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Ingiustizie sociali e crisi climatica: il virus siamo noi?

 
















Questione di futuro. Guida per famiglie eco-logiche!" è il bel libro di Linda Maggiori, educatrice, scrittrice e fondatrice di due Reti, quella delle famiglie rifiuti zero e quella delle famiglie senz'auto. Un libro che induce tutti a più di una riflessione.
Leggiamo dal...

L’Italia che protegge l’ambiente e diventa energeticamente autosufficiente può darci milioni di occupati

Il settore ambientale è quello che in assoluto ha più potenzialità occupazionali di tutti gli altri, compreso il settore informatico di cui tanto si favoleggia.




Vari anni fa un politico imprenditore, noto anche per i suoi tanti guai con la giustizia, per farsi eleggere sparò una delle sue proverbiali balle dicendo che avrebbe dato milioni di posti di lavoro agli italiani. Ovviamente nulla di questo si avverò ma se avesse usato questa affermazione riferendosi all’ambiente (che purtroppo il personaggio in questione non sa nemmeno cosa sia) sarebbe stato molto più credibile.
Infatti il settore ambientale è quello che in assoluto ha più potenzialità occupazionali di tutti gli altri, compreso il settore informatico di cui tanto si favoleggia.
Del resto non ci vuole molto a capire che visto lo stato ambientale pietoso in cui abbiamo ridotto il nostro paese, ci vorrà tanto lavoro per rimettere in sesto quanto si è rovinato.
Ma andiamo con ordine, solo il settore della riqualificazione energetica capillare di tutto il patrimonio edilizio italiano darebbe da lavorare a centinaia di migliaia di persone. Se poi finalmente si volesse sfruttare la qualità principale del Paese del sole, ovvero il sole stesso e le energie rinnovabili in genere, anche per fare diventare l’Italia in breve tempo autosufficiente, servirebbero altre centinaia di migliaia di persone.
Pensate ad esempio cosa significherebbe in fatto di occupazione diffusa, da nord a sud, mettere ovunque sia possibile pannelli solari per produrre elettricità, acqua e aria calda, microgeneratori eolici, micro impianti idroelettrici, impianti di biogas domestici.
C’è poi tutto il settore della salvaguardia ambientale laddove innumerevoli zone sono a rischio idrogeologico costante derivante dal saccheggio della natura e cementificazione. Proporre poi un turismo orientato soprattutto all’ecologia, intervenire sul vastissimo settore del riuso, recupero e riciclo dei materiali dalle potenzialità immense, applicare sistemi di efficienza energetica ovunque compresa la mobilità completamente rivista in ottica di tutela ambientale. Intervenire sugli sprechi idrici e quindi la conseguente installazione capillare di limitatori di flusso, sistemi di fitodepurazione ove possibile, compost toilet, sistemi di recupero acqua piovana, orti autoirriganti.
E se calcoliamo le potenzialità anche di tutto il settore dell’agricoltura biologica, avremmo un ulteriore altissimo incremento di occupati, visto che è evidente che non possiamo continuare a mangiare e bere schifezze e conseguentemente avvelenare noi stessi e l’ambiente spargendo tumori nella popolazione, vero flagello sanitario. A corollario di tutto questo c’è la necessaria e fondamentale informazione e formazione a cittadinanza, scuole, imprese, enti pubblici, uffici, che impegnerebbe altrettanti lavoratori.
Intraprendendo queste azioni riassorbiremmo tutta la disoccupazione e molte persone che attualmente fanno lavori dannosi, inutili, senza senso o che non gli piacciono, potrebbero cambiare lavoro e contribuire a fare dell’Italia il giardino fiorito che più volte abbiamo auspicato.
Proviamo a immaginare, con questi interventi capillari e diffusi ovunque, quanti milioni di persone si occuperebbero; e per di più in lavori, utili, sensati e che salvaguardano noi, la nostra salute e quella delle prossime generazioni. Inoltre si risparmierebbero enormi quantità di soldi sottratte al flagello dei combustibili fossili, discariche, inceneritori, veri e propri prosciugatori di ricchezza e produttori di inquinamento senza soluzione di continuità.
Altro che “crescita” e soldi buttati dalla finestra per rilanciare settori che producono merci e servizi dannosi o/e superflui; si punti dunque decisamente e senza indugio sull’ambiente e tutto quanto ne deriva, si avranno solo benefici, vantaggi e prosperità da ogni punto di vista.
E che questa via sia percorribile, sana e saggia lo dimostriamo come associazione Paea da oltre venti anni con il nostro lavoro e spiegheremo come intraprenderla anche nel prossimo corso sul “Cambiare vita e lavoro. Istruzioni per l'uso” giunto ormai alla 47 edizione. Immersi nella natura umbra ospitati al Parco Energie Rinnovabili, un gioiello di autosufficienza, tecnologie appropriate, energie rinnovabili, creatività e ottima cucina, costruiremo l’auspicabile futuro solare e vivibile per tutti

fonte: www.ilcambiamento.it


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Microplastiche e salute: sono ubiquitarie e si portano dietro funghi, virus e batteri

 

La rivista Science dedica un lungo articolo agli effetti delle microplastiche sulla salute umana. Ed è, più che altro, un elenco di ciò che manca, che non si sa, e che sarebbe urgente comprendere, per iniziare a intraprendere misure difensive e preventive. Le microplastiche, cioè le particelle di materiali plastici con diametro inferiore ai 5 millimetri, che comprendono anche le nanoplastiche (cioè quelle con diametro inferire a un micron – millesimo di millimetro) sono ormai ubiquitarie e gli esseri umani, di conseguenza, ne ingoiano, respirano, assumono in vario modo tutti i giorni, a prescindere da dove vivano.

Il motivo è chiaro: la plastica è utilizzata in un’infinità di oggetti di uso comune, ciascuno dei quali, in varia misura, per usura, per contatto con agenti atmosferici, chimici e fisici, rilascia materiali estremamente variabili per dimensioni (i diametri medi variano di cinque ordini di grandezza) e forma (in fibre, sfere, frammenti e così via). Queste microplastiche hanno cariche elettriche, proprietà chimico-fisiche e composizioni estremamente eterogenei, a seconda dei polimeri di partenza. Come se ciò non bastasse, su di esse si formano spesso biofilm, strati gelatinosi dalla composizione più varia che spesso contengono funghi, virus e batteri ma anche sostanze chimiche. Tutto questo aiuta a capire perché i dati disponibili siano ancora scarsi, quando non assenti: studiare le interazioni tra microplastiche e corpo umano è molto difficile. 


Le microplastiche sono ormai ubiquitarie e le assumono in vario modo tutti i giorni, a prescindere da dove vivano

Mancano metodi diagnostici specifici per raccogliere i campioni, e poi isolare, quantificare e caratterizzare le microplastiche rilasciate negli alimenti, disperse in acqua (per queste ultime la concentrazione si stima vada da 0 a 104 parti per litro) o nell’atmosfera (è stato calcolato, per esempio, che nel centro di Londra ogni giorno vengono disperse tra le 575 e le 1.008 particelle fibrose ogni metro cubo di aria, a causa del logoramento di pneumatici), così come quelle che si depositano negli ambienti interni o, ancora, che derivano dal rilascio dalle bottiglie di plastica e, per i neonati e i bambini, dai biberon.

Per quanto si sa oggi, le particelle più voluminose sono escrete attraverso le feci. Ma su quelle più piccole, e più pericolose, non si sa molto, neppure in che modo e in che misura attraversino la pelle e gli epiteli interni, da quelli gastrointestinali a quelli delle vie aeree. Ci sono alcuni dati ottenuti in vitro su colture cellulari umane, di pesce o di roditore, che suggeriscono che il passaggio sia quasi sempre possibile, ma si tratta di modelli non sempre del tutto affidabili e di test nei quali le microplastiche sono standardizzate e abbastanza lontane da ciò che avviene nella vita reale. 


È possibile il trasferimento dai linfonodi agli organi e il passaggio avviene anche attraverso la placenta

Preoccupa, soprattutto, l’effetto di accumulo, sul quale non si sa quasi nulla se non che, sempre in vitro, è possibile il trasferimento dai linfonodi a organi quali i reni, l’intestino, il cervello, il fegato, e che il passaggio avviene anche attraverso la placenta. Sugli effetti della deposizione negli organi, per ora, ci sono solo indicazioni generiche quali la possibilità che le microplastiche scatenino infiammazioni croniche e allergie. A complicare il quadro ci si mettono le contaminazioni, quasi sempre presenti. La plastica è infatti ideale per l’insediamento di specie batteriche, virali e fungine, così come, in certi casi (a seconda della carica elettrica sulla superficie), per la formazione di complessi con sostanze chimiche e tossine che possono formare quella che viene chiamata bio-corona (uno strato esterno a ogni particella i cui effetti e comportamenti nel contatto con l’organismo umano sono del tutto sconosciuti).

C’è insomma moltissimo da fare, e gli autori invitano con forza a intraprendere questi studi, che oggi sono resi possibili dall’impiego dei big data, dalla condivisione dei dati e dall’intelligenza artificiale, che può elaborare molte più variabili rispetto a quanto possa fare un singolo ricercatore. È indispensabile che siano mantenuti e lanciati programmi come quello sponsorizzato dall’Unione Europea nell’abito di Horizon 2020, intitolato Microplastics & Health, e che ne siano finanziati altri simili, multidisciplinari, internazionali e di ampio respiro, perché con le plastiche, micro e nano, faremo i conti ancora per moltissimi anni, anche se dovessimo smettere di utilizzarle.

fonte: www.il fattoalimentare.it


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Il virus e i rifiuti. La Commissione Ecomafie approva la relazione

In aula alla Camera è stata approvata la relazione intitolata "Emergenza epidemiologica COVID-19 e ciclo dei rifiuti", già approvata al Senato il 5 agosto




La Camera dei Deputati ha approvato la relazione della Commissione Ecomafie (Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati) sul tema “Emergenza epidemiologica COVID-19 e ciclo dei rifiuti”. Il documento (relatori: Stefano Vignaroli, Massimo Berutti, Giovanni Vianello) era stato approvato dalla Commissione il giorno 8 luglio 2020 e dall’aula del Senato il giorno 5 agosto 2020.

