Questione di futuro. Guida per famiglie eco-logiche!" è il bel libro di Linda Maggiori, educatrice, scrittrice e fondatrice di due Reti, quella delle famiglie rifiuti zero e quella delle famiglie senz'auto. Un libro che induce tutti a più di una riflessione.
I progetti LIFE Nereide e LIFE E-Via, finanziati dall’Unione Europea attraverso il programma Life, studiano una risposta all’inquinamento acustico causato dal traffico nei centri urbani, che ogni anno affligge 100 milioni di persone in tutta Europa
Una città ideale avrebbe senz’altro delle strade silenziose, percorse da auto elettriche capaci di migliorare non solo la qualità dell’aria che respiriamo, grazie a emissioni di CO2 più basse, ma anche l’impatto acustico degli spostamenti di tutti i giorni.
E proprio in Italia sono in corso due progetti Europei finanziati dal programma LIFE, Life Nereide e Life E-Via, che intendono portare soluzioni contro l’inquinamento acustico, uno dei problemi ambientali che toccano maggiormente la salute e la qualità della vita della popolazione europea. Una problematica che, anche se spesso sottovalutata, “si fa sentire” e per questo il nostro Paese sta mettendo in campo le migliori competenze per trovare soluzioni che possano arginarne gli effetti.L’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) stima, infatti, che in Europa siano oltre 100 milioni i cittadini esposti in maniera prolungata a livelli di rumore eccessivi e per questo rischiano conseguenze anche gravi per la salute. Se consideriamo i contesti urbani, la situazione si complica; qui i rumori da traffico sono più intensi e dannosi, tanto da risultare nocivi per la salute di quasi una persona su tre. È stato stimato dall’EEA che l’inquinamento acustico stradale notturno, ancora più dannoso per la salute, colpisce almeno il 20% della popolazione europea che vive nelle aree urbane.
E allora, come salvaguardare il benessere psicofisico dei cittadini dai rischi causati dall’inquinamento acustico? Alcune tra le azioni più efficaci introdotte sono la realizzazione di pavimentazioni stradali a bassa emissione sonora ottenute anche con materiali di riciclo e sfruttare l’impatto positivo di una progressiva diffusione della mobilità elettrica. Nati per analizzare i benefici possibili da una sempre maggiore diffusione di queste soluzioni, Life Nereide e Life E-Via sono due progetti che rientrano in ambito Life, il programma per azioni a favore dell’ambiente e del clima, che possano creare un valore aggiunto per l’intera Europa.
Il progetto Life Nereide, che si sta avviando alla conclusione, ha portato alla definizione delle migliori soluzioni per realizzare pavimentazioni estremamente silenziose e sostenibili, capaci di ridurre efficacemente il rumore da traffico fino a 5db grazie ad uso intelligente di materiali riciclati come polverino di gomma riciclata e il fresato d’asfalto, ossia l’asfalto rimosso da vecchie pavimentazioni.
Il progetto è guidato dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa e vede come partner la Regione Toscana, Arpat – Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, il Centro di ricerca belga BRRC, IDASC-CNR ed Ecopneus. Grazie al progetto sono state definite 12 differenti miscele bituminose, realizzate su diverse strade della Toscana; sono state poi effettuate le misurazioni acustiche sulle pavimentazioni e delle indagini sulla popolazione, per conoscere anche gli effetti concreti su chi vive nei pressi di strade ad elevato scorrimento.
Se il Progetto Life Nereide si è focalizzato sullo studio di manti stradali “silenziosi”, il Progetto Life E-Via invece, affronta il problema concentrandosi sulle potenzialità di utilizzo dei veicoli elettrici ed ibridi, studiandone l’interazione pneumatico-strada per individuare ed implementare misure di mitigazione del rumore, attraverso l’ottimizzazione sia degli pneumatici dei veicoli elettrici sia del fondo stradale, anche attraverso lo sviluppo di un nuovo asfalto “silenzioso” studiato con approccio simile a quello adottato dal progetto LIFE Nereide.
Il progetto vede coinvolti come partner il Comune di Firenze, in qualità di Coordinatore, Continental, iPOOL sr,l, l’Università Gustave Eiffel, l’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria e Vie.en.ro.se Ingegneria S.r.l..
