Visualizzazione post con etichetta #Salvaguardia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #Salvaguardia. Mostra tutti i post

La circolarità dell’olio e la mission di RenOils per salvaguardare l’ambiente















RenOils è un Consorzio senza scopo di lucro che si occupa della corretta gestione degli oli e grassi vegetali e animali alimentari esausti. La missione è la salvaguardia dell’ambiente e l’integrazione di un sistema circolare nel settore: uno scarto può diventare risorsa? Ne parliamo con Ennio Fano, Presidente del Consorzio.

Il vostro supporto a Circonomia come sponsor riflette la vostra sensibilità al tema della circolarità, ma come interpretate voi il concetto di “economia circolare” all’interno della vostra realtà?

Per noi l’economia circolare è un concetto essenziale alla base della nostra mission: gestire correttamente l’olio esausto da cucina è molto importante per l’ambiente in quanto l’olio e il grasso alimentare, dopo la cottura, acquisiscono composti carboniosi, antiossidanti e conservanti, divenendo nocivi. Non possono essere, dunque, riutilizzati e diventano un rifiuto altamente inquinante. Non tutti sanno che, se recuperati correttamente, possono essere riciclati nella produzione di biodiesel per autotrazione, in impianti di cogenerazione, nella produzione di bio-lubrificanti, di saponi, cere e altro. Gestire in maniera corretta il rifiuto “olio” rappresenta oltre che un’opportunità per l’ambiente anche un valore economico. Il mercato del recupero degli oli e grassi animali e vegetali esausti, in cui opera RenOils, è attualmente autosufficiente: il prezzo di vendita del materiale recuperato è superiore al costo della raccolta e del trattamento. Il valore del rifiuto lo rende economicamente valido e sostenibile.


Quanto conta la comunicazione ambientale nel vostro lavoro? Chi sono i vostri interlocutori?

La comunicazione è fondamentale, sensibilizzare è alla base della nostra attività. Alla raccolta del rifiuto finora, infatti, sono sempre stati affiancati eventi per istituzioni e cittadini utili a far conoscere RenOils, i risultati più importanti ottenuti nell’interesse dell’ambiente, della salute dei cittadini ma anche dello sviluppo economico e di lavoro. Il Consorzio sta lavorando con successo sul territorio, in particolare in collaborazione con le Amministrazioni Comunali, per mettere in campo un dialogo chiaro e costruttivo soprattutto con le famiglie: l’obiettivo è evitare la dispersione dell’olio esausto e potenziare, quindi, la raccolta differenziata aumentando il recupero del rifiuto.

fonte: www.envi.info



#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

L’Italia che protegge l’ambiente e diventa energeticamente autosufficiente può darci milioni di occupati

Il settore ambientale è quello che in assoluto ha più potenzialità occupazionali di tutti gli altri, compreso il settore informatico di cui tanto si favoleggia.




Vari anni fa un politico imprenditore, noto anche per i suoi tanti guai con la giustizia, per farsi eleggere sparò una delle sue proverbiali balle dicendo che avrebbe dato milioni di posti di lavoro agli italiani. Ovviamente nulla di questo si avverò ma se avesse usato questa affermazione riferendosi all’ambiente (che purtroppo il personaggio in questione non sa nemmeno cosa sia) sarebbe stato molto più credibile.
Infatti il settore ambientale è quello che in assoluto ha più potenzialità occupazionali di tutti gli altri, compreso il settore informatico di cui tanto si favoleggia.
Del resto non ci vuole molto a capire che visto lo stato ambientale pietoso in cui abbiamo ridotto il nostro paese, ci vorrà tanto lavoro per rimettere in sesto quanto si è rovinato.
Ma andiamo con ordine, solo il settore della riqualificazione energetica capillare di tutto il patrimonio edilizio italiano darebbe da lavorare a centinaia di migliaia di persone. Se poi finalmente si volesse sfruttare la qualità principale del Paese del sole, ovvero il sole stesso e le energie rinnovabili in genere, anche per fare diventare l’Italia in breve tempo autosufficiente, servirebbero altre centinaia di migliaia di persone.
Pensate ad esempio cosa significherebbe in fatto di occupazione diffusa, da nord a sud, mettere ovunque sia possibile pannelli solari per produrre elettricità, acqua e aria calda, microgeneratori eolici, micro impianti idroelettrici, impianti di biogas domestici.
C’è poi tutto il settore della salvaguardia ambientale laddove innumerevoli zone sono a rischio idrogeologico costante derivante dal saccheggio della natura e cementificazione. Proporre poi un turismo orientato soprattutto all’ecologia, intervenire sul vastissimo settore del riuso, recupero e riciclo dei materiali dalle potenzialità immense, applicare sistemi di efficienza energetica ovunque compresa la mobilità completamente rivista in ottica di tutela ambientale. Intervenire sugli sprechi idrici e quindi la conseguente installazione capillare di limitatori di flusso, sistemi di fitodepurazione ove possibile, compost toilet, sistemi di recupero acqua piovana, orti autoirriganti.
E se calcoliamo le potenzialità anche di tutto il settore dell’agricoltura biologica, avremmo un ulteriore altissimo incremento di occupati, visto che è evidente che non possiamo continuare a mangiare e bere schifezze e conseguentemente avvelenare noi stessi e l’ambiente spargendo tumori nella popolazione, vero flagello sanitario. A corollario di tutto questo c’è la necessaria e fondamentale informazione e formazione a cittadinanza, scuole, imprese, enti pubblici, uffici, che impegnerebbe altrettanti lavoratori.
Intraprendendo queste azioni riassorbiremmo tutta la disoccupazione e molte persone che attualmente fanno lavori dannosi, inutili, senza senso o che non gli piacciono, potrebbero cambiare lavoro e contribuire a fare dell’Italia il giardino fiorito che più volte abbiamo auspicato.
Proviamo a immaginare, con questi interventi capillari e diffusi ovunque, quanti milioni di persone si occuperebbero; e per di più in lavori, utili, sensati e che salvaguardano noi, la nostra salute e quella delle prossime generazioni. Inoltre si risparmierebbero enormi quantità di soldi sottratte al flagello dei combustibili fossili, discariche, inceneritori, veri e propri prosciugatori di ricchezza e produttori di inquinamento senza soluzione di continuità.
Altro che “crescita” e soldi buttati dalla finestra per rilanciare settori che producono merci e servizi dannosi o/e superflui; si punti dunque decisamente e senza indugio sull’ambiente e tutto quanto ne deriva, si avranno solo benefici, vantaggi e prosperità da ogni punto di vista.
E che questa via sia percorribile, sana e saggia lo dimostriamo come associazione Paea da oltre venti anni con il nostro lavoro e spiegheremo come intraprenderla anche nel prossimo corso sul “Cambiare vita e lavoro. Istruzioni per l'uso” giunto ormai alla 47 edizione. Immersi nella natura umbra ospitati al Parco Energie Rinnovabili, un gioiello di autosufficienza, tecnologie appropriate, energie rinnovabili, creatività e ottima cucina, costruiremo l’auspicabile futuro solare e vivibile per tutti