La Commissione ha preso in esame il ciclo dei rifiuti nel periodo dell’emergenza, approfondendo sia il quadro dei provvedimenti normativi statali e regionali, sia l’operatività della gestione delle diverse tipologie di rifiuti. Attraverso il lavoro di analisi, si è riscontrato come lo strumento principale messo in atto sia stato quello delle deroghe ai limiti di deposito temporaneo e di stoccaggio dei rifiuti. Dagli approfondimenti della Commissione è emerso che durante l'emergenza COVID-19 il sistema di gestione dei rifiuti in Italia ha tenuto. La capacità impiantistica si è dimostrata adeguata, anche per il trattamento dei rifiuti sanitari a rischio infettivo (di cui si è registrato un aumento).

La Commissione si è inoltre soffermata sugli effetti dell’emergenza epidemiologica in termini di produzione dei rifiuti, sia sanitari, sia connessi a misure di contenimento del contagio e uso diffuso di dispositivi di protezione. Dagli approfondimenti della Commissione è emerso che durante la fase di lockdown si è osservata una decisa contrazione nella produzione dei rifiuti speciali di origine industriale e dei rifiuti urbani. Questi ultimi nel bimestre marzo-aprile 2020 sono diminuiti di circa il 10 per cento (meno 500mila tonnellate). Secondo le informazioni acquisite dalla Commissione, il volume stimato di rifiuti connessi all'utilizzo quotidiano di guanti e mascherine monouso per il periodo maggio-dicembre 2020 è pari a 300mila tonnellate (valore medio).

La relazione dà inoltre conto di alcuni elementi strutturali e di tendenza riguardo a possibili fenomeni illeciti nel settore dei rifiuti connessi all’emergenza COVID-19. La relazione si conclude con una serie di raccomandazioni alle istituzioni per una gestione dei rifiuti che tenga in conto le esigenze sia di rispetto degli obiettivi di economia circolare nell’ambito di un ciclo dei rifiuti efficiente e focalizzato sul recupero di materia, sia di efficientamento del sistema dei controlli ambientali e di contrasto all’illegalità. “L’approvazione in aula a Montecitorio della relazione su emergenza COVID-19 e ciclo dei rifiuti arriva in un momento di nuova forte recrudescenza del virus. Auspico che questo lavoro possa essere di supporto a quanti dovranno occuparsi di gestione dei rifiuti nelle difficili settimane che abbiamo davanti. Auspico anche che le istituzioni, ognuna per la propria competenza, mantengano un occhio attento sul tema della prevenzione di rifiuti inutili, anche in una fase così critica. Da parte sua, la Commissione continuerà il lavoro di monitoraggio: tra le altre cose preoccupano i rischi di scorciatoie illegali e infiltrazioni di interessi illeciti in imprese in difficoltà”, dichiara il presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli.

Il parere della deputata ecologista Rossella Muroni

Sul tema è intervenuta anche la deputata ecologista Rossella Muroni, già presidente della Legambiente e ora parlamentare con Liberi e Uguali. Ha detto: “Nell’emergenza Covid l’uso di dispositivi di protezione individuale, spesso usa e getta, ha rischiato di mettere in crisi il sistema di gestione di rifiuti. Anche perché molte voci si sono levate per dire che servivano nuovi inceneritori o che non avremmo dovuto recepire la direttiva sulla messa al bando degli oggetti più diffusi di plastica usa e getta. Invece, il sistema impiantistico tiene, così come il cambiamento che ci chiede l’Europa e che ci spinge ad abbandonare la cultura della scarto in favore di un’economia circolare. Ma non dobbiamo nasconderci che, anche per contrastare le ecomafie abili ad infiltrarsi nel ciclo dei rifiuti specie dove ci sono punti di criticità, ci servono più impianti al servizio del riuso e del recupero dei materiali. Trasformare i rifiuti da problema a risorsa, ricavarne materia prima seconda, è strategico in un Paese storicamente povero di materie prime come il nostro perché crea filiere industriali innovative e sostenibili, quindi ricchezza e occupazione. La penso come don Ciotti: la moneta buona scaccia quella cattiva. Ed è quella dell’economia circolare la direzione indicata anche dalla approfondita relazione della Commissione Ecomafie sulle ricadute dell’emergenza epidemiologica nel settore dei rifiuti e dalla risoluzione di maggioranza. La direzione del futuro”.

fonte: www.e-gazette.it/


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Coronavirus, c'è un legame tra il virus e lo smog

Lo conferma la Sima, la società di medicina ambientale, che già a marzo ipotizzava una correlazione tra il virus e particolato atmosferico. "La prova definitiva dell'interazione nelle tracce di RNA virale isolate in campioni provenienti dai filtri di raccolta nella provincia di Bergamo a fine febbraio", spiega il professor Leonardo Setti, docente di Biochimica Industriale all'Alma Mater di Bologna



Il collegamento era stato già individuato, ma ora arriva una nuova conferma: c'è un legame tra la diffusione del coronavirus e l'inquinamento atmosferico in Pianura Padana. Lo studio della Sima, la società di medicina ambientale, che già a marzo ipotizzava un legame, è stato infatti pubblicato sulla rivista open-access "British Medical Journal", dopo 7 mesi di accurata peer-review da parte della comunità scientifica internazionale. "Si tratta della quarta pubblicazione che abbiamo prodotto dal mese di marzo - spiega il professor Alessandro Miani, presidente della Sima - quando ci siamo sentiti in dovere di avvertire i decisori politici, nel pieno dell'emergenza Covid-19, che la distanza di sicurezza di 2 metri (ridotta a 1 metro per gli ambienti indoor dal Cts governativo) non fosse sufficiente a garantire la sicurezza e che era necessario obbligare all'uso della mascherina tutti i cittadini in ogni luogo aperto al pubblico in un momento in cui si stava ancora discutendo dell'efficacia dei dispositivi di protezione individuale", aggiunge Miani.

"Abbiamo ottenuto la prova definitiva dell'interazione tra particolato atmosferico e virus quando siamo riusciti a isolare tracce di RNA virale in campioni provenienti dai filtri di raccolta del particolato atmosferico prelevati nella provincia di Bergamo durante l'ultima serie di picchi di sforamento di PM10 avvenuta a fine febbraio, quando le curve di contagio hanno avuto un'improvvisa accelerata facendoci precipitare nell'emergenza sanitaria culminata con il lockdown", spiega il professor Leonardo Setti, docente di Biochimica Industriale all'Alma Mater di Bologna e membro del comitato scientifico Sima.

Gianluigi De Gennaro, professore di Chimica dell'Ambiente all'Università di Bari precisa: "Durante l'inverno, in Pianura Padana, è possibile riscontrare anche per diversi giorni consecutivi più di 150.000 particelle per centimetro cubo, con un impatto sulla salute, anche in termini di mortalità evitabile, oramai acclarato dai rapporti annuali dell'Agenzia Europea per l'Ambiente. La pianura padana in inverno è assimilabile ad un ambiente indoor con il soffitto di qualche decina di metri, dove in presenza di una grande circolazione virale le condizioni di stabilità atmosferica, il tasso di umidità e la scarsa ventilazione hanno di fatto aperto al Coronavirus delle vere e proprie 'autostrade'".

I dettagli dello studio vengono forniti dal professor Prisco Piscitelli, epidemiologo e vicepresidente Sima: "Abbiamo analizzato il numero di sforamenti per il PM10 sopra i 50 g/m3 per tutte le Province italiane, considerando il numero di centraline installate, la numerosità e densità della popolazione, oltre al numero medio di pendolari giornalieri e turisti. Il periodo esaminato andava dal 9 al 29 Febbraio, in modo da tener conto dei 14 giorni di massima incubazione del virus e quindi degli effetti prodotti nelle prime due settimane di ondata epidemica in Italia (24 Febbraio-13 Marzo). Su un totale di 41 Province del Nord Italia, ben 39 si collocavano nella categoria di massima frequenza di sforamenti, mentre 62 Province meridionali su 66 si situavano ai livelli più bassi di inquinamento atmosferico. L'andamento degli sforamenti di PM 2.5 era pressoché sovrapponibile. L'effetto osservato era indipendente sia dalla numerosità che dalla densità di popolazione. Complessivamente, gli sforamenti di PM10 si rivelavano un significativo fattore predittivo di infezione da Covid-19, potendo spiegare la diversa velocità di propagazione del virus nelle 110 Province italiane".

