 ha raggiunto l’80 per cento per le auto ed il 50-60 per cento dei mezzi commerciali e pesanti. Ma ora tutto, per le esigenze sociali ed economiche è tornato come prima.



Impatto delle misure di contenimento del Covid-19 sulle emissioni di PM10 e NOx nel bacino padano © Life Prepair


Si muore, sostengono gli epidemiologi

“Certo è un momento complesso, aggravato dall’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 ma, proprio per questo non possiamo fare altro che cambiare il nostro sistema di mobilità” sottolinea Ancona. Come già nei mesi scorsi epidemiologi quali Fabrizio Bianchi e Francesco Forastiere avevano denunciato a LifeGate, occorre agire in questo senso per limitare altri danni alla salute pubblica.

“Partiamo pure dalle biciclette che possano essere usate su piste ciclabili sicure”, spiega l’epidemiologa. Fino alle auto ibride o elettriche, a basse emissioni, specie nelle grandi città. “O anche riprendere a spostarci a piedi, nelle brevi distanze. A Roma il 50 per cento degli spostamenti in auto avviene nell’arco di 5 km”. Come ha documentato uno studio epidemiologico sull’area romana, l’inquinamento atmosferico può avere anche altre conseguenze gravi, sempre sui più piccoli: le elevate concentrazioni di NOx da traffico stradale hanno ricadute sui disturbi cognitivi dei bambini. 








































L’inquinamento atmosferico ha gravi impatti sulla salute. © WHO
Bisogna cambiare sistema di mobilità: lo dice anche il gruppo di ricerca del Gse

Intanto, lo scorso maggio il gruppo di Ricerca sul sistema energetico del Gse, la società a totale partecipazione pubblica del ministero dello Sviluppo economico sull’energia, ha cercato di quantificare gli effetti del lockdown sulla qualità dell’aria a Milano e in Lombardia. Anche i curatori del rapporto confermano che nelle settimane di maggiore restrizione si è potuta osservare, con il fermo degli automezzi, la drastica riduzione delle concentrazioni di NOx (NO2) pari almeno al 30 per cento; circa 20 μg per metro cubo. Senza ombra di dubbio, affermano gli esperti, “il miglioramento significativo della qualità dell’aria si ottiene a fronte di riduzioni molto significative delle emissioni stradali”. Per fare ciò occorre, quindi, “promuovere politiche di lavoro agile, facilitare l’accesso ai servizi, incentivando la digitalizzazione”. Favorendo gli spostamenti a piedi e in bicicletta, il car sharing e l’uso di mezzi pubblici. Così come un ulteriore beneficio deriverebbe dalla sostituzione delle auto attualmente in circolazione con veicoli a basso impatto ambientale.



Lo smog ha favorito il Covid-19? Parte lo studio Pulvirus

Intanto nelle regioni del bacino padano, dove maggiori sono stati gli effetti della pandemia, sempre in collaborazione con la rete del Progetto Europeo Life Prepair, è già all’opera un gruppo di ricerca che valuterà il discusso legame tra inquinamento atmosferico e pandemia. Si chiama Pulvirus ed è promosso da Istituto superiore di sanità, Ispra, Sistema nazionale protezione ambientale ed Enea. Focus dello studio sono le interazioni fisico-chimiche e biologiche tra polveri sottili e virus e gli effetti del lockdown sull’inquinamento atmosferico e sui gas serra.

fonte: https://www.lifegate.it




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Riapertura delle scuole: un’occasione per ripensarle dal punto di vista della tutela ambientale?

Le problematiche connesse alla qualità dell’aria all’interno degli ambienti scolastici costituiscono una tematica di grande rilevanza, ancora di più in questo post Coronavirus











È all’ordine del giorno di queste settimane e lo sarà per tutta l’estate il tema della predisposizione e preparazione delle scuole alla riapertura di settembre: quali e quanti spazi, vecchi e nuovi arredi, dispositivi di sicurezza, sanificazione ed areazione….