fonte: www.ilcambiamento.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Mediterraneo e cambiamento climatico

 

Le Nazioni Unite, il 5 giugno, giornata mondiale dell'ambiente, hanno dato avvio ad un nuovo decennio per la salvaguardia della biodiversità, che, insieme ai cambiamenti climatici, rappresenta una delle più importanti sfide ambientali che dovremo affrontare nel prossimo futuro.

In occasione, invece, della giornata mondiale degli oceani, l'attenzione è stata puntata sul Mediterraneo e il cambiamento climatico. Da una parte, il WWF ha pubblicato un nuovo report dal titolo “ Gli effetti del cambiamento climatico nel Mediterraneo. Sei storie da un mare sempre più caldo”, dove mette in luce come il cambiamento climatico abbia già influenzato e alterato il "nostro mare", per alcuni versi in modo irreversibile; dall'altra, Enea ha presentato un innovativo modello per proiezioni climatiche ad alta risoluzione dell’area mediterranea, dal nome ENEA-RegESM, che è in grado di simulare le dinamiche atmosfera-oceano in relazione con i processi fisici e biologici che avvengono sulla superficie terrestre, come flussi di calore, assorbimento di CO2 da parte degli ecosistemi terrestri e ciclo idrologico.

Secondo Enea, il Mar Mediterraneo è un "sorvegliato speciale". Da un punto di vista atmosferico, la regione mediterranea è una zona di transizione compresa tra la fascia temperata e quella tropicale caratterizzata da basse precipitazioni totali annue; durante l’inverno, la pioggia è portata dai venti occidentali, mentre le estati secche e calde dipendono dall’influenza innescata dal monsone indiano.

Conformazione del territorio, natura frastagliata delle aree costiere con un numero considerevole di isole e stretti e variabilità dell’orografia delle aree continentali interne rendono il bacino del Mediterraneo una regione particolarmente complessa.

Le temperature delle acque del Mediterraneo stanno aumentando il 20% più velocemente rispetto alla media globale, questo comporta gravi conseguenze, destinate ad aumentare nei prossimi decenni; se non verrà fatto nulla, assisteremo all’aumento del livello del mare che potrebbe superare il metro entro il 2100, con impatti su un terzo della popolazione che vive in questa regione.

Il WWF, nel suo nuovo report, evidenzia come siano necessarie azioni urgenti e significative, sia per ridurre ulteriori emissioni di gas serra, sia per adattarsi alle nuove condizioni con un mare sempre più caldo, pur consapevoli che non esiste un modo veloce per sconfiggere il cambiamento climatico. Infatti anche con un’azione globale immediata di riduzione delle emissioni di gas serra, le temperature probabilmente continuerebbero ad aumentare per decenni, quindi quello che dobbiamo fare è aumentare la resilienza e proteggere e ripristinare le risorse naturali del Mar Mediterraneo.

Nel report si sottolinea come sia in atto un'allarmante perdita di biodiversità marina, la fauna marina, sottoposta a enormi pressioni, sta diminuendo a causa di inquinamento, sviluppo costiero, eutrofizzazione, traffico marittimo, produzione di energia e altre attività antropiche. A questo si aggiunge una presenza sempre maggiore di specie non autoctone, nel Mediterraneo, si registrano 1.000 specie animali aliene tipiche dei mari tropicali, la cui sopravvivenza e diffusione, soprattutto verso nord e ovest del bacino, è favorita dall’aumento della temperatura media dell’acqua dovuta ai cambiamenti climatici.

Al tempo stesso, il cambiamento del clima comporta lo spostamento di alcune specie native, che stanno muovendo i propri areali verso nord per seguire le acque più fredde, mentre altre specie endemiche sono state spinte sull’orlo dell’estinzione.

Tutto questo determina
un'alterazione degli equilibri tra specie, come è evidente con la proliferazione di meduse, che affligge pescatori e turisti
l’emergere di nuovi patogeni
l’aumento di fenomeni atmosferici estremi, che sta devastando habitat marini fragili come quelli della Posidonia e i fondali corallini.

Per approfondimenti leggi: “Gli effetti del cambiamento climatico nel Mediterraneo. Sei storie da un mare sempre più caldo”

fonte: www.arpat.toscana.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Ci vuole un piano nazionale per salvare la natura

Per il nostro Paese è indispensabile pensare ad un grande piano per riqualificare la natura



Tra le sfide che dovremo affrontare nel prossimo futuro, oltre al cambiamento climatico, c'è la perdita di biodiversità, tanto che anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si fa riferimento al nostro "ecosistema naturale e culturale di valore inestimabile", definendolo un elemento distintivo dello sviluppo economico presente e futuro, da proteggere come patrimonio unico dell'Italia.

Nella sezione del PNRR dedicata alla transizione ecologica, uno dei pilastri, in particolare la Componente 4, si incardina sulla messa in sicurezza il territorio, intesa come:
mitigazione dei rischi idrogeologici (con interventi di prevenzione e di ripristino),
salvaguardia delle aree verde e della biodiversità (es. con interventi di forestazione urbana, digitalizzazione dei parchi, ri-naturificazione del Po),
eliminazione dell’inquinamento delle acque e del terreno (es. con bonifica siti orfani) ,
disponibilità di risorse idriche (es. infrastrutture idriche primarie, agrosistema irriguo, fognature e depurazione.