"Sono quasi 200 i lavori scientifici che hanno citato i nostri studi, tra cui quello a firma del premio Nobel J. Molina" - aggiunge Leonardo Setti - "Tutti hanno confermato le nostre ipotesi mettendo in evidenza fenomeni di iperdiffusione ("superspread") del virus in vari Paesi del mondo. Tanti colleghi hanno osservato lo stesso fenomeno partendo da ipotesi diverse rafforzando ulteriormente il modello da noi proposto. E' importante sapere che queste accelerazioni della diffusione del virus le osserviamo quando le sorgenti naturali o le attività antropiche, legate al traffico e al riscaldamento domestico, così come le condizioni atmosferiche che riscontriamo tra gennaio e febbraio, portano a sforamenti ripetuti delle PM2,5 e PM10. Gli indici R0 passano da 2 a oltre 4 se gli sforamenti superano i 3-4 giorni consecutivi". "Nel ribadire che l'inquinamento atmosferico si rivela ancora una volta fonte di gravi danni alla salute, vogliamo tuttavia sottolineare che le evidenze prodotte da Sima non devono spaventare gli attori del mondo del lavoro e delle imprese, ma stimolarli a una ripartenza verde che coniughi il giusto progresso economico con la sostenibilità ambientale necessaria alla tutela della salute umana. L'abbandono dei combustibili fossili con una rapida transizione energetica ed ecologica è prospettiva oramai inevitabile per evitare il rapido collasso degli ecosistemi dalle conseguenze imprevedibili e offrirà nuove opportunità economiche e condizioni di lavoro in grado di servirsi al meglio delle nuove tecnologie", commenta Miani che aggiunge "Anche alla luce di queste evidenze, il Recovery Found deve essere occasione ineludibile per investire non più su azioni accessorie ma soprattutto su progettualità concrete che possano ridurre nel breve/medio periodo l'impatto dell'uomo sull'ambiente".

fonte: www.repubblica.it


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Cambio climatico e pandemie

Nel pieno della crisi sanitaria è molto difficile sperare in misure governative che prevedano per l’ambiente almeno alcune delle misure ritenute indispensabili. Eppure le analisi delle origini e delle cause della pandemia dovrebbero far comprendere che sono proprio i danni gravissimi arrecati al pianeta, come ad esempio la distruzione di tante foreste, ad aver creato le condizioni per lo “spillover”, cioè il passaggio dei virus tra animali e l’uomo, al cui interno diventano patogeni. Inoltre, alcuni inquinamenti, specie quello dell’aria che respiriamo nei centri urbani, indeboliscono in particolare le persone anziane e le rendono particolarmente adatte ad essere colpite dai virus più aggressivi



Riscaldamento globale ed eventi estremi

La temperatura del primo mese dell’anno è impressionante: gennaio è stato il mese più caldo dall’inizio delle rilevazioni e ha battuto di o,o3 gradi il record precedente, quello del gennaio 2016. In Europa le temperature hanno superato di 3,1 gradi la media. Dobbiamo sempre più tener presente che il riscaldamento crescente del pianeta sta favorendo la diffusione delle malattie infettive attraverso dei meccanismi complessi ma sempre più evidenti.

Virus e batteri sfruttano le condizioni più favorevoli per insediarsi in nuovi ambienti e per colonizzare aree del pianeta dove la loro presenza era sconosciuta. Inoltre la crisi climatica, aggiungendosi ad altri fattori come le guerre e i conflitti interetnici e l’aggravamento della situazione alimentare, costringe milioni di persone a migrare da un area all’altra del pianeta e insieme ad essi si spostano anche uccelli e insetti che trasportano virus e batteri, e alcuni di essi sono o diventano patogeni per gli esseri umani.

Gli insetti più difficili da controllare sono le zanzare, che causano ogni anno nel mondo almeno 700mila vittime per malaria, dengue e febbre gialla; a queste si aggiungono pulci, pidocchi, pappataci e zecche, che diffondono la febbre del Nilo, la Zika, la Chikungunya e la malattia di Lyme in zone diverse del mondo, spesso a seguito di ondate di calore. Anche le piante sono vittime dello stesso meccanismo climatico.

Negli ultimi anni sono giunte in Europa la la Xilella che attacca gli ulivi, il punteruolo rosso che uccide le palme, la vespa cinese che attacca il castagno, la cimice asiatica che colpisce alberi da frutta e ortaggi.

Anche la presenza e la persistenza di smog , specie nei maggiori centri urbani, è in aumento, a livello mondiale causa 4,5 milioni di morti premature all’anno, con una danno stimato di circa 2900 miliardi di dollari, pari a circa il 3,3 % del Pil globale.

Per l’Italia il danno ammonta a 60 miliardi dollari ogni anno. Sembra invece che le emissioni di CO2 siano diminuite nel 2019, a causa del rallentamento di gran parte delle economie e lo stesso effetto dovrebbe prodursi nella prima parte del 2020 a seguito delle chiusure delle attività produttive imposte dalla crisi del coronavirus.

Non si deve tuttavia dimenticare che questo effetto “positivo” rispetto al clima, inciderà sull’effetto serra solo fra circa dieci anni, il tempo cioè che l’anidride carbonica impiega per raggiungere la parte alta dell’atmosfera e quindi non modifica in realtà gli attuali squilibri planetari contro i quali si sta facendo ben poco.




Gli eventi estremi più recenti comprendono le tempeste Ciara e Dennis in Europa: la prima ha causato otto morti e ha lasciato migliaia di persone senza elettricità, la seconda , che ha colpito in particolare l’Inghilterra centrale e sud-occidentale, ne ha causati tre, con venti fino a 150 chilometri orari; nel Galles ha causato una inondazione il 16 febbraio a Crickhowell, come non se ne verificavano da quaranta anni.

Uno studio, pubblicato su Science Advanced, ha analizzato le correnti marine a livello globale, evidenziando, almeno per i flussi fino a duemila metri di profondità , una accelerazione a partire dagli anni ’90 soprattutto nell’Oceano Pacifico e ai tropici mentre nell’Atlantico settentrionali mostrano un rallentamento.

Le cause potrebbero essere ricercate nel riscaldamento globale e nei venti, ma i dati sono insufficienti per giungere a delle spiegazioni conclusive; inoltre sarà necessario spingere le rilevazioni a profondità maggiori. Una indagine relativa alla presenza di metano nell’atmosfera ha permesso di accertare che ormai il gas causato da fonti naturali, in larga misura dalla biomassa è poca cosa rispetto alle fonti di derivazione antropogenica, soprattutto dalla estrazione e dal consumo di petrolio e gas naturale: per queste ultime secondo gli scienziati le dichiarazioni relative alle emissioni fornite dalle imprese, sono del 35-40 % inferiori a quelle rilevate in atmosfera. Secondo un altro studio le zone umide costiere della Cina, periodicamente inondate dalle maree, si sono ridotte del 40% , passando da 7848 chilometri quadrati di superficie a 4845 tra il 1070 e il 2015.

Vi è poi un altro fenomeno oggetto di ricerche, connesso con i processi di riscaldamento globale: il possibile aumento, per gli aumenti delle temperature e della piovosità in certi territori, delle superfici coltivabili (che finora erano inutilizzabili). Tuttavia questo aspetto della crisi climatica apparentemente positivo, si rivela essere una ulteriore causa di inquinamento, dalle emissione derivanti dall’uso di mezzi meccanici in agricoltura all’uso di pesticidi, oltre ai rischi di sparizione per animali e piante.

Pertanto gli effetti dello spostamento della “linea del clima” dal sud al nord nel nostro emisfero dovranno essere attentamente monitorati. 



Infine, l’invasione delle locuste, particolarmente massiccia in questi mesi, che sta distruggendo piantagioni e manto verde in Etiopia, Somalia, Kenya, e si sta spostando verso Uganda e Tanzania e forse fino al Sud Sudan. Tutte le fonti sottolineano che ogni giorno gli sciami possono distruggere quantità incredibili di piante e possono ridurre alla fame interi territori. Calore e umidità hanno favorito la riproduzione delle locuste e quindi uno sciame grande come il territorio di Roma in un solo giorno può mangiare la quantità di cibo consumata dall’intera popolazione del Kenya. Infine, si stima che gli incendi che per oltre quattro mesi hanno distrutto la vegetazione nel sud e nell’est dell’Australia, hanno causato la sparizione del 20% delle foreste del paese.

Alcuni effetti dei meccanismi di inquinamento

Diventa sempre più necessario nelle analisi economiche tenere conto degli effetti del riscaldamento e dell’inquinamento a scala globale, dati che spesso vengono trascurati o sottovalutati. Ad esempio, il consumo di carni bovine salirà del 69 percento entro il 2050, e gli animali producono circa il 15% dei gas serra; l’80% dei terreni agricoli a coltivazioni intensive produce mangimi per animali; un chilo di carne bovina assorbe 15.999 litri di acqua tra irrigazione dei terreni, alimentazione degli animali e lavorazioni per la trasformazioni delle carni.

La sola soia per consumi animali è passata dai 175 milioni di tonnellate del 2000 ai 350 milioni di oggi. Inoltre tutte le perdite e i residui, cioè gli “sprechi” relativi alla filiera potrebbero alimentare 1,5 miliardi esseri umani. Non si può inoltre dimenticare che le carni trasformate, (affumicate, salate e stagionate) sono sospettate di essere cancerogene, come lo sono potenzialmente quelle rosse.

E oggi stanno emergendo anche i rischi di passaggio dei virus tra animali ed esseri umani causati dal commercio più o meno legale di animali vivi. Per approfondire una parte importante dei problemi legati al consumo della carne, si può leggere di J.Safran Foer, “Possiamo salvare il mondo prima di cena”, Guanda editore. Animali da carne o da allevamenti sono poi oggetto di una attività poco nota , il trasporto da un paese ad un altro con navi aerei o camion. Sono quasi 2 miliardi all’anno gli animali oggetto di questo traffico, nelle condizioni e con i rischi che si possono immaginare. La fonte qui utilizzata (Extraterrestre del 27 febbraio 2020) riporta alcuni esempi di questo traffico, pubblicati dal Guardian: quattro milioni di polli vivi dall’Olanda alla Thailandia; 640mila pecore dall’Australia al Qatar; 560mila bovini dal brasile e dall’Uruguay alla Turchia; oltre sei milioni di maiali dalla Danimarca alla Polonia.