Per istituti scolastici e amministrazioni locali questa ri-progettazione e questo sforzo, in termini finanziari ma anche di idee, può diventare la leva di un cambiamento importante se si coglie l’occasione per ripensare le nostre scuole anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale.

Ante Covid il problema della scarsa qualità ambientale degli edifici scolastici era ben nota: si pensi in primis al problema dell’esposizione al particolato e agli altri inquinanti aero-dispersi che impatta negativamente sullo sviluppo cognitivo e quindi sul rendimento scolastico degli studenti.

È stato infatti dimostrato che nelle scuole con i più bassi livelli di polveri ultrafini da traffico veicolare, particelle di carbonio e biossido di azoto, gli indicatori dello sviluppo cognitivo segnano fino a un +13% (come attenzione e capacità di memorizzazione) rispetto alle scuole con una scarsa qualità dell’aria e presenza di più alte concentrazioni di inquinanti.


Ma come siamo messi in Italia dal punto di vista dell’inquinamento indoor delle scuole?

La campagna “Che aria tira?” condotta dal Comitato Torino Respira ha rilevato la qualità dell’aria presso 121 scuole torinesi attraverso l’installazione di provette per il monitoraggio del biossido di azoto. Quello che è emerso è che
il 99% delle scuole presenta valori superiori al valore di 20 µg/m3 al di sopra del quale si osservano effetti negativi sulla salute
il 40% delle 71 scuole dell’infanzia e primarie analizzate presenta valori oltre i limiti di legge
alcune scuole del centro e persino all’interno della ZTL sono fuori dai limiti di legge.

Il progetto di ricerca “Il cambiamento è nell’aria” promosso dalla Libera Università di Bolzano – con la collaborazione di ricercatori e dottorandi dell’Università Iuav di Venezia e delle Università di Trento e Padova – e dall’azienda Agorà, ha indagato la qualità dell’aria negli edifici scolastici italiani attraverso il monitoraggio continuo di temperatura, umidità, concentrazione di CO2 e illuminamento, mettendoli in relazione anche al comportamento degli studenti e alla normativa di riferimento (in particolare, la EN 16798-1: 2019).

Sono stati quindi rilevati valori di concentrazione di CO2 che superano per più dell’80% del tempo la soglia massima suggerita; per quanto riguarda la portata di ventilazione si è attestata sotto la soglia minima prescritta per oltre il 95% del tempo di esposizione. I dati indicano anche come un ricorso alla ventilazione naturale, anche se fosse più esteso di quanto già fatto nelle due settimane (le finestre sono risultate completamente chiuse per meno della metà del tempo), difficilmente potrebbe garantire i tassi di ricambio richiesti.

Quando si pensa all’inquinamento delle scuole non possiamo dimenticare anche i problemi di carattere acustico. Uno studio condotto nell’ambito del progetto Life Gioconda a Napoli, Taranto, Ravenna ed alcuni Comuni del Valdarno inferiore ha mostrato che la maggior parte dei rumori che interessano i plessi scolastici sono quelli causati o da vicini siti industriali o dal traffico veicolare. Inoltre anche gli edifici sono risultati deficitari dal punto di vista acustico, a causa di superfici esterne non riverberanti o in grado di assorbire e disperdere i rumori, una non adeguata acustica delle aule e la mancanza di infissi in grado di diminuire il propagarsi dei rumori.

Il caso studio ha confermato l’esistenza di una correlazione tra il fastidio percepito dagli studenti e le misure del rumore fuori e dentro le aule. Già precedenti indagini sull’argomento avevano mostrato una stretta correlazione tra il fastidio percepito dai ragazzi a causa dei rumori e le loro capacità di comprensione, uso dell’attenzione, memoria e abilità matematiche.

Cosa si può fare per limitare l’inquinamento negli edifici scolastici?
Le raccomandazioni per garantire un’adeguata qualità dell’aria nelle classi elaborate dalla Cattedra UNESCO per l’educazione alla salute e lo sviluppo sostenibile e dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) prevedono dallo stop al sovraffollamento delle classi all’importanza dell’igiene personale degli alunni fino all’ottimale ventilazione e pulizia delle aule; dall’installazione di termostati e dal monitoraggio continuo di Radon e PM10/PM2.5 alla piantumazione di barriere verdi intorno agli edifici scolastici, valutando anche l’opportunità di utilizzare per l’indoor piante in grado di assorbire inquinanti e l’uso di purificatori d’aria capaci di eliminare anche i virus.

