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Nel 2017 bruciare i combustibili fossili ha causato 1 milione di morti

Quanto il PM2,5 contribuisce a malattie e mortalità in oltre 200 Paesi



Lo studio “Source sector and fuel contributions to ambient PM2,5 and attributable mortality across multiple spatial scales”, pubblicatio su Nature Communications da un team interdisciplinare di ricercatori di tutto il mondo, ha esaminato in modo completo le fonti e gli effetti sulla salute dell’inquinamento atmosferico, non solo a livello globale, ma anche per ogni singolo Paese: più di 200, scoprendo che «Nel 2017, in tutto il mondo più di un milione di morti erano attribuibili alla combustione di combustibili fossili. Più della metà di questi decessi era attribuibile al carbone».

I ricercatori ricordano che «L’inquinamento è allo stesso tempo una crisi globale e un problema personale devastante. Viene analizzato dai satelliti, ma il PM2,5 – minuscole particelle che possono infiltrarsi nei polmoni di una persona – può anche far ammalare una persona che cucina la cena ogni sera su un fornello».

Uno degli autori dello studio, Randall Martin del Department of energy, environmental, and chemical engineering della Washington University – St. Louis, conferma che «Il PM2,25 è il principale fattore di rischio ambientale per la mortalità al mondo. Il nostro obiettivo principale è comprenderne le fonti». Martin ha condotto lo studio insieme a Michael Brauer, della School of population and public health dell’università della British Columbia e i due ricercatori hanno lavorato su un dataset e strumenti specifici dell’Institute for Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington, del Joint Global Change Research Institute dell’Università del Maryland e del Pacific Northwest National Laboratory e avvalendosi della colaborazione di altri scienziati, università e organizzazioni di tutto il mondo , accumulando una grande quantità di dati, strumenti analitici e risorse intellettuali.

La principale autrice dello studio, Erin McDuffie, una ricercatrice del laboratorio di Martin, ha utilizzato diversi strumenti di calcolo per intrecciare i dati, migliorandoli al tempo stesso, e ha sviluppato un nuovo e più completo dataset globale esistente sulle emissioni che provocano l’inquinamento atmosferico. La McDuffie ha anche apportato miglioramenti al modello GEOS-Chem, uno strumento di calcolo avanzato utilizzato nel laboratorio Martin per modellare aspetti specifici della chimica atmosferica.

Grazie a questa combinazione di emissioni e modellizzazione, il team è stato in grado di individuare diverse fonti di inquinamento atmosferico, che vanno dalla produzione di energia, alla combustione di petrolio e gas, fino alle tempeste di polvere.

Lo studio ha anche utilizzato nuove tecniche di telerilevamento satellitari per valutare l’esposizione al PM2,5 in tutto il mondo. Il team di ricercatori ha quindi inserito queste informazioni nel rapporto tra il PM2,5 e gli effetti sulla salute del Global Burden of Disease, per determinare le relazioni tra la salute e ciascuna delle oltre 20 diverse fonti di inquinamento.

La McDuffie si è chiesta: «Quanti decessi sono attribuibili all’esposizione all’inquinamento atmosferico da fonti specifiche?». La risposta che proviene dai dati è che rafforzano molto di quello che i ricercatori già sospettavano, in particolare a livelloglobale. Tuttavia, lo studio fornisce informazioni quantitative riguardo a diverse parti del mondo, individuando quali fonti sono responsabili del grave inquinamento in zone diverse.

«Ad esempio – spiega ancora la McDuffie – i fornelli e il riscaldamento domestico sono ancora responsabili del rilascio di particolato in molte regioni dell’Asia e la produzione di energia rimane un grande inquinatore su scala globale».

A svolgere un ruolo sono anche le fonti naturali: a<per esempio, nel 2017, nell’Africa subsahariana occidentale la polvere trasportata dal vento rappresentava quasi tre quarti del particolato atmosferico rispetto al tasso globale di appena il 16%.

Quando si tratta di prendere in considerazione la mitigazione del rischio, i dati di questo studio diventano particolarmente importanti e la McDuffie fa notare che «In definitiva, sarà importante considerare le fonti su scala subnazionale quando si sviluppano strategie di mitigazione per ridurre l’inquinamento atmosferico».

Martin e la McDuffie concordano sul fatto che quel che emerge chiaramente dallo studio è che «In poche parole, l’inquinamento atmosferico continua a far ammalare le persone e a ucciderle».

Il progetto ha anche implicazioni positive: sebbene dal monitoraggio dell’inquinamento venga fuori che è in aumento, emerge però che ci sono ancora molte aree che non hanno la capacità di determinare a che livello sia perché non hanno gli strumenti necessari per farlo. Ad esempio, per un Paese povero è difficile determinare quanto inquinamento è prodotto del traffico locale rispetto alle pratiche agricole o agli incendi boschivi.

La McDuffie conclude: «La buona notizia è che potremmo fornire a questi luoghi alcune delle prime informazioni sulle loro principali fonti di inquinamento. Altrimenti potrebbero non avere queste informazioni prontamente disponibili per loro. Questo fornisce dà loro un inizio».

fonte: www.greenreport.it


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Il calo dell’inquinamento durante il lockdown ha evitato la morte di migliaia di persone. Ma ora la situazione sta tornando al livello pre-crisi.