Sono anche citati alcuni naufragi di navi specializzate in questo tipo di trasporti, ma non è difficile immaginare quali sofferenze vengono inflitte a questi animali durante i viaggi. Non sorprende quindi che in sede unione Europe si cominci a pensare ad una tassa sulla carne, per ridurne i consumi e contrastare i danni all’ambiente. E’ stato anche commissionato uno studio ad un centro di ricerche, Ce Delft, con sede in Olanda, che ha calcolato anche il valore dell’imposta da applicare, in modo da ottenere anche i fondi necessari a introdurre profonde modifiche nl sistema degli allevamenti



Una seconda forma di inquinamento che non accenna a diminuire è costituita dalla plastica, che oltre ad essere dispersa nell’ambiente che ci circonda viene anche spedita in paesi lontani. I flussi di esportazione dei residui di plastica verso la Cina, che ne riciclava grandi quantità ma che da due anni si rifiuta di accoglierli, hanno dovuto trovare nuove destinazioni. Tra questi paesi esportatori spicca l’Italia, che spedisce illegalmente i suoi residui fino alla Malesia. In realtà i paesi europei possono spedire all’esterno dell’UE i rifiuti di plastica ma solo se sono riciclabili e solo se le imprese di riciclaggio straniere rispettano gli stessi standard ambientali e tecnici degli impianti di smaltimento dell’Unione.

Ma ovviamente la mancanza di controlli favorisce l’utilizzazione di aziende che non rispettano tali vincoli e la trasformazione diventa sostanzialmente illegale. La recente ricerca di Greenpeace ha evidenziato che i cumuli di residui vicino agli impianti erano fortemente contaminati, mentre gli abitanti dei villaggi vicini denunciavano malattie respiratorie.

Inoltre ha evidenziato i primi 15 paesi dove l’Italia spedisce i residui di plastica : nel periodo gennaio e dicembre 2019 sono stati, in ordine di importanza delle esportazioni, Turchia, Malesia, Cina, Yemen, Svizzera, Arabia Saudita, India, Pakistan, USA, Messico, Singapore, Oman, Hong Kong, Sri Lanka, Vietnam.

Alcune prospettive

Nel pieno della crisi sanitaria, è molto difficile sperare in misure governative che prevedano per l’ambiente almeno alcune di quelle misure che da tempo sono richieste a livello internazionale.

Tuttavia una analisi più approfondita delle origini e delle cause della pandemia –che tante vittime e danni economici sta producendo – dovrebbe far comprendere che sono proprio dei danni gravissimi arrecati al pianeta , come ad esempio la distruzione di tante foreste, ad aver creato le condizioni per lo “spillover”, cioè il passaggio dei virus tra animali e l’uomo, al cui interno diventano patogeni.

Inoltre, mentre alcuni inquinamenti, specie quello dell’aria che respiriamo nei centri urbani, indeboliscono in particolare le persone anziane e le rendono particolarmente adatte ad essere colpite dai virus più aggressivi.

Quindi sarebbe grandemente auspicabile che le misure di riapertura e rilancio delle attività economiche dedicassero una forte attenzione a tutte le componenti che possono essere rispettose dell’ambiente e che comincino ad attuare le misure più urgenti dirette a ridurre il riscaldamento globale , approvate nelle sedi internazionali.

Proprio in questa prospettiva, è interessante notare che il parlamento europeo, malgrado le forti resistenze, ha approvato 131 infrastrutture e 32 nuovi progetti, diretti a promuovere un settore energetico europeo basato su fonti rinnovabili e corredato da una rapida eliminazione del carbone e del gas di natura fossile, per fare dell’Unione Europea la prima area mondiale a emissioni zero di anidride carbonica entro il 2050.

Le opere hanno un valore complessivo di 29 miliardi, mentre anche la Banca Europea degli Investimenti si è impegnata a non concedere più prestiti per le energie fossili.

Nell’insieme, non siamo ancora davanti ad una svolta radicale nella politica europea, ma anche queste misure, sostanzialmente di “adeguamento” progressivo al cambiamento climatico in corso, possono essere considerate delle aperture positive alle critiche e alle proposte degli ambientalisti.

Nella stessa direzione ma con obiettivi più seri si muove la campagna per la riduzione al 55% entro il 2030 di tutte le emissioni di gas serra, lanciata in Italia tra i movimenti di base, che quindi prevede la chiusura quasi immediata degli impianti più pericolosi.

Un’altra misura che era in discussione nel mese di febbraio riguarda un Piano per il Mezzogiorno, che nella parte analitica sottolinea che negli ultimi dieci anni “la spesa per investimenti della pubblica amministrazione si è più che dimezzata, passando dai 21 miliardi del 2008 agli attuali 19,3” . Inoltre gli investimenti pubblici sono crollati ovunque, ma nelle otto regioni del Sud in misura ancora maggiore, mentre il movimento migratorio tra il 2002 e il 2017 è stato di 640 mila giovani, dei quali 240 mila laureati. 



Fronte di tale situazione vengono enunciati una serie di buoni propositi, che però dovranno essere attuati “senza gravare di maggiori oneri la finanza pubblica e agendo sul riequilibrio della spesa ordinaria”, mentre nel primo triennio quasi tutto è demandato al “recupero della capacità di spesa “sui fondi esistenti e al salvataggio di risorse comunitarie, e quindi sembra quasi che poche o nulle saranno le risorse addizionali in favore del Mezzogiorno. Il Piano dovrà ancora essere molto discusso e rivisto, ma i tempi si sono ancora una volta allungati, a meno che almeno nel settore della spesa sanitaria non si decida finalmente di tenere conto delle reali esigenze della popolazione meridionale.

Molto ci sarebbe da discutere sulla scelta dei parametri e sulla definizione dei contenuti e delle percezioni, ma evidentemente uno stato sociale molto inclusivo, una profonda uguaglianza e un intenso rapporto con la natura sarebbero per tutti i paesi degli obiettivi da perseguire con costanza.

Alberto Castagnola

fonte: https://comune-info.net/


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Cara Task force, dateci prova di ripresa nel cambiamento e non solo di ripresa. Buon lavoro

“Non sarà mai possibile cambiare rotta se non siamo disposti a riconoscere fino in fondo gli errori commessi. Solo ora, sfiniti ma in fondo un po’ più consapevoli di prima, possiamo accettare qualcuno che ci dice di cambiare”. L’appello del prof. Paolo Pileri

© Gia Oris - Unsplash


Un Paese messo in ginocchio da un virus chiede aiuto a un gruppo di esperti. Mi pare un concetto che non fa una piega. E così è nata la “squadra Colao” composta da 17 persone e altrettanti curriculum sicuramente di profilo. Ma, ed entro subito nel merito, quale profilo per quale profilo di Paese in futuro? Perché questa rimane nella mia testa la domanda. Mentre l’angoscia per la “fase 2” sta salendo come sale tempestosamente il latte quando bolle, in me sta salendo l’angoscia per vedere garantite quelle diversità di approccio e culturali che, ritengo, abbiamo bisogno più dell’aria non tanto e non solo per ripartire, ma per “durare” e galoppare sul cavallo giusto, quello del cambiamento di approccio.

Qui non si tratta di rimettere in moto l’auto, ma di farla poi circolare su nuove strade, non quelle di prima semplicemente con una miglior regolazione del minimo. Molti, la maggior parte, dei profili impeccabili della squadra hanno a che fare, almeno così sembra, con un’economia che era quella delle acquisizioni aziendali, delle corporation, delle sedi nei Paesi a fiscalità agevolata, insomma di quella che, a mio modesto parere, era un pezzo del problema e non della soluzione. E quindi bisogna fare attenzione. Nulla vieta a tutte quelle persone che conoscono a fondo i meccanismi perversi di una certa economia spavalda e aggressiva di proporci altro e di riuscire a farlo proprio perché conoscono le chiave oscure di quel mondo. Ma devono rassicurarci e darcene prova, altrimenti il beneficio del dissenso, per usare un concetto caro a Martha Nussbaum, non è solo possibile, ma legittimo. È una questione di responsabilità pubblica.

La ripartenza di questo Paese deve fare i conti con questioni che non sono state mai in cima all’agenda di certi approcci economici e finanziari. Dobbiamo fare i conti con i cambiamenti climatici (e non vedo nessuno tra i 17 che è un super esperto di questo) e con un Paese che, ed è cosa indiscussa, è considerato da tutto il mondo il regno della bellezza. Ma, sappiamo bene, che non serve a nulla la bellezza se non ce ne prendiamo cura, se non la rispettiamo, spesso mettendo da parte la retorica del compromesso (accelerazione al disastro come dice papa Francesco nell’Enciclica). Solo così potremo, non solo salvaguardarla, ma anche immaginare di generare sana occupazione con lei al fianco. E quando dico sana dico sana per i lavoratori, sana per l’economia e sana per l’ambiente, senza sconti per nessuno. Però tra loro non vedo esperti in patrimonio culturale, in arte, in turismo sostenibile. In questo lockdown abbiamo visto le acque dei fiumi tornare limpide, l’aria delle città respirabile e i passeri tornare in città. Qualcuno sogghignerà davanti a queste cose, invece per me e non solo per me sono piccoli indicatori di una grande natura che prima era perseguitata da un certo modello di sviluppo aggressivo e che si auto-assolveva dietro la necessità di non poter fermare né rallentare il motore degli affari, pena il dissesto economico finanziario (che poi puntualmente è arrivato lo stesso e quindi era altro a cui bisognava portare attenzione) o che si nascondeva dietro facili etichette di finta o debole sostenibilità che, come prova la realtà che abbiamo sotto il naso, non ha portato nessun cambiamento di approccio culturale nel Paese. Ricordo che per ben due volte sono stati presentati i risultati pessimi dei goal di sostenibilità e per altrettante due volte la reazione delle forze economiche e politiche è stata semplicemente “do not disturb”, tipo i cartelli che si mettono fuori dalle porte di hotel. Mi chiedo quindi se la maggioranza di loro (almeno otto) si commuove davanti alle acque limpide del Po al punto da dire, pugni sul tavolo, che la ripresa deve avere un solo colore: verde. Ma verde sul serio. Io non lo so se loro hanno questo chiodo fisso, e chiedo rassicurazioni. Abbiamo un Paese piegato dallo spopolamento e dalla disuguaglianza (che non è solo quella di genere, ma anche quella generazionale, ma anche quella di accesso alle conoscenze, ma anche quella di uguale cittadinanza delle tematiche ambientali e sociali dentro quelle economiche e finanziarie, e così via) che giungono da decenni in cui abbiamo mal-trattato un tessuto territoriale già fragile di suo con politiche di malgoverno del territorio e privatizzazione sistematica del suolo nazionale in nome della rendita che non hanno eguali in Europa. Abbiamo chiuso uno, se non due, occhi alla corruzione, all’elusione, alla deroga su tutto. Un Paese che ha sistematicamente messo in piedi un’operazione di negazione e svilimento delle sue aree interne e artigiane in nome di un urbanesimo tutto e solo metropolitano, tutto e solo fatto di grandeur, velocità e grandi profitti e rendite (Milano e Lombardia in testa, ahìnoi).

