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Pesticidi, cala l’uso in Europa. E intanto si sperimentano trattamenti alternativi dagli scarti della birra








Gli agricoltori europei stanno riducendo velocemente l’impiego di pesticidi, in linea con il programma Farm to Fork, che prevede un abbattimento del 50% dei fitofarmaci in generale e di quelli pericolosi in particolare entro il 2030. Lo certificano gli ultimi dati resi noti dalla Commissione, secondo i quali, rispetto al periodo di riferimento 2015-2017, nel 2018 c’è stata una diminuzione dell’8% nell’uso di pesticidi e nel rischio di utilizzo, e nel 2019 un’ulteriore diminuzione del 5%.

Si tratta di valori incoraggianti. Tra il 2011 e il 2016, infatti, il calo medio annuale è stato del 4%, mentre negli ultimi anni questa percentuale è aumentata. Inoltre, sempre rispetto al periodo di riferimento, nel 2019 si è avuta una diminuzione del 12% dei pesticidi più pericolosi per la salute, quasi tutti candidati alla sostituzione: un dato particolarmente significativo, perché dal 2011 si era registrata invece una tendenza all’aumento.


Un gruppo di ricercatori ha sperimentato un composto a base di scarti della produzione della birra e della colza miscelato con letame fresco

Nel frattempo crescono i progetti che hanno l’obiettivo di trovare sostituti sostenibili ai pesticidi, meglio ancora se ottenuti da materiali di scarto. Uno degli esempi è stato illustrato su Frontiers in Sustainable Food Systems dai ricercatori dell’Istituto basco per la ricerca agricola e lo sviluppo di Derio, in Spagna, e si basa su un’inedita miscela: quella tra gli scarti della lavorazione della birra e della colza e il letame fresco. L’unione di questi composti, infatti, fornisce al terreno tutto ciò che serve per far sviluppare un microbiota che tiene lontani i parassiti (in particolare i nematodi) e, al tempo stesso, essendo una fonte di azoto, funziona da fertilizzante.

Per verificarne l’efficacia, i ricercatori baschi lo hanno utilizzato in una serra dove veniva coltivata lattuga. La miscela è stata testata utilizzando la tecnica della biodisinfestazione, cioè con la copertura del terreno attorno alla pianta con un telo di plastica dopo l’aggiunta di concimi, proprio per limitare il rischio di infestanti. Metà del campo è stata trattata con il solo letame e senza copertura, come controllo. All’altra metà è stato aggiunto il compost sperimentale e il telo plastico per sette settimane, mentre si effettuava un controllo regolare della temperatura del terreno a tre diverse profondità.


Il composto, oltre ad agire come fertilizzante, stimola il microbiota del terreno, riducendo malattie e parassiti e migliorando la resa

In base a quanto registrato subito prima e subito dopo il trattamento, dopo il primo raccolto e infine a un anno di distanza, tutti gli indici sono risultati a favore del compost. Infatti, il raccolto è aumentato del 15% in un anno, mentre il terreno è risultato modificato in senso positivo, soprattutto a partire dal momento del primo raccolto. È stata osservata una chiara diminuzione dei nematodi (in particolare di Meloidogyne incognita) e delle patologie delle radici a essi associate, e un aumento della presenza di specie batteriche considerate favorevoli, come confermato dall’aumento dei parametri della “respirazione” del terreno. Secondo gli autori, ci potrebbero essere anche altre miscele con sottoprodotti delle lavorazioni agricole in grado di assicurare gli stessi risultati: vale la pena di continuare a sperimentarle.

fonte: www.ilfattoalimentare.it

 

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Il glifosato danneggia il sistema immunitario delle api. In aumento la mortalità dell’insetto


















L’aumento della mortalità delle colonie di api mellifere è stato attribuito a diversi fattori, ma non è stato ancora completamente compreso. Tra i principali accusati ci sono alcuni pesticidi neonicotinoidi, tre dei quali sono stati vietati dall’Unione europea. Sinora, tra i prodotti chimici usati in agricoltura nessuno aveva puntato l’attenzione sull’erbicida più venduto nel mondo e sotto accusa per i suoi possibili effetti cancerogeni, il glifosato. Infatti, sinora si era ritenuto che esso non fosse tossico per gli animali, dato che interferisce con un importante enzima presente solo nelle piante e nei microrganismi.  Ora, però, uno studio condotto negli Usa da ricercatori dell’Università di Austin indica che il glifosato ha anch’esso una responsabilità nel declino delle colonie di api, perché altera il loro microbioma intestinale, cioè l’ecosistema di batteri che vivono nel loro tratto digestivo, compresi quelli che lo proteggono dai batteri nocivi, esponendo le api ad un maggior rischio di infezioni.
Nel corso della ricerca, pubblicata dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, alcune api mellifere sono state esposte a livelli di glifosato analoghi a quelli usati nei campi coltivati e sui cigli stradali, dopo aver colorato il loro dorso per renderle riconoscibili e poterle riprendere. Tre giorni dopo, i ricercatori hanno osservato che l’erbicida riduceva significativamente il microbiota intestinale sano. Di otto specie dominanti di batteri benefici, nelle api esposte al glifosato quattro sono risultate essere meno abbondanti. La specie batterica più colpita è risultata essere la Snodgrassella alvi, un importante batterio che aiuta le api a metabolizzare il cibo e a difendersi dagli agenti patogeni. I ricercatori hanno rilevato che le api con microbiomi intestinali alterati avevano molte più probabilità di morire se esposte a un agente patogeno opportunistico, la Serratia marcescens, un agente patogeno diffuso che infetta le api in tutto il mondo. Circa la metà delle api con un microbioma sano era ancora in vita otto giorni dopo l’esposizione al patogeno, mentre solo circa un decimo delle api i cui microbiomi erano stati alterati dall’esposizione al glifosato erano ancora vive.
Secondo Erik Motta, che ha guidato la ricerca, c’è “bisogno di linee guida migliori per l’uso del glifosato, in particolare per quanto riguarda l’esposizione delle api, perché in questo momento le linee guida assumono le api non siano danneggiate dal diserbante. Il nostro studio dimostra che non è vero”. I risultati della ricerca sono contestati da Monsanto, che produce il RundUp a base di glifosato e che in un comunicato afferma che la ricerca dell’Università di Austin si basa su un numero relativamente piccolo di singole api e che “nessuno studio su larga scala ha mai trovato un collegamento tra il glifosato e problemi di salute delle api mellifere”. Monsanto contesta anche il fatto che il “gruppo di ricerca non ha discusso queste nuove scoperte alla luce del loro precedente lavoro, secondo cui gli antibiotici usati dagli apicoltori nei loro alveari sono la causa delle alterate comunità di microbi intestinali”.
fonte: https://ilfattoalimentare.it/