Il crollo dell’inquinamento atmosferico causato dal lockdown, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, ha evitato almeno 15mila vite umane in 12 grandi città dall’India all’Europa. I dati elaborati dal Centre for research on energy and clean air (Crea) e riportati dall’Economist, rivelano come la diminuzione degli inquinanti atmosferici legati ai trasporti e alle industrie abbia giovato alla qualità dell’aria e salvato da malattie e morte precoce migliaia di persone.

Ma il ritorno alla cosiddetta normalità, post Covid-19, come ha rivelato il Traffic index, monitoraggio globale attuato dalla multinazionale TomTom, conferma che l’aumento della congestione urbana nei grandi centri sta già tornando ai livelli pre-pandemia. Mentre l’intensificazione del traffico veicolare, la riapertura delle fabbriche e la diffidenza nell’uso dei mezzi pubblici stanno facendo risalire alle stelle i livelli degli inquinanti cancerogeni. Esattamente come prima della crisi.

L’inquinamento atmosferico uccide 4,2 milioni di persone ogni anno

Se a oggi sono morte oltre 900mila persone nel mondo a causa del coronavirus, non si può dimenticare un dato altrettanto drammatico ed abnorme. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’esposizione all’inquinamento atmosferico causa 4,2 milioni di morti all’anno di cui almeno 600 mila bambini colpiti da infezioni respiratorie acute, provocate dall’aria tossica.

Abbiamo ancora sotto gli occhi le immagini del riscatto della natura dalla pressione antropica, durante il lockdown, riprese anche dai satelliti. Nelle aree più inquinate del mondo come in India, il blocco delle attività ha addirittura permesso, per la prima volta dopo decenni, agli abitanti di Jalandhar, nel nord dell’India, di vedere le montagne innevate dell’Himalaya, a 160 km di distanza. E i dati hanno confermato il crollo degli inquinanti. A Delhi, una delle grandi città più inquinate del mondo, l’NO2 (biossido di azoto) è sceso drasticamente durante il lockdown, da 46 microgrammi per metro cubo a marzo a 17 microgrammi all’inizio di aprile.

A Roma il calo dell’inquinamento ha salvato la vita a 1.259 persone, secondo il Crea

Secondo i ricercatori del Crea, organizzazione indipendente che studia proprio gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulle nostre vite, grazie al fermo totale del traffico e dell’industria, tra il primo gennaio 2020 e il 25 agosto, circa 4.600 persone a Delhi sono scampate alla morte a causa dell’inquinamento dell’aria. Un numero drammaticamente simile a quello dei deceduti a causa del Sars-Cov-2, purtroppo ancora in aumento.

Analogamente, i livelli di NO2 a Londra sono scesi da 36 microgrammi per metro cubo a marzo, a 24 due settimane dopo. Anche qui, gli epidemiologi hanno calcolato almeno 1.227 vite umane salvate dalla mortalità precoce per inquinamento atmosferico, 1259 per la nostra capitale Roma e 1486 per Parigi.

Il modello elaborato dal Crea ha messo a sistema tutti i fattori che incidono sulla qualità dell’inquinamento dell’aria: oltre alle attività umane, anche le condizioni atmosferiche. Modello che ha rivelato come i livelli di biossido di azoto (NO2) siano diminuiti di circa il 27 per cento già dieci giorni dopo che i governi avevano emesso le restrizioni domiciliari, rispetto allo stesso periodo del biennio 2017-19. I livelli di particolato ultrafine (Pm2,5), cancerogeno, sono diminuiti in media di circa il 5 per cento dei campioni relativi alle 12 città prese in esame. Ovvero Delhi, Bangalore in India; Parigi, Roma, Londra, Madrid, Berlino, Brussels e Varsavia in Europa; New York, Los Angeles e Santiago nelle Americhe.

Anche in Italia allo studio i dati su decessi, agenti inquinanti e Covid-19

Dati che confermano quanto rilevato in Italia anche dall’analisi Life PrepAir sulla qualità dell’aria nel bacino padano nelle settimane di emergenza coronavirus. Secondo le Agenzie regionali per l’ambiente di Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia la diminuzione del traffico ha fatto scendere del 30-40 per cento gli ossidi di azoto (NOx) e tra il 7 ed il 14 per cento il Pm10. Come fanno rilevare sempre i ricercatori del Crea, in un altro report non ancora sottoposto a peer-reviewed (revisione tra pari, sistema di controllo reciproco tra scienziati sugli studi), si stanno studiando i collegamenti tra l’esposizione all’NO2 e i decessi dovuti a Covid-19.

Anche l’Istituto superiore di sanità italiano ha iniziato a monitorare le connessioni tra inquinamento atmosferico e Covid-19 affermando che “l’incertezza che ancora riguarda molti aspetti di questa epidemia richiede quindi una certa cautela e un approfondimento delle eventuali relazioni causa-effetto”.

Ma un dato di fatto è certo: l’inquinamento atmosferico causa gravi infezioni respiratorie e aumenta il rischio di asma, malattie cardiache, ipertensione e cancro ai polmoni. Tutte condizioni di salute che, se preesistenti nei cittadini, peggiorano i sintomi del Covid-19.