Abbiamo offeso sistematicamente la ricerca pubblica, la sanità pubblica, le amministrazioni pubbliche dando loro i peggiori epiteti eppure oggi sono loro a salvare il nostro privatizzato Paese dai colpi bassi di un virus, peraltro figlio della globalizzazione (non dimentichiamolo). Abbiamo dato campo a una agricoltura enormemente insostenibile e inquinante in nome di cosa? Abbiamo trasformato le piazze dei nostri comuni in eventi, sagre, parcheggi in nome dell’attrattività e del consumo come se non fossimo capaci di null’altro. Ecco, di tutto questo e di tanto altro che non ho ora lo spazio di elencare vorrei ricevere da quella task force delle rassicurazioni che non ci ricascheremo. Ma non cerco parole di compromesso (altro tema divenuto insopportabile), bensì parole coraggiose e di svolta. Noi dobbiamo riuscire a impostare un futuro nel quale alcune economie terminano il loro corso e altre, davvero sostenibili e civili, si sviluppano prendendo il loro posto. Come vogliamo scacciare il virus e vaccinarci tutti, dobbiamo scacciare il virus dell’insostenibilità e vaccinarci tutti a un modello diverso. E tutto questo deve avere in cima ai pensieri l’ambiente e l’uguaglianza sociale. Dobbiamo riuscire a generare occupazione intelligente con i nostri caratteri, quelli della molecolarità territoriale, della bellezza, del sapere artigiano, dell’ambiente. Dobbiamo riuscire a crescere in attitudine civica e impegno civile. Abbiamo un Paese che ha bisogno di manutenzione e messa in sicurezza da decenni e qui possiamo fare economie intelligenti. Abbiamo un Paese con un piano energetico non all’altezza delle sfide e qui possiamo fare molto.

Abbiamo un Paese cannibalizzato dalla frammentazione amministrativa e da una continua confusione di ruoli e competenze e, in questa confusione, a fare le spese sono sempre i più deboli e l’ambiente e il paesaggio. Abbiamo un Paese con una politica dei trasporti che ha bisogno di essere ripensata e verso cui le ipotesi che si stanno profilando di ritorno massivo all’auto privata possono solo ucciderlo definitivamente assieme a quel poco di cultura della mobilità sostenibile che eravamo riusciti a generare. Abbiamo un paese che non sa fermare il consumo di suolo e la spesa pubblica che si porta dietro perché pensiamo ancora che cemento = ricchezza. Abbiamo gente che non ha la casa, che vive ai bordi di città dove mancano servizi, manca bellezza, manca civiltà ed è lì che possiamo e dobbiamo agire per primi. Abbiamo un Paese con un’urbanistica allo sfascio e predata dalla speculazione immobiliare e mercantile che ha bisogno di essere ridisegnata perché tutto quello che pensate ha bisogno del territorio. Non c’è solo da ricaricare la batteria per far ripartire un motore che era rimasto fermo per troppo tempo, non c’è solo da rimettere le auto in strada a distanza di sicurezza, c’è da cambiare modello e io chiedo semplicemente a quella task force di dichiararcelo con assoluta chiarezza e coraggio, tranquillizzandoci. Chiedo in fondo di far tesoro degli inciampi del passato per non farli nel futuro, anche se questo, lo so, sarà dolorosissimo per chi è abituato a certi comportamenti e certe visioni. Non sarà mai possibile cambiare rotta se non siamo disposti a riconoscere fino in fondo gli errori commessi: il mio appello è di lavorare a questa presa di coscienza, anche per onorare la loro stessa credibilità. Solo ora, sfiniti ma in fondo un po’ più consapevoli di prima, possiamo accettare qualcuno che ci dice di cambiare. Diversamente tutti torneremo alle faccende di prima e, peggio, ringrazieremo quella stessa economia speculativa che un attimo dopo avremo smesso di riconoscere come il colpevole di un attimo prima. Ci sono tutte le premesse per la sindrome di Stoccolma: noi agli arresti domiciliari che, per paradosso, ci innamoriamo del nostro carceriere. Vi chiedo di darci segnali chiari della vostra sensibilità, della vostra poetica sociale e ambientale e di quale approccio diverso intendete perseguire. Tutto qua. Per il resto, buon lavoro.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)

fonte: https://altreconomia.it



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Un vero piano verde, ecco cosa serve per la ripresa post Covid-19


















La questione ambientale, come emerge da più parti, è profondamente interconnessa con la pandemia in corso. «Migliorare la salute dell’uomo e degli animali, insieme a quella delle piante e dell’ambiente, è l’unico modo per mantenere e preservare la sostenibilità del Pianeta» ha dichiarato a Greenpeace Ilaria Capua, virologa di fama internazionale.

L’origine delle pandemie è infatti legata alla distruzione dell’ambiente e della biodiversità, del sistema alimentare basato sugli allevamenti intensivi e sappiamo che il riscaldamento globale rischia di riproporre emergenze sanitarie come quella che stiamo vivendo. Questo sia ampliando l’areale di malattie tropicali trasmissibili da zanzare, cosa già in atto con la dengue, chikungunya, e Zika, sia per lo scongelamento dei ghiacci e del permafrost che potrebbero liberare virus e patogeni anche di epoche remote. Una recente ricerca sui ghiacciai tibetani ha evidenziato la presenza di 28 virus sconosciuti e nel 2016 un focolaio di antrace, virus potenzialmente letale, era emerso in Siberia a seguito dello scongelamento del permafrost.

La questione tutta politica è quella della direzione, bisognerà dirigere gli stimoli per la ripresa economica del post-pandemia: se verso i settori tradizionali – come promette Trump per aiutare i suoi grandi elettori petroliferi – o verso nuovi settori per una svolta nel senso del «Green Deal».



Due to the coronavirus (Covid-19) shutdown, public squares, parks, streets and the international airport in Hamburg are almost deserted. People have to keep distance.

I produttori di auto europei hanno già chiesto un allentamento del regime di emissioni di CO2, dunque cercano di spostare l’asse verso la conservazione del passato.

Invece la necessità di una svolta è una affermazione condivisa da molti, dai Fridays For Future, dal movimento ambientalista ai promotori del Manifesto di Assisi e, anche da parte istituzionale, la necessità di un Green Deal è stata ribadita sia dal Presidente del Consiglio Conte che dalla Presidente della Commissione Europea von der Leyen.

La lettera aperta dei ricercatori raggruppati ne «La scienza al voto» ha ricordato che la riconversione dalle fossili alle rinnovabili richiede «uno sforzo limitato, rispetto a quanto stiamo facendo per il coronavirus, quantificabile in pochi punti percentuali di PIL, spalmato su molti anni e, se ben gestito, affrontabile dagli Stati e dalla comunità internazionale senza forti ripercussioni sui cittadini». E, ricordano, che i benefici delle politiche di riduzione delle emissioni di gas serra si estendono anche in termini di inquinamento dell’aria (di altri gas, che non impattano sul clima ma sulla salute). Lo smog, già responsabile di decine di migliaia di morti premature in Italia, potrebbe aver giocato, come avanzato da più parti, un ruolo nel peggiorare l’impatto della pandemia.

L’analisi dell’Economist sulla pesante crisi petrolifera legata alla pandemia da Covid19 conclude che le aziende petrolifere farebbero bene a prendere questa come un esempio di quello che verrà, dopo che la pandemia sarà finita. E, cioè, che molti nostri comportamenti cambieranno. Nel frattempo, si è verificato il crollo del prezzo del WTI fino a valori negativi, fatto mai registrato nella storia, con previsioni di ripresa dopo la pandemia che gli analisti fissano a 20$ al barile, dunque un prezzo molto basso.

