È
incredibile osservare l’ingenua e infantile gioia delirante un milione
di persone che si sono precipitate a camminare sui pontili sintetici di
Christo.
Persone che parlano di un’esperienza sublime, di emozioni forti, di incredibili sensazioni provate nel
camminare su un telo di plastica posato su taniche vuote sopra le acque di un lago prealpino reso infrequentabile dalla folla.
Le cronache sono del tipo: “Il popolo dei Piers non indietreggia di un
millimetro. Non si lascia scoraggiare dalle code per salire su un treno,
su una navetta o su un battello, né dal sole che trasforma la
passerella – e i piazzali di Sulzano – in forni a microonde, tanto che
ieri al tramonto sono tornati in azione gli idranti per rinfrescare la
folla in attesa. La parola d’ordine è una sola: camminare su The
Floating Piers, costi quel che costi” (da
bresciaoggi.it).
Una situazione che, spogliata di tutto il costrutto
mediatico-modaiolo che gli si è appiccicato sopra, è in realtà
riconducibile a una
semplice gita in battello: si cammina sulle acque e si ondeggia tra tante persone!
Si tratta un ennesimo evento di
massa emblematico dei tempi che viviamo e della totale indifferenza
alle conseguenze delle proprie azioni, ovvero il fatto che sia mancata qualsiasi riflessione sulla
responsabilità ambientale di quest’opera d’arte (sebbene qualche critico abbia almeno voluto definirla una pagliacciata sul piano estetico e di costume).
I drammaticamente gravi significati simbolici che quest’opera si porta dietro non sono stati nemmeno sfiorati: il trionfo dell’usa e getta, del superfluo costoso, dell’artificializzazione della Natura.
Dal
sito ufficiale dell’artista, assumiamo i dati tecnici:
– 220.000 cubi
[di polietilene ad alta densità prodotto dalla F.lli Cane di
Fondotoce/Verbania coadiuvata dalle aziende bresciane Asco Plast, Ziber
Plast, Zetabi, Artigiana Stampi e Seven Plast] creano i 3 chilometri di The Floating Piers.
– 220.000 perni [sempre di polietilene] tengono insieme i cubi.
– 200 ancore del peso di 5,5 tonnellate l’una mantengono i
16 metri di larghezza del pontile in posizione [blocchi di cemento
trasportati nelle posizioni finali da mezzi nautici grazie all’utilizzo
di palloni industriali che, una volta raggiunta la postazione, sono
stati svuotati dell’aria e hanno adagiato sul fondo le zavorre].
– 37.000 metri di corda connettono gli ancoraggi al pontile.
– 70.000 m2 di feltro ricoprono i pontili e le strade al di sotto del tessuto.
– 100.000 m2 di tessuto [in fibra poliammidica
(Nylon), prodotto in Germania dalla Setex Textiles e confezionato dalla
Luftwerkern di Lubecca] coprono i 3 chilometri di pontile e 2,5
chilometri di strada.
E il tutto per un’installazione della durata di sedici giorni, dal 18 giugno al 3 luglio 2016.
Dopodichè l’infrastruttura artistica verrà smontata e – sostiene il sito ufficiale “tutti i materiali utilizzati
saranno riciclati attraverso un processo industriale
”, non meglio specificato.
https://it.wikipedia.org/wiki/The_Floating_Piers
http://www.thefloatingpiers.com/manufacturing
http://www.thefloatingpiers.com/press/

Vediamo le
criticità ambientali:
–
riciclo plastiche: il
polietilene è relativamente facile da riciclare, i cubi verranno dunque
ritirati dall’acqua e avviati a recupero, ma con trasporto dove? Il
tessuto poliammidico, in parte sporcato e usurato, sarà meno facile da
riciclare: di tutta questa filiera sarebbe importante disporre da parte
dell’artista e delle autorità di igiene urbana locale una dettagliata e
trasparente documentazione! Non sia mai che finisca tutto nel vicino
inceneritore di Brescia…?