Rosi Battaglia


fonte: https://www.lifegate.it


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Il costo dei combustibili fossili

Ogni anno nel mondo si registrano circa 4,5 milioni di morti premature causate dall’inquinamento atmosferico prodotto dalla combustione di carbone, petrolio e gas. Oltre alla salute, gli effetti si registrano anche sull’economia globale. In l’Italia si stima che il costo causato da questo fenomeno sia di 61 miliardi di dollari annui





A Hong Kong un gruppo di attivisti indossa una mascherina anti-gas e mostra una radiografia dei polmoni - © Patrick Cho / Greenpeace










fonte: https://altreconomia.it/

Bombe sanitarie

Taranto, Terra dei Fuochi, Brescia, Livorno, Sicilia, Bussi e tanti altri. Il quinto rapporto Sentieri e quello dell'INAIL sulle malattie professionali nei siti di interesse nazionale documentano la mappa di un’Italia avvelenata e devastata in cui aumentano le malattie più gravi




Il 26 febbraio scorso moltissimi tarantini sono tornati in piazza, ad un anno di distanza dalla precedente analoga manifestazione, per chiedere la tutela della salute e una svolta vera e concreta sull’ex Ilva e l’inquinamento della città.

«Tutto l’acciaio del mondo non vale la vita di un solo bambino»: questo striscione sintetizza tutto il dramma e la voce di Taranto. Uno dei SIN (siti di interesse nazionale) più inquinati in Italia.

Quasi un anno fa è stato pubblicato il quinto rapporto Sentieri: inequivocabili le statistiche del dramma tarantino: «risulta in eccesso la mortalità per il tumore del polmone, per mesotelioma della pleura e per le malattie dell’apparato respiratorio, in particolare per le malattie respiratorie acute tra gli uomini e quelle croniche tra le donne», «l’inquinamento di origine industriale è risultato inoltre associato, nella coorte dei residenti, a un aumento del rischio di mortalità per tumori nel loro complesso e tumori della vescica, del pancreas, e leucemie», «nei sottogruppi di età infantile-giovanile, si evidenziano alcuni elementi di rilievo, quali gli eccessi in età pediatrica di tumori del sistema linfoemo-poietico totale e in particolare linfomi non Hodgkin e di sarcomi dei tessuti molli e altri extra ossei. In età giovanile si evidenzia un eccesso del 70% per l’incidenza dei tumori della tiroide al quale contribuisce soprattutto il genere femminile», «eccesso di incidenza per tutti i tumori maligni infantili pari a circa il 30%», «Neoplasie, malattie cardiache, respiratorie e digerenti tendono a concentrarsi nei quartieri prossimi al polo industriale», questi sono solo alcuni dei passaggi di un capitolo dedicato alla città. Il Rapporto INAIL 2019 relativo alle malattia professionali nei SIN, su Taranto viene rilevato che le percentuali maggiori sono negli uomini di malattie dell'orecchio interno, tumori maligni dell'apparato respiratorio e organi intratoracici, malattie della pleura, tumore maligno di tessuto mesoteliale e dei tessuti molli e nelle donne di dorsopatie, dermatiti ed eczemi e disturbi legati a stress e somatoformi.

Queste «bombe sanitarie» sono legate all’inquinamento, alla presenza di grandi industrie devastanti per l’ambiente e senza alcuno scrupolo nel distruggere la salute pubblica, ai traffici delle mafie con i rifiuti e a tanto altro. Il nostro viaggio non può che soffermarsi sulla «terra dei fuochi» campana, ma risalendo lo Stivale si trovano dati allarmanti e terribili anche nel cuore del nord.

Nel capitolo sul «Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano» si afferma che: «la mortalità generale e per tutte le principali cause è in eccesso in entrambi i generi, rispetto alla media regionale» ed evidenzia «un eccesso del tumore del fegato in entrambi i generi», «eccessi di mortalità in entrambi i generi per cirrosi» e per epatite virale, «eccessi del tumore della mammella nelle donne», «le analisi condotte in questo studio su sottogruppi di età evidenziano un eccesso di ricoverati per linfoma non Hodgkin in età pediatrica. Sono presenti eccessi in entrambi i generi della mortalità per le malattie respiratorie nel loro complesso», «il tumore della vescica è in eccesso come causa di decesso e di ricovero nei soli uomini», «il tumore dello stomaco, è in eccesso in entrambi i generi, nelle analisi della mortalità». Il rapporto INAIL segnala maggiori frequenze negli uomini di malattie della pleura, malattie polmonari da agenti esterni, malattie dell'orecchio interno, tumore maligno dell'apparato respiratorio e degli organi intratoracici e del tessuto mesoteliale e dei tessuti molli, nelle donne di disturbi dell'apparato nervoso e delle malattie della pleura.

Il capitolo sull’«Area Litorale Vesuviano» inizia sottolineando che «la mortalità generale e quella per tutti i principali gruppi di cause risultano in eccesso, rispetto alla popolazione regionale, in entrambi i generi» ed è clamoroso che siano state riscontrate carenze delle certificazioni. «Si segnala un eccesso di decessi per tumori del sistema emolinfopoietico e in particolare di leucemia linfoide tra i giovani adulti. Seppur con maggior incertezza, si osservano eccessi anche per l’intera classe delle leucemie e dei linfomi, inclusi i sottogruppi del linfoma di Hodgkin e dei linfomi non Hodgkin». Il rapporto INAIL segnala maggiori frequenze negli uomini di malattie polmonari da agenti esterni, altre malattie della pleura, tumori maligni dell'apparato respiratorio e degli organi intratoracici e nelle donne delle malattie della pleura, delle malattie polmonari da agenti esterni e dei disturbi dei tessuti molli.