Anche il settore delle rinnovabili ha subito un contraccolpo dalla pandemia ma pare in proporzioni inferiori. Ed, essendo le principali tecnologie rinnovabili (solare, eolico) dedicate alla produzione di elettricità, la competizione tecnologica non è tanto col petrolio quanto col gas. Questo rimane lo spartiacque delle politiche energetiche in Italia: se continuare a frenare le rinnovabili per difendere il mercato del gas, o se accelerare, e di molto, con la transizione energetica. Il piano «verde» dell’Eni è basato su una tecnologia non provata e di dubbia sicurezza ambientale, il Ccs (reiniettare le emissioni di CO2 nel sottosuolo), protezione delle foreste (!) e troppo poche rinnovabili nell’orizzonte decisivo per le politiche climatiche. Eni continuerà a estrarre petrolio (meno) e molto gas, mantenendo dunque comunque il grosso delle emissioni di CO2 legate al core business che, invece, in una politica seria del clima deve radicalmente cambiare. Ma il governo, temiamo, non glielo chiederà dopo la riconferma di Descalzi. Un piano serio dovrebbe puntare pesantemente a far cambiare mestiere all’azienda: rinnovabili, gas di sintesi a partire da rinnovabili, industria dell’efficienza energetica.

Un vero Green Deal dovrebbe includere, tra le altre cose, il vincolo degli aiuti a banche e grandi aziende che abbiano piani coerenti con l’Accordo di Parigi. Per essere chiari, le banche che continuano a finanziare le fonti fossili dovrebbero essere escluse da qualunque aiuto pubblico. Sarà necessario rivedere in profondità il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), anche in vista dell’imminente rivisitazione degli obiettivi 2030 Ue a cui si ispira, limitando in particolare l’uso del gas fossile e lavorando per uno sviluppo più ambizioso delle fonti rinnovabili, specialmente prima del 2025.

Bisogna iniziare a ridurre i sussidi alle fonti fossili e spostarli verso altri settori, dalla mobilità elettrica nelle sue varie forme, agli ecoincentivi per la ristrutturazione profonda degli edifici. L’incentivazione di una mobilità sostenibile, a partire dalla ciclabilità delle città come sta già avvenendo ad esempio a Parigi, è una priorità per il progressivo rientro alla «normalità» e la difficoltà – speriamo momentanea – dell’utilizzo dei mezzi pubblici, mentre ancora il virus non è stato debellato. Un piano di ristrutturazione profonda degli edifici per aumentarne l’efficienza e l’uso di rinnovabili, avrebbe un effetto occupazionale importante in un settore centrale dell’economia italiana.

Il governo deve adesso dimostrare se fa sul serio quando parla di sostenibilità o se intende continuare a proteggere i settori fossili che ci bloccano su schemi di un passato che dobbiamo a tutti i costi superare.


Giuseppe Onufrio

fonte: https://www.greenpeace.org/

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#IsdeItalia - Agostino di Ciaula: COVID-19: siamo davvero pronti per la fase 2 ?

In Italia, sino ad oggi, circa 27.000 persone sono morte a causa del COVID-19. Questo, prima della ripartenza, merita una riflessione su responsabilità diverse da quelle del virus.














Agostino Di Ciaula

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Gianni Tamino: «Cosa ci sta insegnando questa pandemia»

Coronavirus, un aggressore che arriva in conseguenza di un'alterazione degli equilibri ecologici e ambientali senza precedenti: è in sintesi quanto sostiene Gianni Tamino, docente emerito di Biologia generale all’Università di Padova, già deputato ed europarlamentare e oggi membro dei Comitati Scientifici dell’Associazione medici per l’ambiente- ISDE (International Society of Doctors for the Environment) e dell’Associazione Italiana per lo Sviluppo dell'Economia Circolare.




Coronavirus, un aggressore che arriva in conseguenza di un'alterazione degli equilibri ecologici e ambientali senza precedenti: è in sintesi quanto sostiene Gianni Tamino, docente emerito di Biologia generale all’Università di Padova, già deputato ed europarlamentare e oggi membro dei Comitati Scientifici dell’Associazione medici per l’ambiente- ISDE (International Society of Doctors for the Environment) e dell’Associazione Italiana per lo Sviluppo dell'Economia Circolare.

«L’obiettivo evolutivo di tutte le forme viventi è la propria riproduzione, per colonizzare l’ambiente di vita, obiettivo che entra in relazione, talora conflittuale, con lo stesso obiettivo riproduttivo di tutti gli altri organismi - spiega Tamino - da queste relazioni si sviluppano gli equilibri che caratterizzano gli ecosistemi e che pongono limiti alla crescita delle popolazioni e dei consumi di ciascuna specie. In ecologia si parla di carrying capacity (o capacità di carico) per spiegare che, sulla base delle caratteristiche di un ecosistema, gli individui di una popolazione non possono superare i limiti imposti dalle risorse disponibili. Un classico esempio per spiegare questo fenomeno è quello della relazione tra preda e predatore: alla crescita del numero di predatori corrisponde una diminuzione significativa del numero delle prede, che innesca – per scarsità di cibo – un conseguente calo anche dei predatori».

«Nel caso della popolazione umana si utilizzano concetti simili a quelli di carrying capacity ma con terminologie e metodi di valutazione un po’ diversi - prosegue Tamino - Si parla di “impronta ecologica”, cioè la misura del territorio in ettari necessario per produrre ciò che un uomo o una popolazione consumano. Questa analisi facilita il confronto tra regioni, rivelando l’impatto ecologico delle diverse strutture sociali e tecnologiche e dei diversi livelli di reddito. Così l’impronta media di ogni residente delle città ricche degli USA o dell’Europa è enormemente superiore a quella di un agricoltore di un paese non industrializzato, per cui sul pianeta un solo statunitense “pesa” più di 10 afgani».

«L’Overshoot Day è, invece, il giorno in cui il consumo di risorse naturali da parte dell’umanità inizia a superare la produzione che la Terra è in grado di mettere a disposizione per quell’anno: nel 2019 questo giorno è stato il 29 luglio. Dunque in circa sette mesi, abbiamo usato una quantità di prodotti naturali pari a quella che il pianeta rigenera in un anno. Il nostro deficit ecologico, pari a cinque mesi, provoca da una parte l’esaurimento delle risorse biologiche (pesci, alberi ecc.), e, dall’altra, l’accumulo di rifiuti e inquinamento, responsabile anche dell’effetto serra. Le attività umane stanno, dunque, cambiando l’ambiente del nostro pianeta in modo profondo e in alcuni casi irreversibile. Stiamo dunque superando, anzi abbiamo già superato i limiti delle capacità del pianeta di sostenere la popolazione umana e mettiamo a rischio la sopravvivenza di molte altre specie. L’attuale sistema produttivo industriale ed agricolo sta gravemente compromettendo anche la biodiversità del pianeta. Molte specie di animali e di piante sono ridotte a pochissimi esemplari e, quindi, in pericolo o, addirittura, in via di estinzione».

Tamino spiega ancora: «Le dimensioni e i consumi delle popolazioni umane sono variati moltissimo nel corso dei millenni, ma ogni volta che le risorse disponibili diventavano insufficienti, le popolazioni venivano ridimensionate, attraverso sistemi di autoregolazione. Fino a 12 mila anni fa la popolazione umana di raccoglitori e cacciatori, già presente in tutto il pianeta, per motivi di sostenibilità, cioè disponibilità di cibo, non superava probabilmente 1-2 milioni di abitanti, dato che ogni tribù doveva avere un ampio territorio di raccolta e di caccia e quel cibo costituiva il limite alla crescita. Si trattava di un sistema ben autoregolato e in equilibrio con il proprio ambiente; in qualche modo le società di allora potevano essere felici, perché utilizzavano quanto la natura offriva loro, senza un lavoro che occupava tutto il tempo di vita e quindi con tempi adeguati per le relazioni e per il riposo, come il mitico periodo dell’Eden».

«In seguito, in varie zone del pianeta, come nella mezzaluna fertile, in medio oriente, un importante cambiamento climatico, con riscaldamento globale, diffusione di animali e piante nelle regioni in cui il clima divenne più caldo e umido, favorì la cosiddetta rivoluzione neolitica, cioè l’agricoltura e l’allevamento. In tal modo i limiti della crescita demografica cambiarono perché, seminando piante e allevando animali, sullo stesso territorio si potevano sfamare fino a 1000 persone anziché 40-50, portando la popolazione ben oltre la dimensione di un paio di milioni. Tuttavia quando l’annata dava raccolti scarsi o quando la popolazione cresceva troppo, non restava altra via che la migrazione verso nuove terre da coltivare. Così pian piano questa nuova cultura si estese, a partire dall’Anatolia, a tutta l’Europa e, partendo da altre zone, a gran parte dell’Asia e parte dell’Africa. In tal modo la popolazione mondiale arrivò prima a decine, poi a centinaia di milioni di abitanti, già alcuni secoli avanti Cristo. Si stima che nell’Impero Romano, tra il 300 ed il 400 d.C., vivessero tra 60 e 120 milioni di abitanti; ma tale popolazione fu duramente colpita dalla cosiddetta Peste di Giustiniano, che portò a decine di milioni di decessi. In pratica quando, in base alle caratteristiche ambientali, climatiche, politiche e tecnologiche (capacità di produrre cibo), si superava il limite demografico per quel territorio, intervenivano fattori ambientali e sociali che riportavano la popolazione sotto il limite. Analogamente tra il ‘300 e il ‘600 scoppiarono varie epidemie, associate a carestie e guerre, come la peste decritta dal Manzoni ne “I promessi sposi”, e la popolazione europea subì periodiche drastiche riduzioni».

«Anche l’emigrazione ha costituito un elemento equilibratore dell’incremento demografico - prosegue il docente - La popolazione europea ha trovato, dopo la scoperta dell’America, nuove terre da coltivare, spazi da abitare, ricchezze da sfruttare, sottraendoli ai nativi che, oltre a essere massacrati, venivano debilitati da epidemie di malattie portate dai conquistatori. Oltre alle epidemie di peste già ricordate, nel corso della storia umana, anche recente, si sono succedute molte altre epidemie/pandemie, alcune collegate a guerre e carestie».