Il 14 maggio si terrà un webinar sul tema dell’inquinamento acustico, promosso dal progetto LIFE E-Via a cui parteciperanno anche i referenti del progetto Life Nereide per una condivisione di esperienze e risultati.
Manti stradali silenziosi e le potenzialità della mobilità elettrica possono dunque essere la chiave di volta per far fronte al problema dell’inquinamento acustico. La sostenibilità è elemento cardine di entrambi i progetti, così come di primo livello sono le competenze tecnico-scientifiche che il nostro Paese ha da dispiegare, anche grazie ai progetti Life Nereide e Life E-Via, per sensibilizzare un numero sempre maggiore di persone sugli effetti negativi sulla salute dell’inquinamento acustico e per promuovere soluzioni efficaci ed attente all’ambiente.
Le fonti principali non sono le più ovvie. In più di 8 casi su 10 le particelle microscopiche di plastica derivano dal traffico stradale. Segue l’effetto dei venti sulla plastica dispersa in mare, quindi quella abbandonata al suolo. Le discariche urbane di plastica pesano relativamente poco
C’è ormai un ciclo globale delle microplastiche, così come c’è il ciclo del carbonio. Una ‘plastificazione’ del pianeta con le particelle che passano dall’atmosfera ai suoli e alle acque. Tanto che l’inquinamento da materie plastiche è diventato il problema ambientale più pressante del 21° secolo. Lo sostiene un team di ricercatori in un nuovo studio pubblicato su PNAS, che si concentra sulla dimensione atmosferica delle microplastiche.
La ricerca combina delle osservazioni sul campo, che hanno rilevato la presenza e la concentrazione di microplastiche in diversi ambienti degli Stati Uniti occidentali, e un modello di trasporto atmosferico. La domanda che si sono posti gli studiosi è semplice: da dove vengono le micro particelle di plastica che viaggiano in atmosfera?
“Utilizzando la nostra migliore stima delle fonti di plastica e dei percorsi di trasporto elaborati dal nostro modello, la maggior parte dei continenti sono importatori netti di plastica dall’ambiente marino”, si legge nell’articolo, che individua il traffico stradale come un altro importante fattore da considerare. Questo sottolinea “il ruolo cumulativo dell’inquinamento nella quantità di plastica presente in atmosfera”. Con gravi conseguenze per la salute umana, a partire da seri disturbi dell’apparato respiratorio. Per Natalie Mahowald della Cornell University, parte del team di ricerca, “quello che stiamo vedendo in questo momento è l’accumulo di plastica mal gestita che sta aumentando. Alcune persone pensano che aumenterà di dieci volte” ogni decennio.
Praticamente nessuno dei campioni di microplastiche prelevate proveniva da quella che può sembrare la fonte più ovvia, cioè le discariche di plastica nelle città. Al contrario, il grosso delle microplastiche arriva dal traffico stradale e dagli oceani, attraverso i venti. “In modo simile ai cicli biogeochimici globali, la plastica ora si muove a spirale intorno al globo con tempi di residenza atmosferici, oceanici, criosferici e terrestri distinti”.
In base ai dati in loro possesso, i ricercatori stimano che le strade siano il fattore dominante per l’inquinamento da microplastiche negli Stati Uniti occidentali. Il traffico è legato a circa l’85% delle microplastiche presenti nell’aria, che derivano da particelle di pneumatici e pastiglie dei freni. Gli oceani sono la fonte di circa il 10% della plastica trasportata per via aerea, seguiti dal suolo nel 5% dei casi.
fonte: www.rinnovabili.it
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Nel 2020 i consumi di energia primaria sono stimati in calo del 10% rispetto all'anno precedente. Si tratta della contrazione maggiore rilevata dal secondo dopoguerra ad oggi, assai superiore anche alla crisi del 2009 (-5,7% dei consumi).
I dati riportati nella prima analisi trimestrale 2021 del sistema energetico, elaborata dall'ENEA, mostrano come la pesante caduta dei consumi energetici registrata nel 2020 sia risultata maggiore di quella del PIL (-8,8%). Un fatto piuttosto inconsueto e diverso da quando accaduto nel 2009 (quando il calo dei consumi risultò perfettamente allineato alla caduta del PIL), spiegabile soprattutto con la forte riduzione della mobilità privata e dei volumi di traffico sia stradale che aereo, molto maggiore di quella dell'attività economica.