A Gela «il rischio complessivo per i tumori è in eccesso in entrambi i generi, negli uomini con stima incerta», incertezze e carenze che clamorosamente si ripetono ovunque a dimostrazione che sarebbe necessaria un’attenzione e mezzi molto più attrezzati sui più delicati e drammatici fronti sanitari italiani, «i casi totali di malformazioni congenite risultano superiori al numero di casi attesi definito su base regionale. Si osservano eccessi di malformazioni congenite della parete addominale, dei genitali, dell’apparato urinario e degli arti». Il rapporto INAIL segnala maggiori frequenze negli uomini frequenze maggiori di malattie dell'orecchio interno, malattie della pleura, malattie croniche delle basse vie respiratorie e delle malattie polmonari da agenti esterni.

A Milazzo «sono stati osservati eccessi di incidenza dei mesoteliomi tra gli uomini, e dei tumori del polmone e dell’ovaio tra le donne», «la mortalità per mesotelioma pleurico è risultata in eccesso tra gli uomini» e «si rileva un eccesso dell’incidenza del tumore del rene negli uomini e nelle donne (in queste ultime, su stima incerta) come l’eccesso dei ricoverati di genere maschile per malattie urinarie, della mortalità per malattie dell’apparato urinario e per insufficienza renale cronica in entrambi i generi. Un dato che si ritiene opportuno evidenziare sono gli eccessi dell’incidenza e dei ricoverati di entrambi i generi per tumori maligni della tiroide». Il rapporto INAIL segnala maggiori frequenze negli uomini di malattie della pleura, dell'orecchio interno e polmonari da agenti esterni e tumori maligni di tessuto mesoteliale e dei tessuti molli, nelle donne di malattie della pleura.

Nelle aree industriali di Porto Torres per la mortalità «eccessi per tutte le cause, tutti i tumori e le malattie respiratorie negli uomini e nelle donne» e nelle analisi dei ricoveri «eccessi per tutte le cause naturali e per le malattie dell’apparato respiratorio», il rapporto INAIL segnala maggiori frequenze per gli uomini delle malattie dell'orecchio interno, dei disturbi dell'apparato nervoso, di dorsopatie e disturbi dei tessuti molli e nelle donne di dorsopatie, dermatiti, eczemi, disturbi dell'apparato nervoso e dei tessuti molli. Nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese «la mortalità per le principali cause è in eccesso per le malattie dell’apparato respiratorio in uomini e donne» e «l’analisi dei ricoverati per le principali cause mostra un eccesso per le malattie dell’apparato urinario in entrambi i generi». Il rapporto INAIL segnala maggiori frequenze di dorsopatie.

Soffermandoci sul centro Italia, riportiamo solo alcuni dati della Valle del Sacco nel Lazio, Bussi in Abruzzo, Piombino e Livorno in Toscana.

Valle del Sacco: «tra gli uomini la mortalità generale è in eccesso. In entrambi i generi si segnala un eccesso per patologie dell’apparato cardiovascolare», «non sono disponibili dati di incidenza oncologica per tutte le età in quanto il sito non è coperto da un registro tumori», «il numero di ricoverati per tutte le cause naturali è in eccesso nel primo anno di vita, in linea con l’atteso in età pediatrica e pediatrico-adolescenziale, e in difetto tra i giovani adulti. Nel primo anno di vita l’eccesso di ricoverati riguarda anche le condizioni morbose di origine perinatale». Il rapporto INAIL segnala maggiori frequenze di dorsopatie, malattie dell'orecchio interno, della pleura e tumori maligni di tessuto mesoteliale e dei tessuti molli mentre nelle donne di dorsopatie, disturbi dei tessuti molli e dell'apparato nervoso.

Bussi: «mortalità per malattie respiratorie, in eccesso nei soli uomini, e per le malattie dell’apparato digerente nelle sole donne», «sono risultati in eccesso in entrambi i generi i tumori maligni dello stomaco, anche se negli uomini la stima è incerta, e del colon retto nelle sole donne, anch’essa sulla base di una stima incerta», «il numero di ricoverati per tutte le cause naturali risulta in eccesso rispetto all’atteso in tutte le clas-si di età analizzate compreso il primo anno di vita, sottogruppo nel quale si osserva un eccesso anche per le condizioni morbose di origine perinatale», «si segnala un eccesso di ricoverati per linfomi non Hodgkin tra i giovani adulti, sebbene caratterizzato da incertezza nella stima», «tra le ospedalizzazioni si segnala, con stima incerta, l’eccesso del tumore della mammella fra gli uomini», «il linfoma non Hodgkin è risultato in eccesso come causa di de-cesso in entrambi i generi, anche se sulla base di stime incerte».

A Piombino «il numero complessivo di nati residenti nel periodo 2002-2015 è stato di 3.332; nello stesso periodo sono stati osservati 109 casi con malformazione congenita (MC), con una prevalenza superiore all’atteso calcolato su base regionale. Sono risultate superiori all’atte-so le anomalie congenite del cuore, dei genitali e degli arti», «si segnala un numero di decessi per pneumoconiosi negli uo-mini di 5 volte superiore all’atteso regionale». Il rapporto INAIL segnala maggiori frequenze negli uomini di malattie dell'orecchio interno, polmonari da agenti esterni e della pleura e di tumori maligni dell'apparato respiratorio e degli organi intratoracici, di tessuto mesoteliale e dei tessuti molli e nelle donne di dorsopatie, dermatiti, eczemi e dei disturbi dell'apparato nervoso.