Il WWF, partendo proprio dal riferimento alla salvagardia della biodiversità, contenuto nel PNRR, ricorda che "il nostro Paese ha una delle biodiversità più ricche d’Europa" e nel documento, "Riqualificare l'Italia", chiede al Governo di redarre un Piano nazionale di ripristino ambientale che definisca le priorità d’azione, in modo da dare vita ad un’azione “straordinaria”. Il piano del WWF si concentra su:
6 aree vaste prioritarie per la connettività ecologica, ovvero le Alpi, il Corridoio Alpi Appennino, la valle del Po, l’Appennino umbro-marchigiano, l’Appennino campano centrale, la Valle del Crati - Presila Cosentina
un’azione “diffusa” sul resto del territorio.

Nel definire un piano per la conservazione e rigenerazione della biodiversità, le singole Agenzie ambientali possono dare il loro contributo, in quanto svolgono un'importante attività di monitoraggio dell'ambiente e mettono a disposizioni informazioni ambientali, attraverso dati, mappe e pubblicazioni e notizie. Questo quadro informativo si arrichicchisce, a livello nazionale, attraverso tutte le pubblicazioni realizzate dal Sistema Nazionale di Protezione Ambientale (SNPA), che racchiude ISPRA e tutte le Agenzie presenti sul territorio nazionale.

Per quanto riguarda ARPAT, pensiamo, in particolare, alla mole di informazioni presenti:
nelle sezioni del sito Web di ARPAT

nelle pubblicazioni realizzate da ARPAT, sia annualmente, come nell'Annuario dei dati ambientali, dove vengono messi a disposizione di tutti i cittadini, attraverso sei aree tematiche, aria, acqua, mare, suolo, agenti fisici e sistemi produttivi, più di 90 indicatori ambientali, con i quali si definisce la situazione ambientale in Toscana, che periodicamente, attraverso le pubblicazioni su temi ambientali e, su questo argomento nello specifico, quella dedicata alle piante aliene. La stessa Regione Toscana, basandosi sulle informazioni ambientali messe a disposizione da ARPAT, elabora la sua Relazione sullo Stato dell'ambiente.

La quantità di informazioni ambientali, frutto dell'attività svolta dalla nostra Agenzia, può aiutare a definire alcuni importanti tasselli del quadro dell'ecosistema nella nostra regione, una sorta di fotografia dello "stato di salute" del nostro habitat, grazie al quale siamo informati, ad esempio, su quale sia la qualità delle acque sia interne (superficiali, sotterranee, destinate alla potabilità) che marino-costiere oppure su PFAS e fitofarmaci nelle acque, su quanta parte di territorio sia soggetta ad un procedimento di bonifica oppure sulla biodiversità marina.

Tutti temi particolarmente interessanti per delineare una strategia per la conservazione e rigenerazione della natura, sia a livello locale che nazionale, e tutti richiamati dalla Componente 4 della strategia per la transizione ecologica contenuta nel PNRR.

Al momento non è obbligatorio definire, a livello nazionale, un piano per la biodiversità ma questo renderebbe più concreto quanto contenuto nella strategia UE per la biodiversità, il cui titolo è alquanto esemplificativo: "Riportare la natura nella nostra vita".

Con questo documento la Commissione evidenzia i forti legami tra la nostra salute e quella degli ecosistemi e sottolinea come la difesa della biodiversità abbia anche un valore economico, in quanto oltre la metà del PIL mondiale dipende dalla natura e dai servizi che ci offre, soprattutto nei settori dell'edilizia, dell'agricoltura e degli alimenti e bevande.

La Commissione europea afferma che in Europa "la natura versa in uno stato critico" e 5 risultano essere le cause principali della perdita di biodiversità:
cambiamenti dell'uso del suolo e del mare
sfruttamento eccessivo delle risorse
cambiamenti climatici
inquinamento
presenza di specie esotiche invasive.

L'obiettivo della strategia europea per la biodiversità è proprio quella di "riportare la biodiversità in Europa sulla via della ripresa entro il 2030 a beneficio delle persone, del pianeta, del clima, dell'economia". Gli ecosistemi giocano, infatti, un ruolo cruciale nel fornire cibo, acqua, energia, materiali, medicinali e risorse genetiche, regolano il nostro clima, garantiscono la qualità dell’acqua e riducono l’inquinamento.

Le azioni principali individuate a livello europeo sono:
ripristinare vaste superfici di ecosistemi degradati e ricchi di carbonio
invertire la tendenza alla diminuizione degli impollinatori
ridurre del 50% i rischi e l'uso dei pesticidi chimici
destinare almeno il 10% delle superfici agricole ad elementi caratteristici del paesaggio con elevata diversità
destinare almeno il 25% dei terreni agricoli all'agricoltura biologica ed aumentare le pratiche agroecologiche
piantare tre miliardi di nuovi alberi nell'Unione Europea
aumentare la bonifica dei terreni contaminati
riportare almeno 25 000 km di fiumi a scorrimento libero
ridurre del 50% il numero di specie della lista rossa minacciate dalle specie esotiche invasive
limitare le perdite dei nutrienti contenuti nei fertilizzanti di almeno il 50% ottenendo una riduzione di alemno il 20% nell'uso dei fertilizzanti
dotare le città con almeno 20 000 abitanti di un piano ambizioso di inverdimento urbano
eliminare l'uso dei pesticidi chimici nelle zone sensibili, come le aree verdi urbane dell'UE
mitigare gli effetti negativi della pesca e delle attività estrattive sulle specie e sugli habitat sensibii, compresi i fondali marini al fine di riportarli ad un buono stato ecologico
eliminare le catture accessorie o ridurle a un livello che consenta il ripristino e la conservazione della specie.

fonte: www.arpat.toscana.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

Scuola.Ambiente, le nuove proposte per le scuole altoatesine

"Scuole.Ambiente" di Appa Bolzano: un mix di mostre interattive, workshop e laboratori che spaziano dall’acqua al clima, dall’aria all’energia, dal rumore ai rifiuti e al consumo. L’obiettivo è motivare bambini e giovani alla salvaguardia dell’ambiente.