– energia grigia:
anche se la plastica può essere riciclata, in genere ottenendo un
materiale meno pregiato di quello originario, nessuno potrà ottenere la
restituzione dell’energia spesa in fase di produzione e lavorazione;
– rilascio composti tossici nel lago:
ci sono additivi potenzialmente rilasciabili dalla plastica nelle
acque? Interferenti endocrini che costituiscono un problema ambientale e
sanitario sempre più grave? Era necessaria una maggiore trasparenza,
con certificati merceologici precisi sulla natura dei materiali
impiegati.
– emissioni dei trasporti per la costruzione:
ci è voluto circa un anno di lavoro di aziende italiane e tedesche per
produrre, trasportare, immagazzinare e montare (e poi smontare)
l’installazione. Un’attività che avrà comportato ingenti costi
energetici, emissioni di CO2 e altri inquinanti, produzione
di rifiuti, imballaggi, materiali accessori, incluso un sommergibile per
le ispezioni del fondo lacustre.
– emissioni indirette per il trasporto passeggeri e per le attività di sicurezza:
il colossale formicolare di persone che hanno invaso la zona ha
provocato un carico critico sui mezzi di trasporto locale, la
saturazione delle strade e inevitabilmente l’aumento di emissioni
climalteranti e di rifiuti su base locale, nonché il mantenimento di un
complesso sistema di vigilanza e sicurezza… a gasolio!
E ora i
messaggi simbolici che l’opera d’arte comunica (o non comunica):
– si può fare tutto ciò che si vuole, basta pagare! Ma il prezzo dei danni ambientali non si bilancia con la moneta…
– una cosa che si smonta non lascia conseguenze! Ma
ciò che non si vede è talora peggio di ciò che si vede… le emissioni
climalteranti contribuiscono a deteriorare le condizioni di vivibilità
dell’intero pianeta, i rifiuti industriali del processo produttivo dei
materiali e quelli dispersi in acqua minano gli equilibri ecologici
anche su tempi millenari.
– siamo già sommersi dai rifiuti plastici
e purtroppo negli oceani galleggiano circa nuovi 5 continenti di
plastica (*)! Altro che aggiungerne, bisognerebbe fare un’opera d’arte
per rimuoverli!
(*) Ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare. Un
rapporto del World Economic Forum
stima che ci siano attualmente 150 milioni di tonnellate di rifiuti
plastici dispersi negli oceani, una tonnellata di plastica ogni cinque
tonnellate di pesce, e che a questo tasso entro il 2050 nelle acque ci
sarà più plastica che pesce! Le correnti marine concentrano queste
enormi quantità di rifiuti in cinque principali
“isole” galleggianti (oceani Indiano, Atlantico settentrionale e meridionale, Pacifico settentrionale e meridionale):
http://www.5gyres.org/; www.plasticoceans.net.
–
non inquina solo ciò che si vede,
ma pure ciò che non si vede, dagli interferenti endocrini alla
mobilizzazione del substrato: “Marco Pilotti, docente del dipartimento
di Ingegneria civile, architettura, territorio, ambiente dell’Università
di Brescia ed esperto del lago d’Iseo, ha condotto uno studio
sull’impatto dell’opera sulla morfologia del bacino. Il molo
galleggiante è ancorato al fondo del lago con [più di] 150 blocchi di
cemento armato da sette tonnellate l’uno e il progetto prevede, al
termine dell’esposizione, la rimozione totale dell’opera e lo
smaltimento di tutti i materiali. «Il recupero dei cosiddetti corpi
morti degli ancoraggi – spiega il professor Pilotti – farà solo del male
al lago, perché solleverà i sedimenti del fondale. Le misurazioni che
abbiamo fatto hanno rilevato che in quel terreno è contenuta una
quantità di fosforo 15 volte maggiore a quella presente nei livelli
superiori dell’acqua”.
http://lanuovaecologia.it/the-floating-piers-incombe-sul-lago-diseo/
http://hydraulics.unibs.it/hydraulics/?page_id=1720
–
l’edonismo dissipativo, volgare e superficiale, attira assai di più che la contemplazione della biosfera,
la nostra casa da cui tutto dipende! Chi, di questo milione di bipedi
vociante su un palcoscenico naturale trasfigurato per l’esibizionismo di
massa, si è domandato qualcosa su questo povero lago prealpino? Quanto è
profondo, quanta acqua contiene, che relazioni ha con la società e con
la storia, è un ambiente sano o compromesso? Come reagisce ai
cambiamenti climatici?