A Livorno «eccessi si osservano negli uomini e nelle donne per tutti i tumori, mentre la mortalità per le malattie del sistema circolatorio e dell’apparato digerente ri-sulta in eccesso nelle sole donne», «si osserva un eccesso di mortalità per il tumore del polmone e per il mesotelioma pleurico in entrambi i generi» e «il numero di ricoverati per tutte le cause naturali e per tutti i tumori maligni è in eccesso in entrambi i generi; un eccesso di ricoverati si osserva per le malattie dell’apparato digerente nelle donne». Il rapporto INAIL segnala maggiori frequenze negli uomini di disturbi dei tessuti molli e dell'apparato nervoso e di malattie della pleura e nelle donne di malattie dell'apparato nervoso. Da Livorno è nato il progetto di un coordinamento dei comitati attivi nei SIN italiani - le Magliette Bianche - che chiedono con forza la bonifica e il risanamento dei territori e una svolta nelle politiche ambientali e industriali italiane.

Nel profondo nord non rimane fuori da questa Spoon River sanitaria neanche la regione più piccola d’Italia, la Valle d’Aosta, con Emarese dove si segnalano miniere, amianto e discariche. «La mortalità generale, anche se con stime incerte, mostra una tendenza all’aumento».

In Piemonte è d’obbligo citare Casale Monferrato, legata alla presenza di Eternit e ad una battaglia giudiziaria, dove «la mortalità generale, quella per tutti i tumori e quella per le malattie del sistema circolatorio sono in eccesso in entrambi i generi» e per l’ospedalizzazione «si osservano eccessi per tutte le cause, per tutti i tumori e per le malattie dell’apparato digerente e un difetto per le malattie dell’apparato urinario. Le malattie del sistema circolatorio sono in eccesso nelle donne». Il rapporto INAIL segnala maggiori frequenze negli uomini di tumori maligni del tessuto mesoteliale e dei tessuti molli, di malattie polmonari da agenti esterni, dorsopatie, malattie dell'orecchio interno e altri disturbi dei tessuti molli mentre nelle donne di disturbi dei tessuti molli e dell'apparato nervoso e tumori maligni del tessuto mesoteliale e dei tessuti molli.

Tanti sono gli altri ma quest’articolo non si può che chiudere con Brescia, nel cuore della Pianura Padana, dove da decenni si staglia l’ex Caffaro. Tre anni la commissione parlamentare ecomafie scrisse che «l’inquinamento si propaga da anni e si sta espandendo sempre di più verso i siti esterni dello stabilimento, interessando ad oggi anche aree esterne alla perimetrazione del SIN Brescia – Caffaro» e «l’acqua della falda acquifera emunta dallo stabilimento non è adeguatamente decontaminata e lo scarico di tali acque sta, a sua volta, contaminando sia le acque, sia i sedimenti delle rogge acquifere circostanti». Il rapporto Sentieri riporta, tra le altre statistiche, che «nel primo anno di vita si osserva un aumento della mortalità per le condizioni morbose di origine perinatale; tra gli adolescenti si rileva un aumento di decessi per tutti i tumori rispetto all’atteso», «un eccesso di tumori del sistema linfoemopoietico in età adolescenziale nel genere femminile» e «un eccesso di tumori delle cellule germinali e trofoblastici e gonadici in età giovanile, caratterizzato però da un grado di incertezza che ne limita l’interpretazione». Il rapporto INAIL segnala maggiori frequenze negli uomini di dorsopatie, tumori maligni dell'apparato respiratorio e degli organi intratoracici, del tessuto mesoteliale e dei tessuti molli, delle malattie croniche delle basse vie respiratorie e nelle donne di dorsopatie.

Nella parte iniziale il quinto rapporto Sentieri cita i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’inquinamento atmosferico, sempre sottovalutato e il cui contrasto viene sempre sacrificato alle ragioni del PIL, della crescita economica e degli interessi delle lobby industriali. Secondo le stime dell’organismo internazionale l’inquinamento atmosferico causa «nel mondo circa 3,7 milioni di decessi all’anno, 800.000 solo in Europa; esso è responsabile di 6,3 milioni di anni di vita persi e del 3% della mortalità cardio-respiratoria». Nelle pagine successive leggiamo che «negli ultimi cinquant’anni, nei Paesi industrializzati serviti da registri tumori, si è assistito a un incremento dell’incidenza dei tumori maligni della mammella femminile, prostata, testicolo, ovaio e tiroide. Anche se molteplici fattori possono avere contribuito a questa tendenza, la rapidità con cui è avvenuto l’incremento non può essere spiegata solo in termini di genetica, miglioramento delle tecniche diagnostiche e cambiamenti degli stili di vita. Attualmente, si sta rafforzando l’ipotesi che l’incremento di queste neoplasie possa essere parzialmente correlato all’esposizione a inquinanti ambientali, alcuni dei quali con proprietà di interferenza endocrina».