Il nuovo logo per l'educazione ambientale di Appa Bolzano rispecchia in toto il significato dei due termini Scuola.Ambiente

Al via le iscrizioni ai progetti “Scuola.Ambiente” di Appa Bolzano per l’anno scolastico 2021/2022 rivolti a tutte le scuole altoatesine: scuole primarie, secondarie di primo e secondo grado e scuole professionali. Da quest’anno nuovo logo per l’educazione ambientale, nuove proposte formative e iscrizioni in modalità online.

Da qualche giorno sono aperte le iscrizioni a tutti i progetti “Scuola.Ambiente” per l’anno scolastico 2021/2022, i cui temi spaziano dall’acqua al clima, dall’aria all’energia, dal rumore ai rifiuti e al consumo. Con Scuola.Ambiente Appa Bolzano offre da oltre 15 anni a tutte le scuole altoatesine di ogni ordine e grado un ventaglio di iniziative nell’ambito dell’educazione ambientale. “L’educazione ambientale è molto più di una semplice trasmissione di conoscenze”, afferma l’assessore provinciale all’ambiente ed energia, Giuliano Vettorato. “Parlare di educazione ambientale all’interno delle aule scolastiche significa sensibilizzare bambini e giovani al rispetto dell’ambiente che ci circonda, renderli più consapevoli dell’importanza di un uso responsabile delle risorse naturali, affinché un domani diventino cittadini capaci di agire per il bene dell’ambiente e dell’intera comunità.”

Nuovi progetti: transizione energetica e spreco alimentare

L’offerta formativa “Scuola.Ambiente” si arricchisce il prossimo anno scolastico di due nuove iniziative: “Prossima uscita futuro“, workshop sull’uso efficiente delle risorse per rendere il nostro stile di vita più sostenibile e “Troppo buono per finire nei rifiuti“, iniziativa per sensibilizzare sulle cause e le conseguenze dello spreco alimentare. Tale iniziativa è stata possibile grazie alla collaborazione con il Centro Tutela Consumatori Utenti di Bolzano ed il progetto “Una buona occasione”. “Appassionare i ragazzi verso la tutela dell’ambiente affinché siano loro stessi a cambiare i propri comportamenti nella quotidianità è l’obiettivo delle iniziative “Scuola.Ambiente”, spiega Manuela Bonfanti, nuova referente per il settore dell’educazione ambientale in seno all’Agenzia provinciale per l’ambiente e la tutela del clima di Bolzano. “Tutti i progetti offerti trattano sì questioni globali, ma sono adattati in chiave locale e resi più interessanti al target giovanile attraverso la modalità interattiva dei workshop e dei laboratori.”

Nuova modalità d’iscrizione ai progetti

Quest’anno l’iscrizione ai progetti “Scuola.Ambiente” si effettua online tramite il portale SAP SuccessFactors, grazie ad una proficua collaborazione con i responsabili del settore SAP dell’Informatica Alto Adige Spa. Si tratta di un portale co-finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del progetto “NewAthena” già utilizzato da qualche tempo dai docenti delle scuole altoatesine di ogni ordine e grado per iscriversi ai corsi di aggiornamento.
La partecipazione ai progetti è gratuita ma riservata alle scuole della Provincia autonoma di Bolzano.
Per i progetti “EcoPausa” e “Passi per il clima” le scuole hanno tempo fino al 15 giugno per iscriversi, mentre per i restanti progetti il termine scade il 1° ottobre.

Nuova veste grafica per logo e pagine web

“L’educazione ambientale per Appa Bolzano non è solo un compito istituzionale, è anche un settore d’importanza sempre più strategica”, sottolinea Flavio Ruffini, direttore dell’Agenzia provinciale per l’ambiente e la tutela del clima di Bolzano, “è per questo motivo quest’anno abbiamo colto l’occasione per rinnovarlo”. “Oltre ad offrire due nuovi progetti”, spiega infatti Manuela Bonfanti, “sono stati rivisti la grafica e i contenuti della homepage, del depliant informativo e del logo che ora rispecchia in toto il significato dei due termini: il libro aperto quale sinonimo di educazione, le due icone stilizzate come immagine del gruppo target e le foglie assieme al colore verde in varie sfumature come simbolo dell’ambiente.”

Una descrizione dettagliata di tutti i progetti “Scuola.Ambiente” è a disposizione sul sito web di Appa Bolzano, nella sezione educazione ambientale: ambiente.provincia.bz.it/educazione-ambientale







Il depliant dei nuovi progetti “Scuola.Ambiente”


fonte: www.snpambiente.it/



#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 


=> Seguici su Blogger 
https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram 
http://t.me/RifiutiZeroUmbria
=> Seguici su Youtube 

ConservaMi: L'attrezzeria del Gimbellino a Milano





 

fonte: www.ilgiorno.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

#Iscriviti QUI alla #Associazione COORDINAMENTO REGIONALE UMBRIA RIFIUTI ZERO (CRU-RZ) 

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

Micropolis: Da Gubbio microorganismi a difesa dell'ambiente

 


fonte: Micropolis

#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

50 sfumature di greenwashing

Dal colosso del nucleare Westinghouse, già negli anni Sessanta, ai fuoriclasse di Chevron, negli anni Ottanta, arrivando fino a DuPont, solo per fare qualche nome. Quella del greenwashing è una storia odiosa e ricca che continua a rinnovarsi. In Italia, grazie a Teachers for Future si è tornati negli ultimi mesi a parlare delle bugie delle grandi aziende. Nell’anno in cui l’educazione ambientale entra nelle scuole, l’Associazione nazionale dei presidi ha spalancato le porte a Eni: “Non possiamo che prendere le distanze da questa iniziativa – ha scritto Tff – che coinvolge una delle grandi aziende mondiali che causano cambiamento climatico e contaminazione del Pianeta attraverso l’estrazione senza limiti dei combustibili fossili, che è già stata riconosciuta responsabile di immani disastri ambientali, corruzione, sfruttamento dei Paesi poveri e che tenta di dipingere di verde la sua anima nera attraverso costante e pressante attività di greenwashing…”

Tratta da pixabay.com

Il greenwashing rappresenta la pratica aziendale di mostrarsi attenti alla sostenibilità per nascondere un discutibile impegno per la salvaguardia ambientale. L’articolo «The troubling evolution of corporate greenwashing» del quotidiano britannico The Guardian ne ripercorre alcune tappe mettendone in luce gli aspetti più torbidi.