Il documento Qualità dell’aria indoor negli ambienti scolastici: strategie di monitoraggio degli inquinanti chimici e biologici, elaborato dal Gruppo di Studio Nazionale Inquinamento Indoor, consiglia la corretta scelta dei processi di efficientamento energetico finalizzato ad ottimizzare il livello di benessere e la qualità dell’aria indoor, la necessità di effettuare un regolare ricambio dell’aria, l’ammodernamento di aule, laboratori didattici specialistici, palestre, uffici, ecc., la scelta di arredi sempre più adeguati alla didattica (e non scelti perché più convenienti o recuperati), la scelta di materiali didattici e di consumo tenendo conto dei livelli emissivi di sostanze inquinanti dei singoli materiali ed ancora l’attivazione e realizzazione di programmi di tipo educativo e formativo obbligatori per gli studenti e per il personale sui potenziali rischi per la salute provenienti dall’inquinamento.

Per quanto riguarda l’inquinamento acustico utili indicazioni giungono dal già citato progetto Life Gioconda: soluzioni semplici e a basso costo potrebbero infatti essere efficacemente implementate, come ad esempio una buona manutenzione di porte e finestre per migliorare l’isolamento o l’installazione di controsoffitti per contribuire all’abbassamento del riverbero. Gli stessi studenti coinvolti nel progetto hanno avanzato suggerimenti sulla riorganizzazione delle aule, dai semplici sistemi di contenimento come mezze palline da tennis sotto le sedie o pannelli alle pareti, alla riorganizzazione del traffico esterno come la chiusura delle strade che portano alle scuole.

Si potrebbe ancora pensare ad implementare una didattica all’aperto, valorizzando lo spazio esterno agli edifici scolastici, quale occasione alternativa di apprendimento. Da uno studio, condotto dall’Istituto regionale ricerca educativa del Lazio su ragazzi delle scuole medie, emerge che due studenti su tre non sanno eseguire una capriola in avanti, non sanno andare in bicicletta o saltare su un piede solo: si tratta di tutte quelle attività all’aria aperta che hanno caratterizzato lo sviluppo e la crescita delle generazioni di ieri e che sempre più sono state sostituite da sedentarietà e chiusura dentro le abitazioni.

Il cosiddetto “disturbo pediatrico da deficit di natura”, definito per la prima volta da Richard Louv, giornalista e scrittore americano nel 2005 e poi studiato e osservato da medici e ricercatori, coinvolge proprio i bambini che vivono in agglomerati urbani e che non hanno contatti frequenti con ambienti verdi. Stare in mezzo alla natura aiuterebbe invece a muoversi e socializzare in modo diretto e autentico, favorendo l’attività sportiva e la buona salute psicofisica, e la vegetazione, anche quella cittadina, migliorerebbe le qualità dell’aria respirata e anche solo la visione di un paesaggio verde costituirebbe un’immagine positiva a livello mentale.

È stato scientificamente dimostrato che nella vita dei bambini l’assenza di panorami naturali e di semplici attività rurali o campestri può favorire condizioni di difficoltà di attenzione e socializzazione, come l’ADHA (disturbo da deficit di attenzione e iperattività), oppure facilitare la comparsa di asma, infezioni respiratorie e disordini metabolici come l’obesità.

L’educazione all’aperto, oltre ai benefici sopra descritti, potrebbe inoltre offrire un modello in grado di garantire il distanziamento sociale, tanto richiesto in questa fase post pandemia.

L’anno scolastico che si aprirà a settembre vedrà l’introduzione – nelle scuole di ogni ordine e grado – dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica, che comprende anche l’educazione ambientale. Che sia di auspicio per passare dalle parole ai fatti, dall’insegnamento alla pratica?

fonte: https://www.snpambiente.it/


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