Infatti, ben il 60% della riduzione dei consumi di energia primaria è imputabile al petrolio. Nel 2020, la quota di fossili nel mix energetico è stata ai livelli più bassi dal 1961, anche se il gas naturale continua a mantenere il podio come prima fonte energetica.
Il calo del 2020 è da record anche per quanto riguarda le emissioni di CO2, in diminuzione del 12% (-38 MtCO2) rispetto al 2019. A fine 2020, le emissioni del sistema energetico italiano sono risultate inferiori di quasi il 40% rispetto ai livelli del 2005. Il settore della generazione elettrica ha contribuito per circa un terzo a questo calo, ancor più del settore dei trasporti.
Naturalmente, riducendosi i consumi energetici totali, la quota di FER nel 2020 è stimata in aumento, con una quota di circa il 20% (+2% rispetto al 2019). Sembrerebbe dunque essere confermato il raggiungimento del target Ue per il 2020 assegnato all'Italia (17%). Però — osserva l'ENEA — se i consumi totali fossero rimasti sui livelli dell'anno precedente, la quota di FER sarebbe stata di ben poco superiore al 18,1% del 2019.
Questo, purtroppo, conferma il fatto che il nostro Paese non è sulla strada giusta verso il target stabilito nel PNIEC per il 2030 (30%); ancora più lontani sembrano gli obiettivi climatici al 2030 recentemente fissati in sede europea (-55% emissioni CO2). Nel 2020, infatti, le installazioni di nuova capacità elettrica rinnovabile sono state solo 1/4 di quanto sarebbe necessario per raggiungere gli obiettivi europei 2030.
Il crollo dell’inquinamento atmosferico causato dal lockdown, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, ha evitato almeno 15mila vite umane in 12 grandi città dall’India all’Europa. I dati elaborati dal Centre for research on energy and clean air (Crea) e riportati dall’Economist, rivelano come la diminuzione degli inquinanti atmosferici legati ai trasporti e alle industrie abbia giovato alla qualità dell’aria e salvato da malattie e morte precoce migliaia di persone.
Ma il ritorno alla cosiddetta normalità, post Covid-19, come ha rivelato il Traffic index, monitoraggio globale attuato dalla multinazionale TomTom, conferma che l’aumento della congestione urbana nei grandi centri sta già tornando ai livelli pre-pandemia. Mentre l’intensificazione del traffico veicolare, la riapertura delle fabbriche e la diffidenza nell’uso dei mezzi pubblici stanno facendo risalire alle stelle i livelli degli inquinanti cancerogeni. Esattamente come prima della crisi.
L’inquinamento atmosferico uccide 4,2 milioni di persone ogni anno
Abbiamo ancora sotto gli occhi le immagini del riscatto della natura dalla pressione antropica, durante il lockdown, riprese anche dai satelliti. Nelle aree più inquinate del mondo come in India, il blocco delle attività ha addirittura permesso, per la prima volta dopo decenni, agli abitanti di Jalandhar, nel nord dell’India, di vedere le montagne innevate dell’Himalaya, a 160 km di distanza. E i dati hanno confermato il crollo degli inquinanti. A Delhi, una delle grandi città più inquinate del mondo, l’NO2 (biossido di azoto) è sceso drasticamente durante il lockdown, da 46 microgrammi per metro cubo a marzo a 17 microgrammi all’inizio di aprile.
A Roma il calo dell’inquinamento ha salvato la vita a 1.259 persone, secondo il Crea
Secondo i ricercatori del Crea, organizzazione indipendente che studia proprio gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulle nostre vite, grazie al fermo totale del traffico e dell’industria, tra il primo gennaio 2020 e il 25 agosto, circa 4.600 persone a Delhi sono scampate alla morte a causa dell’inquinamento dell’aria. Un numero drammaticamente simile a quello dei deceduti a causa del Sars-Cov-2, purtroppo ancora in aumento.