Negli anni Sessanta, il movimento antinucleare metteva in dubbio l’affidabilità delle centrali nucleari, la loro sicurezza e il loro apparentemente basso impatto ambientale. Il colosso americano Westinghouse, e in particolare la sua divisione nucleare, ribatteva con una serie di annunci che proclamavano la pulizia e la sicurezza delle centrali nucleari, avvalendosi di immagini evocative come quella di una centrale nucleare adagiata sulla riva di un lago incontaminato. Alcune delle affermazioni degli spot erano vere: nel 1969, le centrali nucleari della Westinghouse producevano grandi quantità di elettricità a basso costo con un inquinamento atmosferico molto inferiore rispetto alle centrali a carbone concorrenti. Tuttavia le pubblicità sembravano ignorare che solo qualche anno prima si erano verificati due episodi di meltdown nucleare: uno interessò la centrale SL-1 in Idaho nel 1961 e il secondo la centrale Fermi 1 in Michigan nel 1966. Gli annunci della Westinghouse tralasciavano anche le preoccupazioni sull’impatto ambientale delle scorie nucleari, che continuano a essere un problema.

Si potrebbe pensare che le cose nel tempo siano migliorate, ma nel 2013, in mezzo alle preoccupazioni per la disoccupazione e per la sostenibilità energetica, la Westinghouse ha lanciato un nuovo spot. «Lo sapevate che l’energia nucleare è la più grande fonte di energia per l’aria pulita del mondo?», ha chiesto agli spettatori poco prima di affermare che le sue centrali nucleari «forniscono aria più pulita, creano posti di lavoro e aiutano a sostenere le comunità in cui operano». Anche in questo caso l’azienda sembrava sperasse nella breve memoria dei consumatori. Solo due anni prima, infatti, la Westinghouse era stata citata dalla U.S. Nuclear Regulatory Commission – agenzia indipendente che ha lo scopo di garantire l’uso sicuro dei materiali radioattivi per scopi civili benefici – per aver nascosto delle falle nei progetti dei suoi reattori e aver fornito informazioni false alle autorità di controllo. Inoltre, nel febbraio 2016, un altro impianto che utilizza i reattori della Westinghouse, l’Indian Point di New York, ha rilasciato materiale radioattivo nelle acque sotterranee dell’area circostante. Un articolo del The Guardian sulla vicenda riporta che in una località colpita i livelli di radioattività erano aumentati di quasi il 65.000%, passando da 12.300 pCi/L (picocurie per litro) a oltre 8.000.000 pCi/L. Il livello massimo di contaminazione di trizio nell’acqua potabile stabilito dall’Environmental Protection Agency (EPA) è di 20.000 pCi/L, anche se Entergy, la società proprietaria dell’impianto, ha sottolineato che solo le acque sotterranee, e non l’acqua potabile, erano state contaminate.

Un’altra tappa emblematica nella storia del greenwashing fu la campagna pubblicitaria lanciata dalla compagnia petrolifera Chevron a metà degli anni Ottanta. L’azienda commissionò una serie di costosi spot per convincere il pubblico della sua attenzione verso l’ambiente: il titolo era «People Do». Uno spot in particolare mostra un grizzly andare in letargo in una incontaminata grotta di montagna, mentre la voce fuori campo racconta di come i loro dipendenti avrebbero eseguito esplorazioni di petrolio nel sottosuolo, per poi provvedere a ripristinare eventuali danni ambientali in tempo per il risveglio dell’orso.

Molti dei programmi ambientali che la Chevron ha promosso nelle sue pubblicità, come in questo caso, erano stati in realtà imposti dalla legge. Erano anche relativamente poco costosi se confrontati con il budget pubblicitario della Chevron. L’attivista ambientale Joshua Karliner1 ha stimato che, a esempio, la realizzazione della campagna di tutela delle farfalle della Chevron richiedeva 5.000 dollari all’anno, mentre la produzione e diffusione degli annunci pubblicitari per promuoverla costarono milioni di dollari.

Inoltre, nel periodo in cui veniva lanciata la campagna «People Do», la Chevron violava il Clean Air Act, il Clean Water Act, le leggi federali che regolano le emissioni atmosferiche e gli scarichi di sostanze inquinanti nelle acque degli Stati Uniti, in vigore rispettivamente dal 1970 e 1972, e rilasciava petrolio in rifugi dedicati alla fauna selvatica. Gli spot tuttavia furono molto efficaci, come ricorda il Guardian, tanto da vincere il premio pubblicitario Effie advertising award nel 1990, e successivamente essere utilizzati come caso di studio alla Harvard Business School. Ma non passò molto prima che diventassero famosi anche tra gli ambientalisti, che li proclamarono il gold standard del greenwashing.

Da dove nasce la parola Greenwashing

Il termine «greenwashing» è la sincrasi tra «green» e «washing»: una lavata di verde, per nascondere con il marketing attività tutt’altro che sostenibili. Ma quando e come nasce la parola «greenwashing»? Quando, nel 1983, Jay Westerveld – ci ricorda il Guardian – ebbe per la prima volta l’idea del termine greenwashing, non stava pensando all’energia nucleare, ma agli asciugamani. Studente universitario in un viaggio di ricerca a Samoa, si fermò alle Fiji per fare surf. Trovandosi nell’immenso resort Beachcomber, vide un biglietto che chiedeva ai clienti di ritirare i loro asciugamani. In sostanza diceva che gli oceani e le scogliere sono una risorsa importante, e che il riutilizzo degli asciugamani ridurrebbe i danni ecologici e finiva dicendo qualcosa del tipo: «Aiutateci ad aiutare il nostro ambiente». Westerveld in realtà non alloggiava nel resort, ma in una pensione modesta nelle vicinanze, e si era appena intrufolato per rubare degli asciugamani puliti. Rimase colpito dall’ironia della nota: mentre sosteneva di proteggere l’ecosistema dell’isola, infatti, il Beachcomber – che oggi si definisce «la destinazione più ricercata del Pacifico meridionale» – si stava espandendo.