«Come abbiamo visto, epidemie e pandemie sono uno dei possibili meccanismi di controllo delle popolazioni, insieme a carestie, guerre e migrazioni: quanto più si superano i limiti della disponibilità di risorse del territorio, quanto più si altera l’ambiente di vita, tanto più facilmente uno o tutti insieme questi meccanismi entrano in funzione - dice ancora Tamino - La crescita della popolazione umana fino a più di 7 miliardi di abitanti, è stata resa possibile dalla Rivoluzione Industriale, che ha utilizzato enormi quantità di energia di origine fossile per attività impensabili in precedenza, non solo nell’industria, ma anche in agricoltura, con la cosiddetta Rivoluzione Verde. Tuttavia il cibo ottenuto potrebbe sfamare anche più di 7 miliardi di persone se venisse equamente distribuito e prodotto in modo sostenibile, ma una iniqua utilizzazione delle risorse, una crescente disparità tra pochi ricchi e molti poveri, una riduzione delle terre coltivabili a causa della cementificazione, la perdita di fertilità dovuta alle monocolture gestite chimicamente, l’inquinamento ambientale, l’alterazione del clima, danno origine a frequenti casi di carestie e di malnutrizione in ampie fasce della popolazione, soprattutto al sud del mondo».

«A partire dalla rivoluzione industriale abbiamo imposto un’economia lineare su un Pianeta il cui sistema produttivo funziona in modo ciclico. La conseguenza è una continua crescita dell’inquinamento e un cambiamento climatico sempre più minaccioso per il mantenimento degli ecosistemi e della biodiversità. Tutto ciò comporta la morte prematura di molti milioni di persone, ma anche un incremento di malattie cronico-degenerative, con conseguente indebolimento di tutta la popolazione, che risulta meno idonea a difendersi da altre malattie come quelle infettive. I cambiamenti climatici e la riduzione delle foreste con l’alterazione degli habitat di molte specie animali mettono sempre più facilmente a contatto animali selvatici con esseri umani, un contatto ancora più stretto quando questi animali vengono catturati per essere venduti in mercati affollati, rendendo più facile il salto di specie per i loro patogeni (si pensi al virus di ebola). Inoltre gli allevamenti, in particolare di polli e suini, con concentrazioni di molti capi in spazi ridotti, alimentati con mangimi contenenti antibiotici, favoriscono una forte pressione selettiva sui loro virus e batteri, che mutano velocemente verso ceppi e tipi più aggressivi anche verso la specie umana, come è avvenuto per l’influenza aviaria e suina. Un ulteriore contributo alla diffusione di agenti patogeni è dato poi dalla globalizzazione, che, grazie al frenetico trasferimento in ogni parte del pianeta di persone e merci, favorisce il passaggio da epidemie a pandemie».

La pandemia da Covid-19

«Dunque la nuova pandemia del virus Covid-19 era prevedibile e ampiamente prevista, se non proprio nei termini e nei tempi precisi, sicuramente come evento probabile - sostiene il docente - Già nel 1972, nel rapporto del MIT per il Club di Roma, dal titolo “I limiti dello sviluppo” si affermava che se la popolazione mondiale continuava a crescere al ritmo di quegli anni, la crescente richiesta di alimenti avrebbe impoverito la fertilità dei suoli, la crescente produzione di merci avrebbe fatto crescere l’inquinamento dell’ambiente, l’impoverimento delle riserve di risorse naturali (acqua, foreste, minerali, fonti di energia) avrebbe provocato conflitti per la loro conquista; malattie, epidemie, fame, conflitti avrebbero frenato la crescita della popolazione».

«Vi è poi il libro “Spillover” di David Quammen; egli stesso spiega in una recente intervista: “Nel 2012, quando il libro è stato pubblicato, ho previsto che si sarebbe verificata una pandemia causata da 1) un nuovo virus 2) con molta probabilità un coronavirus, perché i coronavirus si evolvono e si adattano rapidamente, 3) sarebbe stato trasmesso da un animale 4) verosimilmente un pipistrello 5) in una situazione in cui gli esseri umani entrano in stretto contatto con gli animali selvatici, come un mercato di animali vivi, 6) in un luogo come la Cina. Non ho previsto tutto questo perché sono una specie di veggente, ma perché ho ascoltato le parole di diversi esperti che avevano descritto fattori simili.”».

Come evitare pandemie future

«Il Covid-19 è una reazione (tra le altre) allo stato di stress che abbiamo causato al pianeta e quindi per prevenire nuovi eventi simili dobbiamo ridurre le alterazioni dell’ambiente, come la perdita di biodiversità, l’alterazione degli habitat e i cambiamenti climatici, favorendo processi produttivi industriali ed agricoli basati sull’economia circolare, sostenibili, con ricorso a fonti energetiche rinnovabili - sostiene Tamino - Già pochi mesi di blocco dei movimenti delle persone e di parziale riduzione di attività produttive hanno portato a un netto miglioramento della qualità dell’aria sia in Cina che in Italia (soprattutto nel Veneto): questo dato va colto non come futura necessità di impedire la circolazione delle persone e delle merci o di non produrre beni necessari, bensì di ripensare i trasporti e le produzioni industriali ed agricole, in particolare ridurre gli allevamenti animali: attualmente vi sono nel mondo 1,5 miliardi di bovini, 1 miliardo di suini, oltre 1,5 miliardi di ovini e caprini e circa 50 miliardi di volatili. La massa degli animali allevati è ben maggiore di quella di tutti gli esseri umani, con enormi sprechi di cibo, forte inquinamento e forte aumento di virus e batteri che possono fare il salto di specie. Inoltre l’abuso in zootecnia di antibiotici è responsabile anche dell’aumento di batteri resistenti agli antibiotici, vanificando uno degli strumenti a nostra difesa da queste infezioni. Oltre a nuove pandemie virali, il futuro potrebbe riservarci una diffusione pandemica di nuovi batteri resistenti ad ogni trattamento farmacologico».

fonte: www.ilcambiamento.it

Il WWF: «Con i cambiamenti climatici, i virus diventano più pericolosi»



















Esiste un legame strettissimo tra le malattie che stanno terrorizzando il Pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura». A dar l’allarme il WWF, che nei giorni scorsi ha pubblicato un report illustrato — «L’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi» — in cui viene analizzata la stretta correlazione tra l’insorgenza di nuove pandemie e un eccesso di antropizzazione dell’Ambiente naturale. Chiaro il messaggio: virus e batteri, alla base delle più importanti pandemie dell’ultimo ventennio, erano al principio innocui, fino a quando la selvaggia distruzione degli ecosistemi ne ha aumentato la pericolosità e – complice la globalizzazione – la diffusione. Alla base di questa affermazione, spiega ancora il recentissimo report del World Wide Fund for Nature, ci son diversi fattori: l’urbanizzazione massiccia delle città, la deforestazione, l’estensione delle zone di caccia, il commercio di specie selvatiche e il cambiamento climatico. «Tout Se Tient, cioè ogni cosa è collegata a tutte le altre — interviene Grazia Francescato, ex presidente di WWF Italia e dei Verdi —, lo dice il primo comandamento dell’ecologia. Cambiamento climatico ed epidemie non conoscono confini».

«La distruzione degli ecosistemi è la vera minaccia, perché c’è un legame tra quello che facciamo alla natura e l’insorgere di pandemie». Ne aveva sottolineato i rischi anche una ricerca de La Sapienza nel febbraio 2019

Per questo, spiegano gli ambientalisti «sarebbe criminale non mettersi già oggi al lavoro per fermare il surriscaldamento globale: con un pianeta più caldo potrebbero presentarsi malattie anche peggiori del Coronavirus». A gettar luce sulle conseguenze delle attività umane nella formazione di epidemie/pandemia, ci aveva già pensato un recente studio dell’Università La Sapienza di Roma. La ricerca, condotta a febbraio 2019 col coordinamento del prof. Moreno di Marco, ha confermato ciò che già si sospettava: cioè, che il rischio di insorgenza di pandemie non deriva tanto dalla presenza di aree naturali o di animali selvatici, quanto dalle modalità in cui le attività antropiche influiscono su queste aree e su queste specie. Da qui, l’appello a un nuovo modello di crescita sostenibile, che tenga conto delle necessità del Pianeta. «Non si può dire con certezza, per ora, quale tipo di legame ci sia tra coronavirus e climate change — riprende Francescato —. Ma che ci sia una interconnessione tra cambiamento climatico e diffusione delle malattie infettive non è un mistero: da anni, numerosi rapporti di esperti internazionali lo denunciano».

La mancanza di coscienza ecologica costa cara: in Cina ha causato un deficit commerciale di 7 miliardi e un significativo crollo dell’export. A lungo termine, conterà sempre più investire nella tutela degli ecosistemi

In un’intervista alla rivista Vita, Francescato ha ricordato che «recentemente Giuseppe Miserotti, membro dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE), ha evidenziato come i picchi delle epidemie diventate più famose, come per esempio la SARS e l’influenza Aviaria nel 2003 e l’influenza Suina nel 2009, si siano verificati in corrispondenza di picchi di temperature di almeno 0,6 o 0,7 gradi oltre la media. Viste le temperature elevate degli ultimi periodi non c’è da stare sereni». E i picchi di temperature sono strettamente connessi con l’effetto serra alimentato dalle attività umane. Ad oggi il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino sono stati modificati in modo significativo dall’Uomo, ricorda la World Wildlife Foundation, mentre la popolazione umana è raddoppiata negli ultimi cinquant’anni. La mancanza di coscienza ecologica costa cara anche all’economia mondiale. Alla sola Repubblica Popolare Cinese, il Covid-19, che ha avuto come primo focolaio la città industriale di Wuhan (nell’Hubei), ha causato un deficit commerciale di 7 miliardi e un significativo crollo delle esportazioni. Investire nella tutela degli ecosistemi, quindi, si rivela un’azione fruttuosa a lungo termine.