Analogamente, i livelli di NO2 a Londra sono scesi da 36 microgrammi per metro cubo a marzo, a 24 due settimane dopo. Anche qui, gli epidemiologi hanno calcolato almeno 1.227 vite umane salvate dalla mortalità precoce per inquinamento atmosferico, 1259 per la nostra capitale Roma e 1486 per Parigi.
Il modello elaborato dal Crea ha messo a sistema tutti i fattori che incidono sulla qualità dell’inquinamento dell’aria: oltre alle attività umane, anche le condizioni atmosferiche. Modello che ha rivelato come i livelli di biossido di azoto (NO2) siano diminuiti di circa il 27 per cento già dieci giorni dopo che i governi avevano emesso le restrizioni domiciliari, rispetto allo stesso periodo del biennio 2017-19. I livelli di particolato ultrafine (Pm2,5), cancerogeno, sono diminuiti in media di circa il 5 per cento dei campioni relativi alle 12 città prese in esame. Ovvero Delhi, Bangalore in India; Parigi, Roma, Londra, Madrid, Berlino, Brussels e Varsavia in Europa; New York, Los Angeles e Santiago nelle Americhe.
Anche in Italia allo studio i dati su decessi, agenti inquinanti e Covid-19
Dati che confermano quanto rilevato in Italia anche dall’analisi Life PrepAir sulla qualità dell’aria nel bacino padano nelle settimane di emergenza coronavirus. Secondo le Agenzie regionali per l’ambiente di Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia la diminuzione del traffico ha fatto scendere del 30-40 per cento gli ossidi di azoto (NOx) e tra il 7 ed il 14 per cento il Pm10. Come fanno rilevare sempre i ricercatori del Crea, in un altro report non ancora sottoposto a peer-reviewed (revisione tra pari, sistema di controllo reciproco tra scienziati sugli studi), si stanno studiando i collegamenti tra l’esposizione all’NO2 e i decessi dovuti a Covid-19.
Anche l’Istituto superiore di sanità italiano ha iniziato a monitorare le connessioni tra inquinamento atmosferico e Covid-19 affermando che “l’incertezza che ancora riguarda molti aspetti di questa epidemia richiede quindi una certa cautela e un approfondimento delle eventuali relazioni causa-effetto”.
Ma un dato di fatto è certo: l’inquinamento atmosferico causa gravi infezioni respiratorie e aumenta il rischio di asma, malattie cardiache, ipertensione e cancro ai polmoni. Tutte condizioni di salute che, se preesistenti nei cittadini, peggiorano i sintomi del Covid-19.
Rosi Battaglia
fonte: https://www.lifegate.it
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A rispondere alla domanda è RSE con un nuovo studio sulla differenza di domanda di mobilità durante e prima del lockdown a Milano
I blocchi imposti dal Governo per arginare la diffusione del SARS-CoV-2 hanno dato una rapida spinta allo smart working, creando diverse soluzioni per continuare le attività lavorative o scolastiche da remoto. Una mossa obbligata che oggi è ancora consigliata – dove possibile – a dipendenti pubblici e quelli privati per tutta la durata dello stato di emergenza.
Al di là delle difficoltà incontrate nell’implementazione del cosiddetto “lavoro agile”, questa misura ha determinato precisi effetti sulla vita quotidiana, anche in termini di impatto sul traffico urbano e sulla qualità dell’aria. Ad analizzarli è oggi un nuovo studio di RSE– Ricerca sul Sistema Energetico. La società ha cercato di comprendere come, durante il periodo del lockdown, sia effettivamente cambiata la domanda di mobilità (rispetto ad una situazione pre-pandemia). E lo ha fatto concentrano concentrando l’attenzione su ruolo e impatto dello smart working.
“La dimensione dell’esperienza ed i vincoli prescrittivi imposti – spiega RSE – hanno, di fatto, creato le condizioni per un’analisi di ‘stress test’, utile a valutare e misurare l’impatto ‘potenziale’ che tale misura potrebbe determinare sulla riduzione della congestione del traffico urbano, con i correlati effetti di minor consumo di combustibili, e quindi di minor impatto ambientale”.