Tre anni dopo, nel 1986, Westerveld stava scrivendo una tesina sul multiculturalismo quando si ricordò della nota. Un suo compagno di corso che lavorava per una rivista letteraria gli fece scrivere un saggio al riguardo e, dato che la rivista aveva una grande affluenza di lettori nella vicina New York City, non passò molto tempo prima che il termine prendesse piede nei media più ampi. Il saggio di Westerveld uscì un anno dopo il lancio della campagna «People Do», ma la Chevron non è stata l’unica azienda a cavalcare l’onda del greenwashing.

Questi possono sembrare casi isolati, tuttavia oggi, come afferma Michela Melis intervistata da Asia Moretti – Research Fellow presso GREEN (il Centre for Geography, Resources, Environment, Energy and Networks della Bocconi) – «le strategie di green marketing non sono più, come è capitato in passato, delle strategie di nicchia che si rivolgono a dei segmenti di mercato molto specifici e puntuali, ma stanno diventando sempre più pervasive, lo si vede soprattutto nei mercati dei beni di largo consumo».

Il caso DuPont

Nel 1989 – come raccontava nel 1991 il The Multinational Monitor– l’azienda chimica DuPont presentò le sue nuove petroliere a doppio scafo con una pubblicità che mostrava animali marini battere le pinne e le ali sulle note dell’Inno alla Gioia di Beethoven. Tuttavia, come ha sottolineato l’associazione non-profit Friends on Earth nel suo rapporto «Hold the Applause», la società è stata la più grande inquinatrice degli Stati Uniti. La decennale battaglia legale tra la multinazionale DuPonte l’avvocato Robert Bilott è descritta nell’articolo del New York Times Magazine «The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmar», pubblicato nel gennaio del 2016. La vicenda ha inizio nel 1998 quando l’avvocato valuta la condotta dell’azienda dopo la richiesta di un contadino sicuro che questa stesse contaminando i suoi terreni: dopo diverse ricerche, Bilott trova rimandi al PFOA, un composto chimico allora sconosciuto anche all’EPA.

Si stima che tra il 1951 e il 2003 la DuPont abbia riversato quasi 7100 tonnellate di PFOA-C8 nei corsi d’acqua limitrofi al suo stabilimento di Washington Works, fino a contaminare il vicino fiume Ohio. Grazie al report compilato da Bilott e inviato al Dipartimento di giustizia di Washington e all’EPA, nel 2005 l’ente ambientale multò la DuPont per 16,5 milioni di dollari – una cifra irrisoria rispetto al fatturato annuale dell’azienda – per aver insabbiato i rischi legati allo smaltimento del PFOA. Dopo la sentenza Bilott decide di non fermarsi e organizza una class action collettiva che coinvolgesse tutte le almeno 100mila persone entrate in contatto con l’acqua contaminata da PFOA.

Dopo 7 anni di ricerche nel dicembre del 2011 arrivano i risultati, i ricercatori parlano di «probabili legami» tra il PFOA e l’insorgere di cancro ai reni e ai testicoli, disfunzioni della tiroide, picchi del colesterolo e ulcere intestinali. Quando il nesso è evidente, la DuPont cerca di limitare i danni portando in tribunale uno alla volta gli oltre 3500 contenziosi intentati nei suoi confronti. Dopo la vittoria di Bilott nei primi tre contenziosi e i risarcimenti milionari imposti alla DuPont, nel 2017 l’azienda chimica ha deciso di accettare la class action guidata dall’avvocato e di accordarsi per una maxi multa da 671 milioni di dollari. Come si legge nel sito dell’AIRC, l’EPA «ha affermato che i dati oggi disponibili suggeriscono un possibile legame causale tra PFOA (e altri composti simili) e il cancro; l’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) ha classificato il PFOA come cancerogeno confermato negli animali, con rilevanza ancora incerta per gli esseri umani». Nel 2016, la stessa AIRC «ha classificato il PFOA nel gruppo 2B, del quale fanno parte le sostanze possibilmente cancerogene per l’uomo».

Anche alla luce di questi accadimenti, dice Michela Melis, «il fenomeno del greenwashing è sotto la lente dell’attenzione anche dalle istituzioni ed è evidente che ci sia un interesse crescente a normare l’utilizzo di questi termini, perché l’abuso e l’uso scorretto da parte delle aziende si traduce da un lato nel danneggiamento dei competitor, e dall’altro in un’informazione misleading sul mercato».

Una sanzione per ENI

La pubblicità ENI Diesel+, che ha circolato tra il 2016 al 2019, può essere considerato il primo caso di greenwashing in Italia, sanzionato, il 15 gennaio 2020, con una multa da cinque milioni di euro. Sentenza arrivata dopo una denuncia da parte di Legambiente, dal Movimento Difesa del Cittadino e da Transport & Environment (T&E) ed erogata dall’Autorità Antitrust. Come si legge nel comunicato stampa pubblicato il 15 gennaio 2020 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), ENI è stata sanzionata «per la diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli utilizzati nella campagna promozionale che ha riguardato il carburante Eni Diesel+, sia relativamente all’affermazione del positivo impatto ambientale connesso al suo utilizzo, che alle asserite caratteristiche di tale carburante in termini di risparmio dei consumi e di riduzioni delle emissioni gassose».

Il carburante in questione viene definito dalla multinazionale biodiesel o anche semplicemente green diesel perché promette più attenzione all’ambiente e una riduzione dei consumi e delle emissioni rispettivamente del 4% e del 40%. Secondo l’AGCM «nei messaggi si utilizzavano in maniera suggestiva le qualifiche “componente green” e “componente rinnovabile”, e altri claim di tutela dell’ambiente, quali “aiuta a proteggere l’ambiente. E usandolo lo fai anche tu, grazie a una significativa riduzione delle emissioni”, sebbene il prodotto sia un gasolio per autotrazione che per sua natura è altamente inquinante e non può essere considerato green». Questi green claim deriverebbero dalla presenza, nella sua versione di biodiesel, di una componente di HVO (Hydrotreated Vegetable Oil) che in questo caso provengono dall’olio di palma grezzo. Oltre a questo, ENI giustificherebbe l’aumento del prezzo di questo carburante del 10%, proprio perché sostenibile, bio e rinnovabile.