–
la Natura è sostituibile con l’artificio e si arriva a privilegiare il falso che assomiglia al vero (che viceversa viene distrutto). Afferma Christo:
“Il
telo color oro, cangiante, vuole rappresentare la spiaggia: la gente
deve pensare di essere su una spiaggia in riva al mare, e camminarci
sopra”.
Ma perché mai bisogna immaginare una spiaggia di
plastica? Perché non godere di una spiaggia vera, magari proteggendola
proprio dall’affronto degli onnipresenti rifiuti in plastica che la
deturpano?
E ancora, invita Christo, “Ascoltate il racconto della
vita – Questo progetto fisico non è un museo, ma un progetto reale,
riguarda le cose vere, sole, pioggia, vento”. Accidenti! Sole, pioggia e
vento erano già lì da milioni di anni, ed è proprio l’opera d’arte ad
essere quanto più falsa, artefatta e improbabile in quel contesto! Con
le parole si può proprio costruire di tutto, mostrare vero ciò che è
falso e viceversa! Il problema sono i gonzi che ci cascano…
– il denaro – 15
milioni di euro più le spese pubbliche per la logistica e la sicurezza
-poteva essere speso per impieghi più sostenibili, utili e durevoli;
– le folle si attirano con il capriccio e la bizzarria,
mentre sui temi importanti per la nostra stessa sopravvivenza, come
l’epocale e inedita crisi ambientale che si sta sviluppando, l’interesse
è sempre marginale, per non dire nullo;
–
l’arte dovrebbe essere veicolo di riflessione sulla contemporaneità,
qui Christo rivela invece la sua senescente visione di un mondo
sintetico ormai incompatibile con i processi biogeochimici. Contrappongo
al vecchio Christo l’
artista thailandese Nino Sarabutra
(è una donna, nonostante il nome in italiano suoni maschile), che ha
concepito un’opera molto significativa, esposta anche alla biennale di
Venezia 2015 e che ho provato con i miei piedi: 100.000 piccoli teschi
di porcellana che coprono il pavimento come ciottoli di fiume, sui quali
si è invitati a camminare a piedi scalzi ponendoci la domanda “che
mondo lasciamo dietro di noi?”
“I want people to ask themselves how they live, what they are
doing— if today was your last on earth, what will you leave behind?” Nino Sarabutra, 2013
http://www.ninosarabutra.com/exhibition_WhatWillYouLeaveBehind.html
L’artista thailandese Nino Sarabutra e la sua opera “What will you leave behind?”,
qui esposta alla Biennale di Venezia 2015, che invita alla riflessione
sulle conseguenze delle nostre azioni e sul mondo che lasceremo alle
generazioni future tramite una camminata a piedi scalzi su migliaia di
piccoli teschi di porcellana.
Possono sembrare considerazioni fastidiose, respinte ed etichettate come
seccature che guastano il festoso pellegrinaggio, ignorano i soldi che
hanno irrorato il turismo locale e alimentato la retorica dell’Italia
capace di grandi opere… eppure sono lo specchio di
una società che rifiuta di confrontarsi con il più grande problema mai sorto da quando l’uomo è sulla Terra, l’insostenibilità dell’Antropocene e la sempre maggior
probabilità di collasso della civiltà.
Dunque, tutti gioiosamente avanti verso il baratro…
Luca Mercalli
Meteorologo, divulgatore scientifico e climatologo italiano. Tra i suoi ultimi saggi, “Prepariamoci” (ed. Chiarelettere)
Pubblicato su Nimbus.it, l’ottimo sito ufficiale della Società Meteorologica Italiana,
la maggiore associazione nazionale per lo studio e la divulgazione di meteorologia, climatologia e glaciologia
fonte: http://comune-info.net/