Ai fini dello studio, gli esperti hanno analizzato i dati riguardanti oltre 35.000 utenti nella città di Milano, raccolti in tre differenti periodi: ante Covid, dal 25 febbraio al 6 marzo (1Covid) e dal 9 al 20 marzo (2Covid). Le informazioni sono state acquisite tramite strumenti SDK, acronimo di Software Development Kit, installati su un network di applicazioni con cui è possibile, previa autorizzazione, monitorare la posizione del dispositivo mobile.
La scelta dell’area milanese come campo di indagine non è casuale. La città non solo appartiene ad una delle ex-zone rosse del COVID-19 ed è fortemente rappresentativa sul fronte socio-economico, ma è già stata terreno di ricerche da parte di RSE.
Si scopre così che rispetto al periodo pre-lockdown, si è registrato un calo (stimato) degli spostamenti pari al 25% nel periodo 1Covid e del 55% in quello successivo. Di questi quasi la metà (45%) è da considerarsi “sistematico”, ossia riconducibile al tragitto casa/lavoro o casa/scuola. RSE ha quindi confrontato questi dati con quelli degli addetti per settore che hanno potuto continuare a lavorare grazie al ricorso allo smart working (dati Istat).
Il risultato? Il lavoro agile dovrebbe esser la causa di circa il 23% dei mancati spostamenti sistematici nel periodo clou dei blocchi, ossia il 2Covid. “Contestualizzando questo dato in un’analisi sul potenziale massimo dello smartworking, decurtando cioè la quota di chi è rimasto a casa senza poter lavorare, si ottiene un potenziale di riduzione degli spostamenti totali giornalieri, grazie al massivo ricorso al lavoro agile, pari al 14,5%”, chiarisce RSE.
Queste informazioni sono state la base per elaborare una stima del potenziale impatto su traffico e qualità ambientale determinato dal lavoro da remoto. Il risultato per spostamenti sistematici evitati grazie allo smart working prevede una riduzione potenziale di circa 5.800.000 vetture-km al giorno. Il dato si riferisce ovviamente al solo trasporto privato in auto, ma rappresenta una fetta pari a circa il 60% del totale.
Ciò significa poter risparmiare all’atmosfera 500 tonnellate di PM2,5 e 1.300 tonnellate di CO2 al giorno, grazie ai minori consumi di carburante (-112 ktep/anno). Risultati importanti che offrono un nuovo punto di vista per le politiche ambientali urbane.
“Il ricorso allo smartworking, anche se applicato in forma più leggera rispetto a quanto ipotizzato in questo studio, che rappresenta una stima di ‘massima potenzialità’, potrebbe permettere riduzioni dei consumi e delle emissioni paragonabili a quelli di altre tipologie di interventi (potenziamento del TPL, mobilità elettrica..) – scrive RSE – e si colloca, quindi, tra le soluzioni che possono essere messe in campo per una maggiore sostenibilità della mobilità all’interno delle città”.
Secondo gli scienziati del Centro comune di ricerca (JRC), le concentrazioni di biossido di azoto nelle 30 principali città europee potrebbero essere ridotte fino al 40% con le giuste misure e politiche relative al traffico
Il biossido di azoto, responsabile nel 2016 di 68.000 decessi prematuri all'interno dell'UE, continua a superare regolarmente gli attuali limiti normativi in molte città europee.
La pubblicazione Urban NO2 Atlas, curata dal Centro comune di ricerca, identifica le principali fonti di emissione di tale inquinante per 30 città europee esaminate (per l’Italia Milano e Roma), con l’intento di supportare la progettazione e l’applicazione di misure efficaci per ridurre la concentrazione di biossido di azoto.
Per tutte le città analizzate nel rapporto, il contributo medio del trasporto alle emissioni complessive di ossidi di azoto è stato del 47%. Nell'intera UE, il trasporto su strada è il principale responsabile dell'inquinamento da ossidi di azoto, prima dei settori dell'energia, commerciale, istituzionale e domestico.
Il contributo del trasporto stradale sulle emissioni totali di ossidi di azoto a livello locale differisce notevolmente in Europa: ad Atene e Milano, ad esempio, oltre il 70% delle emissioni proviene dai trasporti, mentre a Lisbona, dove le emissioni da trasporto marittimo sono elevate, il trasporto su strada è responsabile solo del 20% dell'inquinamento da ossidi di azoto.