L’Italia è, al momento, il secondo produttore in Europa di biodiesel da olio di palma. Nel 2018 il 54% di questo olio è stato utilizzato proprio per produrre questo tipo di carburante, utilizzato soprattutto per camion e auto. La maggior parte dell’olio di palma sul mercato, deriva da piantagioni dell’Indonesia e della Malesia, due Paesi in cui il tasso di deforestazione è schizzato alle stelle negli ultimi dieci anni. È quindi da considerare come una delle principali cause della distruzione di foreste pluviali e della perdita di fauna selvatica. Nonostante le campagne e le petizioni di successo per ridurne l’utilizzo nei prodotti alimentari, continua ad aumentare l’utilizzo di olio di palma nei biodiesel. In un rapporto di Legambiente, intitolato «Enemy of the Planet», si legge che «gli studi internazionali hanno dimostrato che il 30% delle nuove coltivazioni di palma e l’8% di quelle di soia, utilizzati per la produzione di biocombustibile poi importato nel nostro Paese per le bioraffinerie di ENI, hanno comportato distruzione di foreste vergini, di brughiere e di praterie. Si stima che un litro di olio di palma determini emissioni indirette di CO2 pari al triplo dell’equivalente di petrolio e un litro di olio di soia il doppio».

La Commissione europea ha quindi deciso di modificare i criteri di sostenibilità dei biocarburanti di prima generazione con la Direttiva Rinnovabili che prevede un congelamento della produzione di biodiesel ai livelli del 2019, per il periodo 2021 – 2023, con l’obiettivo di abbandonare definitivamente l’utilizzo di olio di palma entro il 2030.

Generalizzando la vicenda di ENI, «se comunichi male ti esponi ad una serie di rischi – ricorda Michela Melis – il primo è quello sanzionatorio, che potrebbe anche tradursi in un esborso monetario non previsto che in alcuni casi non impatta troppo sul bilancio dell’impresa; il secondo si porta dietro un inevitabile danno d’immagine e reputazione che è molto più difficile da colmare. A questo bisogna aggiungere che oggi, i consumatori, sono molto più attenti e precisi nelle loro richieste alle aziende rispetto alle loro performance ambientali».

L’Italia è tra i primi paesi al mondo a rendere obbligatorio l’insegnamento annuale alcune ore di educazione allo sviluppo sostenibile. Risulta paradossale che l’Associazione nazionale dei presidi abbia chiesto proprio a ENI di formare i docenti, visto che il core business dell’azienda rimangono ancora i combustibili fossili. Le prime a mobilitarsi sono state le insegnanti di Teachers for Future (un gruppo che fa riferimento ai Fridays for Future) che hanno dichiarato in una lettera che «come Teachers for future Italia non possiamo che prendere le distanze da questa iniziativa che coinvolge una delle grandi aziende mondiali che causano cambiamento climatico e contaminazione del Pianeta attraverso l’estrazione senza limiti dei combustibili fossili, che è già stata riconosciuta responsabile di immani disastri ambientali, corruzione, sfruttamento dei Paesi poveri e che tenta di dipingere di verde la sua anima nera attraverso costante e pressante attività di greenwashing».

Solo nell’ultimo anno, ENI ha prodotto 1,9 milioni di barili di petrolio al giorno e ha speso, nel 2019, 73 milioni di euro in pubblicità e attività di comunicazione; secondo il rapporto Enemy of the Planet, «nel 2018 ha investito solo 143 milioni di euro per investimenti tecnici in sviluppo di progetti rinnovabili, economia circolare e digitalizzazione».
L’azionariato attivo

All’inizio degli anni Novanta, i consumatori erano consapevoli delle preoccupazioni in materia di sostenibilità: i sondaggi hanno mostrato che la condotta ambientale delle aziende ha influenzato la maggior parte degli acquisti dei consumatori. Un sondaggio Nielsen del 2015 ha mostrato che il 66% dei consumatori globali è disposto a pagare di più per prodotti sostenibili dal punto di vista ambientale. Tra i millennial (ovvero le generazioni nate tra il 1981 e il 1996), questo numero salta al 72%. Molte aziende hanno adottato la strategia della sensibilizzazione con lo scopo di coinvolgere i clienti nei loro sforzi di sostenibilità, anche quando il loro modello di business principale rimane insostenibile dal punto di vista ambientale.

Questo interesse per l’ambiente ha portato a una maggiore consapevolezza del greenwashing; alla fine del decennio, la parola è entrata ufficialmente nella lingua inglese con l’inserimento nel dizionario inglese di Oxford. Da allora, la tendenza è solo aumentata. Grazie all’identificazione e alla conoscenza del fenomeno, il consumatore ha aguzzato lo spirito critico e quando nel 2010 la stessa Chevron ha proposto una nuova campagna pubblicitaria dal titolo «We Agree», gli attivisti dell’associazione The Yes Man hanno prontamente risposto. Per screditare la Chevron hanno creato una finta versione della stessa campagna con tanto di sito internet e comunicato stampa, che i giornalisti hanno prese per vere.

I consumatori hanno inoltre sviluppato strategie per riuscire a imporre alle aziende il peso della loro opinione. In molti Paesi, infatti, è nata una nuova forma d’intervento: l’azionariato attivo (o critico). Grazie all’acquisto di azioni (anche in quantitativi simbolici), gli attivisti hanno iniziato a intervenire alle assemblee annuali delle imprese come azionisti, portando all’attenzione dei consigli di amministrazione di grandi società multinazionali le controversie ambientali nelle quali sono coinvolte. L’azionariato attivo ha già dato risultati significativi. Le grandi imprese, molto spesso sorde alle proposte dei consumatori, delle campagne e dei movimenti, sono generalmente più attente alle richieste provenienti dagli azionisti che, in quanto «comproprietari», acquistano il diritto di partecipare alla vita delle società e di ottenere risposte su questioni ambientali o sociali. «È quello che ha fatto Follow This, un’organizzazione che invita chiunque abbia a cuore l’ambiente ad aderire con una quota minima di 32 euro, sufficiente per diventare azionista di Shell», si legge su Lifegate. Il colosso dell’energia ha annunciato che si sarebbe impegnato a dimezzare la propria impronta di carbonio entro il 2050, ma Follow This ha sottoposto a Shell una risoluzione per chiedere obiettivi climatici più ambiziosi.