Ilaria capua: «Covid-19 è figlio del traffico aereo ma non solo». La vita degli uomini nelle città con periferie sovraffollate e degradate crea habitat ideali per la diffusione dei virus

«Covid-19 è figlio del traffico aereo ma non solo: le megalopoli che invadono territori e devastano ecosistemi creando situazioni di grande disequilibrio nel rapporto uomo-animale», ha scritto la virologa Ilaria Capua sul Corriere della Sera. Le città occupano solo il 3% della superficie del pianeta, ma ospitano quasi il 60% della popolazione mondiale, che consuma il 75% delle risorse naturali. Molte di queste città, sovrappopolate, chiosa lo studio del WWF, versano in condizioni igieniche precarie. «Le periferie degradate e senza verde di tante metropoli tropicali si trasformano nell’habitat ideale per malattie pericolose». I mercati delle metropoli, specialmente in Africa e Asia, che incontrano un’alta domanda della popolazione, spacciano spesso tutta la fauna predata: animali selvatici vivi, scimmie e tigri, serpenti, pangolini, pipistrelli (da cui avrebbe avuto origine il successivo spill-over del SARS-CoV-2 all’Uomo) favorendo conosciute e sconosciute zoonosi. A condire il tutto, c’è il Climate Change perché, spiegano dal WWF, «tutti i virus e i batteri prediligono l’umidità delle nuove condizioni climatiche».

Perché la minaccia al Pianeta ci fa meno paura

Perché allora non aggredire il problema, in via cautelativa, con misure drastiche quanto quelle prese per fronteggiare l’emergenza da nuovo Coronavirus? «La differenza è nel tempo. Il fenomeno del climate change — con il surriscaldamento globale, lo scioglimento die ghiacci artici, l’espansione termica degli Oceani — ha tempi più lenti del Coronavirus che invece in breve ha raggiunto una fase acuta che tocca direttamente la salute delle persone. Il Coronavirus viene percepito come una emergenza immediata, non procrastinabile, nei cui confronti bisogna prendere delle misure urgenti». Per quanto riguarda il fenomeno dei cambiamenti che minacciano il Pianeta, invece, «la percezione è quella di avere ancora tempo per intervenire, anche se non è detto che il tempo a disposizione sia ancora molto», sostiene Anna Oliverio Ferraris, già ordinario di Psicologia all’Università La Sapienza di Roma e autrice del libro Psicologia della paura (Bollati Boringhieri). Insomma: è tutta questione di tempo. E chi lo ha, non lo aspetti.

fonte: www.corriere.it

Ci preoccupano i virus? Allora fermiamo i cambiamenti climatici e lo scioglimento del permafrost

C’è chi pensa che, in pieno allarme coronavirus, parlare dei cambiamenti climatici non sia di attualità, che le priorità siano altre; e invece noi pensiamo che sia fondamentale continuare a dare una informazione adeguata in merito. Perché i due temi non sono poi così lontani fra loro...




C’è chi pensa che, in pieno allarme coronavirus, parlare dei cambiamenti climatici non sia di attualità, che le priorità siano altre; e invece noi pensiamo che sia fondamentale continuare a dare una informazione adeguata in merito.

Chi da sempre ha ammonito sui disastri climatici a cui andiamo incontro, con tutti i problemi che ne derivano e ne deriveranno, non lo ha fatto per qualche fissazione particolare, per fare il profeta di sventura, per avere visibilità o guadagnarci qualcosa. Lo ha fatto perché tiene non solo alla sua di pelle ma anche a quella del prossimo e alla vita del pianeta intero.

Ma invece di essere ascoltati, supportati, messi nella condizione di lavorare e agire in maniera appropriata, chi si è impegnato in questo senso è stato per lo più ignorato. Del resto per capire il pochissimo impegno e considerazione circa la gravità della situazione, basta guardare una qualsiasi pubblicità in cui veniamo raffigurati in una baldoria continua, un party infinito. Infatti perché mai ascoltare chi ci dice di preoccuparci dell’ambiente, di cambiare stili di vita, di fare in modo che il lavoro e la nostra esistenza contempli anche gli altri e la casa in cui viviamo e non solo il nostro tornaconto?

E così, a chi si impegna per cambiare in meglio la situazione viene data al massimo qualche pacca sulla spalla, un "bravo, bene", ma poi viene detto che le cose importanti sono altre, come la crescita, cioè la falsa economia che si occupa di rendere i ricchi sempre più ricchi, di sfruttare tutte le risorse in maniera indiscriminata e produrre inquinamento a più non posso. L’importante è non fermare il party e convincere tutti quelli che sostengono e lavorano per questo sistema che anche loro potranno avere briciole e che potrebbero essere addirittura fra i pochissimi fortunati e diventare ricchi, potersi fare i selfie nelle loro ville lussuose con piscina.

Poi è arrivata da non si sa quale pianeta Greta Thunberg portando alla ribalta le tematiche che da sempre sosteniamo. Applausi, belle parole, ma che brava ragazzina, bene, bravi, avete ragione, bisogna intervenire, bisogna fare. Ma alle parole non sono seguiti né fatti, né quegli interventi di emergenza necessari. Tant’è che Greta continua ad andare in giro a dire ai politici che non stanno facendo nulla e loro la applaudono, ma imperterriti continuano a non fare nulla o prendono misure solo di facciata e lontanissime dall’emergenza in corso.

Poi, improvvisamente irrompe sulla scena un altro elemento spiazzante, cioè il coronavirus, ed è panico mondiale. Si assiste alla reazione che auspicava Greta quando parlava della casa in fiamme, cioè il nostro pianeta e il conseguente panico che avremmo dovuto avere per l’umanità gravemente minacciata dai cambiamenti climatici. Quindi è chiaro: della nostra casa in fiamme ci interessa poco e niente, del coronavirus certamente sì. Allora se una reazione la si ottiene solo tramite un virus e le sue conseguenze, abbiamo paradossalmente una notizia che riguarda proprio questo ambito e che è direttamente collegata al riscaldamento globale.

Da un punto di vista sanitario, oltre alle malattie che aumenteranno con il riscaldamento della temperatura globale (ma questo è stato detto innumerevoli volte e pare non interessare granchè), c’è anche un ulteriore pericolo fortissimo determinato dall’aumento della temperatura a causa dal nostro sistema di vita e produzione: si sta sciogliendo il Permafrost, cioè lo strato di ghiaccio che si è formato nel corso di migliaia di anni e che si trova tra l’estremo Nord Europa, la Siberia e l’America Settentrionale.

Il suo spessore può variare da un metro a oltre un chilometro. Il primo pericolo è dato da tutto il metano intrappolato al suo interno che se uscisse sarebbe una bomba climatica che ci darebbe il colpo di grazia definitivo, ma questi aspetti climatici, per quanto drammatici, sono argomenti che non vengono presi molto in considerazione. Allora analizziamo il fattore virus che pare smuova maggiormente le coscienze. Se infatti si scioglie il permafrost ci sono virus intrappolati nel ghiaccio che potrebbero rianimarsi con conseguenze difficilmente immaginabili. Queste notizie sono risapute, dette e ridette da noi ma qualche volta riprese anche dalla stampa ufficiale, ovviamente fra le notizi minori, molto dopo il gossip, lo sport e l’oroscopo. Ne riportiamo qui sotto solo una piccola carrellata di simili notizie uscite in passato, così che non si dica che non lo si sapeva, che eravamo all’oscuro.

Quindi tutti ne erano potenzialmente al corrente: dai politici ai decisori, dai medici agli infermieri, dai virologhi ai luminari della scienza medica, dagli esperti ai cittadini. I virus fanno più paura dei cambiamenti climatici? Allora si agisca immediatamente per fermare i cambiamenti climatici e il conseguente disastro ambientale, così oltre che fermare l’incendio della casa in fiamme, diminuirà anche il rischio di virus.

Paolo Ermani

Ecco, per documentarvi:

https://www.lastampa.it/cultura/2019/04/15/news/pericolo-permafrost-il-ghiaccio-perenne-si-scioglie-e-fa-resuscitare-batteri-sconosciuti-1.33695549

https://www.focus.it/scienza/scienze/i-patogeni-nel-permafrost-virus-e-batteri-possono-tornare-attivi

https://tg24.sky.it/scienze/2019/06/22/artide-carbonio-mercurio-virus-permafrost-sciolto.html

https://www.agi.it/scienza/scioglimento_ghiacci_virus-6890769/news/2020-01-15/

http://www.biosost.com/hub/cambiamento-climatico/639-17_04_19.html

https://www.repubblica.it/scienze/2015/09/14/news/quel_virus_preistorico_potrebbe_risvegliarsi_per_colpa_del_riscaldamento_globale-122597610/

https://it.businessinsider.com/il-bacillo-che-venne-dal-freddo-i-ghiacci-si-sciolgono-e-liberano-virus-e-batteri-che-potremmo-non-saper-combattere/

https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/17_maggio_06/malattie-nascoste-ghiaccio-virus-pericolosi-che-riprendono-vita-d1595f44-325c-11e7-b0d7-0686cd4c6368.shtml

https://www.scienzenotizie.it/2019/07/08/carbonio-mercurio-e-virus-ecco-cosa-contiene-il-permafrost-che-si-sta-sciogliendo-4431495

https://www.osservatorioartico.it/che-cose-il-permafrost/

https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2020.01.03.894675v1

fonte: www.ilcambiamento.it