Uno sguardo più attento al settore dei trasporti su strada mostra che il biossido di azoto nelle città proviene principalmente dalle emissioni dei veicoli diesel. La mappa seguente mostra che, ad eccezione della Grecia, i veicoli diesel sono responsabili della maggior parte delle emissioni di ossidi di azoto nel trasporto su strada in tutti i paesi dell'UE.
Gli scienziati del Centro comune di ricerca stimano che, riducendo il flusso del traffico che emette ossidi di azoto, le città potrebbero ridurre le emissioni di biossido in media del 40%.
Una riduzione del 15% circa potrebbe provenire dalle autovetture diesel per passeggeri, il 13% dai camion e il 6% dai furgoni.
L'efficacia locale delle misure di traffico dipende in gran parte dal contributo del trasporto su strada alle emissioni di ossidi di azoto. I flussi di traffico che li emettono possono essere ridotti limitando l'accesso di veicoli altamente inquinanti - principalmente automobili diesel più vecchie - alle aree interne delle città. Lo stesso risultato può essere raggiunto anche incoraggiando i veicoli elettrici e promuovendo l'uso di mezzi pubblici, nonché la mobilità ciclabile e pedonale.
Queste misure non migliorerebbero solo la qualità dell'aria ma limiterebbero anche i livelli di rumore e gli incidenti, contribuendo così ad una migliore qualità di vita.
Innovare il trasporto in ambito commerciale e investire nella qualità degli spazi urbani come luoghi in cui poter lavorare e vivere: queste le sfide emerse in occasione del workshop “UMS – Ultimo Miglio Sostenibile” con il supporto di Interporto Padova e dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, svoltosi all'Acquario Civico di Milano.
Per gli esperti di mobilità sostenibile non ci sono dubbi, è il momento di ripensare lo spazio pubblico in un’ottica di efficienza e decongestionamento. “Serve pensare ad una città più flessibile, che promuova l’uso dei mezzi in sharing anche per le attività commerciali e consenta maggiore agilità negli spostamenti, non solo per migliorare le attività esistenti, ma per immaginarne di nuove e innovative”. Così Barbara Meggetto, Presidente di Legambiente Lombardia, intervenuta il 18 settembre in occasione del workshop internazionale “UMS – Ultimo Miglio Sostenibile” promosso da Milano Bike City e il circolo Legambici Legambiente per la mobilità attiva e la ciclabilità, sottolinea l’importanza di riprogettare gli spazi di vita e lavoro delle città italiane, investendo in innovazione e sostenibilità.
Servono strategie integrate in grado di affrontare lo sviluppo della logistica di prossimità in accordo alle esigenze dei cittadini che ogni giorno abitano gli ambienti urbani e hanno diritto ad una città accessibile, in cui traffico e inquinamento atmosferico siano fattori in costante riduzione. Il trasporto commerciale deve iniziare a muoversi lungo binari complementari rispetto all'evoluzione del tessuto urbano e del suo funzionamento, in sintonia con un aumento della qualità della vita.
Non è un caso che proprio Legambiente abbia presentato lo scorso settembre dieci punti in materia di mobilità e trasporto, con l’intenzione di contribuire al miglioramento della nuova legge di Bilancio. “Accelerare il cambiamento nella mobilità è decisivo nella battaglia del clima – ha dichiarato Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – Per questo chiediamo al nuovo governo di essere coerente con gli impegni presi in queste settimane e di dare subito un segnale chiaro ai cittadini, ai sindaci e al sistema delle imprese. I provvedimenti che verranno approvati nei prossimi mesi, dal decreto Clima alla legge di Bilancio, dovranno definire la traiettoria delle scelte indispensabili a rilanciare il trasporto pubblico nel nostro Paese, a rendere sempre più competitiva la mobilità elettrica, a superare le barriere che ancora oggi incontra la micro-mobilità a emissioni zero nel circolare all’interno delle città”.