Il Greenwashing ha sicuramente cambiato forma nell’ultimo decennio, in parallelo alla crescente consapevolezza del consumatore ma rimane un fenomeno molto diffuso e che è bene conoscere per imparare a tutelarsi.
Bibliografia:
[1] Karliner J., The Corporate Planet, Sierra Club Books, 2002

fonte: comune-info.net


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Enter your email address:

Delivered by FeedBurner

Patto mondiale per l'ambiente









Un'invito ad unirsi alla Coalizione per un Patto Mondiale per l'Ambiente. Global Pact for the Environment



#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

WWF in collaborazione con Rio Mare insegna la sostenibilità nelle scuole

Il WWF, in collaborazione con Rio Mare, arriva nelle scuole italiane con Ondina, la bambina protagonista del progetto Insieme per gli oceani, che vuole far conoscere l'importanza dell'Oceano e coinvolgere i più piccoli alla sua salvaguardia.




Ondina, la bambina protagonista di "Insieme per gli Oceani" il progetto di Rio Mare e WWF che vuole far conoscere l'importanza dell'Oceano, arriva nelle scuole italiane. A partire dal 14 settembre infatti, con l'inizio del nuovo anno scolastico, circa 750.000 bambini tra i 7 e i 10 anni, appartenenti a 3000 scuole elementari di tutta Italia, potranno entrare nel mondo di Ondina, conoscere i segreti dell'Oceano e imparare a proteggerlo. Ogni classe aderente al progetto, riceverà un kit didattico, e potrà accedere ai materiali online presenti sul sito dedicato, accessibile ai docenti, alle famiglie e ai bambini, che potranno giocare con la protagonista e i suoi amici, scoprendo le curiosità del mondo marino.
Entro il 22 aprile 2021, inoltre, tutte le classi delle scuole primarie potranno partecipare al concorso educativo "Ora tocca a noi!" Aiutiamo Ondina a proteggere l'oceano, attraverso elaborati creativi che raccontino come i bambini hanno immaginato e rappresentato, nel percorso didattico, il messaggio educativo di tutela degli oceani.
Partecipare è semplicissimo, l'insegnante dovrà registrarsi su www.scuola.net e accedere alla sezione "Insieme per gli Oceani" e poi cliccare sul pulsante "Partecipa", dove potrà compilare il modulo di partecipazione e procedere per il caricamento digitale dell'elaborato.
Per visionare il progetto, il concorso e i materiali dedicati è possibile andare sul sito https://scuola.insiemeperglioceani.it.

fonte: www.greencity.it


#RifiutiZeroUmbria - Sostienici nelle nostre iniziative, anche con un piccolo contributo su questo IBAN IT 44 Q 03599 01899 050188531897Grazie!

=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria

Economia circolare: accordo tra Scuola Sant’Anna e Area Science Park

Lo scopo è accellerare lo sviluppo di progetti congiunti tra mondo scientifico, imprese e società per favorire la salvaguardia ambientale e l’aumento di competitività dei sistemi produttivi.




Creare un network che contribuisca alla realizzazione di un’economia circolare e alla transizione verso un modello economico e sociale sostenibile dal punto di vista ambientale, sviluppando progetti congiunti. Sono gli obiettivi principali dell’accordo quadro triennale sottoscritto tra l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Area Science Park di Trieste per svolgere in maniera congiunta attività di ricerca, di supporto alle imprese e di diffusione della conoscenza sui temi dell’economia circolare. Si tratta di un obiettivo ambizioso e che, secondo i promotori, appare necessario, nella consapevolezza che una transizione non sia possibile senza avviare una collaborazione su larga scala con la comunità scientifica internazionale, con i professionisti, con i manager e con i “policy makers”, ovvero i “decisori politici”.

Da questo accordo triennale è atteso un contributo originale per sviluppare nuova conoscenza, progettare, valorizzare a livello scientifico e diffondere approcci innovativi, metodi e strumenti per rendere “circolari” quanto più possibile le organizzazioni, anche quando siano in connessione, come nel caso di filiere, di aree industriali, di distretti.

L’economia circolare è al centro delle attività condotte da docenti e ricercatori dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha tra i propri compiti la valorizzazione delle attività di ricerca interdisciplinari e l’innovazione nel campo del management, a ogni livello. In questo senso, all’interno dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il riferimento va al gruppo SUM (acronimo di “Sustainability Management”), che opera in connessione – per gli aspetti più legati all’innovazione – con il gruppo MAIN (acronimo di “Management dell’Innovazione”). I successi e le esperienze della Scuola Superiore Sant’Anna e, nel caso specifico del suo Istituto di Management, si uniscono a quella di Area Science Park, Ente pubblico nazionale di ricerca, che ha trova la sua mission nella promozione dell’attività di ricerca e nel trasferimento dell’innovazione al settore produttivo.

“Lo sviluppo di strumenti di valutazione dell’impatto in termini di resilienza delle imprese permetterà di rafforzare la gestione dei nuovi rischi, tra cui rientrano di sicuro quelli di natura sanitaria, di cui ne è un esempio l’attuale pandemia da Covid-19, come quelli legati al cambiamento climatico e al depauperamento del capitale naturale. Si tratta di un contributo importante e necessario per la realizzazione di un modello economico sostenibile e circolare”, come sottolinea Natalia Marzia Gusmerotti, coordinatrice operativa delle attività di ricerca condotte nell’ambito dell’accordo e coinvolta in prima persona, insieme a Marco Frey, responsabile scientifico di questo accordo per l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna.

“Un primo esempio concreto di collaborazione, al quale stiamo già lavorando insieme – spiega Fabio Morea, responsabile dell’ufficio Studi di Area Science Park – è l’analisi degli elementi critici per la competitività e per la resilienza delle imprese. Unendo le nostre due esperienze vogliamo sviluppare una metodologia basata su dati e sul rapporto diretto con le imprese”.

fonte: http://www.livorno24.com


#RifiutiZeroUmbria - #DONA IL #TUO 5 X 1000 A CRURZ - Cod.Fis. 94157660542


=> Seguici su Twitter - https://twitter.com/Cru_Rz 
=> Seguici su Telegram - http://t.me/RifiutiZeroUmbria