Ognuna di queste statistiche è frutto di storie, vicende, lotte, giustizia mai arrivata, drammi di popolazioni che da troppi decenni subiscono l’avvelenamento e la devastazione ambientale. E’ un dramma che quotidianamente si sta consumando accanto a noi, nella totale indifferenza. In queste settimane l’Italia ha scoperto gli effetti nefasti dei tagli alla sanità (ma anche della corruzione e del clientelismo imperanti), l’importanza della salute e che anche nel 2020 le malattie uccidono.

fonte: https://www.wordnews.it

Tossicologia ambientale, seconda Summer School a Napoli























Da marzo a maggio 2020, a Napoli, l’Ordine Nazionale dei Biologi organizza la seconda edizione della “Summer school of environmental toxicology 2020. Effetti dell’inquinamento sulla salute umana: principali patologie causa di mortalità nei paesi industrializzati”.

L’evento è realizzato in collaborazione con l’Arpa Campania. Questa edizione della Summer school sarà aperta anche a medici, farmacisti e chimici (oltre che ai biologi), pertanto le attività didattiche saranno implementate con approfondimenti di clinica medica.

L’Ordine dei Biologi assegnerà una borsa di studio per un valore di 12mila euro allo stagista biologo primo classificato, che potrà frequentare per un anno i laboratori di Arpa Campania.

Tutte le informazioni su come iscriversi sono disponibili sul sito dell’Onb.

fonte: https://www.snpambiente.it

L’INQUINAMENTO DA PARTICOLATO AUMENTA LA MORTALITÀ GIORNALIERA



È uscito un nuovo studio scientifico vasto multicentrico internazionale sugli effetti dell’inquinamento da particolato PM10 e PM2,5 sulla mortalità giornaliera , è pubblicato sulla importante rivista scientifica New England Journal of  Medicine. I dati  provengono da 652 aree urbane in 24 diversi paesi o regioni e sono relativi al periodo 1986 -2015; molte delle città si trovano nell’emisfero nord. I dati forniscono evidenze di associazioni positive tra esposizioni a breve termine di PM10 e PM2,5 e mortalità giornaliera per tutte le cause, per problemi cardiovascolari e respiratori…..le associazioni sono ancora rilevabili a concentrazioni al di sotto (di quelle stabilite) dalle attuali linee guida sulla qualità dell’aria  e dai  limiti di legge.

Ovvero  la mortalità giornaliera  aumenta tra chi è esposto all’inquinamento da PM10 e PM2,5  anche se detti particolati sono presenti in quantità più basse di quelle stabilite nei limiti di legge


NEJM pollution
https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1817364


Nadia Simonini


Rete Nazionale dei Comitati Rifiuti Zero     

Dopo Aver Inquinato Il Nostro Futuro, Ha Senso Fare Figli E Condannare Anche Loro?
















Alexandria Ocasio-Cortez, la giovane deputata democratica americana, qualche mese fa in una diretta Instagram ha posto una questione che ha sollevato tante polemiche e che ha indubbiamente scosso le coscienze di molti: “I giovani hanno una domanda legittima: è ancora giusto voler avere dei figli?”.

L’interrogativo non si riferisce soltanto alle crescenti difficoltà economiche che i giovani affrontano in tutto il mondo occidentale, ma nasce soprattutto per i cambiamenti climatici causati dall’uomo che stanno rendendo il pianeta sempre più inospitale. Ocasio-Cortez la ritiene una questione etica: anche chi non ha figli o non vuole averne è comunque investito da un obbligo morale nei confronti dei bambini già nati: il dovere di lasciargli un mondo migliore.

“È necessario che tutti percepiscano l’urgenza del problema climatico,” ha aggiunto la deputata, “i politici che propongono di promulgare leggi annacquate, ci stanno uccidendo […] oggi la domanda non è più se le persone riconoscono il disastro dei cambiamenti climatici, la questione è quanto urgentemente vogliamo agire per trovare delle reali soluzioni”. I detrattori di Ocasio-Cortez hanno riportato la notizia con titoli semplicistici come “La deputata democratica afferma che le persone dovrebbero smetterla di procreare”.

A volte, la nascita di gruppi radicali come quelli del “Birthstrike” animato da giovani che dichiarano di non volere figli a causa delle implicazioni di un “armageddon ecologico”, creano molto folklore ma pochi dibattiti costruttivi. Eppure, questo tema è uno spunto da cui partire per analizzare e comprendere la crescente sfiducia che, anche in Italia, coinvolge le persone della fascia di età tra i 24 e i 35 anni inibendole nel compiere scelte importanti per il loro futuro.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha stimato che tra il 2030 e il 2050 circa 250mila persone moriranno ogni anno per cause legate ai disastri climatici. Un milione di bambini nel mondo hanno già problemi respiratori legati all’inquinamento atmosferico, che sono la causa del 12% dei ricoveri pediatrici in Italia. Lo scorso dicembre, il presidente dell’Istituto superiore della Sanità, Walter Ricciardi, in un’intervista rilasciata al magazine di settore Sanità informazione ha detto chiaramente che “Il cambiamento climatico sta uccidendo le persone, soprattutto i bambini”.