Tra le proposte, l’associazione ambientalista chiede di portare l’IVA al 10% per l’acquisto di mezzi elettrici dedicati al trasporto pubblico, immaginando il lancio di una nuova filiera industriale: la rigenerazione di autobus e mezzi speciali elettrici. Non ultimo, Legambiente insiste sull'eliminazione dei sussidi all'autotrasporto per i camion Euro 3, chiedendo di destinare lo stesso importo ad incentivare la sostituzione di camion inquinanti con nuovi mezzi a gas naturale liquefatto (GNL), nella prospettiva di arrivare ai mezzi funzionanti con bio-GNL, biometano avanzato, quindi esente accise.
Anche gli aerei e le navi, ricordano gli ambientalisti, devono cominciare a pagare. E se non sarà possibile già dal 2020, per i necessari tempi di adeguamento europei, ricorda Legambiente, potrebbe funzionare introdurre una tassa portuale o aeroportuale provvisoria per ogni atterraggio e decollo in scali nazionali. Grazie al workshop tenutosi a Milano il 18 ottobre, torna con forza sui tavoli di amministratori e addetti ai lavori l’idea di poter lavorare al trasporto commerciale identificando metodi più efficienti: “Lo sviluppo della logistica sostenibile di prossimità a Milano e in Italia passa per strategie che vanno nella direzione di integrare le esigenze di chi la città la vive per lavoro e il tema della lotta all’inquinamento atmosferico – spiega Barbara Meggetto, Presidente di Legambiente Lombardia – come Milano ha fatto introducendo l’Area B. Per fare questo, però, non bastano le restrizioni al traffico, è necessario riprogettare anche lo spazio pubblico. Le strade dove si muovono i cittadini, il commercio e i servizi devono migliorare la loro capacità di condividere gli spazi, oggi immobilizzati dalla sosta prolungata”.
"Viviamo una grave emergenza climatica e le case automobilistiche sono tra le principali responsabili di quanto sta accadendo al clima" dichiara Luca Iacoboni di Greenpeace Italia "La sola Volkswagen emette più dell’Australia, Fiat Chrysler Automobiles più della Spagna"
Alla vigilia del Salone dell’Automobile di Francoforte, Greenpeace lancia oggi una classifica delle 12 principali compagnie automobilistiche del mondo in relazione al loro impatto sul clima. Secondo quanto contenuto nel report “Scontro con il clima: come l’industria automobilistica guida la crisi climatica”, Volkswagen è l’azienda che produce la maggior quantità di emissioni, seguita da Renault Nissan, Toyota, General Motors e Hyunday-Kia. Fiat Chrysler Automobiles (FCA) detiene invece il primato negativo di azienda più inquinante per emissioni medie per veicolo. Nel suo complesso, nel 2018 il settore automobilistico ha prodotto il 9 per cento delle emissioni globali di gas serra, più di tutta l’Ue. «Viviamo una grave emergenza climatica e le case automobilistiche sono tra le principali responsabili di quanto sta accadendo al clima», dichiara Luca Iacoboni, responsabile della campagna Clima di Greenpeace Italia. «La sola Volkswagen emette più dell’Australia, e non è da meno Fiat Chrysler Automobiles, l’azienda con il più alto livello medio di emissioni per veicolo, che in termini di gas serra inquina di più dell’intera Spagna».
Dall’analisi effettuata da Greenpeace emerge che la rapida diffusione di modelli più grandi e pesanti come i SUV sta causando un ulteriore incremento delle emissioni. In Europa, la quota di mercato di questi modelli è aumentata di oltre quattro volte negli ultimi dieci anni - dall’8 per cento del 2008 al 32 per cento del 2018 – mentre nel 2018 le vendite totali di SUV negli Stati Uniti hanno raggiunto quasi il 70% del mercato.
«Occorre una rivoluzione della mobilità e del settore dei trasporti, e le aziende automobilistiche, che oggi stanno ostacolando questo cambiamento proponendo false soluzioni come le macchine ibride, devono invece esserne protagoniste», continua Iacoboni. «L’industria dell’auto deve abbandonare completamente gli inquinanti motori a combustione interna, smettere di seguire un modello di business sbagliato che prevede un costante aumento della vendita di veicoli, e puntare su servizi che si integrino con il trasporto pubblico, come il car sharing e il car pooling», conclude.