Un recente studio intitolato L’impatto del cambiamento climatico sulla fertilità pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Research Letters ha arricchito il discorso con un dato ancora più preoccupante: è stato provato che gli sconvolgimenti ambientali influenzano i modelli di fertilità in maniera diversa tra Paesi poveri e Paesi ricchi. Negli Stati in via di sviluppo, tendenzialmente la fertilità aumenta per rispondere al bisogno di manodopera che possa lavorare la terra, ma si riduce l’accesso all’istruzione a causa delle scarse possibilità economiche dei genitori. In quelli più sviluppati la fertilità diminuisce, ma per i bambini nati aumentano le possibilità di accesso all’istruzione e la sua qualità. Secondo lo studio “I danni climatici che aumentano il ritorno al lavoro agricolo ridurranno anche il rendimento relativo all’istruzione. La teoria economica e i risultati della ricerca, quindi, suggeriscono che i genitori si adatteranno all’aumento del prezzo relativo [della crescita di un figlio] spendendo meno risorse per educare i bambini e più risorse per aumentare la fertilità”.

I ricercatori hanno poi affrontato un ulteriore problema generato dai disastri ambientali, ossia l’aggravarsi del divario salariale di genere. In molte società è sulle donne che ricade la maggior parte della responsabilità nel crescere i figli: lo studio afferma che nelle società sviluppate, dove in media è richiesta un’istruzione più elevata, le donne risultano maggiormente coinvolte nel mercato del lavoro, guadagnano più di quanto viene offerto loro nelle economie arretrate e di conseguenza, aumentando per loro il costo-opportunità della gestione dei figli, diminuiscono le nascite. Al contrario, siccome gli uomini hanno un vantaggio rispetto alla popolazione femminile nei lavori manuali, nelle economie legate all’agricoltura “il costo-opportunità per le donne di crescere i figli può diminuire, portando ad un aumento della fertilità”, scrivono i ricercatori.



Gli ultimi dati spiegano anche il livello di gravità del problema nei Paesi occidentali, dove il calo delle nascite – che fino a pochi anni fa era imputabile principalmente alla crisi economica – ora soffre un’ulteriore complicazione: la paura di generare figli in un mondo malato e inospitale. In un Paese come l’Italia, la notizia ha dei risvolti ancora più gravi perché va a sommarsi alle poco rassicuranti tendenze dal punto di vista demografico. I dati Istat sulla natalità, pubblicati a febbraio 2019, confermano il calo costante delle nascite: nel 2018 si sono contate 449mila nascite, 9mila in meno del record negativo registrato nel 2017. Rispetto a dieci anni fa risultano 128mila nati in meno. Allo stesso tempo la popolazione invecchia progressivamente: al primo gennaio 2019, le persone con più di 65 anni in Italia sono quasi 14 milioni, il 22,8% della popolazione totale, mentre i giovani con meno di 14 anni sono circa 8 milioni. In Italia manca il ricambio generazionale perché non si fanno figli, spesso per i timori legati alla precarietà o all’assenza del lavoro, ai cambiamenti climatici, alla politica nazionale e internazionale.

Una parte della società fa sentire in colpa i giovani per i cambiamenti climatici a un punto tale che, in casi estremi, li spinge a chiedersi se sia giusto o meno procreare, e offusca la natura sistemica della crisi. Inoltre assolve i principali colpevoli – le corporazioni del combustibile fossile e l’immobilismo in materia dei governi globali – dalle loro responsabilità. A livello internazionale i Paesi si incontrano annualmente per tracciare linee guida per attuare l’accordo globale sul clima adottato a Parigi nel 2015: l’ultima volta è stata a dicembre 2018 in occasione del COP24 di Katowice in Polonia. Questi summit, anche se mossi dalle migliori intenzioni, agiscono troppo lentamente rispetto all’evolversi dell’emergenza climatica, soprattutto perché non riescono a smuovere la coscienza dei governi che guidano i Paesi più inquinanti al mondo.

Negli Stati Uniti Trump ha negato per anni l’esistenza del riscaldamento globale e da presidente ha formalmente dichiarato di non voler applicare l’accordo di Parigi. Solo durante la sua visita in Inghilterra questo giugno ha ammesso che i cambiamenti climatici sono in corso per poi attribuirne la responsabilità a Cina e Russia.



Dall’opposizione americana è arrivata una risoluzione congressuale denominata Green new deal, che ha tra i più accaniti sostenitori proprio Alexandria Ocasio-Cortez: un programma socioeconomico ambizioso che si prefissa di interrompere l’uso dei combustibili fossili per poi traghettare il sistema produttivo statunitense verso l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili al 100%, creando contemporaneamente posti di lavoro e stimolando l’economia. Pochi giorni fa la deputata democratica ha dichiarato che il progetto costerebbe agli Stati Uniti 10mila miliardi di dollari, una cifra enorme che rende ancora più chiara la misura della gravità del problema e l’ingente investimento necessario per risolverlo.

In Italia né dal governo né dall’opposizione emergono politiche che sembrano voler rispondere in modo incisivo a questi timori, evidenziando le prospettive limitate dei nostri politici emerse con le ultime elezioni europee, dove in Italia il tema dell’ambiente è stato a malapena toccato nella campagna elettorale. L’indifferenza della classe dirigente è resa ancora più grave dal susseguirsi da mesi di manifestazioni pubbliche, promosse soprattutto da parte della popolazione più giovane – le ultime sono quelle del movimento Global strike for future –, che chiedono di porre nell’agenda politica la nota che riguarda il cambiamento climatico. Nel recente Rapporto sulla sicurezza e l’insicurezza in Italia e in Europa stilato per Demos & Pi e Fondazione Unipolis sono sintetizzate le paure degli italiani in tre indici: “insicurezza globale”, “insicurezza economica” e “insicurezza legata alla criminalità”. La prima voce detiene il primato con il 75% degli intervistati, e tra i punti che la compongono vi sono i timori legati all’inquinamento, alla distruzione 
dell’ambiente e della natura.