In questi giorni produttori di auto e rappresentanti politici da tutto il mondo parteciperanno a Francoforte al Salone dell’Automobile, la più grande fiera del settore a livello globale. Il 14 settembre Greenpeace, insieme ad altri gruppi e a migliaia di persone, manifesterà – muovendosi a piedi o in bicicletta – davanti all’ingresso del Salone per chiedere una rapida transizione verso modelli di trasporto più sostenibili.
Per raggiungere l’obiettivo fissato dall’Accordo di Parigi di mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5°C, Greenpeace chiede a tutte le case automobilistiche di fermare la produzione e la vendita di auto diesel e benzina entro il 2028, compresi i modelli ibridi, e di impegnarsi a produrre veicoli elettrici più piccoli, leggeri, ed efficienti dal punto di vista energetico.
"La soluzione non può che essere l’abbinamento del servizio di massa con un servizio flessibile a domanda e personalizzato che trasporti i passeggeri dai e verso i punti di origine degli spostamenti verso le fermate principali del trasporto di massa. Si tratta di affrontate un’emergenza climatica sempre più drammatica. “Ma svuotare le strade del traffico privato per sostituirlo con un trasporto pubblico e condiviso – spiega Guido Viale – non si può fare in poco tempo. È un work in progress che deve essere programmato….”
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Nel campo della mobilità l’obiettivo principale dell’emergenza climatica è quello di ridurre al massimo il traffico dei mezzi privati – auto e furgoni – una delle principali fonti di emissione, prima in città, poi anche nei percorsi interurbani, per sostituirli con mezzi condivisi, che riducano il rapporto emissioni/passeggero-chilometro ed emissioni/chilogrammo-kilometro.
Auto e furgoni in movimento sono fonte di congestione, posteggiate riducono la capacità del sistema viario, rallentando gli spostamenti (quasi un terzo delle auto in movimento non stanno percorrendo l’itinerario origine-destinazione, ma sono alla ricerca di un parcheggio).
Con le strade più libere la capacità di trasporto dei mezzi pubblici di massa (bus e tram) sarebbe moltiplicata anche per tre: più passaggi a parità di mezzi e personale, meno stop and go, principale fonte di emissioni. La sostituzione del trasporto condiviso a quello automobilistico, soprattutto per quanto riguarda il trasporto passeggeri in città non può essere fatto solo con i mezzi di linea tradizionali (bus, tram e metro). Nelle ore di morbida e nelle zone periferiche far viaggiare bestioni da sessanta-centi-deucento posti vuoti o quasi è un costo, imposto dalla legge che prescrive dei livelli minimi di servizio, che per le aziende di trasporto urbano sono la principale fonte di deficit (mentre sulle linee di forza e negli orari di maggior utilizzo il servizio sarebbe in attivo anche solo con il puro prezzo del biglietto. Inoltre, i livelli minimi di servizio non soddisfano l’utenza: troppo alte le cadenze dei passaggi, troppo lontane le fermate dai punti di origine e destinazione degli spostamenti. Questo spinge a non utilizzare il servizio, aumentando ulteriormente il suo costo per passeggero trasportato.
La soluzione non può che essere l’abbinamento del servizio di massa con un servizio flessibile a domanda e personalizzato che trasporti i passeggeri dai e verso i punti di origine degli spostamenti verso le fermate principali del trasporto di massa (metro e linee di forza, come sono a Milano, per esempio il 14 o il 3) e viceversa, con mezzi leggeri (feeder da sei-dodici posti) che effettuano di fatto un servizio personalizzato a domicilio: in pratica un taxi collettivo. Lo stesso vale per la distribuzione delle merci in città e per le consegne a domicilio. Le tecnologie ITC sono oggi perfettamente in grado di gestire soluzioni del genere. Quanto al costo, è sicuramente inferiore all’uso di grandi mezzi di linea per trasportare poche persone per gran parte della giornata e delle tratte. Il servizio può essere finanziato con i sussidi e le tariffe attuali oppure fornito gratuitamente, mettendolo a carico della collettività, il che incentiverebbe sicuramente il suo utilizzo.
Svuotare le strade del traffico privato per sostituirlo con un trasporto pubblico e condiviso non si può fare in poco tempo. È un work in progressche deve essere programmato. Il servizio flessibile di trasporto condiviso e personalizzato può supplire agli inconvenienti che si possono presentare nel corso della transizione.