 
Manifestanti prendono parte alla ‘Fridays for Future’ in Piazza del Popolo, Roma, 2019

Il dato è importante e indica che in Italia vi è un aumento della preoccupazione sul tema ambientale, ma il rischio, come scrive il sociologo e direttore del rapporto Ilvo Diamanti, è che i timori vengano “normalizzati”. La preoccupazione è che i cittadini accettino di convivere a malincuore con l’emergenza climatica, al massimo scendendo in piazza quando il problema bussa alla loro porta, ma che non li induca a chiedere ai politici di risolverla in maniera sistematica. I cambiamenti climatici influenzano la mancanza di fiducia nel futuro e la conseguente crescita minima della popolazione. È ovvio che la scelta di avere o meno un figlio sia personale e legata a diversi fattori, ma parlando in termini generali, si fanno figli quando si ha fiducia nel futuro, e ai giovani questa manca.

Ilvo Diamanti



L’Italia, in particolare, sta ignorando ogni tipo di politica economica, occupazionale e ambientale per l’avvenire: siamo ingabbiati in discorsi miopi ancorati al “qui e oggi” senza pensare a dove dirigere i nostri sforzi per il futuro. Gli italiani sono ostaggio di una retorica che fomenta le loro paure, incattivendoli, rendendoli cinici e diffidenti su tutto e privandoli della possibilità di sognare un mondo migliore. L’ambiente è il tema che soffre di più la mala politica, perché per essere risolto ha bisogno di un pensiero rivolto a oltre le prossime elezioni. Nel 1852 il capo indiano Seattle rispose all’offerta del governo degli Stati Uniti di acquistare le loro terre che “La Terra su cui viviamo non l’abbiamo ereditata dai nostri padri, l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli”. Dobbiamo impegnarci in prima persona e in maniera collettiva per imporre ai nostri politici di attivarsi, anche a livello globale, per la risoluzione del problema: questo è il più grande atto di responsabilità che possiamo fare per chi verrà dopo di noi.

fonte: https://thevision.com

Il glifosato danneggia il sistema immunitario delle api. In aumento la mortalità dell’insetto


















L’aumento della mortalità delle colonie di api mellifere è stato attribuito a diversi fattori, ma non è stato ancora completamente compreso. Tra i principali accusati ci sono alcuni pesticidi neonicotinoidi, tre dei quali sono stati vietati dall’Unione europea. Sinora, tra i prodotti chimici usati in agricoltura nessuno aveva puntato l’attenzione sull’erbicida più venduto nel mondo e sotto accusa per i suoi possibili effetti cancerogeni, il glifosato. Infatti, sinora si era ritenuto che esso non fosse tossico per gli animali, dato che interferisce con un importante enzima presente solo nelle piante e nei microrganismi.  Ora, però, uno studio condotto negli Usa da ricercatori dell’Università di Austin indica che il glifosato ha anch’esso una responsabilità nel declino delle colonie di api, perché altera il loro microbioma intestinale, cioè l’ecosistema di batteri che vivono nel loro tratto digestivo, compresi quelli che lo proteggono dai batteri nocivi, esponendo le api ad un maggior rischio di infezioni.
Nel corso della ricerca, pubblicata dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, alcune api mellifere sono state esposte a livelli di glifosato analoghi a quelli usati nei campi coltivati e sui cigli stradali, dopo aver colorato il loro dorso per renderle riconoscibili e poterle riprendere. Tre giorni dopo, i ricercatori hanno osservato che l’erbicida riduceva significativamente il microbiota intestinale sano. Di otto specie dominanti di batteri benefici, nelle api esposte al glifosato quattro sono risultate essere meno abbondanti. La specie batterica più colpita è risultata essere la Snodgrassella alvi, un importante batterio che aiuta le api a metabolizzare il cibo e a difendersi dagli agenti patogeni. I ricercatori hanno rilevato che le api con microbiomi intestinali alterati avevano molte più probabilità di morire se esposte a un agente patogeno opportunistico, la Serratia marcescens, un agente patogeno diffuso che infetta le api in tutto il mondo. Circa la metà delle api con un microbioma sano era ancora in vita otto giorni dopo l’esposizione al patogeno, mentre solo circa un decimo delle api i cui microbiomi erano stati alterati dall’esposizione al glifosato erano ancora vive.
Secondo Erik Motta, che ha guidato la ricerca, c’è “bisogno di linee guida migliori per l’uso del glifosato, in particolare per quanto riguarda l’esposizione delle api, perché in questo momento le linee guida assumono le api non siano danneggiate dal diserbante. Il nostro studio dimostra che non è vero”. I risultati della ricerca sono contestati da Monsanto, che produce il RundUp a base di glifosato e che in un comunicato afferma che la ricerca dell’Università di Austin si basa su un numero relativamente piccolo di singole api e che “nessuno studio su larga scala ha mai trovato un collegamento tra il glifosato e problemi di salute delle api mellifere”. Monsanto contesta anche il fatto che il “gruppo di ricerca non ha discusso queste nuove scoperte alla luce del loro precedente lavoro, secondo cui gli antibiotici usati dagli apicoltori nei loro alveari sono la causa delle alterate comunità di microbi intestinali”.
fonte: https://ilfattoalimentare.it/